31 gennaio, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 7 (1/2)

 

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 7 (Parte 1/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 16 (A-B)

Bologna, 10 marzo 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

Se vi ricordate bene, siamo sempre ancora nella quaestio 18, della I-II, una questione, non mi stancherò mai di ripeterlo, estremamente importante, perchè fonda la obbiettività della norma morale. Abbiamo visto le fontes moralitatis.

L’ultima volta abbiamo parlato, se vi ricordate, nell’articolo settimo, del rapporto che esiste tra il fine e l’oggetto. Abbiamo detto, con S.Tommaso, che là dove c’è un nesso tra il fine prossimo e il fine remoto, ebbene, la moralità che scaturisce dal fine remoto, dal fine dell’operante, è quasi generica rispetto alla moralità più particolare, che scaturisce dal fine dell’opera. 

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/trattato-sugli-atti-umani-p-tomas-tyn_31.html

 
 

Notate che a prima vista ogni buon moralista sarà portato a dire che un atto umano, un vero e proprio atto umano, indifferente, non ci può essere, per la ragione che abbiamo già detto, cioè che c’è una certa esigenza, una profonda esigenza, radicata nella stessa essenza dell’atto umano, in quanto è umano, cioè in quanto procedente dalla volontà deliberata, un’esigenza proprio in qualche modo connessa essenzialmente per se con la libertà dell’atto, e cioè l’esigenza di sottostare, di rapportarsi in un rapporto di obbedienza, di conformità, e di sottomissione, alla norma della legge morale.

Vale a dire che l’uomo, nell’atto umano, ha il dovere di autodeterminarsi secondo le determinazioni della verità del suo essere. Nella vita morale in qualche modo noi liberamente ci autodeterminiamo a quel bene al quale già siamo determinati metafisicamente.


Quindi, agire moralmente significa agire secondo le esigenze della ragione, di quella ragione che ci rivela l’obiettiva verità del nostro essere umano, delle finalità insite nella natura umana. Insomma la ragione in qualche modo ci rivela i contenuti della legge naturale. Questi contenuti sono imprescindibili, sono dati, non sono qualche cosa di fattibile. Quei contenuti ci sono dati una volta per sempre, checché ne dicano i nostri storicisti.

Quindi, in qualche modo, in ogni atto libero, la libertà stessa dell’atto esige per natura sua di riprodurre nella sua libertà ciò che è la determinazione dell’altra libertà, cioè della libertà creatrice, la liberà che ha determinato una volta per tutte la verità del mio essere umano nella sua essenza e nella sua natura, cioè nelle sue finalità basilari.

S.Tommaso dice in sostanza che certamente non c’è un’opzione fondamentale fatta una volta per tutte. Ma, all’inizio dell’agire umano, all’inizio dell’agire morale, nella presa di coscienza di sé, nel primo atto che l’uomo pone, questo ordine al fine ultimo dev’essere in qualche modo instaurato, c’è una certa esigenza, mentre negli atti successivi agisce l’ordine al fine ultimo.

E lo stesso fatto di non instaurarlo è già un disordine morale. E quindi lo stesso fatto di fermarsi a livello di fini intermedi, là dove c’è una esplicita esigenza di deliberare su tutta la vita e di ordinarla tutta in radice, questa assenza dell’ordine globale è già un che di deteriore. Così anche nella concretezza dell’atto umano c’è sempre questa esigenza di ordinare, anche cose banalissime, ordinarle almeno a qualche fine sensato. E così in individuo l’atto umano non potrà che essere o buono o cattivo. 

 

 

Immagini: Padre Tomas Tyn, Parrocchia San Giacomo fuori le Mura, Bologna

27 gennaio, 2024

Quando si può criticare il Papa?

 

Quando si può criticare il Papa?

Riporto alcuni brani dell’articolo articolo Critiche al Papa, come e quando sono lecite di Tommaso Scandroglio del 20 gennaio 2024 sulla Bussola Quotidiana*, facendo seguire a ciascuno le mie osservazioni.

* https://lanuovabq.it/it/critiche-al-papa-come-e-quando-sono-lecite?utm_source=pocket_saves

 

Tommaso Scandroglio:

La critica al Papa è moralmente lecita perché anche lui può sbagliare, tranne che quando parla ex cathedra. La Bibbia, il Magistero e il diritto canonico la prevedono. Deve rispettare il principio di proporzione ed essere guidata da prudenza e carità.

Padre Giovanni Cavalcoli:

Bisogna innanzitutto distinguere gli insegnamenti dottrinali da quelli pastorali. Negli insegnamenti dottrinali di fede o di morale il Papa insegna come Maestro della fede e Successore di Pietro. Egli cioè siede sulla cattedra di Pietro.

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/quando-si-puo-criticare-il-papa.html


 "In tale contesto di evangelizzazione accenno pure alla recente Dichiarazione Fiducia supplicans. L’intento delle “benedizioni pastorali e spontanee” è quello di mostrare concretamente la vicinanza del Signore e della Chiesa a tutti coloro che, trovandosi in diverse situazioni, chiedono aiuto per portare avanti – talvolta per iniziare – un cammino di fede". Papa Francesco 

Da:  https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2024/january/documents/20240126-plenaria-ddf.html

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA DEL DICASTERO PER LA DOTTRINA DELLA FEDE - Sala Clementina - Venerdì, 26 gennaio 2024

Il concetto della verità in Tommaso d'Aquino

 

Il concetto della verità in Tommaso d’Aquino

Ritengo utile ai Lettori riproporre anche questo testo di una mia conferenza sul tema della verità, tenuta per l’Associazione Tomistica Doctor Humanitatis, sezione di Verona della Società Internazionale Tommaso d'Aquino (SITA) nel 2016, Associazione diretta dal Prof. Alessandro Beghini.

Confronta:

-      http://www.doctorhumanitatis.eu

-       http://www.doctorhumanitatis.eu/conferenze

-        https://www.youtube.com/watch?v=XhIRHK_XQGE

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato 27 gennaio 2024

 


https://www.youtube.com/watch?v=XhIRHK_XQGE


23 gennaio, 2024

Il fondamento della verità razionale

 

Il fondamento della verità razionale

                                                                  Non avendo radici, si seccò (Mt 13,6)

Ritengo utile ai Lettori riproporre questo mio scritto sul tema della verità, data la grande importanza dell’argomento, che sempre ci interpella se desideriamo veramente mettere in pratica il Vangelo e camminare verso la salvezza.

...

 

La metafisica come fondamento e vertice delle scienze

 Per San Tommaso la ragione umana, nella sua attività conoscitiva, ha bisogno di fondarsi su di una verità razionale iniziale, evidente, ovvia, intuitiva, certissima, senza presupposti, universale, incondizionata, immutabile, inconfutabile, che possa dar fondamento e certezza a tutte le scienze, così da promuovere il sapere in ogni campo.

È questo il principio di non-contraddizione, secondo il quale è impossibile che un medesimo ente abbia e non abbia la medesima proprietà sotto il medesimo riguardo”. Tale principio “dipende dalla concezione (intellectus) dell’ente”.

Continua a leggere:

 https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-fondamento-della-verita-razionale.html


Dice Tommaso: “E’ chiaro allora che il ragionare può essere confrontato con l’intelligere come il moto con la quiete, o come l’acquistare e il possedere, dove la prima cosa dice imperfezione, mentre la seconda, perfezione”. Questi princìpi devono essere veri, perché, se non lo fossero, le conclusioni sarebbero false.

La conclusione, dunque, comporta il possesso certo della verità riguardo alle conseguenze che si possono trarre da date premesse. È importante, allora, per l’umano sapere, stabilire un punto di partenza o di appoggio assolutamente certo, per dare certezza a tutto il sapere. E questo è compito della metafisica.

San Tommaso nota poi come “L’opinione secondo la quale la contraddizione si verifica simultaneamente, è venuta in mente ad alcuni, ai quali era sorto il dubbio considerando le realtà sensibili, nelle quali appare la generazione, la corruzione e il moto”. Ma costoro, osserva l’Aquinate, si sono ingannati, perchè non hanno tenuto conto della distinzione fra essere in potenza ed essere in atto, che è una spiegazione ragionevole del divenire, che non offende per nulla il principio di identità e di non-contraddizione.

La verità razionale, per Tommaso, suppone la verità sensibile. Se il senso non funziona, la ragione non funziona. La verità conoscitiva è adeguazione o corrispondenza del senso e dell’intelletto al reale. L’evidenza del senso come quella della ragione sono indubitabili ed entrambi, in collaborazione, sono il principio e la causa della scienza. Senso ed intelletto possono sbagliare; ma essi correggono i loro rispettivi errori proprio rafforzando o migliorando il loro potere conoscitivo.

Questo ovviamente non toglie che la ragione sappia elevarsi a realtà superiori a quelle sensibili, come per esempio lo stesso mondo delle idee, nonchè le realtà spirituali della morale, della psicologia, della religione, della teologia e della fede. Ma resta sempre che il fondamento primo inconcusso della verità razionale non è la coscienza, ma la nozione dell’ente extramentale (extra animam), ricavata dalla conoscenza della realtà sensibile: entitas in hoc.

Immagini da Internet:
- S. Ceccarini, L’allegoria dei cinque sensi, 1748, Coll. privata, Pesaro
- Da Scheda didattica per Scuola Primaria
- G. de Lairesse, I cinque sensi, 1668, The Burrel Collection, Glasgow

20 gennaio, 2024

Da che cosa scaturisce la verità cristiana? Commento a una dichiarazione del Cardinale Giuseppe Betori

 

Da che cosa scaturisce la verità cristiana?

Commento a una dichiarazione del Cardinale Giuseppe Betori

La verità in sé e la verità per noi

Il quotidiano Avvenire del 14 u.s. pubblica un articolo* del Card. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, dal titolo «L’amore di Dio è un’esperienza per tutti», nel quale articolo il Cardinale afferma che «la dimensione pastorale è fattore costitutivo della verità cristiana, che scaturisce non da un disvelamento della verità in sé ma dalla volontà divina di comunicare il mistero propter nostram salutem».

Ora, che la verità cristiana abbia una dimensione pastorale legata alla volontà di Dio di operare per la nostra salvezza non c’è alcun dubbio. Ma  quello che lascia stupiti e – diciamolo con franchezza portandone le ragioni – contrariati, è l’affermazione che la verità cristiana non sarebbe lo svelamento della verità in se stessa, quando in realtà il bisogno di vedere la verità in se stessa, soprattutto quella divina, è il bisogno più radicale dell’uomo, quello che fa la sua dignità altissima di creatura pensante ed amante fatta ad immagine di Dio, un’aspirazione presente nelle più elevate culture e religioni dell’umanità, dall’antica Grecia e Roma, all’India ed alla Cina, soprattutto la sapienza ebraica, così potentemente testimoniata dalla Bibbia, che sta alle origini della verità cristiana.

 * https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/lamore-di-dio-unesperienza-per-tutti

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/da-che-cosa-scaturisce-la-verita.html

Card. Giuseppe Betori

 

La verità è oggetto di diversi atti dello spirito. Essi sono l’amare la verità: la sapienza; dire la verità: il parlare sincero; conoscere la verità: la scienza; e fare la verità: la virtù. Riguardo al conoscere, verità è sinonimo di realtà. 

Conoscere la verità equivale a conoscere la realtà. La realtà come verità è la verità ontologica. Invece negli altri casi si tratta della verità gnoseologica o del pensiero.

Un conto è il vero e un conto è la verità. Il verum è l’ente, il concreto, l’individuo, il fatto, l’atto, l’evento. Il vero è un qualcosa di limitato, di finito, di parziale. Esso partecipa della verità, che è quell’esser vero assoluto, infinito e totale, al quale tutti i veri partecipano e sul quale si fondano. Se non ci fosse la verità, non ci sarebbe il vero. E d’altra parte, il vero rimanda alla verità. Il vero è verità relativa; la verità come tale è la verità assoluta, quella verità, quella proprietà del vero per la quale ogni vero è vero.

16 gennaio, 2024

Molti i chiamati pochi gli eletti - Ancora sull’inferno nelle parole del Santo Padre

 

Molti i chiamati pochi gli eletti

Ancora sull’inferno nelle parole del Santo Padre

Non tutti si salvano

Nell’intervista[1] di venerdì scorso a Che tempo che fa, interrogato da Fabio Fazio circa la questione dell’inferno, il Papa, riferendosi ad una sua opinione, ha detto: «Questo non è dogma di fede - quello che dirò - è una cosa mia personale, che a me piace: a me piace pensare all’Inferno vuoto. È un piacere: spero che sia realtà. Ma è un piacere».

Il Papa ha voluto esprimere, come fa spesso, con una battuta, in un certo tono scherzoso, nonostante la estrema serietà del tema, una specie di immaginazione personale, come a dire: se dipendesse da me, se io fossi Dio, salverei tutti. Ma sappiamo come le verità di fede non corrispondono a quello che avremmo fatto noi o alla nostra immaginazione. 

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/molti-i-chiamati-pochi-gli-eletti_16.html

https://www.youtube.com/watch?v=Vz6OwXBJdEo


Il Papa ha voluto esprimere, come fa spesso, con una battuta, in un certo tono scherzoso, nonostante la estrema serietà del tema, una specie di immaginazione personale, come a dire: se dipendesse da me, se io fossi Dio, salverei tutti. Ma sappiamo come le verità di fede non corrispondono a quello che avremmo fatto noi o alla nostra immaginazione.

Esse rispondono a piani o progetti divini misteriosi, apparentemente paradossali o scandalosi, che affondano le loro ragioni in abissi che noi non riusciamo a scandagliare o provengono da piani o progetti infinitamente superiori a quelli che con la nostra ragione siamo capaci di concepire; e la cosa è comprensibile, giacchè è evidente che la mente divina trascende infinitamente la nostra e il modo divino di amare sembra un amore folle, che oltrepassa le nostre comuni misure.

Con questo stile spontaneo e piccante, al di fuori di ogni ufficialità, il Papa ha probabilmente voluto rimbeccare paternamente coloro che oggi rifiutano la benedizione delle coppie irregolari, perché, a loro dire, sarebbero «in stato di peccato mortale», pronunciando un giudizio in foro interno riguardo allo stato di coscienza di quelle coppie, che appare decisamente temerario, senza che ciò implichi la benchè minima approvazione dei peccati di adulterio o di sodomia in se stessi certamente meritevoli dell’inferno.

Immagine da Internet

14 gennaio, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 6 (2/2)

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 6 (Parte 2/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 15 (A-B)

Bologna, 3 marzo 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

E’ importante anche la questione, tutt’altro che da trascurare, quella appunto, degli accidenti dell’atto umano, ossia delle circostanze. Infatti, vedete, ci sono determinati accidenti dell’essere fisico, che sono proprio incidentali, in sostanza. Se un uomo, non so, è bianco, giallo o nero non tocca la sua umanità. S.Tommaso non era un razzista, come si vede. Insomma, ecco, il colore non tocca affatto l’umanità dell’uomo. Cioè questo è un accidens nel senso proprio che è slegato dall’essenza dell’uomo.

Ci sono invece altri accidenti, che per quanto non costituiscano la natura dell’uomo, però la portano a pieno sviluppo. Già quell’altro accidens, che è l’essere eruditi, in qualche modo è un qualcosa quasi di dovuto alla natura umana. Cioè la natura umana pienamente sviluppata è una natura umana che cura la propria intellettualità, sul piano speculativo, scientifico, eccetera. 

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/trattato-sugli-atti-umani-p-tomas-tyn_14.html

S.Tommaso, nel trattario sulla Creazione, è molto attento a non confondere la finitezza dell’ente con la sua dipendenza causale. Cioè dice: non è che l’ente finito si riduca quanto a tutta la sua entità a dipendere dall’altro. L’ottimista d’Aquino, insiste su questo proprio per dare consistenza alle entità finite. Quindi, l’entità finita ha una sua bontà intrinseca, che certo deriva dall’altro, ma la sua bontà non sta tutta nell’essere derivato dall’altro.

Però, è vero che la finitezza dell’ente, anche se non è costituta dall’essere causato, è però sempre legata a quella proprietà di essere causato, cioè non c’è ente finito, che non sia anche causato. Si potrebbe dire che, riguardo all’ente finito, il suo costitutivo non è l’essere causato, ma quella di essere causato è la sua proprietà; non c’è ente finito che non sia causato.

Quindi, ogni entità finita dipende da una causa. Solo l’entità infinita, divina, non dipende da nessuna causa. Similmente l’agire di Dio non dipende da un fine. Cioè l’indipendenza di Dio nell’ordine causale, non è solo indipendenza dalla causa efficiente, ma ovviamente anche indipendenza della causa finale. Ciò vuol dire che Dio non ordina le sue azioni a un fine, ma le azioni di Dio sono già il fine, l’ultimo fine.

Però, gli effetti dell’azione divina, questi sì, non sono Dio; sono quindi entità finite e perciò finalizzate e causate, causate da Dio e finalizzate ancora a Dio. Dio non ordina il suo agire al fine, ma vuole, nell’agire, che quel determinato creato effetto sia rapportato a quel fine e in ultima analisi a Lui come fine ultimo.

Quando ci chiediamo che cosa fa sì che un ente finito sia finito, che cosa lo costituisce, non nella finitezza, ma nella entità finita, che cosa lo costituisce tale, cioè ente finito, la risposta, unica risposta attendibile, è la differenza tra la potenza e l’atto, la prima differenza tra la potenza e l’atto, cioè praticamente un’essenza, che non adegua l’ampiezza dell’atto di essere.

Quindi, come dicono i metafisici, la costituzione dell’ente finito consiste ancora nella relazione trascendentale tra l’essenza e l’atto di essere. Ossia, un ente è finito quando la sua essenza è potenziale rispetto all’essere. Ecco perchè l’essere di Dio è infinito, perché l’essenza adegua l’actus ipse essendi.

Quindi, la costituzione della finitezza non sta in una relazione predicamentale, come è quella della dipendenza causale, bensì nella relazione trascendentale, che connette l’essenza con l’essere. Però, un’essenza, che riceve l’essere, non può ricevere l’essere se non dall’altro, quindi tramite la causalità.

Però, non è la causalità che costituisce la finitezza dell’ente, bensì il fatto immediato che l’essenza ha ricevuto l’essere. L’averlo ricevuto dall’altro è un passo successivo.

Immagini: Padre Tomas Tyn, OP

13 gennaio, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 6 (1/2)

 

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 6 (Parte 1/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 15 (A-B)

Bologna, 3 marzo 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

Le vicende sono giunte ai triarii, che erano le truppe proprio di ultima risorsa. Siamo giunti, se ricordo bene, alla I-II, della Prima Secundae appunto alla questione 18, che è veramente di un carattere fondante, direi. Lo sono un po’ tutte le questioni, anche le precedenti, soprattutto quella del fine ultimo, ma questa diciottesima è fondante per il passaggio, se volete, o per la fondazione, diciamo così, della morale nella metafisica, nell’ontologia. Per il passaggio dall’ontologia: dall’essere alla deontologia, al dover essere, ossia all’essere finalizzato, all’essere in quanto è buono.

S.Tommaso, il nostro celeste amico, ci aiuta in queste meditazioni, partendo proprio dall’analisi, diciamo così, del trascendentale che è il bonum. Voi sapete bene che ci sono quei concetti cosiddetti trascendentali, perchè non restringono l’ambito dell’ente, ma coincidono con l’ente in quanto tale. Quindi, per esempio, qualsiasi cosa esistente, in quanto esiste, è vera, nel senso di intelligibile. Cioè ogni cosa che esiste, in quanto esiste, è un possibile oggetto di intelligenza, e comunque di conoscenza Similmente ogni cosa esistente è, in quanto esiste. è un possibile oggetto di appetito. Bonum est quod omnia appetunt, il bene è l’oggetto dell’appetito. 

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 https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/trattato-sugli-atti-umani-p-tomas-tyn_13.html

 

Notate bene questo sdoppiamento della finalità connaturale e del dominio della finalità da parte della ragione e della volontà umana. Facciamo un esempio, preso da quel tema tanto discusso al giorno di oggi, come l’uso della sessualità. Che la sessualità abbia un fine procreativo, su questo non ci sono dei dubbi, mi pare, no? Quindi, da quel lato il Padre Eterno le ha assegnato un fine, che non è in nostro dominio. Possiamo riconoscerlo, possiamo rifiutarlo, ma il fine è sempre quello. La verità delle cose è quella.
 
Ora, in qualche modo, dandoci questa dimensione procreativa, Dio ci invita a usarne, ma usarne sempre rispettando i suoi fini. Ebbene, è in potere della nostra libertà rispettare quel fine oppure no; si può usarne senza il rispetto di quel fine, che però comunque c’è per natura. Allora è la cosiddetta relazione trascendentale dell’atto umano libero al fine dovuto connaturale, ossia alla legge naturale, è questa relazione al fine dovuto secondo natura, secondo la legge naturale, che costituisce la bontà dell’atto umano. Se c’è relazione di conformità, l’atto è buono; se c’è relazione di difformità, cioè un venir meno, una privazione rispetto a questa conformità, allora siamo nella malizia morale.

La morale è una cosa difficilissima da esprimere. Ma qui S.Tommaso tocca un punctum dolens anche della filosofia moderna. Cioè si tratta in qualche modo dell’ontologia della intenzionalità umana.

È una cosa interessantissima vedere come nella interiorità, nella vita interiore spirituale dell’uomo, si dischiude una dimensione dell’essere, che va al di là della pura fisicità dell’essere. È diverso il mio essere fisico dal mio essere morale. L’essere fisico è quello che già comunque ho; l’essere morale invece è quello che in qualche modo riesco a dare a me stesso. Ma è terribile, questo. Capitemi bene.

È quasi come se l’uomo - il Padre Eterno mi perdoni -, fosse come un Padre Eterno in miniatura. Ciò si collega con quello che la Bibbia dice riguardo all’imago Dei, ossia che egli è l’immagine di Dio.

Però, si potrebbe dire che già nell’ordine naturale, l’uomo ha in sé una similitudine formale di Dio, l’uomo è datore di essere come Dio è datore di essere, però diversamente. Mi raccomando, miei cari. Perchè lì è il punto. Capitemi bene. Perché, se uno pretende di essere il Padre Eterno sul serio, gli dirò: ma va! Diventa ex nihilo omnia … diventa un dio fallito, come ammette con una rara capacità introspettiva anche l’amico Jean Paul Sartre. Insomma, l’uomo che pretende di essere Dio, riesce ad esserlo solo nella modalità fallimentare.

Tanto vale quindi non pretenderlo satanicamente. Però c’è la tendenza in qualche modo ad atteggiarsi superbamente da dei. Essere divinizzati per rapinam, come dice S.Anselmo, proprio contro Dio. Questa tendenza trova un appoggio in noi, perchè siamo veramente imago Dei.

Cioè quello che Dio è, ossia datore dell’essere sul piano fisico, noi quasi lo siamo sul piano dell’essere intenzionale: i nostri pensieri lì ce li diamo noi a noi stessi. Anche lì però fino ad un certo punto. Diciamo, le nostre azioni libere. Lì veramente abbiamo in qualche modo la possibilità di autodeterminazione.

Ovviamente si tratta di un’azione non dell’essere reale, fisico, ma dell’essere intenzionale, è il dominio dell’ultimo giudizio pratico-pratico, che regolerà la nostra azione. Però bisogna sempre vedere questa analogia dell’uomo con Dio. Lì in fin dei conti senza analogia non si fa neanche un passo. Ci vuole una cultura analogica. Cioè bisogna vedere questa analogia tra Dio e l’uomo, ciò che Dio è nella donazione dell’essere come actus essendi, l’uomo lo è nella determinazione del suo atto deliberato.

Però questa stessa determinazione dell’atto deliberato avviene, cosa importante, nell’ambito della partecipazione dell’atto di essere. Perché dico questo? Perché ci sono alcuni errori spaventosi …

Quello che è paradossale nella soggettività umana, intellettiva voglio dire, è che effettivamente noi siamo dei portatori ontologicamente finiti di una intenzionalità infinita. È questo il fatto curioso.

Quindi, l’errore degli esistenzialisti è comprensibile, perché effettivamente essi non fanno altro che porre l’accento su quello che dice anche il beato Aristotele, ossia che anima est quodammodo omnia, l’anima è tutti gli enti. C’è quasi una specie di coincidenza tra l’anima e tutto l’essere, perché non c’è essere, che non sia conoscibile dall’anima.

Ma questo non vuole ancora dire che l’anima sia ontologicamente l’actus purus essendi. Perché l’anima umana sarà aperta a tutti gli enti intenzionalmente, ma fisicamente è una entità a sua volta limitata. Vedete quindi come S.Tommaso fa un discorso estremamente profondo, in cui ci fa vedere, anche senza esplicitarlo, ci fa quasi toccare con mano che la nostra stessa autodeterminazione avviene sempre nella partecipazione dell’essere comunicato da Dio.

Immagini: Padre Tomas Tyn, OP

10 gennaio, 2024

Il legame da conservare e il legame da estinguere - Differenza fra l’unione irregolare e l’unione matrimoniale - Parte Seconda (2/2)

 

 Il legame da conservare e il legame da estinguere

Differenza fra l’unione irregolare e l’unione matrimoniale

 

Parte Seconda (2/2) 
 

L’obbligatorio e il facoltativo

Un errore oggi diffuso anche tra moralisti che si dicono cattolici è quello di ridurre  l’obbligatorio al facoltativo o di negare che in morale esistano obblighi assoluti, immutabili ed universali, ma tutto sia facoltativo, ossia ognuno può scegliere la norma di condotta per conto suo o, come dicono, «secondo coscienza», il che andrebbe anche bene se avessero un concetto giusto della coscienza, che  essi intendono non come volontà di aderire alla verità oggettiva, indipendente dalle decisioni del soggetto, ma la coscienza intesa come  principio della stessa verità, così come Cartesio non fondava il sapere sull’adesione alla realtà oggettiva esterna, indipendente dall’io, ma sulla coscienza del proprio io.

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-legame-da-conservare-e-il-legame-da_10.html


L’espressione «stato di peccato» necessita di un chiarimento, perché è stata usata da alcuni per indicare lo stato di vita delle coppie irregolari, quasi esse fossero in una condizione permanente di colpa mortale, prive della grazia. 

Ora il Santo Padre nell’Amoris laetitia ha chiarito che una convinzione del genere non ha fondamento e che dobbiamo invece credere che queste coppie, nonostante la loro condizione di peccatori, possono essere in grazia, sempre, s’intende, che si pentano dei loro peccati e ne facciano penitenza.

Non bisogna dunque confondere il peccato con lo stato di peccato.


Bisogna fare attenzione perché la tentazione del fariseismo è sempre in agguato ed è quella di sostanzializzare il peccato identificando il peccato con il peccatore.

Il peccatore resta sempre una persona chiamata alla salvezza. Il peccato invece è un atto accidentale e contingente, che non può essere elevato allo stato di sostanza, perché la sostanza di per sé è permanente.

Il peccato è un atto contingente, che può essere tolto da un momento all’altro per un altro atto della volontà del peccatore, mosso dalla grazia di Dio, che opera la giustificazione. In altre parole, la volontà da cattiva diventa buona, per opera della grazia divina e del libero arbitrio umano.

Bisogna fare molta attenzione a non confondere l’omosessualità come tale, che è la semplice inclinazione di un istinto sessuale anormale o innaturale, innata o acquisita, tendenza di per sé priva di qualunque colpa, benchè stimolo al peccato, con la sodomia, che è un abito morale vizioso, comportante la pratica abituale e intenzionale, quindi volontaria e colpevole, del rapporto omosessuale.

Immagini da Internet

09 gennaio, 2024

Il legame da conservare e il legame da estinguere - Differenza fra l’unione irregolare e l’unione matrimoniale - Parte Prima (1/2)

 

Il legame da conservare e il legame da estinguere

Differenza fra l’unione irregolare e l’unione matrimoniale

Parte Prima (1/2)

Una Nota del DDF sulla questione della benedizione delle coppie irregolari

Il 4 gennaio scorso il Dicastero per la Dottrina della fede ha pubblicato un Comunicato stampa per aiutare a chiarire la ricezione di Fiducia supplicans, ricollegandosi alla precedente Dichiarazione della CDF del 2021, la quale sembra essere in contraddizione con la Fiducia supplicans. Infatti, mentre nel documento del 2021 si afferma che la Chiesa non ha il potere di benedire le unioni irregolari, siano omosessuali o siano adulterine, l’ultima Dichiarazione sembra dire il contrario, ammettendo la possibilità di benedire queste unioni, sia pur sotto certe condizioni.

Per sciogliere la contraddizione, l’ultimo Documento, che di fatto ammette la benedizione di queste unioni, come ho chiarito nel mio precedente articolo su questo argomento e come vedremo ancora in questo, distingue «coppia» da «unione», dicendo che la Chiesa benedice la coppia ma non l’unione. 

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-legame-da-conservare-e-il-legame-da.html

Alcuni sono dell’avviso che si possano benedire le persone singolarmente, ma non l’unione in quanto irregolare.

Ma qui siamo davanti a due persone concrete che sono in relazione fra di loro. 

Il punto da tenere presente è che la grazia della benedizione ovviamente tocca l’aspetto sano, mentre difende dal peccato.

Occorre tener presente che la coppia irregolare resta una coppia della natura umana, dotata di una propria coscienza morale, che conserva, nonostante la realtà del peccato, una sua dignità che le deriva dal Creatore, il quale anche ad essa fa giungere le sue benedizioni. Ecco dunque il fondamento e il perché della benedizione impartita dalla Chiesa, che in nessun modo significa avallo o approvazione o tolleranza per uno stato di vita che contrasta col piano divino della creazione, ma, al contrario, dona energia e speranza per una sua graduale normalizzazione.

Immagini da Internet

05 gennaio, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 5 (2/2)

 

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 5 (Parte 2/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 15 (A-B)

Bologna, 22 febbraio 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

… a una di quelle facoltà che possono o meno essere comandate dalla volontà. Così potremmo partire da un elenco. Sarebbe quasi meglio dire riguardo alla volontà, l’abbiamo precisato, che la volontà può usare liberamente o che la volontà usa, più che comandi. Ma il comando, il termine “comando” ha un duplice significato. Uno più stretto e così è l’atto di ragione. L’altro è più vasto nel senso della volontà che, in qualche modo, impone a un’altra facoltà l’esecuzione di un’opera, che spetta principalmente alla volontà.

Quindi non lasciatevi turbare dal fatto, che io vi dica ogni tanto che la volontà comanda. Ricordatevi che il comando di per sé, come atto specifico tra i dodici atti integranti l’unico atto umano, spetta sostanzialmente alla ragione. Però si usa la parola comandare anche in una maniera diversa, un pochino più vasta, Ebbene si usa questa parola anche per significare l’uso che la volontà fa di altre facoltà.

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La volontà può anche sdoppiare il suo atto. La volontà può prima volere e poi volere di volere, cioè prima vuole e, nella prima volizione, vuole la seconda volizione, che poi dovrà però avere per oggetto qualche altra cosa. Per esempio io voglio studiare e, se proprio sono molto pigro, allora voglio almeno voler studiare.

E’ un po’ come quel confessore, che voleva stimolare il penitente, alla contrizione e dice: se non riesce proprio a essere contrito, almeno abbia il pentimento di non essere contrito. Questa riflessività talvolta può persino salvare i penitenti in extremis. In questo senso la volontà ovviamente vuole e la ragione dispone riguardo alla volontà.

Uno potrebbe dire: se ogni atto della volontà è imperato, allora la ragione muove la volontà, ma la volontà muove a sua volta la ragione a imperare. E così non ci si ferma mai, in sostanza, no? Invece nella volontà c’è anche un atto di volontà, che è certamente non imperato; un atto spontaneo, immediato della volontà. Spontaneo un po’ come sono spontanei gli istinti degli animali. E’ appunto l’atto della volontà, non in quanto è volontà, appetito razionale, ma in quanto è un che di naturale, un pondus naturae.

Si potrebbe dire che la semplice apprensione, sia del senso che dell’intelletto, non può essere comandato, non è possibile comandarla. Questo risulta molto chiaro nella semplice apprensione del senso, a livello sensitivo. Se io apro gli occhi in una sala illuminata come questa, non posso comandare agli occhi di vedere il buio, vedrò per forza la luce.

Quindi, aprendo gli occhi, basta questo e subito non domino l’oggetto, vedere una cosa anzichè un’altra. E qualcosa del genere capita anche con l’intelligenza. Cioè, se formo un concetto rappresentante una determinata realtà, il concetto non posso non averlo come tale rappresentante di quella tale determinata realtà. 

 Immagine: Padre Tomas Tyn, ottobre 1989 - foto di Roberta Ricci

01 gennaio, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 5 (1/2)

  Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 5 (Parte 1/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 15 (A-B)

Bologna, 22 febbraio 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

             Bene, miei cari. Ci siamo soffermati sulla questione 16. Abbiamo dovuto operare delle scelte; abbiamo visto solamente alcune tra le diverse parti dell’atto umano, in particolare abbiamo visto il momento della scelta, che abbiamo reputato giustamente centrale per la costituzione dell’atto umano nella sua globalità, in quanto determina il giudizio pratico-pratico e in quanto in esso si manifesta la libertà dell’uomo.

Poi abbiamo studiato l’atto dell’uso, in quanto l’uso, la cresis in greco, coincide praticamente con l’atto umano stesso, l’esecuzione dell’atto praxis. Abbiamo detto che l’uso consiste nell’applicazione di una realtà all’azione. Questa realtà può essere una realtà esterna, per esempio uno strumento che si applica all’azione, ma soprattutto sono le facoltà interiori dell’anima. In ultima analisi è la facoltà motrice di tutte le altre, cioè la volontà, per cui spetta in ultima analisi alla volontà usare.

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La gioia ha per oggetto il fine e non qualche mezzo per ottenere il fine.

Con la gioia si compie proprio l’agire umano.

In questo San Tommaso, come Aristotele stesso prima di lui, sono degli ottimisti: ogni agire procura un certo piacere, la compiacenza dell’agente, che raggiunge il suo fine. Non c’è dubbio che nel gaudium c’è un elemento di perfezione, che non c’è nell’uso. L’uso è uno sforzo in vista del raggiungimento del fine, in vista dell’esecuzione del fine. Invece il gaudium è ovviamente il riposarsi, lata quies, il riposarsi nel fine ottenuto. 

Il gaudium c’è anche nelle facoltà inferiori, in quanto omne agens agit propter finem.

 

 

 

Tomas nacque a Brno, in Cecoslovacchia, oggi Repubblica Ceca, il 3 maggio 1950.

La sua robusta fibra fu improvvisamente stroncata nel pieno dell’età – a 39 anni – da un male terribile ed incurabile.

A Neckargemünd morì il 1° gennaio 1990, con il volto sereno e quasi sorridente, mentre nella sua patria avveniva il passaggio da un regime oppressore alla democrazia: i voti di Tomas si erano compiuti!

Immagine: Padre Tomas Tyn, ottobre 1989 - foto di Roberta Ricci