Sul problema dei migranti
Occorre discernimento
È evidente che noi Italiani dobbiamo essere disposti ad accogliere l’arrivo di persone che hanno bisogno di aiuto[1]. È chiaro che se vediamo che sono stremate di forze e bisognose di tutto, dobbiamo soccorrerle per quanto possiamo. Si tratta ormai da trent’anni, di un flusso continuo in aumento quasi sempre di uomini di età giovanile o adulta, soprattutto africani, che giungono, come è noto, stipati in barconi malsicuri, viaggio scomodissimo, provenienti soprattutto dalla Libia o dalla Tunisia, col rischio di fare naufragio durante la traversata, persone in grandissima parte senza chiara identità o titoli di lavoro, spesso musulmani.
Essi pagano somme altissime a organizzazioni clandestine ed illegali, le quali per sete di guadagno, sfruttano la credulità e l’estremo bisogno o il desiderio di avventura di questa povera gente non sempre benintenzionata illudendola di trovare da noi lavoro, o chissaquale successo o benessere o vita comoda alle nostre spalle.
Questo enorme afflusso di musulmani, che iniziò già negli anni ’80 del secolo scorso, quando in Germania si trovavano quattro milioni di Turchi e cifre analoghe valgono per l’Inghilterra o la Francia o l’Olanda o il Belgio, pone a noi Italiani degli interrogativo importante: non sarà che l’aumento continuo di musulmani da noi, mentre mette alla prova la nostra capacità di convivenza con comunità islamiche sempre o più numerose ed influenti, interpella anche il nostro dovere di testimoniare Cristo anche davanti a loro? Non sono forse chiamati anche loro a partecipare al banchetto del regno dei cieli? Non abbiano noi il dovere di annunciare il Vangelo a tutto il mondo?
Su questa grave questione dell’atteggiamento da tenere davanti ai continui arrivi di queste masse di povera gente, che chiede di stare da noi, che siamo i più vicini alle coste africane, per poi eventualmente passare in altri paesi europei, esistono, come sappiamo, due atteggiamenti piuttosto sbrigativi e superficiali e pertanto difettosi rispetto alle esigenze della prudenza, della giustizia e della carità: ci sono coloro che, condizionati dal loro egoismo e xenofobia, vedono malvolentieri che il loro benessere possa essere spartito con i fratelli meno abbienti e meno fortunati di loro.
E ci sono quelli che vogliono fare la bella figura degli accoglienti e misericordiosi di larghe vedute, ma che in realtà nascondono dietro a questa finta professione di solidarietà umana, il desiderio di giustificare la loro pratica libertina della vita o il loro relativismo morale, propugnando un’accoglienza indiscriminata e scriteriata, senz’alcun discernimento fra chi ha veramente bisogno o può contribuire al bene del nostro paese e chi invece purtroppo è un qualche reo in contumacia o pretende di vivere ad ufo o di regolare la propria vita a capriccio buggerando gli altri, disposto anche a procurare guai a noi e a se stessi.
Il problema fondamentale da risolvere riguardo all’arrivo di queste persone è quello di verificare per ciascuna di esse quali sono le sue intenzioni, i motivi della fuga dalla propria terra, le sue esigenze, i suoi bisogni, le sue difficoltà, i suoi desideri, le sue attitudini o qualifiche lavorative, la sua capacità di convivenza civile, le condizioni di salute fisica e psichica, l’ambiente di provenienza, i rapporti con le autorità civili e religiose del paese di provenienza.
Per fare questa verifica occorre l’impiego di un personale specializzato, una degenza sufficientemente lunga in un centro di accoglienza, onde verificare le sue capacità lavorative, la sua capacità di socializzazione e di normale convivenza civile, il grado d’istruzione, l’eventuale fede religiosa, la qualità della condotta morale, l’attitudine al lavoro, il livello di salute fisica e mentale.
Per gestire convenientemente questa problematica complessa e delicata, bisogna che il nostro governo sia a contatto con le autorità libiche e tunisine o comunque con i paesi di provenienza dei migranti, così che esse possano fornirci informazioni circa i migranti partiti dalle loro terre, la loro posizione o situazione civile o davanti alla legge.
I migranti possono chiedere asilo politico, ma le nostre autorità non dovrebbero comunque esimersi dal chiedere ed ottenere quelle informazioni. In base ai dati disponibili gli addetti al centro di accoglienza, dopo aver compiuto la verifica suddetta, devono poter decidere se accogliere o rimandare l’immigrato al paese d’origine.
Se l’immigrato supera l’esame, allora occorre immediatamente fornirgli un lavoro e un’assistenza sociale adatta ai suoi bisogni e alle sue capacità. Dev’essere immediatamente inserito nel mondo del lavoro prendendo contatti con aziende private o ambienti pubblici disposti ad assumerlo.
Nei primi mesi della sua degenza da noi è bene che il soggetto sia seguìto con discrezione ma con diligenza, senza che si senta umiliato, al fine di far un’ulteriore verifica della qualità della sua condotta morale e civile e del rispetto delle nostre leggi, perché molti problemi e guai causati dagli immigrati islamici o non islamici in questi passati decenni in Europa sono sorti dal fatto che molti di essi hanno finto con astuzia un’apparente onestà, ma poi si sono dati a varie forme di delinquenza, quando, in casi estremi, non si sono avvicinati agli ambienti del fanatismo e terrorismo islamico. In base ad accordi con i paesi di provenienza il nostro governo deve poter rimandare a casa gli immigrati che costituissero un grave pericolo per il bene pubblico o la sicurezza dello Stato,
L’Europa può ospitare gli islamici,
ma patto che questi rispettino l’Europa
È chiaro che i milioni di islamici insediatisi in Europa in questi ultimi cinquant’anni – lo dicono espressamente - hanno l’intenzione di islamizzare l’Europa e sono convinti di riuscirci una volta ottenuto un sufficiente potere politico ed economico. Questo rischio reale suggerisce alle autorità europee un certo contenimento dell’afflusso islamico, a meno che questi immigrati, pur mantenendo la loro fede islamica, diano chiare garanzie di rinunciare alla prospettiva di conquistare il potere dello Stato sotto la legge della Sharìa.
Grave problema da risolvere con urgenza è quello di fermare l’attività criminosa delle associazioni illegali che organizzano i viaggi scriteriati dei migranti estorcendo da essi somme altissime e mettendo a serio rischio la loro vita col farli viaggiare in imbarcazioni assolutamente inadeguate.
Oltre a colpire severamente e a sciogliere queste associazioni criminali, dovere urgente ed indilazionabile del governo nostro e dei paesi di provenienza, congiuntamente con lo stesso governo europeo, è quello di porre fine quanto prima con la massima energia e con fattivo impegno a questo orribile scempio che disonora l’Europa, garantendo a questa povera gente viaggi dignitosi mediante le nomali agenzie di viaggio, così che essa sia integrata nella civiltà europea, senza per questo rinunciare a conservare la sua fede islamica e senza impedire allo Spirito Santo di avvicinare a Cristo anche questi fratelli, essi pure chiamati alla salvezza.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 28 settembre 2023
Grave problema da risolvere con urgenza è quello di fermare l’attività criminosa delle associazioni illegali che organizzano i viaggi scriteriati dei migranti estorcendo da essi somme altissime e mettendo a serio rischio la loro vita col farli viaggiare in imbarcazioni assolutamente inadeguate.
Immagine da Internet
Caro Anonimo,
RispondiEliminala ringrazio per il suo accenno alle ONG, delle quali non avevo parlato. Già mi era stato detto quello mi riferisce lei. Io credo che non sarebbe impossibile che lo Stato si facesse aiutare da organizzazioni private. È chiaro però che occorrerà fare un attento discernimento tra quelle che lavorano a scopo di lucro e quelle che danno prova di un’autentica solidarietà umana.
Sono d’accordo che la nostra speranza è rivolta al cielo. Tuttavia io credo che dobbiamo avere fiducia nell’aiuto del Signore per quanto riguarda il lavoro che dobbiamo compiere su questa terra per migliorare la nostra società, riparare alle ingiustizie, ottenere giustizia contro chi contravviene alla legge, sollevare la condizione dei poveri e operare per favorire una convivenza serena, fraterna e tranquilla.
Carissimo p. Giovanni le invio, a commento del suo articolo “Sul problema dei migranti”, una parte di un’interessante intervista fatta al prof. Ettore Gotti Tedeschi dalla rivista la “Bussola quotidiana” risalente al 2020 dal titolo: “Cina e Nuovo ordine mondiale, Chiesa ammaliata dalle sirene”. Sul fenomeno migratorio, così scrive.
RispondiElimina“L’immigrazione è, dopo il problema climatico, il più controverso. È stato proposto con una solerzia umanitaria esagerata, ma artificiale, che prescinde dalle cause del problema e dalle sue soluzioni. È stata all’inizio, in modo non convincente, spiegata con guerre e carestie, poi con la necessità di colmare il gap di popolazione in Europa. Ma la storia delle guerre che producono profughi è stata ridimensionata quando si è scoperto che i conflitti portati a giustificazione del fenomeno erano in grandissima parte dovuti allo Stato islamico. Conflitti questi provocati o tollerati, comunque non più affrontati, dall’Onu. Anzi c’è il sospetto che siano stati tollerati per la vendita di armi. Anche la storia delle carestie lascia dubbi, perché le migrazioni dai veri Paesi poveri sono limitatissime, tra il 5 e il 9% del totale. Essendo la maggior parte dei flussi migratori, invece, con una chiara matrice islamica. E qualcuno ha avanzato anche l’ipotesi che la povertà nei Paesi africani sia stata intenzionalmente facilitata ignorando gli accordi commerciali di importazione dei loro prodotti alimentari (ex G8-Africa). Sulla spiegazione riferita alla compensazione del gap popolazione poi siamo al ridicolo. Abbiamo bisogno di compensare il gap dopo averlo voluto e prodotto per ridurre la popolazione? Con una disoccupazione al 13% abbiamo bisogno che venga in Italia manodopera extracomunitaria a fare i lavori che i giovani disoccupati rifiutano? E i lavoratori immigrati che li fanno devono esser regolarizzati per evitare il caporalato? Mi ricorda la legalizzazione della droga per evitare lo spaccio, stessa logica. Ma sono mai stati calcolati i costi di immigrazione comparandoli con le contribuzioni economiche effettive (tasse e contributi)? In più in un contesto europeo incapace di prendere decisioni ed attuarle circa la ridistribuzione dei migranti, di attuare la politica di espulsione, che ignora, neppure discute, il migration compact i flussi massicci di immigrazione islamica rappresentano un potente fattore di disordine e destabilizzazione per l’intera UE. Non è curioso che i migranti siano tutti giovani e forti e senza famiglia? Non è curioso il pianto da coccodrillo delle istituzioni ecclesiastiche che condannano chi non accoglie e non chi genera e sfrutta il traffico di esseri umani? Addirittura presentando i migranti come “Sacra Famiglia”? E dicendo che sono un “dono di Dio”? Questi ecclesiastici fanno forse finta di non sapere che ben due segretari dell’Onu (Kofi Annan e Ban Ki-moon) hanno persino previsto, auspicato e programmato con ampio anticipo il fenomeno? Minacciando chi vi si opponesse. Kofi Annan alla conferenza Onu dei leader religiosi nel 2000, senza mezzi termini, arrivò a dichiarare che per fare la pace universale si deve realizzare il sincretismo religioso, arrivando a creare una religione universale (di tipo panteista) e che l’immigrazione di popoli con culture e religioni diverse avrebbe aiutato questo progetto.
La sintesi potrebbe essere che la soluzione ambientalista, malthusiana, gnostica e pagana auspicata da certi ambienti internazionali porterà ad un governo mondiale. Per realizzare questo progetto è indispensabile avere in qualche modo l’appoggio della Chiesa. Curiosamente in Laudato Sii (capp. 164 e 165) si arriva ad auspicare un governo mondiale, una autorità politica mondiale, per risanare l’economia, regolare i flussi migratori e per l’ambiente”.
Grazie.
Caro Don Vincenzo,
Eliminati ringrazio per queste parole di Gotti Tedeschi, che ho conosciuto personalmente e del quale ho stima e so che egli pure mi stima.
So che tratta qui di una materia nella quale egli è molto competente, per cui sono portato ad accogliere con fiducia quanto egli dice, ma, non entrando questa materia nel campo delle mie competenze, non mi sento in grado di interloquire.
L’unico punto sul quale vorrei fermarmi è quello dell’immigrazione islamica. Credo anch’io che si tratti di un piano di islamizzazione dell’Europa, del resto in perfetta linea con l’attività che l’Islam ha svolto in passato mediante un espansionismo militare. Ma lo scopo è sempre quello: far trionfare l’Islam sul Cristianesimo.
Detto questo, io però darei ascolto anche a quello che dice il Papa, relativamente al fatto che parte di questa gente viene da noi semplicemente perché non trova nel suo paese condizioni di vita dignitose.
Nel contempo io ritengo che tra questa gente ci sia anche una componente che ha una tendenza al crimine. Infine la cosa scandalosissima alla quale assolutamente occorre rimediare, è lo sfruttamento di questa povera gente da parte di organizzazioni criminali, solo desiderose di ottenere denaro da loro.
Carissimo Padre: dobbiamo accettare o respingere l’immigrazione?
RispondiEliminaIl problema dell’immigrazione non è nuovo. San Tommaso d’Aquino lo affrontò già nel XIII secolo nella sua celebre *Summa Theologiae* (I-II, q. 105, a. 3). Ispirato agli insegnamenti della Sacra Scrittura sul popolo ebraico, il Dottore Angelico stabilisce chiaramente i limiti dell’ospitalità dovuta agli stranieri. Forse anche noi possiamo trarne qualche lezione.
San Tommaso d’Aquino: «Con gli stranieri, il popolo può intrattenere due tipi di rapporti: in pace e in guerra. Per regolare entrambi, la legge conteneva i precetti necessari» (*S. Th.*, I-II, q. 105, a. 3, c).
San Tommaso afferma dunque che non tutti gli immigrati sono uguali, perché non lo sono neppure i rapporti con gli stranieri: alcuni sono pacifici, altri bellicosi. Ogni nazione ha il diritto di decidere quale tipo di immigrazione possa considerarsi pacifica e quindi benefica per il bene comune; e quale tipo, al contrario, sia ostile e dunque dannosa (*ibid.*). Uno Stato può respingere, come misura di legittima difesa, gli elementi che ritenga nocivi al bene comune della nazione (cfr. *S. Th.*, I-II, q. 90, a. 3 ad 2; q. 94, a. 2).
Un secondo punto riguarda le leggi, sia divine che umane. Uno Stato ha il diritto di far rispettare le proprie leggi giuste (S. Th., I-II, q. 95, a. 2; q. 96, a. 4).
RispondiEliminaIl Dottore Angelico passa poi all’analisi dell’immigrazione “pacifica”.
San Tommaso d’Aquino: «In tempo di pace, gli ebrei avevano tre occasioni di entrare in contatto con gli stranieri: anzitutto, quando questi viaggiavano attraverso il paese; oppure quando giungevano a stabilirsi come immigrati. In entrambi i casi, i requisiti legali hanno un carattere umanitario; sono le massime dell’Esodo (22,21): “Non opprimerai l’ospite straniero”; e (23,9): “Non sarai crudele con il viandante straniero”» (S. Th., I-II, q. 105, a. 3, c).
Qui, San Tommaso riconosce che possono esservi stranieri che desiderano visitare un altro paese in modo pacifico e benefico, oppure rimanervi per un certo periodo. Questi stranieri devono essere trattati con carità, rispetto e cortesia, dovere di ogni persona di buona volontà (cfr. S. Th., II-II, q. 26, a. 6; q. 31, a. 2). In tali casi, la legge deve proteggerli da qualsiasi vessazione (S. Th., I-II, q. 95, a. 2 ad 3).
San Tommaso d’Aquino: «Il terzo caso è quello dello straniero che desidera essere accolto nella piena comunità di vita e di culto con il popolo: si osservavano a suo riguardo determinate formalità, e la sua ammissione alla cittadinanza non era immediata. Allo stesso modo, secondo Aristotele, era norma presso alcune nazioni riservare la cittadinanza a coloro il cui nonno, o persino il bisnonno, avesse risieduto nella città» (S. Th., I-II, q. 105, a. 3, c; cfr. Politica di Aristotele, III, 1-3).
In seguito, San Tommaso menziona coloro che desiderano stabilirsi nel paese. E qui il Dottore Angelico stabilisce una prima condizione per accoglierli: il desiderio di integrarsi pienamente nella vita e nella cultura del paese ospitante (ibid.).
Una seconda condizione è che l’accoglienza non sia immediata. L’integrazione è un processo che richiede tempo. Le persone hanno bisogno di adattarsi alla nuova cultura. San Tommaso cita anche Aristotele, il quale afferma che questo processo può durare da due a tre generazioni (cfr. Politica, III, 1; S. Th., I-II, q. 105, a. 3). San Tommaso non stabilisce un tempo ideale, dice soltanto che può essere lungo.
San Tommaso d’Aquino: «E ciò è comprensibile, a causa dei molti inconvenienti che provoca la partecipazione prematura degli stranieri alla gestione degli affari pubblici, se, prima di rafforzarsi nell’amore per il popolo, intraprendono qualcosa contro di esso» (S. Th., I-II, q. 105, a. 3, c).
Gli insegnamenti di San Tommaso, fondati sul buon senso, oggi suonano politicamente scorretti. Tuttavia, hanno pienamente senso. Il Dottore Angelico dimostra che vivere in un altro paese è molto complesso (cfr. S. Th., I-II, q. 94, a. 2). Occorre tempo per conoscere i costumi e la mentalità del paese e, quindi, per comprenderne i problemi. Solo coloro che vi hanno vissuto a lungo, come parte della sua cultura, in stretto contatto con la sua storia, sono meglio preparati a prendere decisioni a lungo termine che siano adeguate al bene comune (S. Th., I-II, q. 90, a. 2).
RispondiEliminaÈ dannoso e ingiusto mettere il futuro del paese nelle mani di coloro che sono appena arrivati. Anche se non è colpa loro, spesso non sono in grado di comprendere pienamente ciò che sta accadendo o ciò che è accaduto nel paese che hanno scelto come nuova patria. E questo può avere conseguenze disastrose.
Per illustrare questo punto, San Tommaso osserva che gli ebrei non trattavano tutte le persone allo stesso modo. Vi erano popoli più vicini e quindi si assimilavano con maggiore facilità. Altri, invece, erano più lontani, persino ostili. I cittadini di alcuni popoli considerati ostili non potevano essere accolti in Israele a causa della loro inimicizia (S. Th., I-II, q. 105, a. 3, c).
San Tommaso d’Aquino: «Pertanto, secondo le disposizioni della legge, alcune nazioni più o meno imparentate con gli ebrei, come gli egiziani, tra i quali erano nati e cresciuti, e gli edomiti, discendenti di Esaù, fratello di Giacobbe, venivano accolti dalla terza generazione nella comunità del popolo. Altri, invece, che avevano mostrato ostilità verso gli ebrei, come i discendenti di Ammon e Moab, non furono mai ammessi; quanto agli amaleciti, che erano stati particolarmente ostili e non avevano alcuna parentela con loro, dovevano essere trattati per sempre come nemici» (ibid.).
Le regole, tuttavia, non devono essere rigide, ma possono ammettere eccezioni:
San Tommaso d’Aquino: «Tuttavia, per dispensa individuale, un singolo poteva, in virtù di qualche grande opera, essere incorporato al popolo; leggiamo in Giuditta (14,6) che il capo degli ammoniti, Achior, fu incorporato al popolo di Israele, lui e tutta la sua discendenza. Lo stesso avvenne con Rut, una moabita, donna di grande virtù» (S. Th., I-II, q. 105, a. 3, ad 4).
È dunque possibile ammettere eccezioni secondo le circostanze concrete. Queste eccezioni, tuttavia, non sono arbitrarie, ma tengono sempre conto del bene comune della nazione (S. Th., I-II, q. 96, a. 1; q. 97, a. 1). Il generale Achior, ad esempio, intervenne davanti a Oloferne in favore degli ebrei, rischiando la propria vita, e guadagnandosi così la loro eterna gratitudine nonostante la sua origine ammonita.
Ecco dunque alcuni principi sull’immigrazione stabiliti da San Tommaso d’Aquino sette secoli fa. Da questi insegnamenti si deduce chiaramente che qualsiasi analisi dell’immigrazione deve essere guidata da due idee chiave: l’integrità della nazione e il suo bene comune (S. Th., I-II, q. 90, a. 2; q. 94, a. 2).
RispondiEliminaL’immigrazione deve avere sempre come obiettivo l’integrazione, non la disintegrazione né la segregazione, cioè la creazione di piccole “nazioni” conflittuali all’interno del paese (cfr. S. Th., I-II, q. 105, a. 3). Oltre ai benefici che offre la loro nuova patria, gli immigrati devono anche assumersi le proprie responsabilità, cioè la responsabilità per il bene comune, partecipando alla vita politica, economica, sociale, culturale e religiosa (S. Th., II-II, q. 58, a. 5). Diventando cittadini, gli immigrati diventano membri di una grande famiglia con un’anima, una storia e un futuro comuni, non soltanto azionisti di una corporazione, interessati unicamente a guadagni e vantaggi (S. Th., I-II, q. 94, a. 2).
In seguito, San Tommaso insegna che l’immigrazione deve avere sempre come obiettivo il bene comune: non può abusare né distruggere la nazione (S. Th., I-II, q. 90, a. 2 ad 3).
Ciò spiega perché tanti europei provano inquietudine e apprensione di fronte all’immigrazione massiccia e sproporzionata degli ultimi anni. Questo flusso di stranieri, provenienti da culture molto lontane e persino ostili, introduce situazioni che distruggono gli elementi di unità psicologica e culturale della nazione, minando così la capacità della società di assorbire nuovi elementi in modo organico. In questo caso, ci troviamo chiaramente davanti a un attentato contro il bene comune (S. Th., I-II, q. 105, a. 3).
Un aspetto secondario, ma molto importante, è quello economico. Nel mezzo della sua peggiore crisi economica da decenni, l’Europa può permettersi di accogliere milioni di immigrati senza nuocere al bene comune dei suoi cittadini? (cfr. S. Th., II-II, q. 66, a. 2; q. 77, a. 1).
L’immigrazione organica e proporzionata è sempre stata un fattore salutare e rafforzante per la società, portando nuova vita e talento. Tuttavia, quando diventa eccessiva e incontrollata, mettendo in pericolo le fondamenta della società e dello Stato, risulta dannosa per il bene comune (S. Th., I-II, q. 94, a. 2).
Ciò è particolarmente vero quando si tratta di un’immigrazione almeno potenzialmente ostile, secondo le categorie proposte da San Tommaso (ibid.). È il caso, ad esempio, dei musulmani, rappresentanti di popoli che hanno guerreggiato contro l’Europa per secoli cercandone la distruzione (cfr. S. Th., II-II, q. 40, a. 1).
L’Europa farebbe bene a seguire i saggi insegnamenti del Dottore Angelico. Senza dubbio, un paese deve applicare la giustizia e la carità nel suo rapporto con gli immigrati (S. Th., II-II, q. 58, a. 10; q. 31, a. 2). Ma, soprattutto, è necessario mantenere l’armonia e il bene comune, senza i quali un paese non può durare (S. Th., I-II, q. 90, a. 2; q. 96, a. 1). Questo senza dimenticare la fede cristiana, la pietra angolare più profonda della nostra civiltà (S. Th., II-II, q. 2, a. 3).
Caro Enzo,
Eliminai doveri morali nei confronti dei migranti mi sembrano così chiari ed evidenti, che non occorre citare l’autorità di San Tommaso, per quanto ciò che lei ha riferito sia molto importante e pieno di quel buon senso, che caratterizza l’etica naturale tomista.
Mi compiaccio delle sue citazioni dell’Aquinate, che sono utili anche oggi. Tuttavia mi sembra che sia sufficiente possedere un saggio discernimento per potere affrontare e risolvere questo non facile problema di questi continui flussi migratori.
Un principio fondamentale è quello del discernimento che comporta un prudente vaglio di coloro che hanno veramente bisogno e coloro che invece purtroppo possono creare problemi.
È chiaro che i primi vanno accolti, mentre per quanto riguarda i secondi occorre una delicata operazione finalizzata da una parte ad evitare che facciano danno e dall’altra parte a orientarli a delle scelte positive.
Il punto più importante riguardo a questo problema, secondo me, è quello della immigrazione islamica. Se noi facciamo un esame attento di questo fenomeno organizzano ci accorgiamo che in questo caso non si tratta di veri bisognosi, ma spesso di individui determinati nella loro fede e decisi un domani a prendere il potere e ad imporre la sciaria.
Infatti gli Islamici hanno il ricordo di Costantinopoli e come essi sono riusciti ad islamizzare molti Paesi dell’Europa dell’Est così oggi ci dicono apertamente che verrà un giorno che conquisteranno Roma. Dunque il nucleo centrale del problema dell’immigrazione, da noi europei, è quello che ho detto.
Certamente occorre evitare un certo egoismo, che tende a respingere questa immigrazione. Questo problema ha soprattutto un aspetto politico, che impegna i vari governi ad una operazione oculata, che sappia congiungere ad un tempo gli interessi della Patria con l’attenzione a coloro che hanno bisogno.
Tuttavia è importante che la Chiesa organizzi una pastorale per queste persone, onde studiare la maniera, per quanto sarà possibile, di avvicinarle a Cristo, conservando quanto di valido c’è nel Corano, ma nel contempo liberandolo dagli errori.