Il mistero
dell’eresia
Seconda Parte (2/3)
Essenza
giuridica dell’eresia
Facciamo un altro passo per stabilire che
cosa è l’eresia. Resta sempre vero che essa è un giudizio dell’intelletto, un
giudizio falso. Ma su quale materia? Essa riguarda la dottrina di Gesù Cristo.
L’eresia è il rifiuto di una o più verità di fede insegnate da Cristo. Allora
l’Antico Testamento non ha il problema dell’eresia? La dottrina di fede
dell’Antico Testamento, soprattutto quella di Mosè, dei profeti e dei libri
sapienziali prepara e introduce alla dottrina di Cristo.
Facciamo un nuovo passo e stabiliamo il concetto
cattolico di eresia. Qui entra in gioco la funzione del Magistero della Chiesa,
il quale per mandato di Cristo ha il compito di determinare ciò che è di fede,
soprattutto gli articoli di fede e i dogmi che sono fondati su di essi e per conseguenza
le proposizioni eretiche, ossia quelle che mettono in dubbio, falsificano o
negano le verità di fede.
Chi manca del concetto cattolico di dogma
cade in difficoltà inestricabili dovendo definire che cosa è l’eresia. Come
infatti l’essenza del dogma si comprende solo facendo riferimento all’ufficio
del Sommo Pontefice di definire che cosa è di fede, così per corrispondenza è
impossibile sapere che cosa è un’eresia senza far riferimento all’autorità del Papa
nel definire il dogma. Senza il riferimento al Papa non si può sapere che cosa è
di fede e per conseguenza senza riferimento al Papa non si può sapere che cosa è
falso nella fede, ossia che cosa è l’eresia.
Cristo ha voluto che chi giudica in ultima
istanza ciò che è di fede e ciò che è eretico fosse Pietro. E difatti è
accaduto che da San Pietro a Papa Francesco si sia sempre realizzata una perfetta
armonia tra il messaggio di Cristo nel Vangelo e ciò che i Papi hanno insegnato
e condannato da allora fino ad oggi. Ciò che essi hanno definito essere di fede
è sempre restato di fede e ciò che essi hanno definito essere eresia è sempre
stato eresia.
I Papi non hanno mai ritrattato ciò che essi
hanno insegnato come maestri della fede. E non hanno mai tolto la condanna a
coloro che hanno giudicato eretici. In questi 2000 anni i Papi ci hanno fatto
conoscere sempre meglio, grazie ai dogmi, il mistero di Cristo, mostrandoci di
volta in volta per sempre le eresie che tale mistero negavano o falsificavano.
Chi non si rifà al costante insegnamento dei Pontefici
nel corso di questi 2000 anni per definire che cosa è l’eresia, cade in un
concetto sbagliato di eresia e viene quindi a mancargli anche il criterio per
sapere che cosa è di fede. È quello che è capitato all’autore di una storia
delle eresie, David Christie-Murray[1],
il quale, privo del criterio di discernimento che gli sarebbe venuto se avesse
fatto riferimento al Magistero della Chiesa, non s’accorge della sua continuità
nel corso dei secoli, e tra gli innumerevoli conflitti dottrinali tra le varie confessioni
cristiane, è continuamente sballottato fra un partito e l’altro senza mai
raccapezzarsi dove sta la verità e dove sta l’errore.
Il Magistero nel passato si limitava a
condannare come eresie le proposizioni contrarie alla fede nel loro significato
oggettivo ut sonant, astenendosi dal
vagliare che cosa l’autore intendeva dire e se per caso non si era espresso
male. Non s’impegnava, cioè, a vagliare o verificare se le intenzioni dell’autore
fossero buone o cattive, salvo i casi di evidente pertinacia, frode o ribellione
del supposto eretico alla Chiesa, nel qual caso lo qualificava come anatema,
ossia lo scomunicava.
La Chiesa è sempre stata tollerante nei
confronti di coloro che, per il loro modo di esprimersi, generano il sospetto di
essere eretici. Ma, a meno che l‘eresia non appaia evidente, la Chiesa
preferisce, per quanto possibile, dare un’interpretazione benevola. E questo lo
faceva perché la preoccupazione di impedire la diffusione dell’eresia prevaleva
sul desiderio, che oggi invece sente come stretto obbligo, di vagliare e comprendere
e valutare attentamente le intenzioni dell’autore, così da poterlo scagionare
nel caso che emerga dall’indagine che l’indagato non aveva intenzione di andare
contro la Chiesa.
Resta
sempre il compito pastorale della Chiesa di avvertire i fedeli del contenuto
erroneo e pericoloso delle proposizioni, così come suonano, indipendentemente
dal significato che l’autore intendeva ad esse attribuire. Per questo oggi
generalmente la Chiesa si astiene dal nominare l’autore, come spesso si faceva
un tempo, aggiungendo epiteti infamanti, ma si limita alla semplice denuncia degli
errori considerati in sé stessi e si ferma a spiegare per quale motivo sono
errori, contrariamente alla prassi di un tempo, allorché la Chiesa denunciava
semplicemente l’errore senza dare spiegazione del perchè. In ogni caso il
Magistero possiede dallo Spirito Santo un dono di giudizio o di discernimento,
per il quale la Chiesa sa sempre interpretare correttamente il senso di ciò che
dice l’eretico. Per questo, quando la Chiesa condanna un’eresia, non si ritratta
mai.
Per questo dall’esame delle eresie condannate
nel passato possiamo ricavare per contrasto ciò che è immutabilmente verità di
fede. È pertanto una frode dei modernisti ed è essa stessa un’eresia quella il
sostenere per esempio che la Chiesa si è sbagliata nel condannare Lutero al Concilio
di Trento o che il concetto di persona che oggi abbiamo non è più quello che la
Chiesa ha usato Concilio di Calcedonia.
È
molto importante stabilire il concetto giusto di eresia, perché esistono
concetti eretici di eresia. Un eretico facilmente accusa il Papa o il Magistero
della Chiesa di eresia. Ma il concetto giusto di eresia ce lo fornisce, come è
giusto, la Chiesa stessa, «colonna e sostegno della verità» (I Tm 3,15), la
quale lo ricava dalla Scrittura e dalla Tradizione e lo espone nel suo
magistero e nella sua prassi pastorale e canonica.
Il concetto ecclesiale più preciso di eresia
non è dogma, ma lo troviamo nella tradizione canonica. Questo fatto può
meravigliare, se ho parlato di «mistero dell’eresia» perché solo il credente, anzi
il cattolico può diventare ed essere
eretico. L’eresia ha a che fare con la fede proprio perchè si oppone ad una verità
di fede. Oppone alla fede non l’incredulità, ma un’altra fede, supposta quella
vera, benché al suo fondo ci sia l’incredulità o il tradimento della fede. L’eretico
crede di essere più che mai cattolico, anzi di conoscere la verità di fede meglio
del Papa. È il Papa che sbaglia, è lui l’eretico.
Ma l’eresia ha anche un riflesso sociale nei
rapporti fra cattolici, che devono essere regolati da giustizia e carità. Le
idee e il comportamento dell’eretico svolgono un certo influsso nell’ambiente
nel quale opera e al pastore è imposto l’obbligo di preservare, difendere ed
immunizzare il gregge da questo influsso.
La
definizione canonica di eresia serve così in modo speciale all’autorità
ecclesiastica, il vescovo e il Sommo Pontefice, deputata ad allontanare dai
fedeli il pericolo dell’eresia, se occorre, anche in via giudiziaria. Essa è la
seguente:
«Si dice
eresia la pertinace negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una verità che
si deve credere per fede divina e cattolica o il dubbio pertinace su di essa –
apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; - scisma, il rifiuto della sottomissione
al Romano Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti»
(Can.751).
È importante conoscere questa definizione canonica
dell’eresia, che fornisce all’autorità competente il criterio giuridico per
giudicare se una proposizione è o non è eretica. Benché l’utilizzazione ufficiale di tale
definizione spetti di per se innanzitutto all’autorità ecclesiastica competente,
è chiaro che la sua conoscenza è necessaria anche a qualunque fedele zelante,
ben preparato e prudente, perché ogni fedele, secondo le sue possibilità, ha il
dovere innanzitutto egli stesso di vigilare per non cadere nell’eresia ed altresì
ha il dovere a sua volta di vigilare a vantaggio dei fratelli di fede, affinchè
siano difesi e protetti dal nemico che si aggira come leone ruggente:
«Siate
temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come un leone ruggente va
in giro, cercando chi divorare. Resistetegli forti nella fede, sapendo che i
vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi» (I
Pt 5,8).
A questo riguardo, qualunque fedele nelle
condizioni suddette, se si accorge soprattutto come teologo della presenza di
un’eresia in qualunque altro fedele, di qualunque ceto o grado gerarchico,
escluso il Papa, che non può essere eretico, ha la facoltà e, nelle opportune
circostanze, il dovere, se ne è capace, di denunciare o confutare l’eresia, con
riserva eventuale di lasciare un miglior giudizio a uno maggiormente competente
di lui.
Il fatto che un teologo possa sbagliare nel
notare di eresia un altro teologo, induce certo il primo a una grande prudenza e
cautela. Ma non vale neppure l’atteggiamento di coloro che disapprovano
comunque il fatto che un teologo noti di eresia un altro teologo, se la Chiesa
non ha condannato quest’ultimo. Occorre dire invece che normalmente sono
proprio teologi preparati che segnalano alla Chiesa l’azione nociva di sospetti
eretici, stimolando l’autorità ad interessarsi del caso.
È chiaro che per un prudente giudizio è
necessario sapere con certezza quali sono
le verità di fede, perché se uno considera verità di fede una semplice
opinione teologica, giudicherà eretico chi si scosta da quell’opinione. E
viceversa chi non sa che una data proposizione è di fede, ma la crede una
semplice libera opinione teologica, passerà sopra o si rifiuterà di giudicare
eretico il teologo che la nega.
Le cause
dell’eresia
Come la ragione conduce alla fede, così
l’errore nella fede suppone l’errore nella ragione. È impossibile una retta
fede sulla base di una ragione malsana. Viceversa, una ragione sana preserva
dall’eresia e protegge la fede. Chi ragiona bene, se applica la sua ragione al
dato rivelato, non può essere ingannato dall’eresia. O la fede corregge la
ragione o la ragione distrugge la fede. La ragione corregge l’eresia e la fede
corregge la falsa ragione. La ragione alimenta la fede e la fede alimenta la
ragione.
L’orizzonte della ragione umana abbraccia una
molteplicità di oggetti gerarchicamente ordinati a seconda della loro ampiezza
e importanza logica ed ontologica. I gradi del sapere razionale sono dati dal
livello gnoseologico più o meno alto, al quale la ragione s’innalza. Il grado
più basso sono le conoscenze sperimentali di contenuto fisico o storico. La ragione,
poi, sale ad un grado superiore con le conoscenze matematiche e logiche. Al
vertice del sapere razionale ci sono le scienze dello spirito, la psicologia,
la morale, la metafisica e la teologia razionale.
Il dogma cattolico ha per contenuto la
spiegazione della divina Rivelazione di Nostro Signore Gesù Cristo, rivelazione
che non si trova solo nelle sue parole, nelle sue opere e nei suoi gesti
narrati dai Vangeli, ma anche implicitamente in tutta la Sacra Scrittura e nella
Sacra Tradizione apostolica, interpretate dal Magistero della Chiesa.
Ora, quanto Cristo ci ha rivelato da parte
del Padre, riguarda o ha rapporto solo con alcune
aree epistemologiche di competenza della ragione, vale a dire che si tratta di
verità soprannaturali e salvifiche, che riguardano l’esistenza e gli attributi
di Dio, il piano divino della salvezza, l’origine, la natura, la norma di
condotta e il fine ultimo dell’uomo, nonché certi fatti storici narrati dalla
Bibbia, compresa la vita di Cristo.
Parte di queste verità, teologiche, storiche,
antropologiche, logiche, morali o filosofiche, sono già di per sé attingibili o
dimostrabili dalla sola ragione mediante l’esperienza, il ragionamento o
apprendimento scolastico o per testimonianza storica. Queste verità razionali
hanno dunque rapporto necessario, logico o storico col dogma. Per cui, chi ne negasse
una, negherebbe o renderebbe impossibile di conseguenza il dogma ad essa
connesso e cadrebbe, sia pur indirettamente o implicitamente, e forse
involontariamente, nell’eresia.
Invece gli errori che toccano quelle aree del
sapere umano, che non sono oggetto della Rivelazione o non hanno rapporto con
essa, come per esempio nel campo della matematica o della chimica o della fisica,
non possono avere alcun rapporto con l’eresia.
Anche le opinioni erronee non hanno rapporto
con l’eresia, sempre però che riguardino l’opinabile. Ché se invece un esegeta
o un teologo o un moralista o uno scienziato o un filosofo o un sociologo o un
politico o uno scrittore o un poeta esprimono un’opinione contraria a un dato
di fede o certamente connesso con la fede, è chiaro che tale opinione, se non
sarà direttamente un’eresia, è quanto meno un errore prossimo all’eresia.
Così, per esempio, per far riferimento a una
verità speculativa, chi sostenesse che l’esistenza di Dio si può provare in
base al semplice concetto di Dio e non per causalità, partendo dalle creature,
come insegna il Concilio Vaticano I, si porrebbe in contrasto con la dottrina dogmatica
del Concilio.
Chi sostenesse che la natura umana o
l’immortalità dell’anima o la legge naturale, verità di per sé dimostrabili
razionalmente, non sono immutabilmente stabilite da Dio, ma sono teorie
discutibili, dubbie, mutevoli o addirittura false, andrebbe contro la dogmatica
antropologica e morale della Chiesa e quindi cadrebbe nell’eresia.
Oppure, per far riferimento a dati di fatto o
a fatti storici connessi col dogma, i cosiddetti «fatti dogmatici», è chiaro
che lo storico che negasse la storicità dei Vangeli o l’esegeta che negasse la
storicità del racconto biblico del peccato originale, verrebbe indirettamente a
negare il dogma del peccato originale e quindi cadrebbe, sia pur
indirettamente, nell’eresia.
Altro esempio. Chi negasse che Papa Francesco
è vero Papa o chi lo accusasse di essere eretico, sarebbe come se non lo
considerasse Papa, perché un Papa non può essere eretico. La conseguenza?
Verrebbe a negar fede all’infallibilità dottrinale di Papa Francesco
invalidando il suo magistero pontificio.
L’eresia non ha vere motivazioni religiose e
non nasce, come appare agli ingenui, secondo i racconti dei massoni e degli
stessi eretici, da elevati ideali o esigenze di libertà spirituale, ma da
motivazioni semplicemente umane, politiche, di prestigio, nazionalistiche e a
volte bassamente economiche o carnali.
Così per esempio il rifiuto del Filioque da parte del Patriarca di Costantinopoli
nel 1054 non fu motivato da reali ragioni teologiche che in realtà non
sussistono ed anzi provano il contrario, ma dall’orgoglio di quella Chiesa che
riteneva la sua teologia mistica greca superiore al cattolicesimo romano basato
sul rozzo – a suo dire - giuridismo romano.
Il successo della Riforma luterana non è
dovuto, come i luterani vorrebbero farci credere, a un maggior bisogno di
interiorità e di evangelismo di Lutero contro il supposto farisaismo e legalismo
della Chiesa Romana, ma dalla tradizionale presuntuosa convinzione dei Tedeschi
di essere il popolo più intelligente e dal pensiero teologico eccellente su
quello di tutti gli altri popoli. A ciò si aggiunse l’accoglienza del
luteranesimo da parte dei Prìncipi laici ed ecclesiastici dell’Impero non per
una sincera convinzione interiore, ma per avere un pretesto per ribellarsi al
cattolico Imperatore Carlo V e non pagargli le tasse.
Enrico VIII, per andare alla sostanza delle
cose e non fermarci alla superficie, non si ribellò al Papa perché – a suo dire
- non accettava la riforma del clero inglese e perché effettivamente non gli aveva
dato il permesso di divorziare da sua moglie, ma perché, cupido di ricchezze,
mirava ad incamerare gli aiuti economici che i cattolici inglesi davano al Papa
per la sua missione universale. È vero però anche che a seguito dello scisma,
l’etica sessuale della Chiesa anglicana ha perduto il rigore proprio della Chiesa
Cattolica per cedere al permissivismo, oggi evidentissimo. Si pensi al fenomeno
della sodomia.
Ma anche l’ortodossia può essere strumentalizzata
per fini politici, come è per esempio il caso di Filippo II di Spagna, il
quale, come è noto, eccedette nel servirsi dell’Inquisizione per eliminare avversari
politici. Oppure come fece Luigi XIV di Francia con i giansenisti: dall’una e
dall’altra parte la fede cristiana era strumentalizzata dalla politica. Non si
trattò di una lotta della fede cattolica del Re gallicano contro l’eresia, ma
di un conflitto politico tra Lui e i giansenisti, mascherato da lotta
religiosa.
La repressione
dell’eresia
Insegnerò agli erranti le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno
Sal 50 15
L’eresia ha un duplice volto: è un grave peccato di infedeltà a Dio e alla Chiesa e come tale merita di essere punita; ma è anche un grave turbamento nello spirito dell’eretico, è una malattia dell’anima, che il buon medico deve studiarsi di togliere, se il malato collabora ed accetta la cura.
Cristo dà agli apostoli direttive in un senso e nell’altro per togliere questo male. Da una parte avverte, ammonisce, accusa, confuta, redarguisce, rimprovera e minaccia i dottori della legge e i farisei per la loro ipocrisia. L’eresia infatti è una fede finta. Ma dall’altra, Gesù è aperto al dialogo, alla discussione, all’esortazione, alla spiegazione, alla dimostrazione, all’opera di convincimento, alla correzione paziente, mite, benevola e misericordiosa, come per esempio con gli apostoli, Nicodemo, la samaritana, la Maddalena, i discepoli di Emmaus, ed altri personaggi
San Paolo ci
ricorda che comunque, a causa delle conseguenze peccato originale, l’eresia è
inevitabile:
«È necessario che avvengano eresie (aireseis) fra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi» (I Cor 11,19). «Dopo una o due ammonizioni, sta’ lontano dall’eretico (airetikòn), ben sapendo che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da sé stessa» (Tt 3,11).
Questo
potere di liberare le menti e i cuori dall’eresia è proprio soprattutto del
vescovo, come appare già dalle Lettere
di San Paolo al suo discepolo, il vescovo Timoteo:
«Questo è l’avvertimento che ti do, figlio mio Timoteo, in accordo alle profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia con fede e buona coscienza, perché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede» (I Tm 1,19). «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, confuta (èlenxon), rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del Vangelo, adempi il tuo ministero» (II Tm 1-5).
Paolo fa
presente infatti al discepolo la situazione ecclesiale che in futuro andrà
profilandosi:
«Lo Spirito
dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla
fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti
dall’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza» (I Tm
4,2). «La parola di costoro si propagherà come una cancrena» (II Tm 2,17).
«Costoro si oppongono alla verità: uomini dalla mente corrotta e riprovati in
materia di fede. Costoro però non progrediranno oltre, perché la loro stoltezza
sarà manifestata a tutti» (II Tm 3, 8-9).
Giuda da
parte sua fa presente che se l’eretico è incorreggibile, può esser bene
sospendere i contatti con lui:
«Convincete
quelli che sono vacillanti, altri salvateli strappandoli dal fuoco; di altri infine
abbiate compassione con timore, guardandovi persino dalla veste contaminata
dalla loro carne» (Gd 23). «Dopo una o due ammonizioni, sta’ lontano
dall’eretico (airetikòn), ben sapendo
che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da sé
stessa» (Tt 3,11).
«Molti seduttori sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù Cristo venuto nella carne. Ecco il seduttore e l’anticristo! Fate attenzione a voi stessi, perché non abbiate a perdere quello che avete conseguìto, ma possiate ricevere una ricompensa piena. Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo, poiché chi lo saluta partecipa delle sue opere perverse» (II Gv 7-11). «Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro» (Mc 6,11).
Abbiamo qui il primo esempio di quel provvedimento o di quella sanzione penale, che già in Paolo è il dichiarare l’eretico «anàtema» (anàthema), che comporta l’idea dell’essere allontanato o escluso o espulso con una nota d’infamia (cf I Cor 16,22; Gal 1,8; I Cor 12,3), espressione che sarà poi adottata dai Concili Ecumenici fino al Concilio Vaticano I.
Si tratta di quel provvedimento disciplinare, che il diritto canonico fino all’attuale chiamerà «scomunica». Anche nel Vangelo di Matteo troviamo nella bocca stessa di Cristo questo concetto della scomunica come provvedimento estremo che fa seguito a una serie di tentativi falliti di correggere il fratello (Mt 18, 15-17).
Questo provvedimento severo non intende per nulla escludere lo scomunicato dalla comunione ecclesiale in modo definitivo, perché ciò non è nel potere della Chiesa, le cui sanzioni sono solo e sempre medicinali. Questo intento medicinale lo vediamo nel castigo inflitto da San Paolo all’incestuoso (I Cor 5,5). Lo scomunicato resta per la Chiesa sempre un fratello, che essa sottopone a una pena nell’intento che si purifichi per poi essere riammesso alla comunione ecclesiale. Solo la pena dell’inferno è meramente afflittiva e irremissibile. Ma questa pena se la procura il dannato stesso con la sua impenitenza finale.
Al tal fine di correggere l’eretico e liberarlo dal suo errore la Scrittura propone due vie o metodi possibili, da saper usare ora l’uno ora l’altro, a seconda delle circostanze o delle convenienze: una via pacifica, che potremmo chiamare anche terapeutica, che vede l’eresia come una malattia da curare. È più che altro l’eresia di coloro che sono stati ingannati in buona fede. Abbiamo allora il chiarimento, l’esortazione, il dialogo, la persuasione, la discussione, la confutazione; e una via polemica, che è lotta e battaglia, contro coloro che sono fautori dell’eresia e ad essa attaccati. Abbiamo l’accusa, l’avvertimento, la disputa, la controversia, l’ammonimento, il rimprovero e la minaccia.
Essa può comportare una giusta ira, come vediamo in Cristo stesso e nei profeti, ira che però, non è facile da dominare. Non parliamo di conflitto o litigio, che spesso sconfinano nell’alterco o nelle ingiurie reciproche, dove prevale l’ira e manca la carità, nulla di più controproducente per combattere l’eresia, cosa che richiede una grande lucidità mentale, che invece vien meno negli eccessi dell’ira.
Certamente
possiamo riferire a questa buona battaglia contro l’eresia il seguente
densissimo brano, che si presenta a tutta prima come una lotta contro Satana.
«La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti santi» (Ef 6,12-18).
Come il medico intende guarire l’ammalato,
così il vescovo, il teologo, il predicatore, il missionario intendono liberare
l’eretico dalla sua eresia, indurlo o convincerlo ad abbandonare o a ritrattare
la sua eresia. Certamente quest’opera di persuasione non è facile e il più
delle volte è votata all’insuccesso, perché cosa tipica dell’eretico è la sua
sicumera, la sua spavalderia, la sua arroganza, la sua indocilità, la sua
autostima accresciuta dal successo, la fissazione ossessiva e fanatica nelle
sue idee, il suo disprezzo per il cattolico, la sua chiusura in se stesso, che
non gli permette di ascoltare l’altro, il credersi strumento infallibile dello
Spirito Santo, la sua convinzione di non dover essere lui a correggesi, ma che devono
esserlo gli altri.
Sì, certo, bisogna odiare il peccato e non il
peccatore. Il medico odia la malattia perché ama il malato. Ma, ahimè! Non sempre,
anzi quasi mai l’eretico è una povera vittima innocente e compassionabile della
sua eresia, ma le è molto attaccato e la sostiene e difende con ostinazione,
senza ascoltare ragione.
In tal caso, adirarsi con lui e minacciarlo sull’esempio
di Cristo, di San Paolo, di Santo Stefano e dei Santi, può ispirargli un salutare
timor di Dio, anche se è vero che può anche suscitare in lui una violenta
reazione di odio contro il predicatore, che può finire anche martire. Ma
comprensibilmente non tutti i predicatori si sentono questo coraggio.
All’epoca di Gesù esisteva la pena di morte
per i trasgressori della Legge di Mosè. Gesù non la mette mai in discussione.
Anzi, Egli avverte severamente: «chi scandalizza uno di questi piccoli che
credono, è meglio per lui che gli si metta una macina girata da asino al collo
e venga gettato in mare» (Mc 9,2).
Gesù stesso fu condannato a morte per aver
trasgredito la Legge di Mosè con l’accusa di voler farsi Dio. Egli non protestò
né si lamentò per questo, anche se tutta la sua vita e il suo insegnamento
dimostrano chiaramente l’infondatezza di quell’accusa. Ma non mise in discussione
il principio.
L’ufficio supremo della condanna dell’eresia
spetta al Papa. In questo ufficio il Papa è infallibile, perché se si
sbagliasse e giudicasse eretico ciò che è di fede o viceversa, verrebbe
evidentemente meno al suo ufficio di confermare i fratelli nella fede, ufficio
nel quale il Papa, per volontà di Cristo, è sempre assistito dallo Spirito
Santo. Infatti la Chiesa, una volta che ha condannato una proposizione come
eretica, non torna mai e non è mai tornata sulla sua decisione.
Tuttavia, sin dai primissimi tempi della storia
della Chiesa, i Papi si fecero aiutare da esperti o stretti collaboratori, a
cominciare dai vescovi e poi dai cardinali, nell’individuazione e nella
confutazione delle eresie. Solo nel sec. XII Papa Lucio III istituì un vero e
proprio tribunale addetto a giudicare del crimine di eresia, quella che sarebbe
stata chiamata fino al Concilio Vaticano II «Sacra Romana ed Universale
Inquisizione dell’eretica pravità»[2],
detta più brevemente «Inquisizione». Col Concilio di Trento assunse anche il nome
di Santo Officio, che mantenne fino al Vaticano II, il quale lo sostituì con
l’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF).
Il Sant’Offizio non è di per sé infallibile nei
suoi giudizi, se non è ratificato dal Papa, cosa che appunto avvenne con la famosa
condanna di Galileo «per eresia», perché Papa Urbano VIII non appose la sua firma al decreto, ma lasciò
che il tribunale decidesse autonomamente[3].
Fu un grave errore non certo nel campo dottrinale,
perché non entrò in gioco l’infallibilità
dottrinale pontificia, ma certamente una grave imprudenza, che il Papato
avrebbe pagata cara col diventar bersaglio, ingiustamente ma comprensibilmente,
di tutti gli eretici e nemici della Chiesa fino ad oggi ed occasionando in certi
ambienti episcopali opportunisti e pavidi un eccessivo timore di sbagliare nel
giudicare di eresia, timore che, sconfinando a volte nell’incuria, finisce per
favorire o permettere il diffondersi delle eresie. Purtroppo ci sono voluti quasi quattro secoli
perché la Chiesa nella persona di San Giovanni Paolo II riconoscesse apertamente
ed ufficialmente che il Sant’Offizio si era sbagliato. Meglio tardi che mai.
La teoria galileiana del sole fermo e del
moto della terra attorno ad esso non era affatto eretica. I giudici
dell’Inquisizione furono ingannati da un’esegesi
sbagliata di Gs 10,12, prendendo alla lettera il racconto e pensando che il
sole si fosse veramente fermato, cosa che a riflettere bene è un miracolo assurdo e non capirono che era
un semplice modo di dire per dire che si combattè fino a notte fonda, come se la giornata si fosse prolungata per dar
modo agli Israeliti di vincere il nemico.
Bisogna peraltro dire con franchezza che Gesù,
dal canto suo, certamente non auspicò affatto che un giorno l’autorità della
sua Chiesa potesse istituire con l’ufficio dell’Inquisizione[4]
la pena di morte per gli eretici, come avvenne invece nel sec. XII con Papa
Lucio III nel 1184 a Verona in accordo con l’Imperatore Federico Barbarossa.
Travagliata storia, quella dell’Inquisizione,
il cui diritto-dovere alla pena di morte, anche se per il tramite del
cosiddetto «braccio secolare», fu difeso da San Tommaso d’Aquino[5].
In base al ragionamento fatto da San Girolamo, citato da San Tommaso, si considerava
l’eretico come un membro putrido, che rischia di infettare tutto l’organismo. Non
resta che toglierlo. Il ragionamento in sé, riferito a un organismo, è
giustissimo. Ma si può veramente applicare al caso dell’eretico? È su questo
punto che la Chiesa oggi non è più d’accordo.
Inoltre, che bisogno c’era di pena così terribile
come quella del rogo? Oggi non riusciamo più a capacitarci di come sia stato
possibile che una religione fondata da Colui che ci ha comandato di imparare da
Lui, «mite ed umile di cuore», abbia potuto punire gli eretici con tale
severità. E si sarebbe andati avanti per
quasi sette secoli, fino allo scioglimento dello Stato della Chiesa nel 1870[6].
L’Inquisizione ha frenato il diffondersi dell’eresia?
Sì, certamente, fino al periodo della riforma tridentina. Ma con l’illuminismo
la Chiesa perse il suo potere deterrente, che è quello che rende efficaci le
misure coercitive. Nel Medioevo la Chiesa aveva l’appoggio delle masse
credenti, che a volte dovevano essere addirittura tenute a freno dall’autorità
contro gli eretici. Ma già con la riforma protestante e le guerre di religione nacquero
due sistemi inquisitoriali l’uno opposto all’altro, cattolico e protestante, fino
alla pace di Westfalia del 1648.
Tutto ciò non ha impedito che l’eresia nel Diritto
Canonico continuasse e continui a figurare come crimine punibile a norma di legge
(Cf Can.1364). E questo perché la Chiesa possiede nativamente un potere
coercitivo ed è giusto che sia così. Infatti il potere coercitivo è
giustificato linea di principio per incutere nel suddito un salutare timore
della pena conseguente all’infrazione della legge.
Senonchè, occorre notare che mentre l’Europa
medioevale occidentale era totalmente cattolica, per cui la Chiesa non aveva
difficoltà a sanzionare efficacemente l’eresia con misure giudiziarie, dato lo
scarsissimo numero di eretici, oggi che gli eretici sono enormemente aumentati,
la Chiesa mantiene bensì nel Diritto Canonico la sanzionabilità dell’eresia.
Essa appare ancora nel Diritto Canonico come un crimine meritevole di essere
punito. E tale punizione ha lo scopo di far ravvedere l’eretico e di impedire
la diffusione della sua eresia[7].
ma al lato pratico la Chiesa ha perduto,
almeno nei confronti dei grandi movimenti ereticali, il potere di far
rispettare la legge e quindi di risolvere le vertenze di eresia per via
giudiziaria.
Un problema del genere si pone oggi col rahnerismo.
Al riguardo, faccio presente, come ho dimostrato nel mio libro su Rahner[8],
che nel suo sistema teologico ci sono molte eresie, che offrirebbero gli
estremi per condanne formali sanzionate dalla legge canonica (Can.1364).
Senonchè il partito rahneriano è oggi talmente forte e influente, che la Chiesa
non dispone di una proporzionata forza sanzionante tale, dall’intervento della
quale essa possa sperare una resipiscenza dei rahneriani, che viceversa si
sentono più sicuri che mai, nonostante i danni arrecati alla Chiesa, di essere
l’ala avanzata della Chiesa.
Per questo,
sebbene il rahnerismo si sia subito diffuso sin dai tempi di San Paolo VI, nessun
Papa se la è sentita di condannare esplicitamente il rahnerismo. Ma ciò non significa assolutamente che i Papi
di fatto o personalmente o per mezzo della CDF non abbiano respinto
implicitamente gli errori di Rahner insegnando l’opposta verità di fede, pur
senza mai nominare Rahner. I rahneriani certamente se ne sono accorti, ma, non
sentendosi nominati, ed anzi trovandosi oggetto di benevolenza da parte dei
Papi, probabilmente si lusingano di essere approvati e probabilmente i più
audaci premono sull’attuale Pontefice perché compia un gesto significativo a
loro favore, cosa che né Papa Francesco, né i suoi successori faranno mai, così
come nessun Papa può approvare l’eresia.
Bisogna però aggiungere che oggi, dopo la
comprensibile reazione agli eccessi del passato, c’è troppa incuria nella
pastorale corrente ad affrontare la grave questione dell’eresia, i pastori non
vigilano o non sono preparati, gli eretici si moltiplicano, c’è un diffuso
scetticismo circa la possibilità di condurre alla Chiesa cattolica gli acattolici.
Abbiamo
troppa sfiducia nella forza del ragionamento e dalla persuasione argomentata, dimenticando,
come diceva Pio XI, che, se è misterioso e sovrarazionale ciò che crediamo, ossia le verità di fede, perché se no, la fede
non sarebbe più fede, razionali, evidenti
e dimostrabili sono i motivi che inducono a credere.
Gli imbonitori pullulano e mancano i
predicatori della fede. Per usare il linguaggio caro a Papa Francesco, non c’è l’evangelizzazione,
ma il proselitismo. Non si tratta,
come credono certi esaltati, di sostituire l’azione umana con quella dello
Spirito, ma di agire razionalmente proprio perché mossi dallo Spirito.
Per questo i motivi umani e razionali del
credere[9]
devono essere proposti per non essere degli imbonitori anziché dei persuasori,
per non suscitare il fideismo anziché la fede e non fare del proselitismo al
posto dell’evangelizzazione. Dobbiamo pertanto
riconoscere che troppo spesso non sappiamo indurre i non-cattolici a penitenza
e ad invogliarli a venire al banchetto del Padre per le nozze del Figlio. Ci
scarichiamo troppo facilmente sull’azione dello Spirito Santo. È vero che, in
fin dei conti, è Lui che converte i cuori. Ma noi dobbiamo fare la nostra parte
come docili strumenti dello Spirito.
Il Domenicano in special modo, ha un esempio stupendo
in questo campo nel Santo Padre Domenico, il quale passò tutta una notte in una
locanda tenuta da un eretico cataro a discutere con lui e all’alba del nuovo
giorno ebbe la gioia di vederlo pentito, con volontà di riabbracciare quella fede
che aveva tradito.
Occorre comunque riconoscere che questa capacità
di suscitare nei non-cattolici il desiderio di entrare nella Chiesa cattolica,
è un dono speciale del Signore, non concesso a tutti, neppure se si è Santi canonizzati,
ma solo ad alcuni, come per esempio San Paolo, i Santi Cirillo e Metodio, San Giacinto,
San Giosafat, San Francesco Saverio, San Pietro Canisio, San Francesco di
Sales, il Beato Marco d’Aviano.
Esistono anche, nella storia della Chiesa,
momenti particolarmente felici o favoriti in tal senso, come per esempio lo fu
l’ambiente cattolico francese dei primi decenni del secolo scorso, attorno al circolo
di amici dei coniugi Jacques e Raissa Maritain e all’attività di alcuni teologi
domenicani come i Padri Clérissac, Dehau, Garrigou-Lagrange[10]. In questo ambiente la prospettiva di
convertirsi al cattolicesimo fu sentita da molti spiriti eletti di varie
confessioni, ebrei, protestanti, ortodossi, peraltro in un clima di dialogo
interconfessionale, che non girava su se stesso, ma, aperto al soffio dello
Spirito, sapeva veramente preparare le vie del Signore mediante l’uso
dell’argomentazione razionale e sapienziale.
Fine
Seconda Parte
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato,
3 novembre 2020

Il Sant’Offizio non è di per sé
infallibile nei suoi giudizi, se non è ratificato dal Papa, cosa che
appunto avvenne con la famosa condanna di Galileo «per eresia», perché Papa
Urbano VIII non appose la sua firma al decreto, ma lasciò che
il tribunale decidesse autonomamente.
Galileo a Venezia con il Doge
Gli errori che toccano quelle aree del sapere umano, che non sono oggetto della Rivelazione o non hanno rapporto con essa, come per esempio nel campo della matematica o della chimica o della fisica, non possono avere alcun rapporto con l’eresia.
Sala dell'Inquisizione - Bologna, San Domenico
____________________________________________________
[1] I
percorsi delle eresie. Viaggio nel dissenso religioso dalle origini all’età
contemporanea, Rusconi, Milano 1998.
[2] Sul portale di ingresso dell’ex-ufficio
dell’Inquisizione del convento domenicano di Bologna c’è ancora la scritta: «Sanctissimae
Inquisitionis Domus».
[3] Cf J.Maritain, De l’Eglise du Christ. La personne dell’Eglise et son personnel,
Desclée de Brouwer, Bruges 1970, cap. XIV.
[4] Cf Praedicatores
inquisitores-I, Atti del Seminario di Roma del 23-24 febbraio 2002, a cura
dell’Istituto Storico Domenicano, Roma 2004.
[5] Sum. Theol.,
II-II, q.11, a.3.
[6] Posseggo nella mia biblioteca un raro volume
del 1789 di ben 644 pagine dedicato a perorare la pena di morte per gli
eretici: «Della punizione degli eretici e del Tribunale della Santa Inquisizione.
Nella prima pagina non c’è il nome dell’Autore. Qualcuno sulla costola del
libro ha scritto: «Padre Pani - Difesa del S. Officio». Non
c’è neppure il nome dell’Editore. L’autore è certamente un Domenicano. Si nota
in lui una notevole preparazione teologica, scritturistica, filosofica e
canonistica. Lo stile è pacato e ben argomentato. È
interessante questa reticenza sull’Autore e sull’Editore. Che temessero
vendette? A quali cautele aveva dovuto ridursi il già potentissimo S. Officio! La
Rivoluzione Francese era alle porte!
[7] L’Autorità ecclesiastica ha oggi molti mezzi
legali per ottenere questi fini: la
scomunica o l’interdetto per qualunque fedele; la riduzione allo stato laicale
o la sospensione a divinis per i
sacerdoti; la sospensione dall’ufficio per gli uffici ecclesiastici; il
principio del promoveatur ut amoveatur;
la diminuzione dell’incarico per i detentori di alti incarichi; la sospensione
dall’insegnamento o la proibizione di pubblicare per il teologo o il docente in
istituti ecclesiastici; l’espulsione dall’istituto di appartenenza per i
religiosi; l’allontanamento o il trasferimento ad altra sede per qualunque
sacerdote o religioso. Resta sempre il problema che l’Autorità sappia usare
questi mezzi con saggezza e giustizia e che quindi non colpisca degli innocenti
e non trascuri di punire i colpevoli. Ma il diritto-dovere dell’Autorità resta.
Quello che purtroppo succede è che non avendo un prelato indegno motivi
legittimi per punire un suddito innocente, ricorre a provvedimenti illegali,
che sono veri e propri atti di violenza, senza darne ovviamente ragione, perché
la ragione non esiste. Viceversa capita il caso del prelato che non punisce
l’eretico o per timore della reazione dei seguaci o perchè non ha capito che è
un eretico o perchè egli stesso è eretico o perché vuol fare la figura del
misericordioso o di rispettare la diversità o libertà di pensiero o di essere
uomo del dialogo.
[8] Karl Rahner, Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.
[9] La recente enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti si inquadra perfettamente
in questo discorso. È mostrando al mondo la bellezza e doverosità umana della
fratellanza umana, che la Chiesa cattolica persuade ed induce ragionevolmente
gli uomini di buona volontà non-cattolici, ad accettare la fratellanza
cristiana come mistero di fede.
[10] Vedi per esempio una testimonianza di Raissa
Maritain su questo clima di fraterne amicizie, che i quegli anni condussero
molti intellettuali francesi ad abbracciare la fede cattolica: I grandi amici, Edizioni vita e
Pensiero, Milano 1975.
Carissimo Padre,
RispondiEliminail libro di cui parla alla nota 6 non corrisponde forse all'opera dell'iniquistore domenicano di origine riminese p. Tommaso Vincenzo Pani, di cui trova qui https://books.google.be/books?id=KckOAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false una copia digitale del libro?
In Cristo,
Pietro
Caro Pietro, la ringrazio di cuore per queste preziose notizie su di un mio illustre Confratello. Effettivamente è il Padre Pani.
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