Dio può dare un contrordine? La vicenda del sacrificio di Abramo

 

Dio può dare un contrordine?

La vicenda del sacrificio di Abramo

 La vicenda biblica del sacrificio di Abramo è sempre stata una dura prova per gli esegeti, messi davanti a un fatto dove sembra che Dio sia andato contro quanto egli stesso ci proibisce, ossia l’omicidio ed abbia voluto da Abramo un sacrificio umano, un rito orrendo, una perversione del sacrificio religioso proibito dalla stessa Bibbia. Meno male, vien fatto di dire, che all’ultimo momento Dio si pente, dà un contrordine e proibisce l’omicidio.

Quel povero Abramo obbedisce al primo ordine senza batter ciglio, ma immaginiamo con quale angoscia e amarezza, e non gli viene in mente che forse aveva capito male, forse quella non era veramente la voce di Dio, il Dio della vita.

Ma che diremmo noi oggi? Molto probabilmente Abramo si era lasciato suggestionare dalle usanze dei popoli circonvicini che praticavano i sacrifici umani. E certamente la vera volontà divina Abramo la scopre alla voce dell’angelo che gli proibisce di fare del male al figlio. Dio non può volere il peccato! La voce dell’angelo, questa sì che era la vera volontà divina, un ordine, che annullava il falso ordine precedente.

Abramo aveva capito male, ma non se ne era accorto. Ma Dio lo premia ugualmente per la sua buona fede. Abramo, dal canto suo, deve aver tirato un grande sospiro di sollievo. Egli adesso conosce la verità, ma Dio aveva già apprezzato Abramo che aveva obbedito alla sua coscienza, anche se erronea. 

Vediamo allora altresì come l’interpretazione moderna del sacrificio di Abramo, oltre ad avere il vantaggio di salvare la dignità della volontà divina, senza ricorrere al volontarismo, fa capire il valore della coscienza; vediamo come Dio rispetta la nostra coscienza, e vediamo anche quanto tale interpretazione reca vantaggio al dialogo interreligioso e fa apprezzare il valore del diritto alla libertà religiosa. Invece l’esegesi del passato, al di là delle sue intenzioni, sotto l’apparenza della fede e dell’obbedienza eroiche, dando spazio al volontarismo, finisce per consentire l’individualismo morale, l’autoritarismo e l’etica della situazione, oggi assai diffusi.

Abramo è lodato da Dio e premiato per la sua fede ed obbedienza, certamente. Egli ha obbedito a Dio in quanto in buona fede, in un primo tempo, influenzato senza colpa da idee pagane, si accingeva a metterle in pratica, se Dio stesso per mezzo dell’angelo non lo avesse disingannato e non gli avesse fatto conoscere la sua vera volontà: non sacrificare il figlio, ma sacrificare un ariete.  

L’esegesi del passato, ignara dell’evoluzione storica delle idee morali e del metodo storico-critico, che distingue i generi letterari e distingue il dato rivelato dalle idee dell’agiografo, prendendo tutti i racconti biblici in senso storico come realmente accaduti, prendeva le parole del testo biblico alla lettera così come allora suonavano e suonano ancor oggi, per cui non hanno avuto dubbi che quella fosse la volontà è di Dio.

Persino un San Tommaso d’Aquino, che negava la possibilità di un Dio volubile che smentisca o contraddica a se stesso, e affermando naturalmente cosa empia il credere a un Dio omicida – questo semmai è il diavolo -, un Tommaso così forte assertore della assolutezza, inderogabilità, immutabilità, universalità ed indispensabilità dei doveri morali, della legge naturale e dei divini comandamenti, in questo caso cede al volontarismo affermando, come sosterrà Ockham poco dopo di  lui, che Dio, istitutore della legge, è al di sopra della legge ed è sciolto dalla legge, perché è libero di fare quello che vuole. Se vuole una data cosa, vuol dire che è bene così.

Quanto ai luterani, discepoli di Ockham, non hanno nessun problema. Un Kierkegaard, col pretesto della concretezza dell’atto morale e della sua irripetibilità nella varietà e particolarità delle situazioni, prende spunto da questo episodio per negare una legge e un dovere uguali per tutti, ossia l’universalità ed obbligatorietà assoluta della legge naturale e per sostenere la sua tesi che ognuno di noi in quanto singolo, diverso dall’altro, riceve sempre da Dio un comando fatto solo per lui e obbedisce ad una legge particolare fatta apposta solo per lui.

L’esegesi del passato, per la sua mancanza, come ho detto, di senso storico, per l’arretratezza delle cognizioni storiche e del mondo fisico, per l’ignoranza dell’evoluzione delle idee morali e dei costumi,  nonchè  dei generi letterari e  per l’ignoranza  delle culture antiche,  non sempre applicò nel giusto modo il principio dell’inerranza biblica o lo estese eccessivamente, prendendo per dato rivelato cose superate, vecchie leggende, elementi spuri, passeggeri, contingenti ed, accidentali ed errori umani presenti nel testo sacro, e causando incresciosi equivoci e gravissimi inconvenienti durati per secoli e millenni, come furono per esempio il caso Galileo, l’idea dell’inferiorità della donna, la legittimità dell’invasione violenta di un territorio straniero, la teocrazia, la legge dello sterminio dei nemici e una visione di Dio eccessivamente antropomorfica.

Certamente in quest’opera di miglioramento dell’esegesi biblica, non è stata  sempre ben intesa come purificazione e chiarificazione del vero senso della Scrittura, ma è successo a volte ci si è anche lasciati guidare da un’idea storicistica, evoluzionistica e relativistica della verità, che ha corrotto e falsificato il dato rivelato causando in molti spiriti la perdita della fede o la caduta nell’eresia, e tuttavia il rimedio a questi mali non può che essere accompagnato dalla gratitudine a Dio per l’opera coraggiosa di quegli esegeti a volte incompresi e fraintesi, i quali, nella fedeltà al Magistero della Chiesa,  ci hanno aiutato nella vera comprensione della verità rivelata ed hanno preparato le conferme del Magistero della Chiesa.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 25 febbraio 2024

 

Abramo è lodato da Dio e premiato per la sua fede ed obbedienza, certamente.

Egli ha obbedito a Dio in quanto in buona fede, in un primo tempo, influenzato senza colpa da idee pagane, si accingeva a metterle in pratica, se Dio stesso per mezzo dell’angelo non lo avesse disingannato e non gli avesse fatto conoscere la sua vera volontà: non sacrificare il figlio, ma sacrificare un ariete.  


Immagine da Internet:
- Sacrificio di Abramo ed Isacco, miniatura, Bibbia di Padova

24 commenti:

  1. Mi scusi, Padre Cavalcoli, ma mi permetta una domanda. Lei dice che nell'esegesi moderna del racconto della Genesi capitolo 22, Abramo aveva frainteso il primo comandamento di Dio.
    Ma allora: quale era stato quel primo ordine di Dio? Cosa deve aver capito Abramo?
    Grazie.

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    1. Cara Maria Benedicta,
      le parole, che sente, Abramo ritiene in buona fede che siano Parole del Signore. E di fatti il testo biblico enuncia queste parole. A questo punto però bisogna che l’esegeta faccia molta attenzione, perché in passato si è creduto che fossero veramente Parole di Dio, come Abramo credette che fossero.
      Da che cosa si ricava che Abramo aveva capito male? Dall’intervento dell’angelo, che ferma la sua mano, dicendogli di non fare del male al figlio. Questo vuol dire che il primo comando non era Parola di Dio, perché Dio non può comandare di fare il male.
      Viceversa le parole dell’angelo rappresentano veramente la volontà divina, perché Dio non può volere un sacrificio umano.
      Allora, che significato ha questo episodio? Bisogna tenere presente che Abramo si era già reso gradito a Dio per la sua obbedienza e la sua fede seguendo la sua coscienza in buona fede.
      Quindi questo episodio ci mostra l’importanza della libertà religiosa, per la quale Dio si accontenta della buona fede, anche se la coscienza è erronea.

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  2. Caro padre Cavalcoli: credo che qui si riveli un errore grave di san Tommaso d'Aquino, ma un errore che non è direttamente imputabile alla sua esegesi superata, bensì un errore filosofico-teologico, nell'ammettere il volontarismo in Dio.

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    1. Caro Dino,
      certamente meraviglia in Tommaso questo atteggiamento volontaristico, quando si sa quanto egli ha la percezione dell’universalità della legge naturale. Probabilmente Tommaso ha voluto riprendere l’esegesi dei Padri, che vedevano nel sacrificio di Abramo una figura del sacrificio di Cristo.

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  3. Con tutto il rispetto, questa interpretazione moderna mi sembra scandalosamente infantile e riduce la "crux interpretum" a un giocattolo per bambini, togliendo ogni mordente alla scena biblica. Abramo diventa un vecchio sordo e Dio diventa un trasmettitore carente che per la prima volta nella storia sacra non riesce a farsi capire. Proprio tutta la forza di questo racconto sta nell'ordine di Dio e nella prova che Egli sottopone ad Abramo, che è figura della stessa prova che si compie nel sacrificio redentore di Cristo. Se questo viene sciolto, trasformiamo la Scrittura in una patetica commedia degli affari.
    Mi rammarico del disordine intellettuale che si manifesta in questo articolo, lontano da ogni teologia sistematica (dilettantismo forse?). Molto ridicolo che niente meno che San Tommaso d'Aquino possa chiamarsi volontario, la montagna porta topolini.

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    1. Caro Alessandro,
      nella mia interpretazione non c’è un Abramo poco intelligente e sordo o un Dio che non riesce a farsi capire. Il mio è un discorso completamente diverso.
      Come ho detto, Abramo era attentissimo alla volontà di Dio, solo che, influenzato da riti pagani, non ha ancora chiarito il fatto che Dio non può volere un sacrificio umano e scambia per volontà di Dio una idea proveniente appunto dai pagani.
      Quanto a Dio stesso, non è che non riesce a farsi capire. Questa sì che è una cosa ridicola. La questione è che capita che la volontà di Dio sia così trascendente, rispetto ai limiti della nostra ragione, che non c’è da stupirsi che essa la fraintenda. E ciò può capitare anche a persone intelligenti, di buona volontà e in perfetta buona fede, come fu Abramo.
      Per questo Dio lo avrebbe premiato anche se Abramo avesse ascoltato ciò che credeva essere la volontà di Dio, la quale invece si rivelò nella sua verità solo alla voce dell’angelo.

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    2. Dio non può comandare che venga fatto il male, ma non è male per Lui togliere la vita a qualcuno perché è il signore della vita e della morte. Abramo obbedendo all'ordine di Dio non fa il male perché è semplicemente l'esecutore testamentario del Signore. È sorprendente che lei, Padre, non se ne renda conto.

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    3. Non c'è volontarismo. Dio può togliere la vita a qualsiasi creatura, e questo non è sbagliato perché Egli è il signore della vita e della morte. Puoi ordinarlo anche tu. Altrimenti trasformeremo Mosè in un genocidio.
      Ed è lecito definire volontarista il Dottore Comune? E disprezzare l'esegesi che tutti i santi Padri hanno fatto del sacrificio di Abramo, inventandone una nuova del tutto bizzarra?

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    4. San Tommaso, nel sermone delle Catechesi sul quinto comandamento dice (n.133):
      "Altri affermavano che con questo comandamento era assolutamente vietata l'uccisione di un uomo. E affermano che i giudici che, secondo le leggi, pronunciano una sentenza di morte sono assassini. Contro di loro Agostino dice che Dio non si è tolto, mediante tale precetto, il potere di uccidere; e così leggiamo: Io do la morte e do la vita (Dt 32,29). Pertanto, chi lo fa per comando di Dio può lecitamente uccidere, perché allora è Dio che fa esso; e ogni legge è un comando di Dio: Per mezzo di me regnano i re e i legislatori stabiliscono ciò che è giusto» (Pr 8,15); Se fai il male, temi; egli non porta invano la spada, perché è ministro di Dio (Rm 13,4). E a Mosè viene ordinato: Gli stregoni non ti lasceranno vivere (Es 22,18). In una parola: ciò che è lecito a Dio, lo è anche ai suoi ministri quando agiscono per suo comando. Ed è chiarissimo che Dio non pecca, essendo autore delle leggi, quando impone la morte come punizione del peccato: 'Il salario del peccato è la morte' (Rm 6,23). Quindi nemmeno i suoi ministri. Il significato quindi è: Non uccidere da te stesso".

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    5. Caro Alessandro,
      Dio è Signore della vita e della morte nel senso che crea e fa durare la vita fino a quel termine che corrisponde al termine naturale della vita, come per gli animali, oppure, come nel caso dell’uomo, fino a quel termine che è conseguenza del peccato originale.
      Ciò vuol dire che esiste una differenza essenziale tra il significato della vita e quello della morte in rapporto a Dio. Infatti, mentre Dio vuole la vita dell’uomo, che, se non avesse peccato, sarebbe vissuto per sempre, Egli non ha voluto la morte per l’uomo, ma è l’uomo che se la è procurata da sé con il peccato.
      Quindi, quando si dice che Dio punisce con la morte, ciò non va inteso nel senso che Dio abbia il gusto di far morire, ma Dio sanziona semplicemente una decisione dell’uomo. Occorre tuttavia tenere presente che Dio per sua essenza fa vivere, non fa morire. Al contrario, è un Dio che risuscita i morti.
      Per quanto riguarda la vicenda del sacrificio di Abramo, non c’è alcun dubbio che si tratta di un sacrificio umano. Ci domandiamo: può Dio comandare un sacrificio umano? Se ci pensiamo, questa idea, che pure esiste in certi popoli, è un concetto religioso primitivo, privo di qualunque efficacia per il fatto che, come dice la Lettera agli Ebrei, ciò che avrebbe veramente salvato l’uomo sarebbe stato il sacrificio di Cristo, perché in quanto Dio aveva la possibilità di offrire al Padre una vittima tale da poter effettivamente liberare l’uomo dal peccato e dare soddisfazione al Padre.
      La maniera con la quale lei concepisce la volontà di Dio non è giusta, ma è il difetto caratteristico del volontarismo, che concepisce la volontà divina indipendente dal bene oggettivo. Bisogna ricordate che Dio vuole una data cosa perché è buona, e non che diventa buona perché la vuole.
      A meno che noi non ci riferiamo alla fede che dobbiamo avere in ciò che fa Dio, nel senso che, se avviene qualcosa che è buono in base alla fede, è bene che avvenga ed è voluto da Dio. Quindi si può dire che qualcosa è buono, perché è voluto da Dio, in quanto è la fede che ci fa capire che è una cosa buona, come il sacrificio di Cristo.
      Il sacrificio di Isacco è figura del sacrificio di Cristo, e in questo senso i Padri hanno visto nell’ordine di sacrificare Isacco la volontà divina, ma si tratta solo di una metafora o una allegoria.

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    6. Caro Padre Cavalcoli,
      non esiste un tale volontarismo. Dio non può volere il male, ma togliere la vita umana a un uomo non è male, perché Dio è il proprietario della vita. Oh, certo, Sodoma e Gomorra devono essere un'altra "metafora". L’esegesi modernista non fallisce mai.

      San Tommaso insegna chiaramente in più punti che Dio può comandare che venga eseguita la pena capitale su una persona determinata. Questo non è un male morale perché proprio Dio ha diritto sulla vita dell'uomo. O de sua proprietà. Manca solo dire che Gesù, rovinando i maiali di Gerasa, ha commesso un furto. Non c’è male morale quando Dio prende qualcosa che Gli appartiene. Il volontarismo sarebbe dire che Dio può ordinare di mentire o di commettere adulterio o di benedire le coppie di sodomiti. Questi sono mali morali, contrari all'Intelletto divino e quindi non possono essere governati dalla Sua Volontà.

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    7. Caro Alessandro,
      l’esegesi biblica progredisce nella storia della Chiesa grazie ad una sempre migliore comprensione del dato rivelato, che viene distinto da concezioni erronee o superate che dipendono dai limiti umani dell’agiografo. L’esegesi è opera umana, che come tale è fallibile. Solo l’interpretazione fatta dalla Chiesa è infallibile. Ma circa questo episodio di Abramo non c’è alcun pronunciamento della Chiesa. Esiste solo il lavoro degli esegeti, che, essendo un lavoro solo umano, va soggetto a miglioramenti e correzioni.
      Non c’è da meravigliarsi pertanto se gli esegeti di oggi si accorgono di errori commessi dagli esegeti del passato. Per esempio oggi ci si è accorti che la lapidazione o la pena del rogo è una pena orribile, che il dominio dell’uomo sulla donna non corrisponde al progetto originario divino, ma è una conseguenza del peccato originale; ci si è accorti che certi racconti biblici non sono racconti di fatti storici, ma sono racconti inventati per insegnarci qualche verità di fede; che il fatto che Israele abbia conquistato la Palestina cacciando e uccidendo la gente che vi abitava non è da attribuirsi alla volontà divina, ma ad un’idea sbagliata degli ebrei di allora, mentre è vero che Dio ha assegnato a loro la proprietà di quella terra, e così via.

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    8. Per questo, non dobbiamo meravigliarci che i Padri e S.Tommaso si siano sbagliati nell’interpretare il significato del sacrificio di Abramo. Infatti, non è in gioco qui una verità di fede, nella quale la detta interpretazione dei Padri e di S.Tommaso è esente da errore, ma si tratta di capire se veramente Dio abbia potuto ordinare a un padre di uccidere il proprio figlio per rendergli onore.
      Alla luce di una migliore conoscenza della natura divina oggi sappiamo più che mai che Dio vuole quella verità che ha concepito con l’intelletto, perchè il bene si fonda sul vero. Sappiamo che Dio è fedele e quindi che la volontà di Dio non può andare contro se stessa; sappiamo che l’oggetto della sua volontà non è la stessa volontà, ma il bene e la vita.
      Egli non agisce arbitrariamente con violenza e senza ragione come un tiranno, ma, sebbene i suoi decreti siano misteriosi e imperscrutabili, Egli è leale e giusto, sta ai patti e motiva quello o che fa. Sappiamo che è vero che Dio, essendo onnipotente, è libero di fare tutto quello che vuole e che non è soggetto ad alcuna legge, ma che tuttavia è impossibile che Egli vada contro quella stessa legge che è oggetto della sua volontà. Dio vuole la vita. È il diavolo che vuole la morte.
      Riguardo all’interpretazione del sacrificio di Abramo la Chiesa ha sempre concesso agli esegeti libertà d’interpretazione. Per questo la Chiesa ha permesso l’interpretazione del passato, ma non l’ha mai promossa a verità di fede. Per questo oggi, alla luce di una migliore concezione del sacrificio e della volontà di Dio, è legittimo e doveroso contestare quella interpretazione, cosa che sarebbe proibita se fosse verità di fede.
      Se l’angelo dice ad Abramo: "Non fargli alcun male!", si suppone che nell’ordine precedentemente ricevuto Dio avesse comandato ad Abramo di fare del male. Ora è mai possibile immaginare che sia stato Dio a volere una cosa del genere? Non è più logico pensare che Abramo, in perfetta buona fede e quindi innocentemente, avesse scambiato per un ordine divino una sua idea sbagliata del sacrificio? Non è questo il principio della libertà religiosa insegnato dal Concilio Vaticano II?


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    9. È vero che Dio può volere la pena di morte. Può anche volere che un popolo si difenda con le armi dall’aggressione di un altro popolo. Similmente, il giudice che condanna a morte il malfattore si può considerare ministro di Dio. Tuttavia bisogna considerare in questo caso che ciò che Dio vuole di per sé non è la morte del malfattore, ma vuole far giustizia, e questa è promozione e salvaguardia della vita, nella fattispecie il bene comune, al quale il malfattore ha arrecato offesa. La morte se la è tirata addosso il malfattore col suo crimine. Se muore, la colpa è la sua, non è colpa di Dio.
      Teniamo inoltre presente che il sacrificio cultuale (sacrum-facio=compio un’azione sacra) non comporta necessariamente l’uccisione della vittima, perchè di per sé il sacrificio non è altro che offrire un dono prezioso a Dio per ottenere la sua grazia, è un fare una buona azione per amor di Dio, è il dedicare a Dio un qualcosa di prezioso. Certo il sacrificio di Cristo è stato un sacrificio cruento, ma nulla impedisce che nella Messa questo sacrificio venga attualizzato o rappresentato in modo incruento.
      L’idea dell’uccisione o distruzione della vittima è un’idea arcaica sorta per esprimere il fatto che il donatore se ne priva affinchè appartenga solo a Dio. Ma in realtà l’umanità, dietro il concetto cristiano del sacrificio, ha successivamente spiritualizzato, perfezionato e nobilitato l’idea del sacrificio senza mettere in mezzo la morte, ha compreso che l’essenza del sacrificio è un atto d’amore e di obbedienza a Dio, per cui nulla impedisce che un bene offerto a Dio continui ad appartenere contemporaneamente a Dio e all’uomo, senza essere distrutto, purchè questi se ne serva per la gloria di Dio. Nella Messa non viene ucciso nessuno, perché Cristo è morto una volta per tutte; viene offerta una vittima che ora non è morta, ma è viva, perchè è Cristo risorto. E se noi dobbiamo morire con Cristo, già da adesso siamo risorti con Cristo.
      Così il concetto di sacrificio cultuale nella storia della religione è andato soggetto ad una progressiva e migliore attuazione della sua essenza, respingendo concezioni sbagliate o insufficienti. Questo progresso e questa correzione dell’errore sono documentati dalla stessa Bibbia. Lo scopo del sacrificio è quello di soddisfare a Dio per l’offesa che Gli abbiamo arrecata e di ottenere da Lui la remissione dei peccati.
      Sotto questo punto di vista un progresso decisivo nel concetto di sacrificio avviene col passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Qui non si tratta più di offrire a Dio degli animali e tanto meno il proprio figlio ma di offrire a Dio in Cristo la propria volontà. Siccome infatti il peccato ha provocato in noi la perdita di un bene divino, quale la grazia divina, mentre ci siamo procurati un danno che da soli non riusciamo a riparare, ecco l’insufficienza di offerte e l’obbrobrio di sacrifici umani, e la necessità di una espiazione, una soddisfazione e una riparazione che sia attuata dallo stesso Figlio di Dio, cosicchè noi in Lui possiamo ottenere il perdono divino.
      Il fatto che il Padre sacrifichi il Figlio per amor nostro e per avere soddisfazione dell’offesa del peccato non vuol dire che il Padre abbia voluto la morte del Figlio, benchè ovviamente la crocifissione comportasse la morte. Ma la morte di Cristo l’hanno voluta i loro crocifissori, che non intendevano affatto offrire un sacrificio a Dio, ma punire un malfattore. In tal modo il Padre ha ottenuto, mediante la croce del Figlio, la vita dalla morte e ha ricavato la giustizia dal peccato.

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    10. Caro Alessandro,
      io ho parlato di metafora o allegoria a proposito del significato figurativo e simbolico del sacrificio di Abramo nei confronti del sacrificio di Cristo.
      È evidente che il castigo di Sodoma e Gomorra non c’entra niente con la metafora, ma è un fatto storico, ossia un atto realmente compiuto dalla giustizia divina.
      Quello che possiamo recuperare nell’intento di Abramo di sacrificare il figlio, è la stessa valorizzazione della dignità umana e in particolare l’amore che un padre sente per il proprio figlio.
      Quindi, per quanto si debba dire che non ha senso pensare che l’umanità possa essere salvata da un semplice sacrificio umano, possiamo in qualche modo comprendere come Abramo abbia inteso offrire a Dio ciò che gli era di più prezioso.
      Inoltre è possibile che Abramo abbia fatto questo ragionamento metafisico: “Siccome io questo figlio l’ho ricevuto da Dio, egli appartiene più a Lui che a me. Quindi, se lo vuole, se lo può riprendere.”. Lo sbaglio di Abramo è di avere inteso questa restituzione come obbligo di uccidere il figlio. È questa l’idea arcaica del sacrificio, perché c’era l’idea che, per rappresentare il fatto che l’offerente si privava di ciò che offriva a Dio, l’offerente doveva distruggere l’offerta. Dov’è qui l’errore? Non ci si accorgeva che, per esprimere questo modo di rendere onore a Dio, si finiva col disprezzare quella vita umana, che pure è oggetto della volontà divina. Dio vuole che l’uomo viva e non che muoia.

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    11. Caro Alessandro,
      certamente Dio ha diritto sulla vita dell’uomo e certamente ha diritto di punire con la morte.
      Ma questo non vuol dire che Dio possa esigere un sacrificio umano, perché un sacrificio di tal genere sarebbe insufficiente a salvare l’umanità. Infatti, se l’umanità è salvata, essa è salvata non da un semplice uomo, ma dal Figlio di Dio, anche se il Figlio di Dio, che si è incarnato, ha utilizzato una natura umana, che ha patito ingiustizia.

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    12. Caro padre Cavalcoli,
      ammiro la sua pazienza e generosità nello spiegare questi problemi.
      Il suo sviluppo esplicativo è davvero molto utile. Lo leggerò e lo rileggerò.
      Ma devo farli una domanda.
      Lei menziona gli errori esegetici dei Padri della Chiesa, o di san Tommaso d'Aquino, e poiché in questo non è in gioco alcuna verità di fede, allora sia i Padri che san Tommaso sono esenti da errore contro la fede.
      Ora, nel volontarismo implicito attribuito a Dio, che esiste nell'esegesi di Tommaso, non c'è un errore di dottrina?

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    13. Caro Don Sabino,
      dobbiamo ricordare che tutti noi siamo soggetti all’errore, anche i più sapienti. Indubbiamente, se tra i Dottori della Chiesa ce n’è uno che insegna con maggiore fondatezza l’universalità della legge naturale e quindi la coerenza della volontà divina, questo è proprio San Tommaso.
      Tuttavia egli, condizionato dalla precedente esegesi dei Padri, privo dei mezzi che oggi disponiamo di una esegesi storico-critica e dall’altra parte desideroso di interpretare fedelmente il testo biblico, non ebbe altra soluzione che ricorrere al volontarismo, il quale è certamente un errore metafisico.

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  4. Se Dio volesse o meno un sacrificio umano non viene discusso qui. È controverso se Dio lo abbia effettivamente ordinato, per mettere alla prova la fede di Abramo, e poi revocare tale ordine. L'alternativa è che Abramo fosse sordo e anche pazzo, perché in nessuna cultura è obbligatorio sacrificare il primogenito. La sua ipotesi, ampiamente utilizzata da modernisti e progressisti, è insostenibile. Quando Dio parla nella Bibbia è inconfondibile, nessun personaggio è confuso e crede di aver sentito qualcos'altro. Più Abramo che aveva parlato faccia a faccia con la teofania dell'Encinar de Mambré.

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    1. Caro Anonimo,
      se noi stiamo alla lettera del testo, è evidente che qui Dio si contraddice, perché prima ordina di uccidere e poi blocca la mano omicida.
      Quanto all’ipotesi che, secondo la mia interpretazione, risulterebbe considerare Abramo come pazzo o come sordo, è un’ipotesi che non è assolutamente necessaria. Invece del tutto ragionevole è la mia interpretazione, la quale, come ho già detto più volte, suppone la buona fede, che può essere presente anche nelle persone più sapienti.
      Ora, Abramo, per quanto fosse sapiente, era pur sempre un uomo fallibile come tutti noi. Quindi non c’è nessun problema ad ammettere che Abramo si sia sbagliato o abbia capito male. Ciò non toglie che Dio sia stato contento di Abramo, per il fatto che egli era pronto ad obbedire anche se aveva frainteso la vera volontà divina, che gli viene rivelata dall’angelo, il quale gli impedisce di fare del male ad Isacco.

      Per quanto riguarda San Tommaso, il suo errore metafisico dipende dal fatto che egli equivoca sul principio da lui enunciato secondo il quale “Dio è autore della vita e della morte” (Sum. Theol. I-II, q.104, a.4 ad 2m).
      Infatti questa idea che Dio possa essere autore della morte è un concetto che contraddice all’infinita bontà divina. Secondo la Bibbia, autore della morte non è Dio, ma è il diavolo.
      In realtà nella storia delle religioni, per esempio in India, la dea Schiva è la dea che dà la vita e dà la morte, rappresentata dal simbolo della svastica. Questo concetto si trova anche nella massoneria esoterica, nella Kabbala, in Hegel e in Von Baltasar.
      Una cosa che può essere interessante, e che San Tommaso fa propria, è il paragone che la Lettera agli Ebrei (Eb 11, 19) fa tra Isacco e Gesù Cristo: come Gesù Cristo risorge dai morti, così Isacco sarebbe risorto dai morti.
      Ora è possibile che Abramo sapesse già questa cosa, per cui, come dice la Lettera agli Ebrei egli obbedì volentieri ad uccidere il figlio, sapendo che Dio lo avrebbe fatto risorgere. Tuttavia, stando alle promesse che Dio fa ad Abramo, secondo la narrazione biblica, la promessa di far risorgere i morti non la troviamo, ma soltanto troviamo la promessa di una numerosissima discendenza e il possesso di una terra dove scorre latte e miele.

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    2. Caro padre Cavalcoli,
      mi sorprendono le lacune elementari della sua conoscenza, paragonabili solo all'audacia di criticare san Tommaso e di definire un errore metafisico l'enunciato della Summa. L'idea che il Signore dia la morte e dia la vita è un luogo comune biblico. Non Shiva. La Bibbia.
      Potrebbe trattarsi di un errore metafisico, ad esempio, anche in 1 Samuele, 2-6?
      Ma ovviamente ora inventerà che la profetessa Anna fosse una volontaria e avesse torto nel suo Cantico. I liberali modernisti moderati inventano tutto...

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    3. Caro Roberto,
      effettivamente io leggo in 1 Sam 2,6: “Il Signore fa vivere e fa morire, scendere agli inferi e risalire”. A tutta prima sembrerebbe che qui si voglia presentare un Dio che voglia la morte o il peccato. Questa interpretazione di Dio la troviamo nella Kabbala e corrisponde alla dea Sciva dell’Induismo. E’ inoltre il Dio di Hegel.
      Viceversa il vero Dio biblico, se vuole la morte, non la vuole per il gusto di far morire, ma la vuole come pena del peccato e come esercizio della penitenza. Se volesse la morte per la morte, sarebbe un Dio crudele, come il dio del male del manicheismo. La Scrittura dice chiaramente che l’autore della morte non è Dio, ma è il diavolo.
      Invece, il Dio cristiano vuole la morte, che è conseguenza del peccato, per utilizzarla al fine di ottenere da essa, grazie alla Croce di Cristo, la liberazione dalla morte, dalla sofferenza e dal peccato, e inoltre al fine di ottenere da essa la vita e la resurrezione.
      Perché allora la Scrittura si esprime come nel suddetto passo? Che cosa intende dire? È chiarito dal passo successivo, che dice: “Il Signore rende povero ed arricchisce, abbassa ed esalta, solleva dalla polvere il misero, innalza il povero dalle immondizie”. Qui si tratta solamente della giustizia e della misericordia. In base alla giustizia, Dio abbassa, cioè punisce; in base alla misericordia, esalta.

      Per quanto riguarda San Tommaso, è noto come questo Dottore eccelle nel dar fondamento alla legge naturale nella sua universalità, immutabilità ed indispensabilità, il cui contrario è ciò che San Giovanni Paolo II, nella Veritatis Splendor chiama “intrinsece malum”, cioè ciò che è sempre male senza eccezione.
      Questo vuol dire che Dio vuole sempre la vita e non vuole la morte, a meno che essa non sia la morte della morte, ossia la morte di colui che sopprime la vita, il che corrisponde alla pena di morte e anche alla pena dell’inferno.
      Ora, in base a queste considerazioni non si può assolutamente dire che Tommaso sia un volontarista, come invece lo possiamo dire per Ockham, per Lutero e per il Corano. Per questo bisogna dire che la sua interpretazione del sacrificio di Abramo è solo una piccola macchia in un abito completamente bianco.
      Perché San Tommaso non è volontarista? Perché egli spiega con chiarezza che la volontà si basa sull’intelletto, che coglie il vero. Ora, il vero appare come bene alla volontà. Qual è il difetto del volontarismo? È trascurare il fatto che il bene è il vero, che è l’oggetto dell’intelletto.
      San Tommaso inoltre ha accolto l’interpretazione che del sacrificio di Abramo è stata fatta dalla Lettera degli Ebrei 11,19: “Pensava che Dio è capace di far risorgere dai morti”.

      Se San Tommaso avesse potuto far uso al suo tempo dell’esegesi storico-critica, sarebbe arrivato allo stesso risultato a cui sono giunto io. La vera maniera di essere discepoli di San Tommaso è proprio quella di riconoscere che non è infallibile in tutte le conclusioni e che, se fosse vivo oggi, affronterebbe la teologia in dialogo con lo sviluppo e le sfide delle scienze odierne, come ci viene oggi insistentemente indicato da Papa Francesco.

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  5. Caro padre Cavalcoli,
    l'argomento di questo articolo mi ha interessato molto, ed è per questo che ho visto i suoi dialoghi con i lettori sulla sua pagina Facebook.
    Uno dei suoi lettori ha commentato:
    "Dio non ha contemplato nessun omicidio,penso solo che volesse provare la fede di Abramo ed evidentemente ha visto che era sincera e devota".
    E allora lei gli hai risposto: "Abramo superò la prova già nel primo momento in cui egli credette che Dio gli avesse veramente comandato di uccidere il figlio. E Dio interviene e manifesta veramente la sua volontà".
    La mia domanda è:
    Come fai a sapere? Ha un tunnel temporale? Che presunzione dei modernisti moderati come lei...

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    Risposte
    1. Caro Roberto,
      lo so dal fatto che Dio non può comandare l'omicidio. Se quindi il testo biblico si esprime presentando il comando di uccidere come comando divino, vuol significare che questo comando non fu un vero comando divino, ma ciò che Abramo in buona fede credette essere comando divino. Ma Dio stesso si premura successivamente di avvertire Abramo circa la sua vera volontà per mezzo della voce dell'angelo, che gli proibisce di compiere un delitto ("non fargli alcun male!").

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