30 giugno, 2022

La stoltezza del dubbio cartesiano - Prima Parte (1/2)

 La stoltezza del dubbio cartesiano

 Prima Parte (1/2)

Non si può dubitare dell’indubitabile

Ogni uomo sano di mente sa ben distinguere con i sensi e l’intelletto le cose esistenti fuori di lui, indipendenti da lui, nello spazio e nel tempo, le altre persone, il proprio corpo, il mondo e quanto può essere relativo alla sua soggettività: sogno, allucinazione, illusione, sembianza, apparenza, invenzione, creazione, immaginazione, idea.

Anche gli animali sono istintivamente dotati di discernimento nel campo della sensibilità e sanno distinguere il reale dall’apparente, benché anche loro occasionalmente possano essere ingannati o conoscere il dubbio. Ma sanno benissimo di avere cose davanti a loro nello spazio e lo si vede dal fatto che, se il loro senso è sano, le cercano e ne fruiscono, come per esempio il cibo.

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Noi ci accorgiamo degli errori dei sensi utilizzando gli stessi sensi. Si può quindi parlare di errori dei sensi solo dando per scontato che il senso di per sé è verace. 

Cartesio, quindi, fa una cattiva deduzione quando vuole estendere al senso in generale quella illusorietà che è propria di alcune ben precise esperienze sensibili, come quella del bastone apparentemente spezzato. È utilizzando il senso che io, tirando fuori il bastone dall’acqua, mi accorgo che non è spezzato.

Sarebbe impossibile raggiungere la certezza spirituale del proprio esistere, senza il presupposto della certezza iniziale del senso. Se non fossimo certi dell’esistenza e della conoscibilità delle cose materiali che ci circondano (la quidditas rei materialis della quale parla San Tommaso) e che noi stessi siamo, benché animati da un’anima spirituale, non potremmo esser certi di nulla e non potremmo uscire da questa incertezza, come già si accorsero gli scettici greci.

In realtà, noi non scopriamo lo spirito direttamente come gli angeli, ma ne deduciamo l’esistenza con fatica e rischiando l’errore, per analogia e per metafore, come causa e modello di quelle realtà sensibili, che sono l’oggetto naturale iniziale del nostro sapere. Qui non siamo differenti dagli animali. Già il neonato di tre mesi non ha alcun dubbio dell’esistenza della poppa della madre dalla quale prende il latte.

Immagini da internet

29 giugno, 2022

Il ripudio del sacrificio di Cristo in Padre Felice Scalia

  Il ripudio del sacrificio di Cristo in Padre Felice Scalia

Crucifixus etiam pro nobis

Il Lettore che mi ha di recente inviato le tesi di Alberto Maggi, Carlo Molari e Joseph Ratzinger circa il sacrificio di Cristo per avere un mio parere, mi ha inviato allo stesso scopo anche alcuni pensieri del Padre gesuita Felice Scalia, che riporto qui con relativa mia risposta. 

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Santo Pietro e Paolo

Scalia distorce il pensiero di San Paolo. Quanto a Pietro, è chiaro che non aveva afferrato come Cristo doveva raggiungere la sua gloria attraverso la croce.

San Paolo e la Lettera agli Ebrei riprendono l’insegnamento di Is 53: Il Servo di Dio «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui. Per le sue piaghe siamo stati guariti».

Chi si unisce alla croce di Cristo è liberato dalla colpa e dalla pena. Soffrendo con Cristo si vince la sofferenza. Questo atto di ricavare la gioia dalla sofferenza senza che essa perda il suo essere sofferenza, è evidentemente un atto che solo Dio può fare nella sua bontà creatrice, un atto a cui rende partecipi i credenti in Cristo, atto che solo Lui può compere, perché comporta il ricavare l’essere dal non-essere, anzi dalla privazione o la mancanza di essere, qual è appunto il dolore e la sofferenza.

Dottor Faust

Un Dio che non chiede sacrifici e promette solo felicità e benessere non è il vero Dio. È quel dio che secondo l’opera di Goethe, si presenta al Dottor Faust proponendogli un patto: io in questa vita ti assicuro piaceri, benessere, fortuna ed onori. Ma tu, quando morirai, verrai con me.  Questo dio dolce, tenero, buono e benevolo è però quel dio crudele che nell’al di là bastonerà a sangue i suoi fedeli per l’eternità. È il demonio.

 

Immagini da Internet

26 giugno, 2022

La concezione idealistica del soggetto umano - Quarta Parte (4/4)

  La concezione idealistica

del soggetto umano

Quarta Parte (4/4) 

Soggetto e oggetto

Si sa come nell’idealismo soprattutto schellinghiano riveste un’enorme importanza il concetto del «soggetto». Esso è collegato al concetto dell’«io», che a sua volta proviene dall’io cartesiano, ossia l’ego dell’ego cogito. Kant lo chiama «io penso». Fichte parla semplicemente dell’Io; Schelling introduce il termine «Soggetto»: l’io di Cartesio, Kant e Fichte è per Schelling il Soggetto. Hegel continuerà a parlare di Soggetto, che però non è più l’oscura intuizione intellettuale pre o ultraconcettuale di Schelling, ma è il Concetto. Il reale, come si sa, per Hegel, è il razionale. L’oggetto della metafisica è lo stesso della logica.

Soggetto e oggetto per gli idealisti rappresentano, a partire da Schelling, la diade di pensiero e realtà, ovvero di ideale e reale. Essa è l’esplicazione dell’opposizione fichtiana fra Io e non-Io, la quale è posta da Fichte per fondare l’origine del diverso. Senonchè però il ricorso alla negazione crea all’interno dell’Io un’opposizione che mal si concilia con quella che dovrebbe essere l’unità originaria dell’Io. Fichte si dibatte in questa contraddizione senza venirne fuori. 

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Il ragionare hegeliano, privo dello strumento dell’analogia, è costretto a operare le distinzioni per opposizioni dialettiche, come per esempio positivo-negativo, essere-non-essere, finito-infinito, esterno-interno, soggetto-oggetto, io-non-io, astratto-concreto. Nel contempo l’aut-aut («sì, sì, no, no») è sostituito dall’et-et, sicchè il pensare cade nella doppiezza e nella disonestà.

Hegel arriva a tesi farneticanti, come quelle per esempio di dire che l’Assoluto è essere e nulla, che vita e morte si richiamano a vicenda, che il bene e il male sono la stessa cosa e che il conflitto bellico è la molla del progresso storico.

Hegel non riesce a cogliere veramente l’essere reale come vi è riuscito San Tommaso. E questo perché? Perché Hegel è rimasto ingannato dall’idealismo cartesiano, che scambia l’idea per la realtà.


Immagini da internet:
- Le conseguenze della guerra, Rubens
- Vittoria del bene sul male, Ricciardi, sec. XVIII

25 giugno, 2022

La concezione idealistica del soggetto umano - Terza Parte (3/4)

  La concezione idealistica 

del soggetto umano

Terza Parte (3/4) 

Kant

La famosa rivoluzione copernicana di Kant non è che un’esplicitazione del cogito cartesiano: il pensiero non gira più attorno alle cose, ma sono le cose che devono girare attorno al pensiero; Kant riprende la pretesa cartesiana di non misurarsi più sulle cose, che giudica inconoscibili, ma pretende che sia esso stesso a stabilire l’oggetto del sapere.

Così la verità non nasce più dall’adeguazione del pensiero all’oggetto, ma dalla produzione del soggetto e dal fatto che il soggetto si adegua a se stesso. L’oggettività della conoscenza non è più data dal fatto che l’intelletto si adegua al suo oggetto, ossia all’ente reale esterno, oggetto che non ha prodotto, ma gli è dato e presupposto, ma è data dal fatto che l’intelletto stesso costruisce il suo oggetto in base alla propria autocoscienza. È quella che Rahner ha chiamato la «svolta al soggetto».

L’io penso kantiano non è atto di una sostanza, la res cogitans di Cartesio, ma è atto del pensare; l’io kantiano esplicita la virtualità dell’io cartesiano di essere una sostanza nella quale il pensare coincide col suo stesso essere sostanza. Già da adesso si profila quello che sarà il «soggetto» in Fichte, Schelling ed Hegel. Per Cartesio l’uomo non ha la facoltà di pensare, ma è un pensante in atto. Kant mantiene la dottrina delle facoltà, ma concependo l’io penso come pensiero in atto, fa un ulteriore passo verso la divinizzazione del pensiero.

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Ci domandiamo ancora come abbiamo fatto con Cartesio: perché mai il sapere dovrebbe partire dall’io e fondarsi sull’io? L’oggetto del sapere non è la realtà? E il soggetto del sapere non è la ragione come tale, che pure Kant aveva mantenuto? Perché allora farla diventare la mia ragione?  Si tratta dell’evidente influsso dell’io cartesiano, per il quale a causa di un indebito passaggio logico la mia ragione diventa la ragione sic et simpliciter e quello che penso io deve valere per tutti.

Ma perché mai dovrei limitarmi a conoscere il mio io? Perché non esiste altro che il mio io. Non è questo forse, come abbiamo visto, l’effetto del cogito cartesiano? La riflessione sul sé certo non è nata con Cartesio, perché è un atto spontaneo della coscienza di chiunque. E non c’è dubbio che, riflettendo sull’atto del nostro pensare, noi ci accorgiamo con assoluta certezza di esistere.


 

Ma perché mai dovremmo restare bloccati nel nostro io? Perchè, cartesianamente, io devo dimostrare che esiste qualcos’altro oltre al mio io, che non sono io. Il cogito mi consente solo di sapere che io esisto. Del resto non so ancora nulla: lo devo ricavare dall’io, perché l’Io è tutto. 

Senonchè bisogna dire con chiarezza che il fondamento del sapere non riguarda solo la conoscibilità della mia esistenza singola, bensì anche quella delle cose e della realtà in generale. La verifica della verità del sapere è fatta quando prendo coscienza del fatto che il mio intelletto ha per oggetto l’ente, partendo dall’esperienza sensibile degli enti materiali a me esterni. Il sapere ha per oggetto l’intera realtà e non soltanto il mio io, per quanto interessante esso possa essere. L’idealismo è affetto da uno spaventoso narcisismo.

Immagini da internet:
- Il pensatore, Munch
- Narciso, Caravaggio
 

23 giugno, 2022

La concezione idealistica del soggetto umano - Seconda Parte (2/4)

   La concezione idealistica 

del soggetto umano

Seconda Parte (2/4) 
 

Il metodo di Cartesio

Per dare fondamento al sapere si può sì iniziare col dubitare universalmente della verità; ma occorre immediatamente rendersi conto che ciò è impossibile, perché implica contraddizione. Infatti, se la verità non esiste, sarà vero che non esiste, giacchè non possiamo pronunciare alcun giudizio senza la convinzione che sia vero quello che diciamo. Inoltre, le prime certezze immediate della ragione e del senso sono indubitabili; dubitarne, anche qui supporrebbe far uso di quelle certezze per negarle.

Nell’acquistare il sapere il dubbio ha certo una funzione essenziale. Si chiama allora «dubbio metodico»: dubitiamo se una data cosa è vera o è falsa, se è buona o è cattiva e vagliamo le possibilità contrarie per vedere qual è quella giusta, che scioglie il dubbio, almeno in via opinabile o ipotetica. Ma è chiaro che per sciogliere il dubbio dobbiamo basarci su princìpi o premesse indubitabili. Giunti a questi princìpi, evidenti per se stessi, dobbiamo fermarci senza pretendere di cercarne altri precedenti, perché non può esserci un prima di ciò che è primo. 

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Il voler dimostrare, quindi, come ha fatto Cartesio, ciò che è primo, come i primi princìpi del senso e della ragione, è cosa stolta e irragionevole, così come viceversa è stolto dare per evidente o punto di partenza ciò che è secondo o che è derivato.  Mi riferisco all’autocoscienza. Essa non è il punto di partenza del sapere, ma è un sapere derivato dal vero punto di partenza, che è il contatto diretto con le cose esterne. 


Anche le Confessioni di Sant’Agostino sono la narrazione della storia del suo spirito individuale: quale differenza però dal Discorso sul metodo e le successive Meditazioni metafisiche di Cartesio! 

Nel testo agostiniano troviamo sì uno spirito che ha patito i suoi dubbi e le sue sconfitte; ma quanta abilità, quale linearità e forza d’argomenti in Agostino nel saperci condurre dalle tenebre alla luce e dal dubbio alla certezza!

 
 
Immagini da internet:
- Pierre-Auguste Renoir, Monet dipinge in giardino
- Monica e il giovane Agostino a Cassiciaco, opera di Silvano Crippa (1994)

22 giugno, 2022

La concezione idealistica del soggetto umano - Prima Parte (1/4)

 La concezione idealistica 

del soggetto umano

Prima Parte (1/4)

                                                                    Dovrà avvenire l’apostasia

e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo,

                                                                                  il figlio della perdizione,

colui che si contrappone e s’innalza

                                                                                               fino a sedere nel tempio di Dio,

  additando se stesso come Dio.

II Ts 2, 3-4

L’impresa dell’idealismo 

Dai tempi del peccato originale l’uomo ha sempre aspirato ad autodivinizzarsi facendo a meno di Dio, attribuendo a sé ciò che appartiene a Dio o abbassando Dio al livello di un uomo o di un idolo fatto dall’uomo. Chiara testimonianza di ciò l’antichissima sapienza indiana per la quale l’uomo è un Dio che non sa di esserlo: lezione del sapiente, il guru, è quella di rendere il discepolo cosciente di ciò.

Un barlume di questa concezione del pensare e del vivere la si trova già in quelle che si possono considerare le antiche origini dell’idealismo, ossia nell’identificazione parmenidea del pensare con l’essere[1]. Che cosa è del resto l’idolatria tanto detestata dai profeti biblici se non la pretesa umana di costruire Dio con le proprie mani, così da vantarci di essere noi stessi a produrre il nostro dio?

Che cosa è il Dio degli gnostici del sec. III e idealisti dell’800 se non un’immaginazione spropositata della grandezza umana, parto della propria mente megalomane ed egocentrica? Chi è lo gnostico se non un idealista in nuce voglioso di dominare sui meschini ed ingenui realisti, che non vedono al di là del proprio naso e prendono per cose esterne quelle idee che sono il prodotto dell’Io trascendentale?

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È vero che l’idealismo può essere messo in qualche modo in rapporto con la dottrina platonica dell’Idea; ma questa non è, come pensano gli idealisti, un prodotto della mente umana fine a se stesso, quasi primo oggetto del sapere. Al contrario, l’Idea platonica preesiste ab aeterno alla mente umana finita e fallibile, è da essa indipendente e niente affatto oggetto primo ed ultimo del sapere, ma è realtà divina e trascendente, vero e pieno essere (to pantelòs on), modello e criterio di perfezione e guida dell’azione.

Per Platone la mente umana produce bensì immagini, imitazioni, simboli, partecipazioni e rappresentazioni (eidos, eikòn, mèthexis, mimesis) dell’Idea (Idea), ma puramente funzionali all’Idea e mezzi fallibili od opinabili per conoscerla. Noi parleremmo dei concetti. 

Invece l’idealista, a cominciare da Cartesio, prende l’idea nel senso di un ente mentale o intramentale originariamente (a priori) compresente all’intelletto, non ottenuto dall’intelletto col passare dalla potenza all’atto, non vera rappresentazione di una cosa esterna, ma come sedicente rappresentazione, della quale però non ci si deve fidare a priori e la cui veridicità dev’essere verificata e dimostrata dall’esame dei contenuti del cogito cartesiano.

Immagini da Internet

20 giugno, 2022

Opinioni di Joseph Ratzinger circa il valore del sacrificio di Cristo - Prima Parte (1/2)

 

 Opinioni di Joseph Ratzinger

circa il valore del sacrificio di Cristo

Prima Parte (1/2) 


Il sacrificio di Cristo come ci è insegnato dalla Sacra Scrittura e spiegato dalla dottrina della Chiesa

Il medesimo Lettore che mi ha proposto di commentare il pensiero di Alberto Maggi e di Carlo Molari circa il significato del sacrificio redentore di Cristo, mi ha adesso proposto di commentare le parole pronunciate da Benedetto XVI in un’intervista del 2016 rilasciata al gesuita Jean Servais. Questa è la domanda che Servais fa al Papa emerito:

«Quando Anselmo dice che il Cristo doveva morire in croce per riparare l’offesa infinita che era stata fatta a Dio e così restaurare l’ordine infranto, egli usa un linguaggio difficilmente accettabile dall’uomo moderno (cfr. GS IV 215.ss) […] Come è possibile parlare della giustizia di Dio senza rischiare di infrangere la certezza, ormai assodata presso i fedeli, che [il Dio] quello dei cristiani è un Dio «ricco di misericordia» (Efesini 2, 4)?».

Rispondo dicendo che prima di esaminare la risposta di Ratzinger, faccio una premessa metodologica, facendo presente che il pensiero cristologico di Benedetto XVI, da quando ha dato le dimissioni dall’attività pastorale petrina, per quanto autorevole, evidentemente non gode più dell’infallibilità pontificia, che è passata invece a Papa Francesco.  

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Teniamo presente che l’opera salvifica di Cristo comporta un aspetto umano – la sua passione e morte –, cose che sono alla portata della nostra ragione; e un aspetto divino – la giustizia e la misericordia divine -, cose che superano la comprensione della nostra ragione e restano per noi misteriose, appaiono paradossali e possono sembrare scandalose. Per questo San Paolo parla di «scandalo della Croce» (I Cor 1,23).

Infatti un Messia che si lascia crocifiggere come condannato a morte abbandonato dai suoi e sconfitto dai potenti appare un impostore e un personaggio scandaloso. 
 
D’altra parte, la prospettiva che dalla sofferenza possa scaturire l’eliminazione della sofferenza o che la morte possa produrre la vita appare una stoltezza. 
 
Che un uomo mortale come noi possa far risorgere se stesso da morte, essere il salvatore del mondo, eliminare da esso quel male che sembra inestirpabile, ottenere dalla sua morte la beatitudine per tutta l’umanità appare alla ragione un pensiero folle e una cosa del tutto impossibile.

Immagini da Internet: Niccolò dell'Arca, Compianto sul Cristo morto, Bologna

18 giugno, 2022

L’ANIMA DEL SACRIFICIO DELLA SANTA MESSA - P.Tomas Tyn, OP

 LANIMA DEL SACRIFICIO DELLA SANTA MESSA

 P.Tomas Tyn, OP

I Meditazione - Eucarestia S.Messa

Conferenza sul sacrificio della Santa Messa
Per il Terzo Ordine Domenicano
Presso la Basilica di San Domenico
In preparazione alla Santa Pasqua del 1985

N. 3 Meditazioni

Bologna, 16 - 30 marzo 1985

Audio:  6a) http://youtu.be/xgbBROL5XfY

Cf. : http://www.arpato.org/testi/lezioni_dattiloscritte/Sacrificio-SMessa.pdf

Conferenza sul Sacrificio della Messa per il Terzo Ordine Domenicano in occasione della Quaresima del 1985.

Registrazione e custodia dell’audio a cura di diverse persone

             … Bisogna definire la natura stessa del sacrificio, per poi applicare questa definizione, che come diceva Aristotele, fa conoscere l’essenza delle cose, alla Santa messa e far vedere che effettivamente nella Santa Messa si tratta di un’azione strettamente e propriamente sacrificale. Allora, abbiamo visto che il sacrificio consiste nella oblazione, da parte dei legittimi ministri, dei doni a Dio per mezzo della loro reale o equivalente distruzione. 

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Ultima Cena, Tintoretto


E allora, carissimi, noi possiamo veramente gloriarci di appartenere alla Chiesa Cattolica, che è veramente e pienamente la Chiesa di Cristo, proprio perché, carissimi, solo la Chiesa Cattolica rispetta veramente e pienamente il senso di queste parole di Gesù. 

E qui vedete la indefettibilità della Chiesa fondata sulla roccia, che è Pietro. Solo la Chiesa Cattolica ha mantenuto questa consapevolezza piena e viva della presenza reale di Cristo, prendendo proprio sul serio fino all’ultima virgola queste parole del testamento che Gesù stesso ci ha lasciato: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.

14 giugno, 2022

Risposte a Carlo Molari sul valore espiativo e soddisfattorio del sacrificio di Cristo

  Risposte a Carlo Molari

sul valore espiativo e soddisfattorio

 del sacrificio di Cristo

 

Un Lettore mi ha presentato, chiedendomi un parere, alcuni brani del teologo Carlo Molari, recentemente defunto, tratti da una relazione da lui tenuta il 30 luglio 2009 

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Mons. Carlo Monari

 

Un Lettore mi ha presentato, chiedendomi un parere, alcuni brani del teologo Carlo Molari, recentemente defunto, tratti da una relazione da lui tenuta il 30 luglio 2009 

 

Immagine da Internet

12 giugno, 2022

Tradizioni domenicane (1 ...)

 Tradizioni domenicane

Osservazioni dopo una lunga esperienza

Sento il bisogno di introdurre il discorso, per rendermi credibile, con alcuni ricordi personali. Appartengo all’Ordine Domenicano dal 1971 e sono sacerdote in esso dal 1976, per cui penso di poter dire autorevolmente una parola su questo argomento della tradizione, oggi tanto dibattuto e dove purtroppo esistono molti equivoci. Non voglio parlare della Tradizione cattolica in generale, ma con riferimento all’Ordine Domenicano.

Continua a leggere:

1.

https://aurelioporfiri.substack.com/p/tradizioni-domenicane-1?s=r

1 e seguenti - e articoli altri autori pubblicati da A. Porfiri:

https://substack.com/profile/66590568-aurelio-porfiris-newsletters


08 giugno, 2022

Il sacrificio espiatorio - Terza Parte (3/3)

 Il sacrificio espiatorio

Terza Parte (3/3) 

Rahner attinge da Heidegger, a sua volta eco di Hegel

L’essere-per-la-morte heideggeriano, se vissuto autenticamente, non disperdendosi nella quotidianità del «si dice», ma concentrandosi nel proprio esistere senza illusioni e quindi accettando l’«angoscia» e la «cura», garantisce all’Esserci, ossia all’uomo in situazione, la sua «possibilità più propria», vale a dire l’«esistenza autentica» di «casa» e «pastore» dell’essere.

È lo stesso tema hegeliano, come vedremo: la vita sorge dal concentrarsi sulla morte. Occorre «stare presso il mortuum». Heidegger ha espressioni di assonanza evangelica, come quando Cristo dice: «chi perde la propria vita per Me, la trova» e così Heidegger parla della «rinuncia a se stesso», ma, non essendo cristiano, egli non pensa per nulla al sacrificio cristiano, ed essendo stato filosofo del nazismo, c’è piuttosto da pensare che egli si riferisse alla dedizione allo Stato nazista.

Dai seguenti brani di Heidegger, tratti da Essere e tempo, possiamo vedere da dove Rahner ha tratto ispirazione e il suo concetto della morte come pienezza della libertà.

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-sacrificio-espiatorio-terza-parte-33.html

Hegel, che notoriamente riduce tutta la realtà alla logica, estende all’intera realtà la forma dialettica di affermazione-negazione.

Da qui l’estensione delle dualità degli opposti nell’orizzonte dell’Assoluto stesso, per cui in Dio c’è l’essere e il non-essere, il vero e il falso, il sì e il no, il bene e il male e, per quanto riguarda il nostro tema, la vita e la morte. 

Hegel ha indubbiamente la percezione di che cosa è lo spirito, legandolo francamente all’intelletto, al pensiero, alla coscienza, alla persona, alla scienza, alla libertà, all’eterno, all’universale, nella sua padronanza sullo spazio-tempo.

La domanda, però, conturbante, che nasce davanti a questo «spirito», è la seguente: qual è il rapporto di questo spirito col bene e col male?


In Hegel non troviamo le parole dell’inno pasquale. «Vita et mors mirando conflixere duello», perché tutto sommato, vita e morte, senza smettere di litigare, coesistono nella sintesi dialettica, che non toglie il conflitto, ma lo supera e lo copre, come la grazia luterana, che non toglie il peccato, ma lo assoggetta. Da qui una legalizzazione, anzi una divinizzazione della morte.

Anche la morte vuole la sua parte nel concetto dello Spirito e della divinità. Da qui viene l’essere-per-la-morte heideggeriano, dal quale scaturiscono l’essere autentico e la vita (l’«incondizionato» e l’«insuperabile»). Da qui viene per Rahner la morte di Cristo, dalla quale scaturisce la vita non perchè morte espiativa, un mito superato, ma perchè nella morte stessa c’è la vita e la vita viene dalla morte. Ma non siamo davanti a un altro mito e questa volta assurdo e blasfemo?


Immagini da Internet:
- Pericle Fazzini, Deposizione, bronzo, 1946
- Quirino De Ieso, Il mistero della vita e della morte, olio su tela, 2000

07 giugno, 2022

Il sacrificio espiatorio - Seconda Parte (2/3)

 Il sacrificio espiatorio

Seconda Parte (2/3) 

La concezione rahneriana della morte

Nel suo libro Sulla teologia della morte Rahner definisce la morte in modo chiaramente dialettico come momento della massima passività e della massima attività: nel momento in cui sembriamo sconfitti, vinciamo: nel momento in cui tutto è perduto, tutto è guadagnato; nel momento della massima dipendenza, ecco il trionfo della libertà; nel momento, come dice Hegel, della «massima devastazione», tutto è conquistato e recuperato.

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-sacrificio-espiatorio-seconda-parte.html

 

Nel morire cristiano, nella morte di Cristo c’è qualcosa in più che non è contenuto nel semplice morire fisico, ma è un qualcosa che ci è rivelato nella fede, ed è il valore espiativo del morire, ossia il morire in sconto dei nostri peccati, fondandoci sulla morte di Cristo, morto per la remissione dei peccati.

È questa la morte che dà la vita, ma per il cristiano non la dà in quanto morte. La morte produce solo la morte, ma, in quanto è la morte di quell’uomo, il quale può espiare efficacemente, perché è anche Dio, il quale solo in quanto tale può dare efficacia salvifica all’espiazione; dunque un uomo, Cristo, il quale, in quanto Dio e sempre in quanto Dio, può far risorgere l’uomo dalla morte e renderlo partecipe di quella vita eterna che Dio possiede per essenza.

Rahner rifiuta il dato rivelato dell’espiazione considerandolo un mito primitivo e superato, per spiegare il dogma della redenzione non in base alla morte di Cristo, ma semplicemente in base alla morte come tale, che egli intende peraltro hegelianamente come principio della vita, quindi in modo assurdo e sbagliato.

Ben lungi dall’essere il «momento definitivo della libertà», la morte è la conclusione finale di un lento ma inesorabile processo di decadenza, sproporzioni e squilibri già innati al momento stesso del nascere e vorremmo dire dell’essere concepito del soggetto: i segni delle conseguenze del peccato originale, tendenze antivitali che permangono per tutta la vita del soggetto e si rafforzano nel periodo dell’invecchiamento, fino ad essere così insopportabili per l’anima, la quale, trovatasi incapace di vitalizzare ulteriormente il corpo, lo abbandona. Questo è il momento della morte. Altro che perfezionamento e vertice della libertà!

Immagini da Internet:
- Harry Anderson
- Franz Skarbina

06 giugno, 2022

Il sacrificio espiatorio - Prima Parte (1/3)

  Il sacrificio espiatorio

Prima Parte (1/3)

Una nozione che sta al cuore del cristianesimo

Nella Sacra Scrittura troviamo un concetto di sacrificio cultuale che assomiglia a quello dell’antica religione romana e che si trova in qualche modo in tutte le religioni, perché caratterizza e fonda la religione come tale. Senza sacrificio espiatorio non esiste religione. Si tratta dunque di un importante tema dell’attuale dialogo interreligioso.

In entrambi i casi, infatti, sia del cristianesimo che delle altre religioni e in particolare dell’antica religione romana, il sacrificio è l’offerta a Dio di una vittima o il compimento di un’azione riparatrice al fine di «espiare» il peccato[1], ossia di compensare Dio per l’offesa arrecatagli, di placare l’ira divina ed ottenere il suo perdono, e con lui riconciliazione e pace.

Infatti il termine latino ex-piatio, corrispondente all’ebraico kippur, è connesso con il termine pius, pietas, che è la virtù di religione, per la quale viene reso culto ed onore a Dio e si compie ciò che è giusto davanti a lui per ottenere il suo favore e il suo perdono. 

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-sacrificio-espiatorio-prima-parte-13.html

La salvezza è oggetto della speranza; non è un possesso presente. Se vogliamo effettivamente salvarci dobbiamo operare per la nostra salvezza con l’aiuto della grazia e mossi dalla grazia.  

Se non facciamo nostra la croce di Cristo, che Egli sia morto per noi non ci giova per niente, ma ci lascia nei nostri peccati.

Noi sì siamo salvati, ma dobbiamo nel contempo salvarci. Quindi, se vogliamo effettivamente salvarci, dobbiamo, come Egli espressamente ci comanda, unirci al suo sacrificio soprattutto nella Santa Messa ed unendo alle sue le nostre sofferenze, fino alla nostra stessa morte.

È questo il significato e il valore della morte cristiana, sicchè per salvarci non basta il puro e semplice morire, come crede Rahner, quasi che la morte fosse da sé produttrice di vita, quasi che avesse un potere salvifico in se stessa e da se stessa, sì da essere una specie di «compimento» o di liberazione. 

 Dobbiamo invece dire a chiare lettere, contro ogni morbosità tanatofila, che la morte in se stessa è un male ripugnante, è pura distruzione e cessazione della vita. 

Se il cristiano apprezza la morte come via di salvezza, non l’apprezza in quanto morte; in quanto morte gli fa ribrezzo, ma l’apprezza solo perchè è stata assunta da Cristo per la nostra salvezza.


Immagini da Internet:
Opere di Edvard Munch