Ricordo di un maestro - La testimonianza del teologo tomista Padre Roberto Coggi - (Parte Prima (1/2)

 

Ricordo di un maestro

La testimonianza del teologo tomista Padre Roberto Coggi

Parte Prima (1/2)

 

Ho presentato il dorso ai flagellatori,

        la guancia a coloro che mi strappavano la barba.

                                                                                         Is 50,6

 Chi è stato Padre Coggi

 Padre Roberto Coggi, per chi già non lo conosce, è un eminente teologo domenicano che fu insegnante di teologia per alcuni decenni nello Studio teologico del convento domenicano di Bologna, improvvisamente spentosi in quel convento il 19 gennaio scorso all’età di 86 anni, dopo aver vissuto ininterrottamente in esso fin dal suo ingresso nell’Ordine nel 1965.

La sua figura esemplare di teologo, in perfetta linea con quanto la Chiesa richiede dai suoi teologi, ci induce anzitutto a premettere – cosa che non è sempre chiara - che cosa essa intenda per teologia e come intenda l’ufficio del teologo, dato che sono in circolazione certi modi di intendere la teologia o di far teologia, che, benché considerati «cattolici», in realtà sono estranei alla vera concezione cattolica. Si tratta purtroppo di teologi, che sono considerati o si considerano cattolici senza veramente o pienamente esserlo. Cominciamo dunque col dire chi è il teologo cattolico e in che consiste il compito del teologo cattolico.

I requisiti del teologo cattolico

Come ogni scienza, la teologia costituisce un corpo di dottrina contenente un insieme di tesi, ordinate fra di loro in modo sistematico, esposte in modo argomentativo, fondate su alcuni princìpi o assiomi di fede e di ragione e discendenti da essi in modo deduttivo.

La Chiesa, custode della dottrina della fede e incaricata da Cristo di insegnarla a tutto il mondo, si prende cura in modo speciale della formazione teologica dei sacerdoti, in ossequio alle parole del profeta Malachia: «Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si riceve l’istruzione perché egli è il messaggero del Signore degli eserciti» (Ml 3,7).

Per questo, essa dà incarico ai teologi di insegnare teologia a nome della Chiesa e di far avanzare il sapere teologico vigilando, sorvegliando e controllando che il loro insegnamento sia conforme alla dottrina della Chiesa.

Compito del teologo non è solo quello di insegnare ma anche di far avanzare il sapere teologico  grazie al risultato delle sue ricerche,  proponendo nuove piste di ricerca od opinioni o ipotesi nuove in settori non ancora esplorati, o proponendo migliori interpretazioni della rivelazione biblica o affrontando i problemi teologici del suo tempo o preparando interventi dottrinali del Magistero o raccogliendo gli stimoli teologici mediante il confronto con i dotti e gli uomini colti del presente e del passato. È questa l’opera del teologo ricercatore.

Altra funzione del teologo, come ho accennato, è quella dell’insegnamento scolastico o accademico: l’iniziazione e la formazione degli studenti o dei seminaristi alla teologia. E questo è il compito della teologia scolastica e del teologo scolastico. Egli deve trasmettere e illustrare ai giovani con gradualità ed arte pedagogica il patrimonio dottrinale sicuro, acquisito, consolidato, tradizionale, accertato e perenne, soprattutto se raccomandato dalla Chiesa, come è eminentemente la dottrina di San Tommaso d’Aquino, Dottore comune della Chiesa.

Il dottore o docente o insegnante di teologia deve dunque saper essere un maestro, ossia uno che, come segnala l’etimologia della parola, fa aumentare il sapere (magis) del discepolo, lo fa crescere intellettualmente. E come lo fa crescere? Qual è l’arte del maestro o dell’educatore?

È quella di far emergere alla sua coscienza, indicargli e fornire al discepolo quelle nozioni di base, quei criteri di giudizio, princìpi razionali, ermeneutici e metodologici, che lo abilitano al discernimento e al giudizio critico e stimolano e potenziano in lui la naturale ricerca della verità e il desiderio di aumentare incessantemente il sapere, mentre eccitano la volontà a mettere in pratica l’aspetto pratico del sapere acquisito.

Aggiungiamo che il teologo cattolico, sia l’esegeta o teologo biblico, sia quello dogmatico o sistematico, insegna una teologia che non è semplice frutto della ragione naturale, ma che, pur utilizzando la ragione filosofica, presuppone l’accettazione del dato di fede cattolica e quindi discende dalle verità di fede contenute nella Scrittura e nella Tradizione interpretate dal Magistero della Chiesa.

Questo modo elevato di far teologia suppone che il teologo non solo sia cattolico, ma che coltivi e pratichi un’intensa vita di grazia, nella comunione con la Chiesa[1], a nome e per incarico  della quale insegna e a favore della quale insegna, nell’obbedienza sincera e fedele al Magistero della Chiesa a tutti i livelli della sua autorità, non quindi solo in relazione ai dogmi solennemente definiti del Magistero straordinario, ma anche a quelli definibili in modo diretto o indiretto, immediato o mediato, in modo implicito o esplicito[2].

Il teologo ha il compito di formare teologi: ciò fonda l’esistenza della scuola di teologia e quindi della teologia scolastica. Occorre pertanto distinguere il teologo dal catechista. Questi forma il comune fedele, fornendogli le nozioni fondamentali della dottrina cattolica, esposte nel catechismo.

Il teologo può formare catechisti. Questo è il servizio al quale Padre Coggi si è particolarmente dedicato come collaboratore di Radio Maria per più di trent’anni, oltre a svolgere il suo incaico di docente di teologia dogmatica presso lo Studio domenicano prima e poi dal 2004 presso la Facoltà teologica bolognese fino al termine del mandato nel 2007.

Padre Roberto teologo

Padre Roberto ha assolto esemplarmente a tutti i suddetti doveri del teologo cattolico, caso oggi rarissimo nell’attuale clima di imperante modernismo, che ha creato, come ebbe già a suo tempo a denunciare San Paolo VI un «magistero parallelo», che ormai per la sua prepotenza non può più essere domato da misure disciplinari, ma dev’essere pazientemente sopportato come si è obbligati a fare o avviene sotto i regimi dittatoriali.

Nel clima infuocato di opposti estremismi teologici e di conflitto tra lefevriani e rahneriani sorto sin dall’immediato postconcilio, Padre Coggi, caso raro, seppe mantenere una posizione di equilibrio nella retta interpretazione del Concilio resistendo sia alle seduzioni provenienti dagli indietristi, sia sopportando pazientemente  le umiliazioni e derisioni ricevute dai modernisti, sia per l’orrore che provava per l’eresia e sia per la fiducia che aveva nel Magistero della Chiesa, molto addolorandosi per il suddetto conflitto tra fratelli e sempre adoperandosi con la sua carità e spirito di pace per sanarlo o quanto meno per diminuirlo.

Fu in quegli anni di ritorno di modernismo, denunciato dal Maritain fin dal 1966, nei quali San Paolo VI parlava di «secolarismo», mentre si strombazzava la «svolta antropologica» di Rahner, che il compianto Mons. Negri, eminente figura dell’Episcopato italiano, ebbe giustamente a parlare di «dittatura del relativismo». Negli anni recenti l’attuale Pontefice ci ha parlato di «pensiero unico» e di gnosticismo.

In questo clima di intimidazione e di conformismo, avviene che siano repressi teologi innocenti e siano favoriti teologi eretici. Forte è il sospetto che il silenzio di certi vescovi sia dettato non dal rispetto del pluralismo, ma da opportunismo e rispetto umano, quando non proprio da celata connivenza con l’eretico.

Lo stesso Papa Francesco, da come ho imparato per il tramite di una persona di comune conoscenza, le confidò un giorno: «ho le mani legate». Come ho avuto modo di pubblicare recentemente, il Papato, a partire dell’esplosione rivoluzionaria di modernismo (pensiamo al ’68) che ha fatto seguito al Concilio, non è più un Papato trionfante come quello di un San Gregorio Magno o di Gregorio VII o di Gregorio IX o di Innocenzo III, o di San Pio V, ma è un Papato crocifisso.

Padre Roberto insegnò teologia dogmatica e cosmologia filosofica o filosofia della natura nello Studio Teologico Accademico Bolognese (STAB) dalla sua fondazione nel 1978 alla sua elevazione nel 2004 a Facoltà di Teologia dell’Emilia-Romagna con sede a Bologna fino al suo pensionamento nel 2007. Io sono stato suo studente negli anni 1972-1976 nello Studio domenicano prima della sua elevazione a Studio Accademico.

La virtù in campo teologico, oggi rara, di Padre Roberto, virtù che nasce dalla carità congiunta con la verità, e dalla sua viva consapevolezza della sua responsabilità di sacerdote teologo nei confronti  delle anime da salvare, è stata, sull’esempio di San Domenico, quella di discernere con infallibile intuito, evidentemente guidato dallo Spirito Santo, in mezzo all’attuale caos teologico creato dai modernisti, la verità cattolica, è stata quella di conoscere che cosa vuol dire essere cattolico, in mezzo a tante falsificazioni di questo nome, è stata quella di resistere alla tentazione di ottenere successo seguendo i modernisti, è stata quella di scovare l’insidia dell’errore sotto l’apparenza della verità, è stata  quella di denunciare coraggiosamente e francamente il pericolo dell’errore, è stata quella di non lasciarsi intimidire da questo clima dittatoriale, di non scoraggiarsi davanti alle umiliazioni e derisioni subìte persino da parte di confratelli, di non lasciarsi sedurre dalla falsa sapienza dei modernisti, è stata la sua perseveranza per decenni, con inalterata calma, serenità, mitezza e sopportazione dell’albagia ed arroganza dei modernisti.

Padre Roberto non è stato un teologo ricercatore, esploratore di terre ancora sconosciute, non ha confutato vecchie opinioni teologiche oggi rivelatesi false, non ha preso in considerazione qualche filosofo moderno per trovarne i punti di contatto con la dottrina cattolica, come il Concilio esorta a fare. Ha preferito concentrarsi tutto nel comprendere, nello spiegare e commentare, come docente e predicatore, il Catechismo e la dottrina della Chiesa.

In tempi come quelli passati, nei quali il patrimonio essenziale della fede, attorno al quale ruota tutta la teologia di Coggi, era possesso comune e indiscusso di ogni fedele laico, religioso o sacerdote, la teologia di Padre Roberto sarebbe passata inosservata, perché avrebbe detto cose scontate e già note a tutti.

Teologi degni di nota erano invece quelli che, sulla base del comune ed universale del sapere catechistico, come i Capreolo, il Ferrarese, il Gaetano, lo Suarez, Giovanni di San Tommaso, il Goudin, il Billuart, i tomisti dell’800 e della prima metà degli anni ’50 del secolo scorso si elevavano ad un sapere superiore a quello catechistico e per questo, per la loro sapienza eccezionale, erano giustamente oggetto di attenzione e di stima da parte di ogni buon cattolico.

Oggi invece, che non solo non abbiamo più tali teologi eccelsi, ma molti teologi contestano la metafisica, l’etica e la legge naturali, il realismo gnoseologico, la Scrittura, la Tradizione, i dogmi, il Magistero e il Catechismo, un teologo che rispetta questi valori fa la figura di un grande maestro e merita questo titolo. Tale è stato Padre Coggi per i nostri tempi.   

Egli quindi ci ha lasciato una serie di pubblicazioni di contenuto catechistico, che nei tempi attuali di ignoranza, di tenebra, dubbio, scetticismo, incertezza,  relativismo, soggettivismo, storicismo, fenomenismo ed egocentrismo, si presentano come un’ancora di salvezza, un faro nella notte, la via verso la  verità, un cibo nutriente per tutti, stimolo alla conversione,  sorgente  di consolazione, di conforto, di speranza, di pace, libertà, sicurezza, concordia, riconciliazione,  opere di giustizia, di bontà e di misericordia.

Padre Roberto non ha insegnato teologia solo in sede accademica, ma il suo desiderio di comunicare la verità cattolica lo portò a insegnare teologia anche servendosi delle trasmissioni di Radio Maria dal 1992 a poco tempo prima dell’anno della morte, che lo colse improvvisamente per un attacco cardiaco.  

Si trattava di un «corso per catechisti», finalizzato cioè a fornire ai catechisti la preparazione o competenza necessarie per insegnare catechismo. Ovviamente il testo base era il Catechismo della Chiesa Cattolica[3]. Nel 1993 Coggi ha pubblicato una Sintesi del nuovo Catechismo per le Edizioni ESD di Bologna.

Tuttavia le lezioni di Padre Roberto a Radio Maria non erano lezioni di catechismo; egli non faceva catechismo o il catechista, non insegnava catechismo, ma come teologo formava i catechisti, fornendo loro la scienza teologica necessaria al catechista per fare una conveniente catechesi. Nulla dunque a che vedere col rahneriano «Corso fondamentale sulla fede»[4], che non è affatto, come potrebbe sembrare, un catechismo o un’esposizione delle verità della fede cattolica, ma una narrazione raccogliticcia del cattolicesimo modernista di Rahner.

Molte delle lezioni a Radio Maria di Padre Coggi sulla Santissima Trinità, sui sacramenti, sulla Eucaristia, sulla Chiesa, di mariologia sono state pubblicate raccolte in libri a cura delle Edizioni Studio Domenicano di Bologna.

Padre Roberto, benché in possesso di un buon metodo di studio e appassionato del sapere, non era affatto un erudito o un collezionista di notizie più o meno interessanti, non aveva tempo da perdere; benché attento alla documentazione storiche, sensibilissimo alla pura teoresi ed anzi animo contemplativo e meditativo, aveva sempre presenti i bisogni urgenti delle anime e la situazione intellettuale e morale disastrata nella quale oggi esse vivono.

Da qui la brevità e il tono asciutto e stringato dell’esposizione, sempre chiara, ragionata e precisa, con termini appropriati, sicchè alla fine, l’ascoltatore o il lettore, ben lungi dall’essere annoiato, avrebbe voluto saperne di più. Ecco allora che si rivolgeva a Padre Roberto per chiarimenti ed anche per fare obiezioni. Ed egli, sempre calmo, disponibile, e caritatevole ai microfoni di Radio Maria rispondeva ad un uditorio a volte di 20000 ascoltatori. Certo non erano i dieci milioni di certi divi della TV, ma, come sappiamo, la saggezza non sta nel ritrovarsi in molti, ma nel ritrovarsi nel molto.

Inoltre Padre Roberto non è stato un puro studioso ma sentiva forte anche l’ufficio sacerdotale della cura pastorale delle anime, seppur sempre prevalentemente in chiave di predicazione. Si dedicava molto anche al confessionale, alla direzione spirituale e alla predicazione di esercizi spirituali.

Amava molto i pellegrinaggi a Medjugorje, sottoponendosi generosamente ad orari interminabili di confessioni. Ricordo che per molti anni io e lui con altri confratelli in certe domeniche venivamo da Bologna qui al Santuario di Fontanellato a dar rinforzi ai Padri del convento per confessare i numerosi pellegrini un arrivo.

Quando il 2 agosto del 1980 avvenne la terribile strage alla stazione ferroviaria di Bologna, ricordo che noi frati in convento eravamo in ricreazione, quando circa alle ore 14 telefonarono dalla stazione chiedendo un sacerdote per i feriti e i moribondi. Padre Roberto si precipitò immediatamente sul posto, mentre io confesso che non mi sentii così capace di simile atto di fede e di coraggio.

C’è da aggiungere che la devozione a San Tommaso ha spinto Padre Coggi a dedicarsi per trent’anni alla traduzione in italiano delle opere dell’Aquinate per le Edizioni Studio Domenicano, un’opera colossale, condotta con una tenacia, diligenza, perseveranza straordinarie, così che se oggi dopo otto secoli abbiamo finalmente la traduzione del Commento di Tommaso alle Sentenze di Pietro Lombardo, opera fondamentale di Tommaso, lo dobbiamo a Padre Coggi.

Altra opera importante pubblicata nel 1989 da P. Coggi, insieme con G. Dal Sasso, è il Compendio della Somma Teologica per le Edizioni Studio Domenicano di Bologna (ESD). Quest’opera a molto utile per coloro che desiderano esser iniziati alle opere di San Tommaso.

Molte luci poche ombre

Come anche i grandi teologi non sono privi di difetti, così è possibile trovare lati buoni anche nelle dottrine più perverse. Conobbi Padre Roberto nel 1971 appena entrato in convento per iniziare il cammino che mi avrebbe portato a diventare domenicano, e mi colpì subito il modo in cui mi si presentò: con affabilità, modestia, dolcezza, gentilezza. Egli mantenne questo stile anche quelle pochissime volte in cui gli manifestai il mio dissenso da cose che non mi sembravano teologicamente giuste.

Non s’inquietava mai con nessuno, neppure davanti a confratelli che gli mancavano di rispetto o a teologi modernisti. E in questo modo e con questo stile si è sempre comportato con me fino a che nel 2013 lasciai Bologna per essere stato trasferito a Fontanellato.

Dopo ci scambiammo solo alcune lettere. Ricordo che in una gli manifestavo preoccupazioni per la condotta del nuovo Papa, Francesco, ed egli mi accusò di essere «catastrofico». Ricordo invece le lettere affettuose che mi scrisse quando ero a Roma a lavorare in Segreteria di Stato, negli anni ‘80.

Un giorno l’allora Mons. Giovanni Battista Re, Assessore della Segreteria di Stato, mio Superiore, ora Cardinale Decano del Sacro Collegio, mi chiese di proporgli un nome per una nuova assunzione che era in programma e io gli feci il nome di Padre Roberto.

Chiesi un giorno a Padre Roberto per quale motivo non usava quella giusta ira pur permessa da San Tommaso, usata anche da Cristo e dai santi. Mi rispose che temeva che se avesse dato spazio all’ira, non sarebbe poi riuscito a moderarla.

Ciò però induceva i suoi avversari a non prender sul serio quello che diceva e temo che Padre Roberto abbia usato un metodo repressivo della passione, più stoico che aristotelico[5], che forse ha contribuito a provocare – e qui Freud ha ragione – quella forma di psicosi che dovette essere curata nei primi degli anni ‘2000.

Padre Roberto, prima farsi frate si era laureato in ingegneria aeronautica. Aveva mantenuto anche in teologia la cura della chiarezza, precisione e razionalità propri della matematica, cosa che non gl’impediva affatto di saper maneggiare il metodo dell’analogia, proprio della teologia ed estraneo al sapere matematico.

Prima di entrare in convento aveva avuto un Gesuita come direttore spirituale e l’associare la spiritualità ignaziana con la mentalità dell’ingegnere, oltre al fatto di essere milanese, gli aveva procurato un’impostazione di vita e un modo di pensare e di agire metodico, ordinato, regolare, non però rigido, ma capace di far fronte a situazioni impreviste adattandosi con elasticità mentale alle esigenze del momento.

Il fenomeno del modernismo lo sconcertava. Non pensò mai di affrontare seriamente i problemi suscitati da un Rahner, da uno Schillebeeckx, da un Küng, dai moralisti esistenzialisti. Anche la conoscenza dei fondatori del modernismo, come Cartesio, Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Nietzsche, Gentile fino ad Heidegger, Bontadini e Severino, non era sufficiente da permettergli di istituire un confronto tale da poter assumere il positivo e respingere il negativo.  

Conservo un caro e grato ricordo della formazione teologica impartitami da Padre Roberto nello Studio Teologico bolognese negli anni 1972-1976, formazione che poi completai all’Angelicum di Roma per il conseguimento del dottorato in teologia. Entrando in convento possedevo già una conoscenza della teologia di San Tommaso, che mi ero procurato, con l’aiuto di Maritain e altri tomisti, a partire dal 1960, per cui provai molta gioia nel constatare la fedeltà di Padre Roberto alla dottrina del Doctor communis Ecclesiae.

I miei insegnanti costituivano una comunità nel complesso concorde attorno al Magistero della Chiesa ed alla scuola dell’Aquinate. I più chiari e convinti sostenitori della teologia cattolica erano Padre Roberto e l’allora mio compagno di studentato, poi docente, il Servo di Dio Padre Tomas Tyn.

L’impostazione intellettuale generale manteneva lo stile di un tomismo, che, pur nella fedeltà alle dottrine del Concilio, era più nella linea di Garrigou-Lagrange o dello Schmaus o del Bartmann, che non del Maritain o del Congar o dello Journet. Il modernismo di Schillebeeckx o di Rahner era totalmente escluso.

Padre Roberto aveva approfondito in modo speciale due grandi misteri della fede, che egli sapeva esporre con meravigliosa chiarezza da incomparabile maestro: il mistero eucaristico e il mistero trinitario. Ricordo, riguardo al trinitario, che per spiegarcerlo, ricorse alla distinzione metafisica fra l’esse in, ossia l’essere dell’accidente e l’esse ad, proprio della relazione, per dimostrare che la Persona divina non è un accidente, ma una relazione sussistente.

Ricordo, riguardo all’eucaristia, con quanta esattezza illustrava il dogma della transustanziazione e spiegava, per esempio che Cristo è presente nell’ostia consacrata ad modum substantiae, mentre la sostanza del corpo di Cristo è ora in cielo. Quando io non ero più a Bologna più volte lo interrogai telefonicamente per chiarimenti su questo sacramento, ricevendo sempre risposte illuminanti.

Spiegandoci in classe il rito della Messa, affermò un giorno che, oltre al vino, bisogna mettere nel calice tre gocce di acqua. Ogni volta che celebro Messa mi vengono in mente queste tre gocce, che naturalmente non riesco mai a versare. Forse lui ci riusciva.

Suo interesse speciale fu anche l’ecclesiologia e la mariologia. In ecclesiologia era ammiratore dello Journet. Riguardo alla cristologia la sua predicazione non è abbondante. Così pure, pur avendo un grande rispetto per la teologia mistica e i mistici, scarsa è la trattazione di questo tema. Ricordo che apprezzava il trattato del Dagnino.

Raramente egli contraddiceva i confratelli colleghi d’insegnamento. Ma se c’erano un gioco verità di fede, egli non temeva di difendere con decisione la verità cattolica. Ricordo come un giorno assistetti a un forte richiamo fatto a un illustre collega biblista che metteva in forse la santità della Chiesa. Un’altra volta, sempre col medesimo confratello, si oppose nettamente alla sua tesi secondo la quale Maria non sapeva sperimentalmente della sua verginità, ma era per lei oggetto di fede.

Tuttavia Padre Roberto ha pagato senza rendersene conto un tributo al buonismo ammettendo sì la distinzione fra pena divina correttiva e pena afflittiva, ossia quella infernale, ma sostenendo poi che l’esistenza di dannati non è un fatto ma una semplice possibilità. Inoltre è scarso nel suo insegnamento il tema del demonio, benché professasse chiaramente la convinzione nell’esistenza degli angeli. Così pure scarsa fu la tematica dell’Apocalisse.

Quando io nel 2016 a Radio Maria sostenni l’esistenza di castighi divini nella storia dell’uomo, egli non si fece vivo a difendermi contro gli attacchi che ricevetti. Lo comprendo e lo perdono.

La questione del panenteismo

Trovandomi un giorno a discutere con Padre Roberto su di un teologo nel quale avevo rintracciato il panteismo, Padre Roberto, che lo conosceva, mi disse che non si trattava di panteismo, ma di panenteismo, una dottrina a suo giudizio conciliabile col teismo.  «Costui – mi disse – non identifica il mondo con Dio; fa la distinzione; dice soltanto che il mondo è in Dio, come fa San Paolo: “In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”» (At 17, 28).

Sul momento non dissi nulla; ma sentii che c’era qualcosa che non andava. Ho riflettuto a lungo sul discorso di Padre Roberto e mi sono accorto che egli non si rendeva conto dell’equivoco che si nasconde dietro il termine panenteismo. Infatti panenteismo vuol dire «tutto, ogni ente è in Dio». Ma in Dio in che senso? Con questa espressione infatti si possono intendere due cose: o essere in Dio come un accidente esiste in una sostanza o che noi viviamo in Lui in quanto Egli è il nostro sostegno nell’essere, dà fondamento al nostro essere. In tal caso il mondo viene ad essere distinto da Dio e quindi fuori di Dio.

Certamente San Paolo intende questa seconda cosa. Se invece con Spinoza si concepisce il mondo come soggettato in Dio, quindi con appartenente all’essenza di Dio, allora certamente si cade nel panteismo: Dio è pura sostanza senza accidenti. E pure il mondo appartiene alla categoria della sostanza, benchè qui essa abbia accidenti.

Quanto a San Tommaso, egli fa notare che nell’essenza divina l’ente finito creabile, ideato dalla mente divina, in quanto pensato da tale idea, coincide con lo stesso essere divino[6], giacchè il pensare divino coincide col suo essere[7], per cui la conoscenza che Dio ha dell’idea delle cose o l’idea che Dio ha di esse coincide con lo stesso essere delle cose, se è vero che Dio, essere assoluto creatore delle cose, deve precontenere virtualmente in sé l’essere stesso delle cose che crea.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato 24 marzo 2024

 

Padre Roberto, benché in possesso di un buon metodo di studio e appassionato del sapere, non era affatto un erudito o un collezionista di notizie più o meno interessanti, non aveva tempo da perdere; benché attento alla documentazione storiche, sensibilissimo alla pura teoresi ed anzi animo contemplativo e meditativo, aveva sempre presenti i bisogni urgenti delle anime e la situazione intellettuale e morale disastrata nella quale oggi esse vivono. 

 

Immagine da Internet

[1] Questi concetti sono ampiamente illustrati nella Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo della CDF del 1990.

[2] Questi due gradi corrispondono al 2° e 3° della graduatoria stabilita dalla Nota illustrativa della CDF alla Lettera apostolica Ad tuendam fidem di S.Giovanni Paolo II del 1998.

[3] Questo testo sembra troppo ampio e dispersivo (p.788). Certamente occorre notare che esso fu scritto anzitutto per i Vescovi con lo scopo che essi, a livello di Conferenza episcopale preparassero catechismi adatti alle varie età e situazioni culturali. Osservo tuttavia che il catechismo dev’essere sostanzialmente un testo agevole e pratico, adatto al fedele comune, una spiegazione del Simbolo della fede e contenere la dottrina della Chiesa. Quindi non occorre attingere ai Padri e ai Dottori, ma è sufficiente attingere alla raccolta del Denzinger aggiungendo i documenti importanti da esso assenti. È il lavoro che ho fatto io con il mio libro Le verità di fede, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2021 (pp.259).

[4] Edizioni Paoline,Roma 1978.

[5] Nella concezione stoica la passione è un moto cattivo che va eliminato. In Aristotele la passione è un impulso sensibile che serve a rafforzare l’atto umano, per cui dev’essere ragionevolmente moderato.

[6] Sum.Theol., I, q.15, a.3,

[7] Sum.Theol., I, q.14, a,4.

1 commento:

  1. La ringraziamo, Reverendissimo Padre, per questo bel profilo di Padre Coggi. Avendo avuto il privilegio di essere stati suoi allievi fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, si affacciano alla nostra mente ricordi ed immagini di questo vero maestro di vita e di pensiero, un domenicano indimenticabile. Nella preghiera per la sua anima e nella gratitudine al Signore per avercelo donato, desideriamo svolgere due brevissime riflessioni.

    La prima è che, nonostante negli anni abbiamo avuto modo di studiare in università di prestigio riconosciuto in giro per il mondo, nessuna ha lasciato un’impronta sulla nostra formazione paragonabile a quella dello STAB e di una generazione irripetibile di domenicani, da Padre Tyn a Padre Centi, da Padre Galli a Padre Prete a Padre Coggi, a Lei stesso, Padre Cavalcoli, che ci insegnò storia della filosofia nel biennio propedeutico. Il segreto di questo assoluto valore sta ovviamente nell’averci aperto lo scrigno del pensiero di San Tommaso, presentato sempre con la massima fedeltà da insegnanti tanto preparati quanto umili.

    E la seconda riflessione è che ciascuno di questi padri domenicani era egli stesso un’intera università, la cui vastità di conoscenze e profondità d’animo ci aprivano nuovi orizzonti ad ogni lezione. Ascoltare Padre Coggi sui temi della cosmologia, della mistica o del protestantesimo era davvero un’avventura in terre a noi ignote guidati da chi aveva grande dimestichezza col cammino e sapeva riconoscere le linee tracciate da Dio.

    Grazie, Padre Coggi, per aver combattuto la buona battaglia, dando a noi stessi strumenti per combatterla. Iddio l’accolga nella sua visione beatifica.

    Drs. Maurizio e Grazia Ragazzi – Washington USA

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