Mediatori di pace - Seconda Parte (2/4)

 

 Mediatori di pace

Seconda Parte (2/4)

 Seconda parte. Come risolvere il problema

Che cosa occorre al mediatore di pace

per essere costruttore di pace

L’etica cristiana ha tra i principali suoi obbiettivi l’edificazione della pace e della riconciliazione: dell’uomo con Dio e degli uomini fra loro. Per ottenere questo scopo il cristiano deve sconfiggere i nemici della pace: la falsità, il peccato, la malizia, la carne, il mondo e Satana. Se il cristiano facesse pace con questi nemici non sarebbe vero amico della pace, ma una persona doppia e disonesta. Non si può stare ad un tempo con Cristo e con Satana. Non si può adorare ad un tempo Dio e il mondo.

La pace è dunque sì frutto del dialogo, della discussione, della trattativa, della mitezza, della dolcezza, della carità, della pazienza, del sacrificio, della giustizia, della misericordia, e del buon esempio, ma è anche effetto della vittoria e dell’assoggettamento dei nemici della pace, affinchè cessino di disturbare e dividere i pacifici mettendoli gli uni contro gli altri.

La pace per la Scrittura è in ultima istanza un dono messianico, è la condizione escatologica del cristiano al di là dei conflitti e delle miserie della presente vita morale, sofferente delle conseguenze divisive del peccato originale, benchè fin da ora sia possibile e doveroso iniziare nella Chiesa l’edificazione della pace escatologica.

L’uomo di pace opera una sintesi, una conciliazione che suppone una separazione del vero dal falso, del buono dal cattivo, delle pecore dai capri, del grano dalla zizzania, dei giusti dagli ingiusti. Infatti quale collaborazione, quale dialogo, quale sintesi ci può essere fra il sì e il no, fra il vero e il falso, tra il peccato e la grazia?

Per questo è illusorio credere, come fa Massimo Borghesi[1], che la comunione fraterna, la coesistenza pacifica e la concordia nella Chiesa siano assicurate dalla semplice dialettica, la quale svolge sì un lavoro utile, ma solo iniziale e provvisorio, non risolutivo quale quello assicurato dal sapere.

La vera concordia, l’appianamento dei contrasti, la vera riconciliazione ed unione dei cuori, lo spegnimento delle liti, delle contese e delle polemiche, l’estinzione delle divisioni e delle contrapposizioni, l’ascolto e l’integrazione reciproci, la soluzione dei conflitti  nel rispetto delle differenze e delle diversità e nella libertà e pluralità delle opinioni e delle scelte personali, suppone la conoscenza e la pratica da parte di tutti del bene comune e di ognuno dei propri specifici doveri,  sicchè ognuno è al suo posto nel rispetto dell’ordine e della giustizia. 

La dialettica, per quanto utile e necessaria in un’umanità come la presente, afflitta dalle conseguenze del peccato originale, dove è impossibile evitare errori e falsità, e che non si verifichino conflitti, guerre, violenze, equivoci, dissensi, contese e litigi, svolge il compito  di riconoscere e analizzare le contraddizioni, le antinomie e i contrasti, confrontare gli opposti, considerare i contradditori, vedere quali sono i contrari e le forze ostili, chi sono gli amici e chi sono i nemici, quali sono i termini dei conflitti e dei contrasti.

Ma, fatto questo, non basta mettere tutto assieme forzatamente e coprire tutto pensando che ciò sia sufficiente per operare la «sintesi»: no! Hegel pensa che sia addirittura dovere e potere della sintesi mantenere il conflitto degli opposti, mentre secondo lui il separarli comporterebbe il «soccombere alla contraddizione».

In realtà è vero tutto il contrario: lo scioglimento della contraddizione, che egli identifica con l’opposizione contraria, avviene proprio con la separazione del sì dal no, del bene dal male, con l’affermazione del sì contro il no e del bene contro il male. Così fece Cristo, nel quale, come dice San Paolo, non c’è stato il sì e il no, ma solo il sì[2].

Con l’analisi della situazione e delle difficoltà il lavoro è appena impostato e cominciato. Adesso alla luce di criteri di giustizia il pacificatore, che normalmente dovrebbe essere la guida della comunità, mettendo in luce i valori comuni e correggendo i difetti delle due parti, deve farle incontrare, al fine di spegnere l’inimicizia, sui valori comuni nel rispetto delle legittime differenze e diversità. Questo significa costruire la pace. Sennò si rischia di attuare una copertura ipocrita e la guerra torna a riesplodere alla più piccola occasione.

Sbagliato è anche il metodo rivoluzionario di origine marxista, che ritroviamo nella teologia della liberazione di Metz e Gutiérrez, che si illude di assicurare la pace nella Chiesa facendo ricorso alla violenza anziché alla paziente costruzione dello sviluppo e all’opera riformatrice nella continuità con i valori tradizionali.

Massimo Borghesi ci narra che cosa è successo nella Chiesa in Argentina negli anni ’60-’70 del secolo scorso per aver messo in pratica le idee rivoluzionarie della teologia della liberazione. Il che non toglie che in essa vi siano elementi positivi, tali da contribuire all’affermazione della giustizia sociale, eventualmente con la stessa insurrezione contro una tirannide.

Le regole della pace

Il costruttore di pace in questa vita deve dunque, con l’aiuto della grazia, in un continuo cammino di pacificazione di se stesso col prossimo e con Dio incessantemente adoperarsi per ricostruire i legami spezzati, accorciare le distanze, sanare i conflitti e le piaghe, appianare i contrasti, favorire il perdono reciproco, allontanare la tentazione alla violenza, promuovere i valori comuni, spegnere gli odii e i rancori, accendere nei cuori il fuoco della carità.

La pace in generale è la comune fruizione del vero e del bene, nella tranquillità ordinata dei diversi armoniosamente e giustamente congiunti. La pace esclude l’agitazione, l’affanno, la tristezza, il turbamento, la discordia, l’irrazionalità, l’inquietudine, la disarmonia, la divisione, l’insensatezza, il brutto, la sproporzione, l’insoddisfazione, il conflitto, l’odio, la violenza, la guerra, la contraddizione, l’incoerenza, ma è quiete, stabilità, armonia, sicurezza, amore, dolcezza, unità, pacatezza, autocontrollo, ragionevolezza, gioia, bellezza, calma, ordine, soddisfazione, concordia, tranquillità, giustizia, proporzione.

La pace è la convergenza della buona volontà dei molti sulla base della conoscenza e della pratica del vero bene. Ecco al riguardo un elenco di norme per i costruttori di pace:

1.    Evitare la doppiezza e l’ambiguità: patti chiari, amicizia lunga.

2.    Rispettare la diversità, ma non confonderla con la falsità o la illegittimità.

3.    Congiungere tra di loro i valori reciprocamente complementari.

4.    Togliere ciò che causa ed alimenta il conflitto.

5.    Far presenti ai contendenti i valori che li accomunano.

6.    Escludere e combattere ciò che è contrario alla pace.

7.    Essere imparziale e giudicare da un punto di vista unificante e sintetizzante, accettato dalle due parti, punto di vista superiore all’unilateralità delle due parti.

8.    Incentivare nei contendenti la reciproca sopportazione.

9.    Conquistarsi con onestà e senza doppiezze e ambiguità la stima da ambo le parti in lotta accordandosi su di un valore comune accettato da entrambe.

10.          Proporre un fine o valore intermedio ed appetibile, condiviso dalle due parti che faccia da collegamento tra di loro e spinga alla loro collaborazione.

11.          Scoprire da che cosa dipende e qual è l’origine della discordia.

12.          Estinguere l’inimicizia mostrando ai nemici i lati buoni dell’avversario.

13.          Dare l’esempio di una condotta pacifica.

14.          Saper indicare ai contendenti per quali vie e a quali condizioni possono raggiungere la conciliazione, l’accordo e la pace.

15.          Cancellare o sfatare pregiudizi sfavorevoli nei confronti dell’avversario.

16.          Offrire motivi d’interesse nei confronti dell’avversario.

17.          Per ottenere la pace e quell’unione o sintesi fra i diversi che essa comporta, non è sufficiente la pratica o la promozione della dialettica, perché essa si ferma all’opposizione, sia pur lecita, fra il sì e il no, per cui le due parti si escludono a vicenda, ma occorre il principio o metodo analettico, che concilia la molteplicità con l’unità.

18.          Combattere i nemici della pace.

19.          Soffrire per la causa della pace.

20.          Ammettere solo le opposizioni e i contrasti di opinione che non mettano in discussione i valori comuni, perché non c’è pace se non nell’unità e nella verità. Come dice Sant’Agostino: in dubiis libertas, in necessariis unitas, in omnibus caritas.

Come applicare queste regole

per creare pace e concordia nella Chiesa di oggi

Quali sono le parti in conflitto e quali sono i loro punti di contrasto? Si tratta di due categorie notissime ormai da sessant’anni, presenti anche ai lavori del Concilio, e che rispondono in fondo a due categorie perenni della storia dello spirito: i cosiddetti conservatori o tradizionalisti e i cosiddetti progressisti, che forse meglio potremmo chiamare modernisti, anche se occorre distinguerli. Per progressisti infatti potremmo intendere semplicemente quelli che badano al progresso senza uscire dall’ortodossia cattolica e modernisti, quelli che possono essere riallacciati ai modernisti dei tempi di San Pio X e quindi chiaramente eretici.

Tra questi il gruppo più consistente ed influente sono i rahneriani, i quali, senza mai essere stati ufficialmente censurati, ma anche senza mai essere stati raccomandati o appoggiati dai Sommi Pontefici, sono riusciti, per l’abilità della loro sofistica, ma anche indubbiamente per il valore delle dottrine da loro propugnate, presenti in quelle del Concilio, ad acquistare un enorme prestigio, senza che i Pontefici del postconcilio siano riusciti  a frenare questo movimento, che, presentandosi come araldo del Concilio, in realtà ha impedito che desse quei frutti che esso si proponeva provocando un regresso anziché un progresso nella vita della Chiesa e nel costumi morali del popolo di Dio.

Il danno fatto dal modernismo sta nel portare avanti un concetto sbagliato di progresso sulla base di una concezione dialettica e non analettica del sapere e del dialogo, ossia basata non sul sì, e l’opposizione od esclusione del no, ma sulla duplice affermazione del sì e del no, da cui il vizio della duplicità o doppiezza e il servizio a due padroni, anziché ad uno solo, che è la verità, il che comporta non l’inclusione ma l’’esclusione del falso.

In altre parole, l’onestà e la lealtà del pensare, fondamento dell’onestà dell’agire, richiede non l’inclusione del terzo, ossia del sì-no, ma la sua esclusione rigorosa e senza dubbi, oscillazioni, incertezze o cedimenti o compromessi. È invece la disonestà e doppiezza nel pensare, del parlare, nel ragionare, nel discernere, nel giudicare, nel dialogare e nel discutere la radice prima dei conflitti in atto oggi nella Chiesa, in particolare fra lefevriani e modernisti.

Questa disonestà produce una serie di mali  come i conflitti artificiali rancorosi  e velenosi, discordie, divisioni, contese, menzogne, astuzie, parzialità, faziosità, rigidezze, ripicche, provocazioni, malignità, calunnie, chiusure e ristrettezze mentali, piccinerie, fraintendimenti,  laddove dovrebbero affermarsi la carità, la sincerità,  la giustizia, la schiettezza, l’unità, l’universalità, la comunione, la comprensione, la misericordia, la   benevolenza, la benignità, la magnanimità, la flessibilità, la duttilità, l’adattamento, l’apertura di mente, la congiunzione, la sintesi, l’unione, l’armonia, la corrispondenza, la proporzione, la reciprocità, la  convergenza e l’accordo.

Anche la tendenza tradizionalista si divide in un’ala scismatica, riconducibile a Marcel Lefebvre, ma oggi più che mai attorniata da diverse forme, alcune che restano nel solco del cattolicesimo e quindi in comunione col Papa, altre che sconfinano nell’eresia, come quella che accusa di eresia l’attuale Pontefice. Alcuni sono dunque strettamente lefevriani, in quanto legati alla Fraternità S.Pio X,  altri che potremmo definire filolefevriani, per sola somiglianza di idee, che oggi il Papa chiama «indietristi».

La pace non si costruisce con la dialettica, ma con l’analettica.

Dialettica ed analettica sono due opposti modi di pensare e di procedere nel pensare basati su due opposte concezioni dell’essere. La dialettica si basa su di una concezione univoco-equivoca dell’essere. Essa concepisce l’unità e l’identità come univoca e il molteplice-diverso come equivoco, in modo tale che per distinguere e diversificare, separa e contrappone; e non sa unire; e invece di unire, confonde. Ne risulta che il falso e il male non è che il diverso. Mentre il diverso è il falso, il male, il nemico, l’odioso da eliminare ed escludere.

L’etica che nasce da questa orribile concezione dell’essere non può che essere l’etica della violenza, e quindi della distruzione dell’altro, un’etica che esclude l’altro per principio, proprio in quanto altro, e include ciò che dovrebbe essere escluso ed evitato, ossia il falso, il male, legittimando il peccato.

Che cosa infatti è la violenza se non costringere qualcuno a fare o non fare ciò che vuole? A fare qualcosa controvoglia? Certo essa va distinta dal giusto uso della forza nel conflitto bellico o dalla coercizione legale, per la quale il giudice obbliga il reo ad assoggettarsi alla giusta pena, anche se egli non l’accetta. Per costituire la violenza non basta quindi la semplice coercizione, ma deve mancare una giusta causa o un giusto fine. Viceversa la giustizia ha il diritto di valersi, quando è necessario, di un moderato uso della forza.

Occorre inoltre ricordare che la violenza dell’agire nasce dalla violenza nel pensare, il che è appunto la caratteristica della dialettica hegeliana[3], per la quale il no si oppone al sì non come il vero si oppone al falso, ma per il semplice gusto di contraddire. È chiaro allora che la messa in pratica di tale intenzione non potrà essere che la volontà di costringere l’altro ad accettare il no oppostogli dall’avversario, senza che questi lo abbia motivato, ma per il semplice gusto di contraddire e di imporre all’altro la propria volontà. Ci domandiamo come un simile modo di procedere può garantire nella Chiesa la tranquillità e la pace

Il bello è che è proprio la mentalità dialettica, che trova la sua piena espressione ed apoteosi della dialettica di Hegel, si vanta di costruire la pace contro l’etica fondata sull’analettica, ossia su di una concezione analogica e partecipativa dell’essere.

C’è da dire infatti che la dialettica si dibatte fra l’univoco e l’equivoco in modo tale che non riesce a comprendere l’unità nella diversità dei molti. Siccome non conosce altro che l’opposizione tra affermazione e negazione, essa per giustificare l’altro, il diverso o il simile, non ha altro strumento che la negazione.

Così, come dice Fichte, l’altro è semplicemente un non-io, come a dire che mi nega, mi esclude, non mi vuole, non mi ama, è mio nemico. E io, d’altra parte, per affermare me stesso, devo negare lui. O io o lui. Tertiun non datur. Mors tua vita mea. Devo odiarlo. Ecco dunque la violenza che sostituisce l’amore. Come è possibile in questa visione la convivenza pacifica tra gli uomini?

La soluzione dialettica propone di eliminare l’opposizione fra l’essere e l non-essere, tra il sì e il no, tra il vero e il falso, tra il bene e il male. Essi devono essere «sintetizzati». L’opposizione non dev’essere unificata. Dall’opposizione deve sorgere l’identità.

Ma come? Non si tratta di dire sì a ciò che è sì e no a ciò che è no, come dice Cristo, ma di dire sì e no simultaneamente e congiuntamente. Una medesima cosa è e non è, è vera e falsa, è buona e cattiva, vera per te, falsa per me, buona per te, cattiva per me. Tutti hanno ragione, pur contraddicendosi. Tutti sono buoni pur odiandosi. Tutti si salvano, anche gli atei e i bestemmiatori. È il principio del buonismo.

Ma il buonismo nasconde l’odio più feroce, inesorabile e irrimediabile proprio perchè istituzionalizzato e legalizzato, e quindi logico e necessario alla «sintesi», all’«unità», all’«identità» e alla «pace» dell’umanità. Questa è la logica di Hegel. E questa è la pace assicurata dalla dialettica.

Come invece funziona l’analettica? Che cosa è l’analettica? È il ragionare analogico o per analogia, in base all’analogia dell’essere. Questo concepire e questo ragionare sa cogliere nella Chiesa l’unità nella varietà o nella molteplicità. Sa che cosa non muta e che cosa può mutare. Distingue l’universale dal particolare, il necessario dal contingente, l’essenziale dall’accessorio.

Fine Seconda Paret (2/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 6 gennaio 2024

 

Dialettica ed analettica sono due opposti modi di pensare e di procedere nel pensare basati su due opposte concezioni dell’essere. La dialettica si basa su di una concezione univoco-equivoca dell’essere. Essa concepisce l’unità e l’identità come univoca e il molteplice-diverso come equivoco, in modo tale che per distinguere e diversificare, separa e contrappone; e non sa unire; e invece di unire, confonde. Ne risulta che il falso e il male non è che il diverso. Mentre il diverso è il falso, il male, il nemico, l’odioso da eliminare ed escludere.

L’etica che nasce da questa orribile concezione dell’essere non può che essere l’etica della violenza, e quindi della distruzione dell’altro, un’etica che esclude l’altro per principio, proprio in quanto altro, e include ciò che dovrebbe essere escluso ed evitato, ossia il falso, il male, legittimando il peccato.

Come invece funziona l’analettica? Che cosa è l’analettica? È il ragionare analogico o per analogia, in base all’analogia dell’essere. Questo concepire e questo ragionare sa cogliere nella Chiesa l’unità nella varietà o nella molteplicità. Sa che cosa non muta e che cosa può mutare. Distingue l’universale dal particolare, il necessario dal contingente, l’essenziale dall’accessorio.

Immagini da Internete:
- La lettrice, Jean-Honoré Fragonard, 1776, Washington
- Aracne (o La Dialettica), 1575-77, Il Veronese, Venezia

[1] Cf il suo libro Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book, Milano 2017, pp.29-52 e79-102.

[2] II Cor 1,18-19.

[3] Occorre quindi distinguere accuratamente la dialettica hegeliana da quella aristotelica, che non ha alcuna pretesa decisionale, ma, per la sua forma probabilistica ed opinativa, lascia spazio ad opzioni contrarie, altrettanto libere e legittime.

1 commento:

  1. Caro padre Cavalcoli,
    eccellente, molto ben fondato ed espresso. Il problema, purtroppo, è che la fonte dell’unità è diventata la fonte della divisione e della discordia. Ma non insisto su questo, perché so che non sei d'accordo con la mia analisi, abbiamo già parlato diffusamente di questo argomento in un'altra parte della sua pubblicazione...

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