Modernità modernismo postmodernità

 

Modernità modernismo postmodernità

La parabola del figliol prodigo[1]

La postmodernità è la situazione spirituale di oggi, allorchè ci troviamo in mezzo alle conseguenze disastrose, al nichilismo, alle conflittualità, alla disillusione, al disorientamento, al disgusto, allo scetticismo, ai detriti e alle macerie del crollo di quella modernità, che i cartesiani, per propagandare efficacemente la filosofia di Cartesio, chiamarono «filosofia moderna».

E di fatto fu tanto abile la loro opera di convincimento, che essi convinsero moltissimi, persino gli storici della filosofia e gli stessi nemici di Cartesio a ritenere che la sua fosse veramente la «filosofia moderna», la vera filosofia.

Essi credettero che la scoperta formidabile e rivoluzionaria di Cartesio  fosse effettivamente quella modernità che aveva superato per sempre le precedenti infelici età, compresa quindi quella della Bibbia, allorchè la verità era scambiata con la leggenda e con la favola, età miserabili, prive della luce solare della ragione, età vaganti nel dubbio, nell’illusione, nelle parvenze e nell’incertezza insuperabile di una molteplicità di opinioni, tra le quali era impossibile stabilire quale fosse quella vera, perché mancava il criterio certo e inconfutabile per sapere quale fosse la verità: questa verità definitiva era il cogito inventato da Cartesio.

In tal modo, basandosi sul famoso cogito cartesiano nacque in Germania il cosiddetto «idealismo trascendentale», fondato da Kant e sviluppato da Fichte, Schelling ed Hegel, cominciò ad edificare con immensa fiducia e sicurezza quello che finalmente si riteneva essere il vero edificio o sistema indistruttibile del sapere assoluto, una riedizione dell’antica gnosi e una consacrazione dell’antica sofistica greca, al posto del precedente rozzo e volgare realismo tomista della Chiesa cattolica, che si giudicava puerile, precritico, ingenuo e tutto sommato illusorio.

Ma che cosa in realtà è successo? Che spingendo fino alle estreme conseguenze  il cogito cartesiano si è giunti fino al panteismo di Hegel, all’evoluzionismo di Darwin, al materialismo ateo di Marx, al positivismo di Comte, al superomismo di Nietzsche, al pansessualismo di Freud, all’idealismo di Gentile, filosofo ufficiale del fascismo e all’ontologia di Heidegger, filosofo ufficiale del nazismo, filosofie, le quali, messe in pratica dalla Germania nazista, hanno scatenato la seconda guerra mondiale contro l’umanesimo cristiano e la civiltà cristiana europei nell’intento di distruggere sia la Chiesa, popolo della Nuova Alleanza, sia Israele, popolo dell’Antica Alleanza per instaurare il regno, come lo chiama Hegel, del Weltgeist, lo «Spirito del mondo», la stessa espressione che San Paolo usa per designare il regno di Satana.

Oggi, dopo gli immani disastri del secolo scorso, crollati i miti del fascismo e del nazismo, ma non quello del comunismo marxista e l’ideale sionista-massonico ed esoterico della gnosi (quindi la Kabbala), con un panteismo indiano e buddista più che mai seducenti, con un fondamentalismo islamico inesorabile, con un luteranesimo boccheggiante, ci stiamo accorgendo che la modernità cartesiano-hegeliana è finita, ha fallito, è andata in mille pezzi, che sono il falso pluralismo costituito dalla pluralità caotica delle attuali correnti filosofiche in circolazione, dove è affermato tutto e il contrario di tutto, dove tutti sono contro tutti, tot capita quot sententiae.

Oggi è rinata una nuova raffinatissima sofistica peggiore di quella greca, perché adesso si corrompono anche le verità della fede cristiana, che i pagani non conoscevano ed è chiaro che è peggio corrompere la fede che non la ragione.

Con Cartesio abbiamo voluto godere dei nostri beni strappati a Dio e ci siamo allontanati da Lui, imboccando una via ed abbracciando una vita che ci ha condotti a nutrirci delle carrube dei porci. Ma ora non abbiamo neppure qualcuno che ce le dia.

Siamo capaci di riconoscere a che cosa ci siamo ridotti allontanandoci dalla casa del Padre? Il postmoderno vuole veramente abbandonare e superare la modernità cartesiana o ne è una nuova veste sotto mentite spoglie?

Non tutti, però, fra noi, hanno capito quali sono state le cause profonde della seconda guerra mondiale e, pur volendo che non si abbia una terza (ed ultima) guerra mondiale, forse senza rendersene conto, continuano sulla strada tracciata da Cartesio, di quella che loro chiamano «modernità» che ci ha portati alla catastrofe.

Non tutti sanno o vogliono riconoscere questo fallimento del cartesianismo e, benché si siano resi conto che una certa modernità è finita, benchè vogliano superare una modernità fallita facendo uso di una risanante postmodernità, non sono capaci di rigettare decisamente il germe velenoso cartesiano che l’ha generata, ma semplicemente lo mantengono in una forma diversa.

Questi novatori attardati nel passato non si rendono conto che questa dannosa postmodernità da loro escogitata che dovrebbe riparare ai danni provocati dalla modernità, è, per così dire, un brodo riscaldato, cioè non hanno veramente respinto la proposta cartesiana, non sono  tornati a imboccare la via smarrita, la via giusta del realismo biblico e tomista e del vero progresso avviato dal Concilio Vaticano II e raccomandato dallo stesso Papa Francesco, quando egli ci indica l’esempio di San Tommaso come modello di teologo[2], ma essi vogliono continuare sulla stessa via senza sbocco indicata da Cartesio come dimostrano chiaramente essi stessi proponendo come maestri dei filosofi che sono tutti legati a Cartesio, come Hume, Kant, Hegel, Marx, Darwin, Spencer, Freud, Nietzsche, Gentile,  Kant, Husserl, Heidegger, Severino, Vattimo o Bontadini, i quali in realtà vogliono continuare a basarsi sul cogito di Cartesio e non sull’ipsum esse per se subsistens di San Tommaso, ossia sul Dio biblico e cristiano.

Per quanto riguarda il significato del termine «modernità», occorre osservare che esiste una modernità di fatto che non è altro che la situazione dell’umanità di oggi, indipendentemente da un giudizio su ciò che oggi va bene e ciò che va male. Evidentemente nessuno di noi può sottrarsi a questa modernità, a questo esser moderni. In questo senso tutti gli uomini che vivono oggi sono moderni. Ma questo tipo di modernità non interessa a nessuno, se non per sapere quali uomini esistono oggi.

La vera questione della modernità, della postmodernità e del modernismo non è questa. Ma si tratta di una questione di idee e di un certo atteggiamento morale. Da questo punto di vista essere moderni, progrediti e rinnovatori è un bisogno, è un preciso dovere morale. È comandato dallo stesso cristianesimo. Chi non progredisce nella carità – dice Sant’Agostino – non ha carità. Come dice continuamente il Papa, il cristiano è uno che cammina sempre, sempre si rinnova, progredisce e migliora, sempre avanza verso il Regno di Dio, non retrocede, non torna indietro, non può fare a meno del nuovo, ma lo abbraccia con entusiasmo, supponendo ovviamente che questo nuovo sia buono, come lo è quello dello Spirito Santo, che rinnova la faccia della terra.

Il cristiano non resta attaccato all’uomo vecchio, ma fa crescere in sè l’uomo nuovo nato dal battesimo. Ha sempre da imparare, conserva certo ciò che è perenne e non muta, ma non si accontenta di ripetere quello che già sa, anche se lo ripete con la massima diligenza e con tutta fedeltà in quanto parola di Dio che non passa, ma permane in eterno.

Quanto poi alla postmodernità, essa è un termine inventato dai cartesiani, i quali si sono resi conto dei disastri che ha prodotto il cartesianesimo, ma, non volendovi rinunciare, chiamano «modernità» ciò che ha portato alla seconda guerra mondiale e «postmodernità» il nuovo maquillage degli Heidegger, degli Husserl, dei Vattimo, dei Bontadini e dei Severino, con i quali sperano di sopravvivere come cartesiani. Ma noi dobbiamo ancora una volta constatare come il lupo perde il pelo ma non il vizio. Questa invenzione della «postmodernità» è un trucco che non inganna gli spiriti vigili e dotati di acume critico.

Esiste invece una sana e doverosa modernità già disegnata da Maritain negli anni ’30 del secolo scorso, consistente nell’integrare nello stesso pensiero dell’Aquinate, dopo opportuno vaglio critico, tutti i progressi del pensiero filosofico avvenuti dopo San Tommaso.

L’istanza dei modernisti dei tempi di San Pio X era giusta: la Chiesa aveva bisogno di svecchiarsi e di ammodernarsi. Non doveva stare solo su posizioni difensive, ma anche aprirsi ai valori della modernità e dello stesso cartesianismo. Doveva confrontarsi col pensiero moderno e non semplicemente condannarne gli errori, per assumerne gli aspetti positivi.

Non basta conservare il deposito della fede; occorre anche conoscerlo sempre meglio. Non basta trasmettere quello che si è imparato; occorre anche far avanzare la ricerca, proporre nuove strade, nuove soluzioni, aprire nuove vie. Occorre abbandonare vecchi pregiudizi o usi inadatti ai tempi, anche se di lunga data.

Il loro errore fu quello di voler ammodernare la Chiesa non nel rispetto del dogma e della tradizione, ma mutando dogmi e tradizione sulla base della filosofia cartesiano-idealista. L’errore fu quello di mettere in dubbio o invalidare senza fondamento testimonianze accreditate dell’antichità, quello di abolire o far cessare, per una smania di novità o creatività, credenze, riti, usi, costumi che da secoli davano ancora buoni frutti per la santificazione del popolo di Dio.

Dobbiamo dunque essere moderni e non modernisti, rispettosi del moderno, e del postmoderno, con sano discernimento critico, basato sul Magistero della Chiesa e la sana filosofia, non fanatici o idolatri del moderno.

Nella modernità e nella postmodernità non tutto è buono e da recepire, ma bisogna fare un vaglio alla luce del Magistero della Chiesa postconciliare. Non si deve scegliere nel Vangelo ciò che piace alla modernità, ma si deve scegliere nella modernità ciò che coincide col Vangelo. Questa è la sana modernità contro la falsa e ingannevole modernità del modernismo.

Dobbiamo recuperare i valori del passato, ancora attuali, senza essere passatisti o indietristi, ossia non dobbiamo mantenere o cercare cose che non servono più o non ci parlano più o sono state superate dal progresso dottrinale, morale, spirituale o liturgico decretato alla Chiesa, come per esempio certe forme della liturgia preconciliare, con tutto il rispetto che possiamo conservare per esse e per il ruolo prezioso che ha svolto nel passato.

In conclusione, facciamo attenzione all’uso della parola «moderno». Stando al vocabolario, essa ha un significato del tutto innocente: il moderno è o quello che c’è oggi o il progredito, l’avanzato, il migliore. In bocca ai modernisti è l’idealismo cartesiano e ciò che la Pascendi definisce come «modernismo».

Certo il modernismo della Pascendi è diverso da quello di oggi, ma i suoi princìpi sono gli stessi: tutto si riduce a Cartesio. Quanto alla postmodernità, non sono altro che i modernisti di oggi. Essi si immaginano di aver superato quella chiamano la modernità. Ma noi che non ci lasciamo abbindolare dalle loro giravolte, possiamo dir loro: ti conosco, mascherina!

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 10 febbraio 2024

 

Essere moderni, progrediti e rinnovatori è un bisogno, è un preciso dovere morale. È comandato dallo stesso cristianesimo. Chi non progredisce nella carità – dice Sant’Agostino – non ha carità. Come dice continuamente il Papa, il cristiano è uno che cammina sempre, sempre si rinnova, progredisce e migliora, sempre avanza verso il Regno di Dio.

L’istanza dei modernisti dei tempi di San Pio X era giusta: la Chiesa aveva bisogno di svecchiarsi e di ammodernarsi. Doveva confrontarsi col pensiero moderno e non semplicemente condannarne gli errori, per assumerne gli aspetti positivi.

Non basta conservare il deposito della fede; occorre anche conoscerlo sempre meglio. Non basta trasmettere quello che si è imparato; occorre anche far avanzare la ricerca, proporre nuove strade, nuove soluzioni, aprire nuove vie. Occorre abbandonare vecchi pregiudizi o usi inadatti ai tempi, anche se di lunga data.

Dobbiamo dunque essere moderni e non modernisti, rispettosi del moderno, e del postmoderno, con sano discernimento critico, basato sul Magistero della Chiesa e la sana filosofia, non fanatici o idolatri del moderno.

Immagine da: https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2023/10/4/messa-nuovicardinali.html


[1] Cf l’articolo di Mons. Ignazio Sanna, ex- Preside della Pontificia Accademia Teologica, La teologia pubblica tra modernità e postmodernità, in PATH, 2, 2023, pp.433-449.

[2] Già il Maritain, nel corso del dibattito sul modernismo ai tempi di San Pio X, scrisse un libro profetico, Antimoderno (Edizioni Logos, Roma 1979), dove sosteneva che San Tommaso non solo è moderno, ma ultramoderno.

4 commenti:

  1. Carissimo p. Giovanni con estrema lucidità intellettuale ha esposto la condizione attuale dell’umanità, almeno quella cosiddetta occidentale in un tempo storico, il nostro, caratterizzato dalla postmodernità nata sulle ceneri della modernità che ha causato immani catastrofi umane e spirituali ed ha prodotto conflitti, guerre, persecuzioni formando coscienze e conseguenti comportamenti segnati dal nichilismo, dal razzismo, dallo scetticismo, dal relativismo, dal totalitarismo e disorientato intere generazioni.
    Ancora oggi non sono tramontate le ideologie figlie del pensiero nichilista, neopositivista ed esistenzialista, si continua a presumere di «costruire la nuova città, di creare l’oasi, di fondare il mondo nuovo sulle ceneri del vecchio, che avrebbe palesato tutta la propria insufficienza». Relativismo, progressismo, ecologismo, libertinismo sessuale, teorie del gender ecc… sono «le nuove ideologie che mostrano sempre la medesima presunzione che l’uomo possa prendere il posto non più occupato da Dio e finalmente, lontano da ancestrali fantasie religiose e superstiziose, realizzare il mondo giusto, equo, fondato sul diritto e su una morale al passo con i tempi».
    Ancora una volta si ripete il peccato presuntuoso di Adamo ed Eva, ancora una volta la storia è pronta a dichiarare fallita l’ennesima rincorsa all’idolo di turno a meno pensiamo che questo idolo di turno non sia più fuori di noi, ma siamo noi stessi, è il nostro io-puro (riprendendo il pensiero di Fichte) che pone e crea tutte le cose e diventa la condizione prima di tutta la realtà, che pone ed organizza e conosce la realtà. La nostra è un’autocoscienza libera ed assoluta. Così si chiude il cerchio della vita su se stesso e non riceve niente da nessuno ne dagli altri né tantomeno da un Dio. In questo modo tutto diventa strumentale e il proprio sé si immiserisce e si smarrisce.
    Con questo non voglio dire che ormai tutto sia compromesso, non intendo esprimere un pensiero pessimista, privo di speranza, che non sappia cogliere anche, attraverso le sfide del postmoderno, anche le opportunità per una nuova e rinnovata testimonianza di fede sia come singoli che come Chiesa. Lo stesso Papa Francesco inaugurando il cammino sinodale della Chiesa ci chiede un rinnovato stile missionario all’altezza di queste sfide. «Far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, resuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani».
    E sull’orizzonte della Chiesa che attraversa i tempi della storia, rimangono le colonne di riferimento i grandi dottori e pastori della nostra Chiesa, i santi e le sante di ogni epoca, le figure di grandi Papi, nostri fari che ancora oggi ci indicano il cammino, i nomi sono tantissimi, uomini e donne, ma su di tutti il nostro san Tommaso d’Aquino che come scrive Papa Francesco:
    “Scrisse molte opere piene di mirabile erudizione e insegnò a innumerevoli persone, acquistando meriti sommi nella filosofia e nella teologia. Rifulse per acume e chiarezza, e mentre riverente indagava o scrutava con ragione i divini misteri, contemplava gli stessi con ardente fede”.
    Dunque occorre scegliere: o la metafisica tomistica dell’essere come atto ultimo e perfetto o la filosofia del non essere come nulla assoluto (nichilismo postmoderno). Solo l’essere come atto fa dell’ente qualcosa di reale, di esistente in atto, solo l’essere conferisce nobiltà, perfezione e capacità d’azione all’ente.
    Questa è per me l’autentica metafisica, la philosophia perennis che non muore mai perché rappresenta il costitutivo di ogni ricerca onesta della verità capace di attraversare tutte le epoche della storia.

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    1. Caro Don Vincenzo,
      vivi complimenti per queste elevate considerazioni espresse con grande fervore e convinzione, circa le quali mi trovo perfettamente d’accordo. Condivido pienamente la sua analisi della situazione contemporanea e faccio miei i vivi sentimenti di speranza, che sembrano quasi sfociare nell’entusiasmo per il possesso del dono della fede, che ci porta a dire con San Paolo: “la carità di Cristo ci spinge”.
      Belle anche le parole del Papa che lei ha citato.
      Non c’è che da mettersi all’opera nella sicurezza di lavorare nella vigna del Signore con certa speranza di raccogliere abbondanza di frutti.

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  2. "Non basta conservare il deposito della fede; occorre anche conoscerlo sempre meglio. Non basta trasmettere quello che si è imparato; occorre anche far avanzare la ricerca, proporre nuove strade, nuove soluzioni, aprire nuove vie. Occorre abbandonare vecchi pregiudizi o usi inadatti ai tempi, anche se di lunga data".

    È curioso che il motto episcopale di mons. Marcel Lefebvre, inciso anche sulla sua lapide, sia: “Tradidi quod et accepi” (“Ho trasmesso quello che ho ricevuto”. - I Cor. XV,3).
    Sembra che nemmeno il suo stesso motto episcopale sia stato compreso correttamente.

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    1. Caro Dino,
      queste parole di San Paolo hanno bisogno di una corretta interpretazione.
      Purtroppo Mons. Lefebvre non riuscì a capire come le nuove dottrine del Concilio non tradivano la Tradizione, ma si ponevano sul suo solco, in continuità con la Tradizione, ne realizzavano una migliore conoscenza, una esplicitazione, uno sviluppo nel momento in cui la confermavano.

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