26 aprile, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 9 (1/2)

 

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 9 (Parte 1/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 16 (A-B)

Bologna, 24 marzo 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

 

… appunto l’oggetto, il fine e le circostanze.

Ebbene, la moralità dell’atto umano interno è una sola e S.Tommaso ci spiega anche perchè è una sola, perchè dall’atto interno dipende ovviamente causalmente l’atto esteriore. E quindi è giusto che ciò che è principio sia più semplice del principiato o derivato. Quindi, la moralità dell’atto umano interno o meglio della parte interna dell’unico atto umano, deriva dal fine, unicamente dal fine, perché abbiamo visto che in fondo moralmente parlando l’atto umano è una unità.

Vedremo invece come la moralità dell’atto esterno deriva dalle altre due fonti, cioè dall’oggetto, che viene posto in qualche modo in atto, e viene realizzato nelle circostanze più o meno dovute. Quindi la moralità è tratta dall’oggetto e dalle circostanze. 

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 https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/trattato-sugli-atti-umani-p-tomas-tyn_26.html


Tutti i mezzi dipendono sempre dal fine. Pensate che qui si tratta non dell’atto umano nella sua integrità, per così dire, ma solamente dell’atto umano esterno. E S.Tommaso insiste su di una cosa molto importante. E cioè che l’atto umano esterno ha una moralità sua insita in esso e indipendente dai fini più o meno edificanti che ci mette la volontà.  

Di nuovo torna questo realismo tomistico, che trova quindi la sua controparte morale nel realismo epistemologico. Siccome S.Tommaso è convinto che noi non proiettiamo interiormente la verità nelle cose, ma riconosciamo le cose vere come sono in se stesse; similmente nell’agire umano, certamente ci sarà anche il rapportare il nostro agire esterno a dei fini, che conserviamo dentro di noi, nel segreto del nostro cuore, in pectore, come si dice. Ma anzitutto sarà da considerare che ogni azione esterna, prima ancora di essere rapportata dall’agente al suo fine interiore, è già moralmente qualificata in se stessa. Non è quindi possibile dire: io ho voluto far bene, ho avuto tante, tante belle intenzioni; sì, mi è capitato di svaligiare una banca, ma ho voluto far bene. Non è possibile.


Quindi, bisogna che siano corrette le circostanze, che sia corretta la materia dell’atto e che sia corretto il fine per il quale si agisce. Come è un’azione moralmente corrotta quella di dare l’elemosina, atto esterno buono, per un motivo interiore disordinato, per esempio vanagloria, così è altrettanto disordinato fare un’azione esteriormente sbagliata, per esempio prostituirsi, con un fine buono, assicurare il bene economico della famiglia.

Quindi, in sostanza, bisogna che sia buono tutto, che siano buone le circostanze, la materia e il fine. E qui vedete che non tutta la moralità dell’atto complessivo dipende dalla sola volontà. Non basta volere. Bisogna volere e agire bene. Cioè bisogna che la volontà, che è motrice delle facoltà, a livello dell’azione, muova a un’azione esterna, che a sua volta sia buona. Quindi bisogna che tutto sia in una armonia del bene, cioè che sia buona sia la volontà interiore che l’atto esterno, che essa pone in atto. 

Immagini: Padre Tomas Tyn, ospite delle Suore Domenicane di Santa Caterina (Bologna)

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