Una maldestra
difesa di Papa Francesco
Un Papa
comodo
Nel servizio
del 12 maggio 2020 del blog Settimana
news è apparso un articolo di Francesco Cosentino dal titolo «Un
papa scomodo», che si propone di sostenere il pontificato di Papa Francesco difendendolo
dai suoi nemici: intento in sé giusto e doveroso da parte di ogni buon
cattolico. Si tratta però di un’impresa non facile e assai delicata, che
suppone da una parte un’adeguata conoscenza di quelli che sono i doveri e
l’ambito di autorità di un Papa e dall’altra una sufficiente informazione circa
gli atti magisteriali e pastorali del Papa in esame.
Per questo, se non ci si basa su questi criteri e
su queste premesse, si rischia di fare un’apologia controproducente esaltando, del
Papa, le scelte sbagliate e trascurando o fraintendendo i valori veri del suo
pontificato, col risultato da una parte di creare falsi amici del Papa, che in
realtà falsificano la missione del Papa e farne l’apologia dei difetti per
proprio comodo; e dall’altra parte di fare apparire come nemici i veri amici
franchi e fedeli, che criticano il Papa proprio perchè faccia meglio il Papa.
Questa precisamente è la disavventura che è
capitata a Cosentino col suo infelice articolo. Notiamo infatti in esso con
dispiacere, ma anche con sdegno, un ennesimo encomio acritico, incondizionato
ed adulatore del Papa, un Papa per lui non comodo, ma comodissimo. C’è un solo
inconveniente: che il concetto che Cosentino ha dell’esser Papa non è affatto
quello che è insegnato dalla Chiesa cattolica, ma è quello di un capo meramente
terreno di una Chiesa meramente terrena, benché egli si sforzi di presentarlo
come evangelico.
Appare così evidente, dai giudizi che Cosentino dà
su Papa Francesco, che egli, per valutare l’operato del Papa, si basa sullo
schema secolaristico-politico di comodo, ormai consueto nei modernisti, che
considera il Papa non nella sua autentica figura e missione di Vicario di Cristo, in possesso delle
«somme chiavi», come dice Dante, colui che, pur con le sue debolezze umane,
guida la Chiesa luce delle nazioni,
sacramento universale di salvezza, inizio sulla terra del Regno dei
cieli, il Successore di Pietro che esorta ogni uomo a convertirsi a Cristo e ad
entrare nella Chiesa cattolica, ma come capo politico di una Chiesa vista come
semplice società terrena.
Si vede lontano un miglio che Cosentino è un pover
uomo di sinistra, un modernista che tenta penosamente di tirare il Papa dalla sua
parte facendone un sinistrorso e un modernista, onde aver campo libero per le
sue trasgressioni sotto la fama di
cattolico esemplare, avanzato e progressista.
Chiarissima
nel peana di Cosentino è l’eco di coloro che in questi anni hanno presentato
Papa Francesco come l’iniziatore di un «nuovo paradigma», come l’inaudito profeta
di una «svolta epocale», che si concretizza, a sentire il noto esponente del PD
Massimo D’Alema, come «leader della sinistra internazionale», o il «grande
operatore mondiale del riscatto dei popoli», come ebbe ad esprimersi il presidente
venezuelano Nicolás Maduro, mentre tutti sanno del regalo fatto al Papa dal presidente
boliviano Evo Morales di un Crocifisso con la falce e il martello. Il Padre
Antonio Spadaro è giunto a tal punto di stoltezza, da esaltare il Papa come «trasformatore
del mondo col metodo marxista». Altri lo chiamano Papa «rivoluzionario».
Una propaganda del tutto controproducente
Ma ciò non giova assolutamente al buon nome del Papa.
Non sono lodi, ma insulti o quanto meno appellativi che non si danno a un Papa.
Ma il Papa si schermisce affermando di rifarsi al Vangelo e alla dottrina
sociale della Chiesa. Forse Cosentino crede di esaltare il Papa in questo modo,
mentre invece è proprio la maniera di fargli del danno fraintendendo il vero
valore del suo pontificato, che non sta nello scegliere la sinistra contro la
destra, il cambiamento contro la stabilità, il progresso contro la
conservazione, il rinnovamento contro la tradizione, il socialismo contro il capitalismo,
il modernismo contro il lefevrismo, perché ciò lo farebbe un uomo di parte, immerso nelle contingenze politiche, e invece
il Papa dev’essere il Papa di tutti, super
partes, per essere giudice imparziale
accettabile da ambo le parti. Se invece una parte si accorge che il Papa
propende per il partito opposto, come fa ad aver fiducia in un giudice del
genere?
L’insegnamento del Papa deve emergere sui partiti
per la sua universalità cattolica,
così da poter abbracciare parimenti gli uni e gli altri. Può scendere certo nel
concreto, ma sempre alla luce dell’universale, del cattolico. Gli uomini, benché
fatti per il cielo, tendono sempre a chiudersi in interessi privati, particolari,
mutevoli e contingenti, che sono quelli della politica e della storia. Il Papa
deve continuamente stimolare gli uomini a guardare in alto, verso quei beni
comuni, celesti, futuri, eterni ed immutabili, che sono di tutti e per tutti.
In base a queste considerazioni le seguenti parole
di Cosentino in difesa dell’indipendenza del Papa da interessi politici rappresentano
più un quadro ideale, che non l’effettiva condotta del Papa:
«Papa
Francesco è convinto che la “Chiesa di Costantino” non fa una politica migliore
a servizio del mondo, ma si caratterizza come un connubio con elementi mondani
del potere politico-economico che, casomai, la snaturano. Essi la rendono
potente da un punto di vista mondano, ma perdente quanto a logica evangelica.
Egli sa – perché a differenza di chi lo accusa il Vangelo lo legge – che il
seme evangelico dell’amore che trasforma il mondo, la società, le relazioni e
le strutture, è diverso, e non sposa la logica del potere terreno e politico.
Egli sogna
una Chiesa spoglia, che non si sbraccia per esibire nel mondo la propria
abilità nel saper entrare nel gioco delle parti, ma si gloria solo dell’amore
crocifisso di un re che non è di questo mondo. Un re che dalla sua Chiesa vuole
una presenza storica e “politica” al modo del lievito e del piccolo seme
nascosto».
Viceversa, i difetti pastorali di Papa
Francesco fanno comodo ai modernisti, i quali sono dei raffinati e sfrontati
adulatori. Facendogli delle lodi sperticate, esagerano i suoi difetti a loro vantaggio,
si fingono amici e devoti del Papa, interpretano il suo magistero in senso
modernista, rahneriano, luterano, massonico e marxista, credono di portare il
Papa dalla loro parte e sono persuasi di poterlo strumentalizzare e manovrare per
i loro fini.
Essi hanno un sostanziale disprezzo per Papa
Francesco, considerandolo, da presuntuosi gnostici quali sono ed abili
manovratori politici, un soggetto mentalmente limitato e sprovveduto, facilmente
ingannabile, un carattere influenzabile sensibile alla piaggeria e cedevole
alle minacce.
Finora ad essi è andata bene. Ma Francesco non
è così ingenuo come essi credono, sa riconoscere le insidie e gli inganni del
demonio, e dà segni petrini per loro preoccupanti che lo Spirito Santo lo guida
e lo protegge. Da un momento all’altro, come un uragano improvviso, potrebbe
mandare all’aria i loro piani. Dopotutto su che cosa poggiano quei piani se non
sulla menzogna e sulla ingiustizia? Se infatti lo Spirito soffia, chi lo può
fermare? La «nuova Pentecoste» profetizzata da San Giovanni XXIII non è ancora
venuta.
Ma in realtà i modernisti, che sono dei
soggettivisti, evoluzionisti e relativisti, che non credono neanche nell’esistenza
di una verità oggettiva, inviolabile e immutabile verità o, in termini popolari,
al di là della loro finta fede, «non credono neanche nel pan cotto», non hanno
ovviamente la minima idea, anzi sostanzialmente disprezzano la vera natura,
doveri e finalità del ministero petrino, così come è insegnato dal Vangelo e della
Tradizione apostolica, e quindi non ammettono affatto che il Papa possa o debba
insegnare infallibilmente delle verità immutabili ed eterne.
Il Papa,
che essi ammirano ed esaltano non è il vero Papa istituito da Cristo, Maestro
della Fede, Successore di Pietro e Vicario di Cristo, - questi sono titoli del passato - ma è un formidabile
e sgargiante personaggio politico,
iniziatore di una svolta epocale, profeta inaudito, liberatore degli oppressi e
dei poveri, che muterà la Chiesa dalle fondamenta, secondo i voti dei vescovi
tedeschi, animatore della sinistra internazionale e, un commediante
arruffapopolo, un distributore di permessi trasgressivi, con la scusa della
misericordia e del «discernimento», un simpatico attore dalle battute spiritose,
insomma un personaggio che si sono costruiti loro a loro uso e consumo per corrompere
il Vangelo e soddisfare le loro voglie mondane e terrene.
Il Papa
aderisce al Vangelo, ma non a tutto il Vangelo
Dice Cosentino: «Papa Francesco ha
un’aderenza radicale al Vangelo che lo rende scomodo». Il Papa risulterebbe
scomodo, scomodissimo a Cosentino e ai modernisti, se essi lo accettassero
veramente come Papa, voluto da Cristo e non come se lo figurano loro, fraintendendo
in senso modernista le idee e l’operato del Papa, ed approfittando delle sue
debolezze umane, dei suoi rari lapsus psicologici e linguistici e delle
negligenze di Francesco. Il Papa comodo che loro s’immaginano è un falso Papa ad usum delphini, un Papa modernista,
che non esiste se non nella loro fantasia, anche se qualche volta può averne le
apparenze.
Dice Cosentino:
«La sua
tagliente predicazione ha nel tempo aumentato la filiera dei nemici, il suo
magistero liberante sconvolge i rigoristi della dottrina, la sua libertà
interiore toglie il sonno all’ipocrisia religiosa. Il sogno di una Chiesa che
non occupa spazi ma avvia processi e che lascia cadere le pietre del moralismo
e della condanna per farsi abbraccio dell’uomo, è decisamente troppo. E siccome
Francesco ha forza, coraggio e parola che arriva al cuore di tutti velocemente,
si può colpire soprattutto con la menzogna».
Le lodi di Cosentino per il Papa sono una
raccolta di generiche frasi fatte attinte dal repertorio della tipica tradizionale
adulazione cortigiana dei signori, dei regnanti e dei potenti, che costituisce
un vero e proprio genere letterario, che ha al suo attivo presso tutti i popoli
nel corso dei secoli una ricchissima storia. Fioccano le grandi riconosciute
qualità delle guide dei popoli: «tagliente predicazione, magistero liberante, libertà
interiore, abbraccio dell’uomo, forza, coraggio e parola che arriva al cuore di
tutti velocemente». Invano cercheremmo pezze d’appoggio o riferimenti puntuali
per tutte queste affermazioni, che pertanto sembrano gratuite. Cosentino
ritiene evidentemente inutile dimostrare quello che dice. Parla a un pubblico
che è già d’accordo. Nulla da criticare: tutto è perfettamente a posto. Papa
Francesco è già canonizzato.
Francesco «lascia cadere le pietre del
moralismo e della condanna per farsi abbraccio dell’uomo». Cosentino pensa
forse qui di fare una lode e invece si lascia sfuggire un difetto di Papa
Francesco: la negligenza nella correzione e confutazione degli errori
dottrinali, che pullulano nella Chiesa.
Altre espressioni, poi, fanno generico
riferimento ad attacchi di forze ostili, ovviamente immeritate, ma non si
capisce con chi ce l’ha Cosentino o a chi si riferisce: «la filiera dei nemici,
i rigoristi della dottrina, l’ipocrisia religiosa, si può colpire soprattutto
con la menzogna».
Cosentino crede forse di dar lode al Papa
citando le sue stesse parole: «una Chiesa che non occupa spazi ma avvia
processi». Ma si tratta di espressioni strane, che il Papa non spiega con
chiarezza. Ci domandiamo perché mai la Chiesa non dovrebbe occupare spazi? Vive
forse tra le nuvole? La Chiesa avvia processi? E che vuol dire? Ogni uomo avvia
processi. Chi ne avvia dei buoni e chi ne avvia dei cattivi. E con questo? È
questa la maniera di definire l’attività della Chiesa?
Questo fatto del non occupare spazi, sembra
quasi dire che a Papa Francesco non interessi l’espansione geografica della Chiesa,
ma solo un creare movimento verso che cosa peraltro qui non si capisce, se non
fosse che in altri contesti il Papa ha molto parlato della missione,
dell’evangelizzazione, dell’inculturazione e del compito della Chiesa di
instaurare il Regno di Dio già da questa terra.
Dice Cosentino:
«Francesco
non è un papa religioso. Proprio così. Non gli interessa difendere un ruolo e
marcare gli spazi di un’istituzione, né avere il controllo religioso delle
coscienze e delimitare il potere religioso dinanzi a quello civile e politico.
Al contrario, egli mette in atto la vecchia lezione di Ratzinger, secondo cui
tanto più la Chiesa perde rilevanza sociale e politica e tanto più diventa la
Chiesa di Cristo, spoglia da interessi mondani e preoccupata di portare la
novità del Vangelo al mondo per trasformarlo non come forza politica, ma come
lievito di una forza di altra natura. Il suo discorso non è specificatamente
religioso perché sa che al cuore del Vangelo non c’è la religiosità ipocrita
degli scribi e dei farisei, ma l’amore per Dio e per il prossimo».
Se per religione intendiamo la dottrina,
osservo che il difetto del Papa non è di tipo dottrinale, perché nel campo
dottrinale ogni Papa è infallibile. Il difetto è di tipo pastorale, nel senso
che non è vero purtroppo che in lui c’è «un’aderenza radicale al Vangelo», come
vedremo più avanti da alcuni esempi. In verità l’aderenza c’è e non potrebbe
non esserci; solo che non è completa, perché il Papa tace su quelle verità evangeliche
che potrebbero essere scomode perché saprebbero di condanna o di rimprovero delle
ideologie dei grandi potentati del mondo moderno: modernismo, rahnerismo,
luteranesimo, massoneria, comunismo, islamismo. Se Papa Francesco condannasse
alla luce del Vangelo gli errori di questi potentati non c’è dubbio che
apparirebbe immediatamente inviso ad essi e tremendamente scomodo.
Cosentino poi elogia il Papa per la sua
battaglia contro un certo
«conservatorismo religioso di ritorno colmo di
ideologia, che si sposa con qualcosa che prende corpo in modo sempre più
preoccupante: un mondo di lobby politiche ed economiche, disturbato da un papa
che condanna la cultura dello scarto generata dal capitalismo, rimette al
centro la dignità dei poveri e si fa coscienza critica contro lo sfruttamento
delle risorse».
Che il Papa «condanni la cultura dello scarto
generata dal capitalismo, rimetta al centro la dignità dei poveri e si faccia
coscienza critica contro lo sfruttamento delle risorse», questo è vero ed è
certamente un grande merito di Papa Francesco.
Che egli risulti scomodo a questo mondo è ben comprensibile. E fa anche
bene a non far nulla in questo campo per rendersi comodo, perché ciò sarebbe
contro il Vangelo e la sua coscienza.
Ma poi Cosentino tira fuori un non meglio
specificato
«conservatorismo religioso di ritorno colmo di
ideologia, che si sposa con qualcosa che prende corpo in modo sempre più
preoccupante: un mondo di lobby politiche ed economiche, una cultura dello
scarto generata dal capitalismo».
Ora
non si vede cosa c’entri un «conservatorismo religioso di ritorno colmo di
ideologia» - e poi quale ideologia? - «con qualcosa che prende corpo in modo
sempre più preoccupante: un mondo di lobby politiche ed economiche, una cultura
dello scarto generata dal capitalismo».
Cosentino sembra non rendersi conto che la «cultura
dello scarto generata dal capitalismo», non nasce dallo zelo di conservare il
deposito della fede e dall’amore per la tradizione cattolica, che nulla hanno a
che vedere con l’ideologia, e invece sono sorgenti evangeliche di giustizia
sociale e di attenzione ai poveri, ma
nasce proprio da quei potentati mondani, che ho citato sopra e dai quali
purtroppo il Papa non prende sufficientemente le distanze, rendendo così meno efficace la sua encomiabile
azione a favore dei poveri e degli oppressi.
Papa
Francesco sviluppa molto la pastorale, ma trascura la dottrina
Ancora Cosentino:
«Valeva per Gesù come vale oggi per il papa:
se si rimane nell’ambito religioso e sacro, magari parlando di astratti
principi, può andar bene; ma se si inizia a parlare dei poveri, dei migranti,
degli sfruttati, di quanto anche noi siamo responsabili con i nostri stili di vita
di una progressiva ingiustizia sociale che distrugge il pianeta Terra, allora
siamo davanti all’apostasia, al papa che svende la dottrina, al Vangelo ridotto
a socialismo, e così via».
Cosentino sembra non rendersi conto che il
parlare di «astratti princìpi» non è cosa che accontenta tutti, non è cosa
semplice e facile, soprattutto se si tratta dei dogmi della fede e dei princìpi
della morale; eppure il parlarne è importantissimo, è il primo dovere di un
Papa, Maestro della Fede e della Morale; e non è affatto detto che la cosa
possa passare tranquillamente, perché i più aspri contrasti fra gli uomini sono
proprio su questioni di principio. E ciò del resto denota la nobiltà dello
spirito umano, anche quando erra, uno spirito che, come tale, è fatto per
astrarre ed elevarsi dalle cose concrete materiali, verso quelle trascendenti e
divine.
Con ciò è vero che nelle cose pratiche ciò
che c’interessa è il concreto più che l’astratto. Tuttavia il concreto
dev’essere l’applicazione dell’astratto. Infatti sono gli animali che vivono solo
nel concreto senza contatto con l’astratto, mentre è proprio della dignità
dell’uomo che agisce in base al pensiero e all’idea, applicare al concreto
princìpi morali astratti o ricavati dall’esperienza concreta.
Cosentino polemizza poi con chi, a suo dire,
nel vedere che il Papa applica in certe situazioni la dottrina sociale della
Chiesa, si lamenterebbe in questi termini: «siamo davanti all’apostasia, al
papa che svende la dottrina, al Vangelo ridotto a socialismo, e così via».
Ora qui Cosentino fa una gran confusione e si
vede chiaramente che, sotto l’impeto della vis
polemica, perde il controllo delle sue idee. Se infatti si può capire, benché
non sia giustificabile, l’accusa di aver ridotto il Vangelo a socialismo, non
si vede assolutamente che cosa c’entri l’accusa di «svendere la dottrina» e
soprattutto non c’entra niente la tesi che «siamo davanti all’apostasia»,
questioni, queste, gravissime, che riguardano le condizioni attuali della fede
dei cattolici e niente affatto la problematica sociale, anche se sappiamo bene
che molti cattolici semplici fedeli, intellettuali, teologi e pastori accusano da anni non senza ragione il Papa di
essere negligente nella custodia e nella difesa della sana dottrina.
Quanto
all’apostasia, essa è effettivamente in atto nella Chiesa da decenni. Ma darne
la responsabilità al Papa è una semplice follia ed un’intollerabile calunnia.
Su questo punto sono senz’altro d’accordo con Cosentino. La colpa infatti è dei
modernisti e l’accusa che si può fare al Papa è quella di non essere abbastanza
forte nel contrastare la loro avanzata.
Cosentino è giustamente sensibile al tema
bergogliano della misericordia, ma, secolarista e sordo alla teologia com’è,
non si accorge del fatto che Papa Francesco, se da una parte è esemplare nella
sua pietà umana per i poveri, gli affamati, i deboli e i fisicamente
sofferenti, scarseggia nell’attenzione ai grandi e tragici problemi e
sofferenze dello spirito, nel comprendere il dramma e il peccato dell’eresia,
dell’apostasia, dell’empietà, del nichilismo e per conseguenza nella diagnosi
dei mali, nell’indicazione della cura o di una via d’uscita.
Un segno indiretto e sconfortante di questa
grave trascuratezza è la totale latitanza,
con tutti i gravissimi problemi che ci sarebbero da affrontare, della Congregazione
per la Dottrina della Fede, la quale dovrebbe essere il braccio destro del Papa
e in prima linea nella denuncia e nella cura della cecità di coloro che «vivono
nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Sal 107,10).
La scarsa
religiosità di Papa Francesco
Cosentino:
«Francesco
non è un papa religioso. Proprio così. Non gli interessa difendere un ruolo e
marcare gli spazi di un’istituzione, né avere il controllo religioso delle coscienze
e delimitare il potere religioso dinanzi a quello civile e politico. Il suo
discorso non è specificatamente religioso perché sa che al cuore del Vangelo
non c’è la religiosità ipocrita degli scribi e dei farisei, ma l’amore per Dio
e per il prossimo».
Qui il povero Cosentino fa un disastroso
scivolone e scopre candidamente e vergognosamente, certo dell’approvazione dei
modernisti e delle sinistre, la falsità del suo criterio di giudizio. La pietà
religiosa e il rispetto del sacro, dove Francesco purtroppo è effettivamente
carente, dev’essere, dopo la suprema virtù della carità, la principale virtù
del Romano Pontefice, Vicario di Gesù Cristo, sommo Pontefice della Nuova
Alleanza, il Papa, sommo custode dei sacramenti e moderatore della loro
amministrazione, e in special modo dell’Eucaristia, primo liturgo del
sacrificio eucaristico, fons et culmen
totius vitae christianae. Bisogna tuttavia dare atto al Papa di aver fatto
alcuni gesti di indulgenza nei confronti della Fraternità San Pio X, soprattutto
in occasione dell’Anno Santo della Misericordia del 2016.
La diligente pratica della liturgia e della
preghiera da parte di un Papa non ha niente a che vedere con non so quale «difesa
di un ruolo e marcare gli spazi di un’istituzione, o avere il controllo
religioso delle coscienze». Riconosco che Papa Francesco rifugge da simili
abusi clericali. Il grave equivoco di Cosentino è quello di identificare con
mentalità massonica la religiosità ut sic
con questi abusi. Confondere, come fa
Cosentino, la virtù di religione con la «religiosità ipocrita degli scribi e
dei farisei» è il vecchio, odioso ed ipocrita sofisma, di chi vorrebbe
respingere un valore perchè ne esiste la corruzione, anziché toglierne la
corruzione in nome del medesimo valore.
Al Papa non interessa «difendere un ruolo»?
Sappiamo come Papa Francesco ami abbassarsi al livello dei semplici fedeli,
apparire fratello tra i fratelli, ridurre al minimo i segni esterni della sua
dignità pontificia, ama una vita umile, povera, sobria e semplice, alloggio modesto,
pasti frugali, in comune con altri.
C’è qualcosa di francescano nel suo stile e
regime di vita e forse anche per questo ha preso il nome di Francesco. Sembra quasi però che egli voglia prendere a
modello più San Francesco che non i Santi Pontefici che lo hanno preceduto. E
qui Francesco sembra dimenticare la caratteristica
umiltà che conviene a un Pontefice.
Papa Francesco sembra non rendersi conto che nel
far conoscere, far funzionare e difendere il suo ufficio petrino l’umiltà non
ne esce sconfitta, ma affermata, per cui ogni Papa ha il sacrosanto dovere di
far conoscere, chiarire e difendere il suo ruolo davanti al mondo, come hanno
sempre fatto tutti i Papi della storia. Cosentino crede di fare una lode al Papa
e invece non s’accorge di lodare un difetto, perché non è segno di umiltà che a
Papa Francesco non interessi difendere il suo ruolo di Papa, ma è fuga dalla propria
responsabilità di Pastore universale della Chiesa.
Ci sono valori, tratti dal Vangelo, che solo
il Papa può insegnare. Ci sono mete così elevate, che solo il Papa può
indicare. Ci sono errori e vizi morali che solo il Papa può correggere. Ci sono
problemi così ardui, che solo il Papa può risolvere. Ci sono conflitti così
profondi, che solo il Papa può sanare. Ci sono virtù, insegnate dal Papa, che solo
il cattolico può testimoniare. Esiste una forza di grazia divina, grazie alla potestas clavium del Papa,
grazia che, nel nome e col potere di Cristo, solo il Papa può comunicare.
Questo è l’ufficio e il carisma di Papa
Francesco, come è quello di ogni Papa. È qui che Cosentino vaga nel buio e mena
il can per l’aia, ed anzi fa danno al Papa, nonostante tutta la sua volontà di
esaltare e difendere Papa Francesco da suoi «nemici». Ma è una volontà non
illuminata e partigiana, che finisce per far danno al Papa anziché recargli
vantaggio. In fin dei conti il Papa deve difendersi proprio da tipi come
Cosentino e i veri nemici del Papa sono proprio i soggetti come Cosentino.
Papa
Francesco è troppo legato alla politica
La Chiesa certamente non è un’associazione
puramente religiosa o un semplice oratorio, ma non si riduce neppure ad essere
un’associazione filantropica o di beneficenza. Essa indica al mondo un
umanesimo soprannaturale, che trascende questo mondo e prepara già da adesso un
mondo futuro felice, che è il mondo della resurrezione e dei figli di Dio, che
vivono in eterno.
Cosentino afferma, come qualità del Papa, che
non è preoccupato di «delimitare il potere religioso dinanzi a quello civile e
politico», distinzione che implica una serie di importanti valori: il distinguere
ea quae sunt Caesaris da ea quae sunt Dei, il distinguere il fine e i doveri dello Stato dal fine
e dai compiti della Chiesa, i doveri e diritti del cittadino, membro della
società civile, dalla missione del credente, membro della Chiesa. Tutto ciò non
è affatto segno di clericalismo o di temporalismo, come sembra intendere
Cosentino, ma è funzione evangelica preziosissima del Papa, è prezioso servizio
reso allo Stato stesso, che dev’essere fondato sulla ragione e sul diritto naturale.
Per questo, nessuno impedisce al Pontefice,
ove nella vita civile siano messi a repentaglio i diritti dell’uomo o le
esigenze fondamentali della giustizia sociale - e qui certo Papa Francesco non
manca di coraggio -, di richiamare gli stessi governanti e le classi dirigenti
al rispetto della persona umana, soprattutto del povero, e del bene comune.
Non direi dunque che quella mancata
delimitazione che Cosentino attribuisce al Papa come una qualità sia una vera
qualità, ma al contrario è un difetto, perché induce un Papa, come è già
avvenuto molte volte nella storia, a trascurare la sua missione spirituale per
cadere nel temporalismo e nel secolarismo
Cosentino afferma poi che il Papa
«mette in
atto la vecchia lezione di Ratzinger, secondo cui tanto più la Chiesa perde
rilevanza sociale e politica e tanto più diventa la Chiesa di Cristo, spoglia
da interessi mondani e preoccupata di portare la novità del Vangelo al mondo
per trasformarlo non come forza politica, ma come lievito di una forza di altra
natura».
Direi che la lezione di Ratzinger è sempre
valida e che Benedetto XVI l’ha messa in pratica, ma non mi pare che lo stesso
si possa dire di Papa Francesco. La Chiesa di Papa Francesco, nonostante le sue
buone dichiarazioni di principio citate sopra da Cosentino, non mi pare proprio
nei fatti «spoglia da interessi mondani e preoccupata di portare la novità del
Vangelo al mondo per trasformarlo non come forza politica, ma come lievito di
una forza di altra natura».
Mi pare invece che Francesco, come ho già detto,
predichi sì il Vangelo con zelo, fervore ed insistenza, ma purtroppo predica
del Vangelo solo quella parte che batte soprattutto sul sociale, che può essere
gradita alle potenze mondane, anche se è ovvio che i grandi egoisti del mondo
restano indifferenti o irritati alle parole del Papa. Tuttavia succede che con
quella predicazione valida ma monca il Vangelo non può produrre tutti i frutti che
può produrre, perché la sua forza è bloccata da un certo timore che Francesco
ha di mettersi contro le potenze mondane.
Papa Francesco ha un altissimo concetto
dell’amore del prossimo e perciò stesso della dignità della politica, che è la
forma umana più elevata del servizio al prossimo inteso come singolo e come
tutto sociale, e pertanto è sensibilissimo alle ingiustizie verso gli altri, alle
loro sofferenze, alle persone emarginate, sfruttate, fragili ed indifese, alle
disuguaglianze, alle mancanze di libertà, ai problemi della malattia, della miseria
e della povertà, ai peccati di egoismo e di avarizia.
Ma non pare che egli abbia altrettanta sensibilità
ai peccati contro Dio: l’incredulità, la superbia, l’empietà, l’ateismo,
l’eresia, l’apostasia, l’irreligione, l’idolatria, l’immanentismo, il
panteismo, l’agnosticismo, il relativismo dogmatico. Notevole è stata la
condanna dello gnosticismo e del pelagianesimo.
Ma pare che i peccati contro Dio non lo turbino
tanto quanto i peccati contro il prossimo. È questo il segno di un’eccessiva stima
della politica a scapito della religione. Pare che le questioni dottrinali non
lo preoccupino più di tanto e le relega nel mondo delle astrazioni. Gli stanno
invece molto a cuore i problemi concreti del prossimo. Non è una qualità, ma è
segno di poca religiosità; eppure qui Cosentino lo approva in pieno.
Altro segno di questo invischiamento di
Francesco negli interessi della politica è la sua nota simpatia per i partiti
di sinistra ed antipatia per la destra. Ora destra e sinistra sono chiaramente
categorie politiche, che, come tali, non possono nè l’una né l’altra definire
l’intera pastorale di un Papa, perché ciò vorrebbe dire che il Papa è Papa solo
per i cattolici di una parte e non della totalità della comunità cattolica. Il
Papa deve saper cogliere il buono esistente nelle due parti e favorire la sintesi,
in modo che le due parti cooperino tra di loro per il bene comune.
Anche nel campo dell’insegnamento morale il
Papa si rivela incapace di guidare la Chiesa in modo equilibrato, così da
favorire la sintesi della misericordia e della severità, mentre invece propende
a un misericordismo, che esclude la severità e favorisce il lassismo. E questo perché,
troppo preoccupato della caduta nella rigidezza e nel rigorismo, rischia di respingere
il valore della fermezza, della saldezza, della regolarità e della fedeltà.
Francesco ha il difetto delle persone troppo
buone e troppo indulgenti, che non sanno sintetizzare o alternare saggiamente
misericordia e severità, sicché, quando giunge l’occasione o la necessità di
punire o essere severe, si lasciano prendere dall’ira e diventano spietate.
Qualcosa del genere purtroppo è accaduto alcune volte al Santo Padre. Ma Cosentino
non ne sa nulla.
Così il Papa parla abbondantemente della
divina misericordia e della gratuità della grazia divina, come se fossero date all’uomo
incondizionatamente, senza la necessità di procurarsi meriti e di compiere
opere di giustizia, in primis
l’espiazione dei propri peccati in unione con la dolorosa opera riparatrice
compiuta da Cristo. Il Papa parla troppo della confidenza in Dio e troppo poco
del timor di Dio. Ma Cosentino si guarda bene dal fare questa critica. Per lui va
bene così.
Altra lacuna della predicazione del Papa, a
questo riguardo, è che parla troppo poco del peccato originale e delle sue conseguenze nell’uomo e nella natura. E quindi non parla mai dell’origine del male di colpa e di pena. Così rimane inspiegato il
perchè della malizia e della sofferenza umana e dell’ostilità o ingovernabilità
della natura. Ora dobbiamo ricordare che l’opera fondamentale di Cristo è quella
di liberarci dal peccato, di salvarci dal
peccato.
Se non si chiarisce da che cosa e come Cristo
ci libera e ci salva, la sua opera si riduce ad essere quella di un «uomo-per-gli-altri»,
un grande benefattore dell’umanità, un amico dei poveri, un martire della
libertà, una grande guida spirituale, un grande operatore sociale e maestro di giustizia
e di sapienza, insieme con Socrate, Maometto, Gandhi, Buddha, Shamkara, Confucio,
Ermete Trismegisto o Zaratustra.
Non si vede più che cosa Cristo abbia fatto
di speciale a confronto con i fondatori delle altre religioni. Si perde di
vista ciò che nell’opera salvifica di Cristo c’è di divino e che solo Dio poteva fare: il perdono del peccato, ossia il riacquisto della grazia perduta e
la riconciliazione dell’umanità con Dio.
Il Papa parla bensì molto spesso del mistero
di Cristo crocifisso e risorto, testimone dell’amore di Dio per noi, nostra
vita e nostra pace, parla del «Dio-con-noi», della misericordia del Padre verso
di noi e del dovere che abbiamo di confidare in questa misericordia. Ma non
chiarisce mai fino in fondo che
questa misericordia, prima di costituirci figli del Padre, Comunità di fratelli
in Cristo, mossi dallo Spirito Santo, santi e viventi nella carità, ci libera
con l’opera espiativa, riparatrice e soddisfattoria presso il Padre dal peccato
originale e da tutti i peccati, con tutte le loro conseguenze penali, che
possono e devono essere utilizzate per far penitenza, convertirci e liberarci
dal peccato, dalla sofferenza e dalla morte.
La presente pandemia sarebbe stata una buona
occasione per parlare di queste cose evangeliche, salutari, illuminanti e
confortanti, e invece quasi niente. E qui infatti cadrebbe a proposito il
discorso sui castighi divini, come mezzi di penitenza e di conversione,
discorso genuinamente evangelico, che
purtroppo invece il Papa non fa mai: un silenzio reticente, sul quale
naturalmente Cosentino non ha nulla da eccepire. Non fa neanche bisogno di dire
che Cosentino salta a piè pari tutte queste cose.
Così pure Cristo nel Vangelo parla con
chiarezza dell’esistenza di dannati, verità evangelica confermata dalla
Chiesa[1].
Ma Francesco, nella sua predicazione «tagliente», sembra quasi credere che tutti
si salvano. Di ciò Cosentino non dice nulla.
E parimenti il Papa non parla mai di un altro
principio genuinamente evangelico,
anzi sembra negarlo, ed è quello che il paradiso, anche se sorretti dalla
grazia, occorre meritarlo con le
buone opere, come comanda esplicitamente Cristo: «Se vuoi entrare nella vita,
osserva i comandamenti» (Mt 19,17).
Inoltre, nel parlare delle altre confessioni
cristiane e delle altre religioni il Papa si limita a mettere in evidenza,
certamente in linea col Vangelo, i valori che abbiamo in comune e la necessità
della collaborazione reciproca per il bene dell’umanità; si limita a
presentarle come diverse dal cattolicesimo, ma non evidenzia mai gli errori,
per i quali esse, come dice il Concilio Vaticano II[2],
non sono in possesso, come il cattolicesimo, di tutti mezzi della salvezza.
Per questo il Papa sembra trascurare l’insegnamento evangelico di Cristo,
ribadito dal Concilio, secondo il quale per salvarsi occorre la mediazione
universale di Cristo, che però può servirsi o della pienezza della verità contenuta
nella sola Chiesa cattolica oppure, per chi non ha modo di conoscere la Chiesa
cattolica, delle verità parziali contenute nella confessione religiosa. alla
quale aderisce. Come mai il Papa queste cose non le dice? Per Cosentino nessun
problema. Non le dice perchè va bene così. Ognuno è libero di scegliere la religione
che preferisce, tanto si salva lo stesso. Ma questo è Vangelo o è Rahner?
Così pure il Papa fatica nel sintetizzare
conservazione e rinnovamento, tradizione e progresso. Sembra temere che la
stabilità blocchi il progresso, quando invece è vero proprio il contrario: è su
basi ferme e solide, è sulla «roccia» che si può costruire per muoversi e
avanzare.
Francesco insiste troppo sul progresso e sul
rinnovamento e sembra confondere la conservazione dei princìpi morali
immutabili e del deposito della fede col conservatorismo. È ovvio che col
trascorrere del tempo e l’evolversi degli eventi occorre sempre distinguere ciò
che va conservato da ciò che va buttato.
Cosentino, da buon secolarista politicante,
ignora completamente i meriti del Papa nel campo della gnoseologia, dove fa
chiara professione di realismo contro l’idealismo[3],
mentre in teologia morale è il primo
Papa in tutta la storia del Papato a condannare lo gnosticismo[4],
oggi rifiorito soprattutto nell’esoterismo massonico, e il pelagianesimo, oggi rinato nel trascendentalismo
rahneriano.
Novità
assoluta e sorprendente – segno di una profonda intuizione spirituale - nella
storia del Magistero pontificio sono anche i numerosi ed utili insegnamenti
pratici sulla lotta – secondo la migliore tradizione ignaziana - contro il demonio e le tentazioni demoniache,
insegnamenti che sono ormai tanti di numero, che potrebbero formare una enciclica.
Il Sommo Pontefice sembra riferirsi all’attuale attacco che Satana sta
scatenando contro la Chiesa, ma egli ci esorta a non temere: portae inferi non praevalebunt. Quanto a
Cosentino, che dorme il sonno del giusto, sembra non accorgersi di nulla.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 17 maggio 2020
[1] Cf il mio libro L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede&Cultura,
Verona 2010.
[2] Nostra
aetate, 3; Unitatis redintegratio,
3.
[3] La
dipendenza dell’idea dalla realtà nell’Evangelii gaudium di Papa Francesco,
PATH. 2014/2, Libreria Editrice Vaticana, pp.287-316.
[4] La
condanna dello gnosticismo nella Gaudete et exsultate di Papa Francesco e i
rimedi proposti dal Servo di Dio Tomas Tyn,OP, in PATH, 2019/1, Libreria
Editrice Vaticana, pp.83-97.
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.