Mediatori di pace - Prima Parte (1/4)

 Mediatori di pace

 Prima Parte (1/4)

Diamoci alle opere della pace

Rm 14,19

Prima parte. Il problema

  La posizione del problema

 Tutti avvertiamo oggi che noi cattolici siamo profondamente divisi tra di noi in una forma nuova, mai accaduta finora nella Chiesa. Non occorre aver l’amore per la Chiesa di una Santa Caterina da Siena per accorgersi con dolore e sconcerto che stiamo vivendo  un momento drammatico, nel quale gli scandali, le stranezze, i cattivi esempi e le polemiche, si succedono quotidianamente gli uni gli altri in un turbinoso accavallamento che sembra non aver fine.

Un fatto eclatante che nessuno che abbia gli occhi aperti e amore per la Chiesa può negare è che questo turbamento, questo sconvolgimento, questa agitazione, questa confusione, questa conflittualità, questa sciagurata opposizione indietristi-modernisti sono sorti immediatamente dopo il Concilio. Si pensi solo al famoso ’68.

Tutto infatti è cominciato con la chiusura dei lavori del Concilio. Papa Ggiovanni, come è noto, si aspettava dal Concilio l’avvento di una nuova Pentecoste. E di fatto, se leggiamo gli insegnamenti del Concilio rettamente interpretati, essi contengono lo stimolo a un poderoso balzo in avanti della Chiesa nella storia.

Ma allora cosa è successo, se solo 10 anni dopo San Paolo VI denunciava angosciato che invece di arrivare una nuova primavera, è arrivata una tempesta? Mai fino ad allora era successo che dopo un Concilio fosse successa una sciagura del genere, giacchè i Concili, fino ad allora, indetti per migliorare le cose, avevano sempre migliorato le cose. Che cosa dunque era successo col Vaticano II? I frutti, certo, non mancavano, ed era veramente necessario indirlo per rimediare a diversi mali e incrementare certi beni. Ma allora come mai la tempesta al posto del sole primaverile?

Gli osservatori acuti ed imparziali come Maritain[1], si accorsero subito del sorgere di due partiti contrapposti: i lefevriani e i modernisti, che molta stampa già influenzata dai modernisti chiamava rispettivamente con gli eufemismi di «conservatori» o «tradizionalisti» (in senso spregiativo) e «progressisti» (erano loro, la vera Chiesa).

Ma il Card. Ottaviani, Pro-Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, già il 24 luglio del 1966, con lucidissima analisi della situazione, inviava ai Vescovi un elenco di 10 errori modernistici come falsa interpretazione delle dottrine del Concilio, errori che si ritroveranno successivamente in documenti come il Catechismo Olandese e il Corso fondamentale sulla fede di Rahner, tuttora influenti nel panorama della teologia attuale.

Molti tra noi si domandano: questo fenomeno che è avvenuto è, rispetto al Concilio, un semplice post hoc o è un propter hoc? I lefevriani affermano il propter hoc, ma si sbagliano. È un semplice post hoc causato da una colossale truffa, una colossale opera di falsa interpretazione e falsificazione del Concilio operata dai modernisti, senza che finora la Chiesa sia riuscita a frenare questa operazione.

Una cosa che crea disagio è data dal fatto che molti tra noi si considerano cattolici o sono considerati cattolici assumendo però non accidentalmente, ma di proposito, programmaticamente ed ostinatamente idee e comportamenti che contraddicono l’essere cattolico così come la Chiesa definisce l’essere cattolico, con la pretesa di presentare a modello il proprio essere cattolico contro ciò che la Chiesa definisce essere cattolico e quindi negando l’essere cattolico al partito avverso.

Alcuni sembrano avere il terrore di definire che cosa significa «cattolico». Essi definiscono con disprezzo «identitari» quei cattolici che sono mossi da questa premura, quasi che essa, che riflette chiarezza, onestà e lealtà, sottintendesse una voglia di presuntuosa contrapposizione agli altri, quando invece è condizione necessaria per qualunque dialogo costruttivo, come già avvertiva  Aristotele: nelle discussioni la prima cosa da fare è definire il significato delle parole; solo successivamente si passa a discutere sul significato dei concetti, se no si gioca sull’equivoco e si giunge a falsi accordi che lasciano intatto il conflitto.

Capita inoltre che l’aggettivo «cattolico» o venga usato in senso improprio o inopportuno o viceversa sia negato laddove sarebbe necessario od opportuno. Per esempio, che senso ha parlare di una «banca cattolica?». Ha ancora senso intitolare una rivista «civiltà cattolica»? Non sarebbe meglio un altro titolo, per esempio: la civiltà libera o la civiltà fraterna? Con quale diritto un movimento cattolico fra gli altri avoca a sé o monopolizza il titolo di «azione cattolica»? forse che gli altri movimenti cattolici non sono cattolici?

E per converso, perché rifiutare la dizione «filosofia cattolica»? Per farvi entrare Cartesio, Kant o Hegel? Se esiste la presenza di cattolici in politica, perché non parlare con franchezza di un partito cattolico, non necessariamente istituzionale e tuttavia effettivo? Forse che il Vangelo non ha niente da dire nel guidare la politica? Ciò naturalmente non esclude ma comporta che poi all’interno di questo movimento non possano esistere opinioni contrarie, così da consentire cattolici sia al governo che all’opposizione.

Notiamo inoltre che la novità della situazione ecclesiale attuale non è data dal sorgere o dal permanere di posizioni eretiche o scismatiche. Esse nella Chiesa sono sempre sorte. Ma è sempre avvenuto che gli eretici e gli scismatici, consapevoli di non essere più cattolici, lo hanno detto apertamente e siano usciti dalla Chiesa o siano stati espulsi dall’autorità ecclesiale formando comunità per conto loro non con la pretesa di essere più cattoliche della Chiesa che avevano abbandonato.

Cioè gli eretici e gli scismatici, constatando a loro giudizio che la Chiesa cattolica deviava da Cristo, hanno respinto l’essere cattolico in nome dell’essere cristiano, ritenendo di essere loro i veri fedeli a Cristo contro i cattolici, considerati falsi cristiani. Per questo hanno assunto altre denominazioni per distinguersi dai cattolici, come per esempio ariani, nestoriani, valdesi, ortodossi, luterani, calvinisti, anglicani, ecc.

Assumendo idee contrarie a quelle della Chiesa, hanno capito che non potevano all’interno della Chiesa tenere ad un tempo una tesi e il suo opposto, per cui, hanno designato la loro tesi, opposta a quella cattolica, col nome dell’eretico che l’aveva inventata. Ma logicamente non hanno più voluto restare nella Chiesa e continuare a considerarsi cattolici, mentre le autorità ecclesiali dal canto loro hanno loro logicamente negato la designazione di cattolici, checché ne potessero pensare gli stessi eretici o gli scismatici, al fine di far chiarezza tra i fedeli,  mantenere chiaro il concetto di cattolico e di evitare che si chiamasse cattolico ciò che cattolico non è. Spetta infatti ovviamente alla Chiesa cattolica e non ad altri, definire che cosa vuol dire essere cattolico. È cattolico chi segue la dottrina cattolica definita dalla Chiesa cattolica. Così pure spetta a lei non ad altri definire qual è la Chiesa cattolica.

Senonchè è successo e succede da sessant’anni a questa parte che, dopo il Concilio Vaticano II e a causa di una sua cattiva interpretazione disgraziatamente diffusasi anche tra pastori e teologi, da lefevriani e modernisti sono stati fraintesi l’ottimo e salutare intento del Concilio di ottenere dai fratelli separati la loro piena comunione con la Chiesa cattolica e l’altrettanto ottimo e salutare nostro proposito di mettere in luce insieme con i fratelli separati il patrimonio comune di verità rimasto intatto dopo la loro separazione dalla Chiesa, al fine di costituirlo come punto di partenza per la correzione dei loro errori e la loro piena integrazione nella Chiesa cattolica.

Oggi come oggi esistono anche due storiografie contrapposte, entrambe unilaterali, dei lavori del Concilio; una di impronta modernista, della Scuola di Bologna di Giuseppe Alberigo ed Alberto Melloni e l’altra, filolefevriana di Roberto De Mattei[2]. Siamo ancora in attesa di una vera storia, degna dello storico, ossia oggettiva, imparziale e intelligente di uno storico illuminato dalla fede cattolica e dalla comunione con la Chiesa.

Questo lavoro potrà contribuire moltissimo alla conciliazione tra i due partiti, mostrando da una parte che le dottrine del Concilio non sono racchiuse nei termini di un evento storico, ma chiariscono i dati della Tradizione e dall’altra che esse nulla hanno di modernistico e di contrario alla Tradizione, ma sono precisamente la guida illuminata dallo Spirito Santo per affrontare e risolvere, alla luce della Tradizione, le sfide del nostro tempo, sì da allargare i confini della Chiesa e migliorarne la santità.

Che cosa allora è successo invece in moltissimi casi? Che i dogmi cattolici negati dai fratelli separati sono stati relativizzati o resi facoltativi o interpretati nel senso degli eretici a causa di un malinteso proposito di un accordo con loro.

L’equivocità del nome cattolico è nata da questo pateracchio che nulla ha a che vedere con gli accordi ecumenici voluti dal Concilio, ma che invece genera la confusione nella quale viviamo oggi nella quale cattolico significa tutto e il contrario di tutto e i pastori e i teologi spesso, invece di chiarire, precisare, identificare e distinguere, aggravano l’equivoco e la confusione.

È chiaro che dietro a questi finti accordi, questa confusione, questo falso irenismo ed ecumenismo o pluralismo ci sono interessi e orientamenti pratici meschini, egoistici ed inconfessabili, la voglia di dominio, la sete di successo, il lassismo morale o al contrario il rigorismo farisaico, la presunzione, il fondamentalismo, la faziosità, il settarismo, la superbia, l’invidia, la saccenteria, la gelosia, l’esibizionismo, la mondanità, l’ipocrisia.

Il nodo di fondo della questione non è troppo difficile da individuare: si tratta del rapporto tra il fattore conservativo e il fattore progressista della Chiesa. Il concetto dell’essere cattolico s’incentra sulla questione del concetto di Chiesa. Sta qui il dissidio di fondo oggi in atto fra noi cattolici. È qui, pertanto, che bisogna operare per la pace e la concordia nella Chiesa.

Oggi invece accade che quella che dovrebbe essere una normale costruttiva dialettica tra il fattore di stabilità e quello di riforma, presente in ogni società, ha assunto una forma patologica, traumatica, febbricitante e lacerante.

In questi sessant’anni si è progressivamente scavato un solco tra le due parti che sembra sempre meno valicabile, benchè tradizione e progresso, conservazione e riforma sarebbero fatti di per sé per combinarsi assieme e completarsi reciprocamente.

Una domanda che ci poniamo è: come mai ad un Concilio, il cui nome stesso dice amore, conciliazione e pace ha potuto seguire la divisione, l’odio e la guerra? Un motivo che certo non è una vera causa o spiegazione, ma può esser considerato un’occasione che ha dato spazio all’intervento del diabolos, del divisore, è il fatto che questo Concilio è stato diverso da tutti gli altri, diverso per come è nato, diverso per il linguaggio, diverso per la tematica affrontata, diverso per l’enorme quantità di Padri conciliari, diverso per la quantità di documenti, diverso per il suo basso grado di autorità, diverso per la forte necessità di essere bene interpretato a causa dell’imprecisione di certe espressioni.

Accenno adesso solo a come è nato, riservandomi di chiarire nel corso di questo scritto le altre diversità. Gli altri Concili sono sempre nati perché invocati o auspicati a volte con insistenza e suppliche da santi, profeti o pastori o teologi zelanti, che denunciavano al Papa la necessità che facesse chiarezza su punti di fede oscuri, controversi o negati messi in dubbio dagli eretici o supposti eretici, mettendo d’accordo, conciliando («concilio») gli animi divisi e ristabilendo la pace nella Chiesa eventualmente espellendo i disturbatori.

Ora questo Concilio è effettivamente stato preparato da un movimento riformatore, di teologi, profeti e pastori che si erano accorti che bisognava correggere certi errori o abusi, togliere certi mali o migliorare certe cose o abolirne altre.

In ciò si sono distinti Maritain e Congar[3]. Ma essi non hanno mai pensato ad invocare un Concilio. Essi si erano limitati a prendere in considerazione quanto di valido c’era di valido nelle istanze dei modernisti evitando i loro errori ed intserendo le loro proposte valide nel solco della Tradizione e nell’orizzonte della dottrina della Chiesa; esattamente come avrebbe fatto il Concilio. Per questo molte loro idee entrarono a formare le dottrine del Concilio. 

I termini del conflitto

Una cosa penosa che balza agli occhi è che manca tra le due parti l’ascolto reciproco. Le critiche dell’altro mescolano cose vere e cose false. Bisognerebbe che le due parti avessero l’umiltà e o il discernimento per accettare le critiche giuste, e invece purtroppo, rifiutando la correzione che verrebbe dall’altra parte, perseverano ostinatamente ed orgogliosamente nella loro unilateralità, con la pretesa di rappresentare la vera Chiesa contro l’altra parte, che pur resta appartenente alla Chiesa.

 Papa Francesco, il cui carisma è quello dell’unità, è ricco di calore umano e si distingue per l’attenzione ai poveri e all’umanità sofferente, ha fatto gesti storici a favore della pace, ma fatica a mantenere una posizione di imparzialità nella Chiesa esercitando un’eccessiva indulgenza verso i modernisti, i secolaristi e i lassisti, e un’eccessiva severità nei confronti degli indietristi, dei rigidi e dei rigoristi. I primi lo lisciano e lo strumentalizzano volendo farlo passare per il loro leader, falsificando il significato del concilio; i secondi conducono una critica sistematica, spietata ed ingiusta, in un’ostinata opposizione al Concilio.

I cattolici normali, che sono nella vera comunione col Papa, fedeli al Concilio, attenti sia alla tradizione che al progresso, sembrano essere ancora la maggioranza, sono strattonati dalle due parti che se li contendono per rafforzarsi, soffrono per la fatica che il Papa fa a promuovere la concordia, la giustizia e la pace. La giustizia è disattesa a causa di una falsa misericordia, la diversità è confusa con la conflittualità, l’ecumenismo sfiora l’indifferentismo, l’evangelizzazione assomiglia alla filantropia.

Esiste nella Chiesa una malsana dialettica, si direbbe hegeliana. È una dialettica che non conduce alla conciliazione, ma che provoca una guerra permanente. L’opposizione tesi-antitesi non trova una sintesi. Ovvero la sintesi è concepita in modo sbagliato, illusorio, alla maniera di Hegel e non di Aristotele. E questo perchè la dialettica non è strutturata come in Aristotele in modo da preparare l’accordo sulla base della verità e del bene comune riconosciuti da ambo le parti; non è capace di congiungere le parti in conflitto tra loro, liberandole dall’estremismo, che le rende inconciliabili fra di loro, ma semplicemente le copre, le accosta o giustappone le une alle altre così come sono, senza indicare come togliere il contrasto e quindi la vera via della conciliazione, dell’accordo e della pace.

Nella mentalità modernista la dialettica non viene concepita alla maniera aristotelica, come accidentale, provvisoria e preparatoria al sapere, che solo è fattore dell’unità e della pace, ma alla maniera hegeliana come l’essenza stessa del sapere e quindi come fattore sufficiente della sintesi che crea la quiete e la concordia. La dialettica tocca solo la libertà d’opinione, ma non può avere la pretesa di unificare il sapere. La dialettica lascia intatte le divisioni, divisioni legittime, ma incapaci da sole di fondare l’universalità e l’oggettività necessarie alla pace della comunità,

Aristotele dimostra infatti che la sintesi tra gli opposti ovvero la soluzione delle antinomie non è creata dalla dialettica ma dalla scienza ovvero dall’analettica, perchè solo la scienza, mediante il metodo dell’analogia, sa sciogliere quelle antinomie, che la dialettica da sola non è capace di togliere. Con la sola dialettica il conflitto non si risolve ma diventa istituzionale.

Un aspetto del contrasto fra indietristi e modernisti, che li pone entrambi in dissonanza col vero cattolicesimo e la vera comunione con la Chiesa e il Papa, è il loro modo d’intendere la riforma della Chiesa: gli indietristi respingono la riforma conciliare convinti che si debba tornare indietro a come la Chiesa era prima del Concilio, mentre i modernisti propongono un andare avanti, che in realtà è un ritornare indietro, rimettendo in discussione ciò che è già stato definito, per cui vanno fuori strada. I lefevriani hanno la percezione dei valori non negoziabili, ma vogliono conservare ciò che è da abbandonare, mentre iI modernisti hanno il senso della storia, ma vogliono cambiare ciò che è da mantenere. Mentre i modernisti relativizzano e disprezzano la tradizione, i lefevriani la sclerotizzano privandola della sua apertura alla novità.

Gli apporti del Concilio all’ecclesiologia non ne mutano affatto l’essenza, come temono Amerio, Mons. Carlo Maria Viganò e Lefebvre. Essi non costituiscono affatto una nuova ecclesiologia, un’altra Chiesa in chiave di storicità, come credono compiaciuti Küng e Metz e Gutiérrez, perché l’essenza della Chiesa, benchè assuma diverse forme storiche, trascende la storia ed appartiene all’ordine dell’eterno. Cristo non ci promette di vivere nella storia; questo lo facciamo già da soli, ma la vita eterna nei cieli: questo è ciò che da soli, senza di Lui, non possiamo raggiungere.

E questo conflitto fra i due partiti dipende dal fatto nessuno dei due capisce che ogni riforma e progresso della Chiesa è ad un tempo recupero e fedeltà alla tradizione, mediante un’indagine storico-critica del passato, nonchè esplicitazione, chiarimento ed approfondimento della tradizione col ricavare da essa il progresso che essa richiede per l’oggi e che virtualmente prevede per il futuro.

Ma se vogliamo chiarire fino in fondo il problema di che cosa è stato e cosa ha voluto fare il Concilio, dobbiamo dire che, per la prima volta nella storia dei Concili, esso non è stato un Concilio di riforma, ma un Concilio profetico.

Tutti i documenti conciliari lasciano trasparire questo sguardo rivolto all’escatologia: la Messa è profezia della Pasqua, la divina rivelazione è la visione di Gesù risorto, la Chiesa è l’umanità futura della risurrezione, il mondo è in cammino verso un’umanità dove non ci saranno più guerre e ingiustizie ma solo la pace e giustizia, l’amore coniugale preannuncia l’unione uomo-donna alla risurrezione; il laico è l’uomo nuovo, il sacerdote è ministro del Risorto, la stessa vita religiosa è testimonianza di vita risorta, Maria è la Donna messianica, l’ecumenismo è il cammino comune verso l’unità escatologica, e così via.

Non si tratta più tanto di ritornare a un passato perduto, quanto piuttosto di progredire, muoversi ed avanzare verso nuove vie per un futuro noto nelle sue grandi linee dal dato rivelato apocalittico e profetico, e nel contempo carico di mistero, che ci sarà rivelato quando giungeremo alla meta per adesso solo pregustata e oggetto della speranza.  Ecco il tipico progressismo del Concilio.

La mistificazione modernista di questi insegnamenti si muove su due linee: da una parte la mistica agnostica rahneriana, che col pretesto che il futuro escatologico è mistero, parla di «futuro assoluto», dove non ci si capisce niente o non si vede niente; tanto vale interessarsi solo di questa terra, dove comprendiamo come vanno le cose; dall’altra la teologia della liberazione, che immanentizza l’escatologico ponendolo non nell’al di là, ma nell’al di qua.

In precedenza i Concili si erano sempre radunati o per restituire forma a ciò che si era deformato (ri-forma) – per esempio il Concilio di Trento - o per chiarire dati rivelati già presenti nella Tradizione o nel Simbolo della fede o nella Scrittura – per esempio i Concili cristologici -. 

Si trattava dunque di guardare al passato: tornare ad osservare[4] una regola di vita che era stata tradita o abbandonata o chiarire e confermare un dato di fede già presente nella Tradizione o nella Scrittura. Lo stesso Lutero aveva impostato la riforma secondo questo schema.

Invece il Concilio ha abbandonato tale schema ed ha voluto assumerne uno che guardasse al futuro, al fine ultimo, da realizzare, all’escatologico, al modello apocalittico, ai nuovi cieli e nuova terra, alla Gerusalemme celeste, dove regnerà la pace, la giustizia, la libertà e la fraternità.

Ci potremmo chiedere come a San Giovanni XXIII è venuto in mente di impostare un Concilio a questo modo? Sensibile ai problemi storici e allo sviluppo storico nella società e nella Chiesa, dotato di spirito profetico, il Santo Pontefice aveva imparato dall’umanesimo che, nato con l’illuminismo, si era ampliato nei grandi progetti umanistici e sociali del comtismo, del socialismo e del marxismo del sec. XIX. Il Concilio ha saputo raccogliere questa istanza escatologica e darle la giusta risposta e soddisfazione.

Osserviamo però che purtroppo nessuno dei due partiti ha capito qual è la vera istanza escatologica del Concilio perché essi non sanno congiungere passato, presente e futuro unendoli assieme nel loro succedersi in continuità nella Parola di Colui che ha detto: «cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». Cristo congiunge la storia con la su Parola. Invece mentre i modernisti col pretesto della storia mutano il dogma, i lefevriani col pretesto del dogma bloccano la storia.

Questo contrasto fra i due partiti lefevriano e modernista si è in qualche modo in questi passati decenni formalizzato, irrigidito ed istituzionalizzato in quello che chiamerei il conflitto di Catechismi. Gli uni e gli altri hanno capito l’importanza del Catechismo, per cui i lefevriani hanno voluto respingere le novità dottrinali del Concilio in base al Catechismo di San Pio X, mentre i modernisti si sono espressi mediante una deformata interpretazione del Concilio prima col Catechismo olandese del 1966 e poi col Corso fondamentale sulla fede di Rahner del 1978. Purtroppo la Chiesa non ebbe la tempestività pastorale che ebbero i due partiti, per cui rimase svantaggiata nell’opera della diffusione delle dottrine conciliari, che richiedevano di essere codificate in un nuovo Catechismo.

Abbiamo dovuto attendere purtroppo il 1992 perché finalmente fosse pubblicato il Catechismo della Chiesa Cattolica, in una situazione ecclesiale nella quale ormai da trent’anni si combattevano fra di loro le due fazioni, quando invece, se, come avvenne al Concilio di Trento,  la Chiesa provvide subito alla formazione del Catechismo, Paolo VI avesse avuto la prontezza e tempestività di far pubblicare subito un nuovo Catechismo, certamente avrebbe frenato il moto di dissoluzione ecclesiale in atto.

Così invece il Catechismo della Chiesa Cattolica venne a trovarsi davanti a due schieramenti organizzati e definiti, ognuno col proprio programma, i rahneriani-scillebexiani da una parte e i lefevriani dall’altra, gli uni contro gli altri armati, entrambi in dissonanza, per opposti motivi, con la vera riforma conciliare e la vera comunione col Papa e con la Chiesa.

Anche Lutero ebbe l’avvertenza dell’importanza di codificare il suo concetto di Chiesa e il suo modo d’intendere la dottrina cristiana organizzando la Confessione Augustana e scrivendo un Catechismo. Ma Lutero aveva dichiarato apertamente di rompere col Papa e la Chiesa cattolica.

La cosa che invece suscita turbamento e dolore tra noi cattolici è il fatto che sia i modernisti che gli indietristi hanno avuto la pretesa di pubblicare una sintesi della loro dottrina spacciandola per cattolica e con la pretesa di continuare di essere più che mai nella Chiesa cattolica, in barba alle critiche, lamentele, correzioni e censure venute da vescovi, teologi e autorità romane. 

Fine Prima Parte (1/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 6 gennaio 2024

 

Gli osservatori acuti ed imparziali come Maritain, si accorsero subito del sorgere di due partiti contrapposti: i lefevriani e i modernisti, che molta stampa già influenzata dai modernisti chiamava rispettivamente con gli eufemismi di «conservatori» o «tradizionalisti» (in senso spregiativo) e «progressisti» (erano loro, la vera Chiesa).

Ma il Card. Ottaviani, Pro-Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, già il 24 luglio del 1966, con lucidissima analisi della situazione, inviava ai Vescovi un elenco di 10 errori modernistici come falsa interpretazione delle dottrine del Concilio, errori che si ritroveranno successivamente in documenti come il Catechismo Olandese e il Corso fondamentale sulla fede di Rahner, tuttora influenti nel panorama della teologia attuale.

 

Oggi accade che quella che dovrebbe essere una normale costruttiva dialettica tra il fattore di stabilità e quello di riforma, presente in ogni società, ha assunto una forma patologica, traumatica, febbricitante e lacerante.

In questi sessant’anni si è progressivamente scavato un solco tra le due parti che sembra sempre meno valicabile, benchè tradizione e progresso, conservazione e riforma sarebbero fatti di per sé per combinarsi assieme e completarsi reciprocamente.

Una domanda che ci poniamo è: come mai ad un Concilio, il cui nome stesso dice amore, conciliazione e pace ha potuto seguire la divisione, l’odio e la guerra? Un motivo che certo non è una vera causa o spiegazione, ma può esser considerato un’occasione che ha dato spazio all’intervento del diabolos, del divisore, è il fatto che questo Concilio è stato diverso da tutti gli altri.

Ma se vogliamo chiarire fino in fondo il problema di che cosa è stato e cosa ha voluto fare il Concilio, dobbiamo dire che, per la prima volta nella storia dei Concili, esso non è stato un Concilio di riforma, ma un Concilio profetico.

Non si tratta più tanto di ritornare a un passato perduto, quanto piuttosto di progredire, muoversi ed avanzare verso nuove vie per un futuro noto nelle sue grandi linee dal dato rivelato apocalittico e profetico, e nel contempo carico di mistero, che ci sarà rivelato quando giungeremo alla meta per adesso solo pregustata e oggetto della speranza.  Ecco il tipico progressismo del Concilio.

Immagini da Internet:
- Card. Ottaviani
- Papa Francesco I

[1] Le paysan e la Garonne. Un vieux laïc s’interroge sur le temps présent, Desclée de Brouwer, Bruges 1967.

[2] Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Edizioni Lindau, Torino 2010.

[3] Vedi per esempio, Jalons pour une théologie du laïcat, Les Editions du Cerf, Paris 1961; La tradizione e le tradizioni, Edizioni Paoline 1965. Altre opere sempre delle Editions du Cerf: Chrétiens désunis; Esquisse du mystère de l’Eglise; Vraie et fausse réforme de l’Eglise. Un ritratto biografico-teologico del Padre Congar: Aidan Nichols, Yvs Congar, Edizioni Paoline 1991.

[4] Da qui la qualifica di «osservanza» che si dava alle riforme soprattutto degli Istituti religiosi.

66 commenti:

  1. Carissimo p. Giovanni, concordo perfettamente con lei su quanto ha lei esposto e scritto in questa prima parte riguardo le divisioni all’interno della Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II. Purtroppo come si dice è “l’aria che si respira” anche all’interno delle nostre comunità parrocchiali e all’interno dei vari movimenti e associazioni cattoliche.
    Personalmente mi considero un figlio del Concilio e mi ha sempre guidato, nel mio servizio alla Chiesa locale prima come laico e ora come suo ministro ordinato, l’invito ad educarci a scrutare i “segni dei tempi”, cioè a porre attenzione alla realtà umana così come storicamente si esprime nella storia attraverso la lettura e l’interpretazione dei fatti, degli avvenimenti, dei fenomeni segnati dalla complessità del nostro tempo così come ci ricorda la Costituzione pastorale Gaudium et spes : «È dovere permanente della Chiesa – afferma il Concilio – di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» (GS, n. 4).
    Occorre acquisire una capacità di discernimento per saper cogliere negli eventi storici ciò che è positivo e risultato degli sforzi umani guidati e suggeriti dalla ricerca della verità e del bene comune e che, in quanto tali, riflettono l’azione dello Spirito Santo che tali desideri suscita in ogni uomo. Nella mia azione pastorale, rivolta alla crescita delle comunità a me affidate, ho messo sempre al centro la Rivelazione, lo studio e l’ascolto della Parola di Dio come elemento fondante e continuamente rigeneratore della vita cristiana, evidenziando come gli eventi della storia della salvezza, narrati dalla Scrittura, rivelano l’azione di Dio che educa e guida il suo popolo e, attraverso di esso, l’umanità intera e ci aiutano a leggere come storia di salvezza anche le vicende del nostro tempo il tutto poi mediato dal Magistero della Chiesa come l’ha definita Paolo VI nostra Madre e maestra: “Non è la Chiesa nostra madre, nell’ordine della grazia; nostra maestra, nell’ordine della fede? non è l’arca della nostra salvezza? non è la famiglia di Dio, dove la comunità cristiana, l’intera umanità in via di redenzione, si trova riunita dalla carità e per la carità?”. (Paolo VI, Udienza generale, mercoledì, 20 ottobre 1965)
    Basterebbero queste considerazioni, che a mio avviso esprimono lo spirito autentico del Concilio Vaticano II, sufficienti a superare le attuali contrapposizioni e divisioni nella nostra Chiesa tra i cosiddetti conservatori o indietristi e i progressisti, modernisti.

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    1. Caro Don Vincenzo,
      le sue considerazioni, per la loro saggezza e aderenza agli insegnamenti attuali della Chiesa, sono più che adatte a favorire un clima di dialogo, di mutua comprensione, correzione e collaborazione, secondo le qualità proprie delle varie tendenze operanti nel contesto ecclesiale.
      Apprezzo molto la sua sensibilità nei confronti del bisogno urgente di lavorare con tutte le nostre forze e l’aiuto del Signore per promuovere la pace e la concordia nella Chiesa, perché siamo giunti ad una situazione che sembra andare per il peggio.
      D’altra parte notiamo di positivo il chiarificarsi delle due posizioni in contrasto tra di loro, in modo tale che ciò facilita il lavoro di conciliazione.
      Quanto al Santo Padre, ho l’impressione che stia assumendo una posizione di vera imparzialità, come Padre di tutta la Famiglia ecclesiale. Ciò gli procurerà maggiore autorevolezza e prestigio, da vero Pastore Universale, presso tutti coloro, a qualunque partito appartengano, che desiderano la pace nella Chiesa in una azione concorde di testimonianza davanti al mondo bisognoso di pace, il quale mondo troverà in noi testimoni credibili di pace solo se siamo in pace tra di noi.

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  2. Caro Padre Cavalcoli:
    Che una persona colta e intelligente come lei non possa comprendere il mistero di iniquità installato a Roma dal CVII mi risulta molto difficile da comprendere...

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  3. Caro Padre:
    non vorrei che il mio commento precedente rimanesse senza adeguate argomentazioni.
    Innanzitutto, in senso stretto, il mistero dell'iniquità nella sua pienezza sarà l'abominio della desolazione nel luogo santo, cioè il regno universale dell'Anticristo, quando sarà fatto pubblicamente adorare, sostenuto dal falso profeta , che gli darà legittimità morale e religiosa davanti all’opinione pubblica mondiale, e incoraggerà l’umanità ad accettare di ricevere il “marchio della bestia” sulla mano destra o sulla fronte.
    Ora, a mio avviso, il modernismo trionfante a Roma a partire dal CVII, attraverso - tra molti altri errori - la libertà religiosa, l'ecumenismo e il dialogo interreligioso, è una manifestazione incipiente di detto mistero di iniquità, poiché pone le basi di una "religione di umanità" in cui tutti i culti sono integrati, considerati modi validi e autentici per connettersi con Dio, adorarlo e strutturare la vita sociale.
    Questo naturalismo e indifferentismo religioso è stato particolarmente visibile nei diversi incontri interreligiosi per la pace di Assisi, convocati dagli ultimi tre Papi, sostenendo sempre che il suo fondamento risiede nell'insegnamento innovativo contenuto in detti documenti conciliari.
    Il modernismo è, in sostanza, l'infiltrazione della primitiva gnosi luciferina del “sarete come dei” –una sorta di rivelazione diabolica contrapposta a quella biblica–, che è stata trasmessa dalla caduta originaria ai giorni nostri, in molteplici modi (ermetismo egiziano, gnosticismo “cristiano”, cabala “ebraica”, neoplatonismo rinascimentale, rosacrocianesimo, spinozismo, hegelismo, ecc.).
    Il nucleo di questa dottrina è il panteismo evoluzionistico, secondo il quale la divinità prende progressivamente coscienza di sé, attraverso lo sviluppo della sua "creazione/emanazione", in una lenta ma continua ascesa evolutiva, che va dalla materia inerte alla coscienza spirituale, che prende trova posto, nella sua fase finale, nello spirito umano. La dannazione eterna è quindi negata, esplicitamente o implicitamente, dalla teologia modernista –salvezza universale, inferno vuoto, cristianesimo anonimo, ecc.– poiché una separazione definitiva della creatura dalla divinità, nel quadro di una visione monistica del mondo, rende senza senso.
    Di qui anche che tutte le "tradizioni religiose" sono accettabili -benché siano ammessi diversi "gradi" di perfezione e di precisione nella presentazione teorica che fanno del "mistero dell'esistenza umana"- poiché esse, fondamentalmente, non fanno altro che guidare l'uomo verso la piena consapevolezza del suo destino divino, il tutto esprimendo, con maggiore o minore successo, la nostra natura profonda, che scaturisce dall'immanenza vitale delle nostre coscienze in processo di divinizzazione. Che questa esperienza primordiale sia espressa dalle diverse religioni con propri strumenti concettuali -inerenti ad una specifica cultura, luogo e tempo- è normale, e non deve costituire un ostacolo allo sviluppo della fraternità umana e dell'unità tra i diversi culti -evitando il rischio di cadere nel “sincretismo”, ovviamente, ce lo assicurano con toni rassicuranti e arie di “ortodossia” dottrinale, ma costruire insieme un “mondo migliore” e prendersi cura insieme della “casa comune”-, ebbene ciò che ci unisce è ciò che è essenziale e universale, mentre ciò che ci distingue e ci separa è, in definitiva, qualcosa di accessorio, mutevole, perfettibile, relativo a ciascuna cultura particolare.
    Infine, non ho dubbi che la futura religione mondiale dell'Anticristo risieda in questo inganno. Questi falsi principi furono intronizzati nella Chiesa nel CVII, e poi sono stati sistematicamente applicati e diffusi da tutti i Papi conciliari. Questo intendo quando dico che il mistero dell'iniquità è instaurato a Roma fin dal CVII...

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    1. Mi dispiace, ma suppongo che ci siano due modi (sbagliato e vero) di intendere il "mistero dell'iniquità a Roma", e che ciò sia avvenuto "a partire dal Concilio Vaticano". Se il "mistero dell’iniquità" si vede nei falsificatori della verità che si sono posti a maestri della verità a Roma, l’applicazione è corretta, ma non se lo si vede nel Papa, perché in tal caso Gesù Cristo siamo stati bugiardi assicurandoci che il Papa ci avrebbe confermato nella verità. Se l'espressione che ciò avviene "a partire dal Concilio" fosse intesa nel senso "post hoc" sarebbe corretta, ma non lo sarebbe se fosse intesa nel senso "propter hoc".

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    2. Caro Davide,
      l’analisi, che lei fa dello sviluppo dello gnosticismo collegabile con le mistiche panteistiche orientali e sfociante nell’attuale modernismo, mi sembra fatta molto bene e incontra il mio completo accordo.
      Mi meraviglio che lei non abbia citato la massoneria esoterica, che è il centro propulsore e diffusore di questo programma mondiale di istaurazione di una umanità dove l’ateismo si congiunge col panteismo.
      Per quanto riguarda le dottrine del Concilio Vaticano II, io da decenni, seguendo il Magistero dei Papi del postconcilio, nelle mie pubblicazioni ho sempre denunciato la falsa interpretazione del Concilio ad opera del modernismo e in particolare di Rahner.
      Per questo la vera interpretazione del Concilio porta a scoprire in esso proprio l’antidoto a questo programma diabolico di sovvertimento dell’umanità in funzione anticristica.
      Il punto sul quale io dissento da lei è quindi il seguente: la trama che lei ha descritto come agente contro la Chiesa, corrisponde esattamente a quanto San Giovanni dice nell’Apocalisse. Il suo errore sta nel fatto che lei, invece di vedere nei Papi del postconcilio e nello stesso Concilio proprio il baluardo che Cristo oppone all’anticristo, lei, come Lutero, scambia il Papa per l’anticristo e, forse inconsapevolmente è lei che sta lavorando per l’anticristo, accusando il Concilio di un’opera anticristiana, quando in realtà è proprio il Concilio che ci aiuta a vincere l’anticristo.

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    3. Caro Silvano,
      la critica, che lei fa a Davide, mi trova perfettamente d’accordo.

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  4. Caro padre Cavalcoli,
    cuando nella sua critica ai modernisti indichi che i contributi del Concilio Vaticano II "non significano una nuova ecclesiologia", credo di capire perfettamente cosa intendi. Questi contributi rivelano o chiariscono aspetti del mistero della Chiesa che prima non erano così scarsi.
    Ora, penso che il suo modo di esprimersi non sia corretto. Perché se si parte dalla definizione di “ecclesiologia” come “trattato teologico sulla Chiesa”, e si assume la libertà teologica (sempre nel rispetto del dogma e della dottrina) allora si può dire che esistono varie ecclesiologie. E possiamo addirittura dire che il Concilio Vaticano II ha assunto una ecclesiologia diversa da quella precedente.

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    1. Caro Dino,
      se ho ben capito, lei sostiene che l’ecclesiologia del Concilio ha cambiato l’essenza della Chiesa. Le faccio presente che, se lei dovesse dare una simile interpretazione all’ecclesiologia del Concilio, commetterebbe un grave errore, perché è impossibile che un Concilio Ecumenico possa fare una cosa del genere, in quanto in esso la Chiesa, grazie all’assistenza di Cristo, è sempre fedele alla sua essenza.
      Sempre sul tema dell’ecclesiologia conciliare, io credo che si possa parlare in modo innocente di nuova ecclesiologia, non nel senso che il Concilio abbia mutato l’essenza della Chiesa, ma nel senso, come disse San Paolo VI, che il Concilio ci ha fatto conoscere meglio il mistero della Chiesa, la quale nei secoli mantiene la sua identità, ma, essendo anche una realtà storica, è del tutto normale che essa evolva in quelle cose che sono mutabili e che faccia progredire ciò che può progredire.
      Per quanto riguarda la questione delle varie ecclesiologie, qui noi possiamo constatare che alcune ecclesiologie postconciliari non sono del tutto ortodosse, come per esempio quella di Boff, Gutierrez, Schillebeeckx, Rahner, Kung e altri.
      Tuttavia, benchè io non sia un ecclesiologo, ritengo che possa esistere un pluralismo legittimo anche in questo campo. Per esempio, diversa è la visione ecclesiologica dei Domenicane e quella dei Francescani. I primi sottolineano maggiormente l’aspetto istituzionale, mentre i Francescani sottolineano maggiormente l’aspetto carismatico.
      Un grandissimo ecclesiologo, che ha saputo comprendere il passaggio dalla ecclesiologia preconciliare a quella postconciliare, è stato il Cardinale Charles Journet.

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    2. Caro padre Cavalcoli,
      sono completamente d'accordo con il suo commento. Ma vedo che purtroppo non hai colto il nocciolo del mio ragionamento.
      Credo che tutto si risolva se, come ci chiede Aristotele, in tutta dialettica si comincia con la definizione dei termini. In questo caso il termine “ecclesiologia”.
      Se per "ecclesiologia" intendi "la dottrina che il Magistero insegna sull'essenza della Chiesa", sono perfettamente d'accordo con la sua risposta. Ovviamente: in questo senso il Concilio non ha cambiato l'ecclesiologia (intesa come essenza della Chiesa).
      Ma se, come vi dicevo nel mio commento precedente, se per “ecclesiologia” si intende un “trattato teologico sistematico sulla Chiesa”, essa presuppone la sana libertà del teologo negli ambiti in cui tale libertà esiste, allora si può parlare di varie "ecclesiologie cattoliche", come diversi modi di intendere GIUSTA ED ORTODOSSAMENTE l'essenza della Chiesa (non, ovviamente, alla maniera di Rahner, né di Schillebeeckx, né di Boff, né di Kúng, ecc.).
      In questo senso, credo che il Concilio Vaticano II, considerando la "ecclesiologia" (nel secondo senso indicato) sviluppata da teologi come Congar o Journet prima del Concilio, abbia preso quelle "ecclesiologie" (nel senso delle teologie) e ha fatto la sua "ecclesiologia" (nel senso della dottrina), come una migliore interpretazione dell'essenza della Chiesa, in linea con la continuità con l'ecclesiologia tridentina o del Vaticano I, per esempio.

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    3. Caro Dino,
      mi pare che un normale trattato teologico di ecclesiologia supponga l’insegnamento del Magistero sull’essenza della Chiesa. D’altra parte è anche abbastanza normale che esistano diverse visioni della Chiesa, a seconda delle diverse tendenze teologiche, come io stesso ho riconosciuto confrontando la ecclesiologia domenicana con quella francescana.
      Devo dirle inoltre che mi trovo pienamente d’accordo con quello che lei dice. Non capisco pertanto per quale motivo io non avrei compreso il nocciolo della sua argomentazione.
      Ho ritenuto e ritengo sempre prudente però ricordare che l’essenza della Chiesa non può cambiare, proprio perché dopo il Concilio Vaticano II, c’è chi accusa i Papi del postconcilio di avere mutato la natura o essenza della Chiesa, per cui chiamano la Chiesa attuale “la nuova Chiesa o neochiesa”.

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    4. Come ho detto, sono d'accordo con il suo discorso. Ma ho avuto l’impressione che nel modo in cui hai detto le cose, hai limitato la possibilità dei teologi di avere le loro sfumature e differenze nel Trattato sulla Chiesa, nell’Ecclesiologia, sempre rispettando il dogma e la dottrina della Chiesa, come in ogni trattato di dogmatica e teologia sistematica. Grazie Padre.

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  5. Caro Silvano,
    la critica, che lei fa a Davide, mi trova perfettamente d’accordo.

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  6. Caro Padre: li ringrazio per la sua risposta.
    Molte cose.
    È vero, non ho menzionato la Massoneria, ma l'elenco non voleva essere esaustivo. In ogni caso, in senso lato, la considero una variante della Kabbalah, destinata all'iniziazione dei gentili.
    Conosco i suoi scritti sul modernismo, li ho letti tutti, con grande beneficio, in particolare mi hanno aiutato a scoprire il pensiero di Rahner.
    Inutile dire che non sono d'accordo con Lutero nella sua opinione sul Papa, poiché, come cattolico, ovviamente accetto l'istituzione del Papato e riconosco il Vicario di Cristo nel legittimo Successore di San Pietro. Né ignoro che la roccia petrina costituisce un baluardo contro le forze anticristiche e che lo stesso vale per un concilio ecumenico riunito sotto la sua autorità. Tutto questo è qualcosa di elementare.
    Ora, il problema si pone nel verificare che i detti e gli atti dei Papi conciliari –nonché alcuni insegnamenti contenuti nei documenti conciliari– sono impregnati dell'ecumenismo modernista condannato dal magistero preconciliare, in particolare, nelle encicliche “Pascendi ” e “Mortalium Animos”, di San Pio X e Pio XI. E si noti che per ragioni di brevità lascio qui espressamente da parte altre questioni altrettanto capitali, come la libertà religiosa, la collegialità, la nuova ecclesiologia del “subsistit in”, il rapporto con il “mondo moderno”, il novus ordo montiniano, ecc. Preferisco soffermarmi sul tema dell'“ecumenismo” –inteso in senso lato– perché credo che sia lì che l'influenza del modernismo è più facilmente identificabile, anche per i non addetti ai lavori.
    Così, ad esempio, ogni cristiano dovrebbe poter comprendere senza troppe difficoltà che sarebbe qualcosa di del tutto surreale immaginare un San Paolo che invitasse i culti idolatri del suo tempo a riunirsi sotto il suo patrocinio affinché ciascuno potesse invocare la “divinità” con un vista di ottenere la Pace nel mondo. Tuttavia, poco plausibile, è ciò che hanno fatto gli ultimi tre pontefici, basando il loro gesto sugli insegnamenti innovativi dei documenti conciliari. Un evento con queste caratteristiche sarebbe stato considerato anatema in qualunque altra epoca della Chiesa anteriore al CVII, per il semplice motivo che non esiste alcun documento del magistero precedente né alcun passo della Sacra Scrittura che possa essere invocato per giustificare l'attuazione di una cosa del genere... un abominio. Mentre sono innumerevoli i testi che si oppongono direttamente ad un atto di tale natura empia – sia blasfemo che eretico, almeno implicitamente.

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    1. Caro Davide,
      l’introduzione del suo discorso mi trova del tutto d’accordo.
      Mi fermo, come lei preferisce, sul problema dell’ecumenismo.
      Al riguardo possiamo fare alcune osservazioni di carattere storico. È noto a tutti che, prima del Concilio i Papi del ‘900, erano contrari a che rappresentanti della Chiesa Cattolica partecipassero ad incontri ecumenici, che si organizzavano tra i fratelli separati delle varie Confessioni cristiane.
      La svolta è avvenuta col Concilio. Come giudicare questo cambiamento? La Chiesa è passata da un atteggiamento di prevalente condanna e quindi di diffidenza nei confronti dei Fratelli separati ad un atteggiamento di prudente dialogo.
      A questo punto c’è da notare che il Decreto Unitatis Redintegratio mantiene sotto una forma di grande apertura il tradizionale impegno della Chiesa a chiamare a sé i Fratelli separati.
      Ci fu però un mutamento di linguaggio molto interessante. Pio XI auspicava un “ritorno”. Invece il Concilio non ha più usato questo termine, ma ha parlato di “piena comunione con la Chiesa Cattolica”, come a dire che i Fratelli separati appartengono alla Chiesa, ma non pienamente.
      Purtroppo è successo che in concomitanza con questo sano ecumenismo, si è sviluppato un ecumenismo ambiguo, che ha insistito troppo sui lati positivi dei Fratelli separati, tacendo sugli errori.
      Ciò ha avuto come conseguenza che, mentre i Fratelli separati si sono confermati nei loro errori, molti cattolici sono rimasti cattolici di nome, ma influenzati dagli stessi errori.

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  7. L’ecumenismo conciliare manifesta l’indifferentismo religioso tipico del modernismo, secondo il quale tutte le religioni, nascendo dall’immanenza vitale della coscienza umana, sono necessariamente espressioni autentiche di religiosità e mezzi legittimi per conoscere e onorare Dio. Nessuno è falso o cattivo “di per sé”, al massimo, potranno soffrire di difetti nel modo in cui esprimono il “sentimento religioso” da cui nascono, ma questo non costituirà un ostacolo al legame con Dio, nessuno sarà moralmente riprovevole e, tanto meno meritevole di un divieto legale.
    Ci troviamo nell’era della totale e assoluta libertà di culto, considerata come un bene sociale, un diritto umano e un imperativo giuridico, non solo come una tolleranza prudenziale, esercitata tenendo conto delle circostanze particolari di quel tempo o luogo, al fine di mantenere la pace sociale.
    Questo è proprio l’insegnamento in vigore a Roma a partire dal CVII, è inutile negare l’evidenza, per quanto dolorosa possa essere, ed è diametralmente contrario al magistero preconciliare: “contra factum, non fit Argumentum”. Questo è ciò che, a mio avviso, costituisce la “grande apostasia” di cui parla San Paolo, alludendo ad essa come esigenza necessaria prima della manifestazione dell’Anticristo.
    Ciascuno cercherà di spiegare come meglio può la crisi conciliare, la mia opinione è la seguente: Dio, nella sua infinita sapienza, ha permesso che la Chiesa, corpo mistico di Cristo, fosse consegnata nelle mani dei suoi nemici e che iniziò la sua passione –simile a quanto avvenne duemila anni fa con il corpo fisico di Cristo, per poi resuscitare gloriosamente il terzo giorno.
    Da qui emergono alcune conclusioni: la situazione attuale è inedita e unica, è necessariamente di natura escatologica e, quindi, umanamente insolubile, ma, allo stesso tempo, molto promettente, poiché ciò significa che la Parousia –sinonimo di risurrezione– non deve essere molto lontana.
    Né il regno universale dell’Anticristo, per il quale dobbiamo vivere quotidianamente in profonda unione con Dio, senza perdere la pace interiore e senza lasciarci turbare dagli eventi esterni, che diventeranno sempre peggiori, fino al Giudizio delle Nazioni e al ritorno trionfante di Nostro Signore pose fine all'iniquità.

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    1. Caro Daniele, questa sua analisi è molto ben fatta, tuttavia non ha nulla a che vedere col sano ecumenismo, che viene promosso dalla Chiesa.
      Si tratta di un fenomeno di tipo modernista, che tuttavia le Autorità romane hanno tollerato con eccessiva indulgenza.

      Per quanto riguarda queste sue considerazioni, posso in parte essere d’accordo, purchè però lei non si riferisca al Papa, circa il quale avrei qualche riserva, ma non con un tono così severo, perché verrebbe ad offendere quella sua autorità che anche lei afferma di riconoscere.

      Anch’io ogni tanto ho la sensazione che ci stiano avvicinando i tempi della fine. Tuttavia la mia opinione è che il compito attuale della Chiesa sia quello che ci indica Papa Francesco, di portare a termine la riforma conciliare. Infatti io sono arrivato alla convinzione che, all’appressarsi del ritorno del Signore, sarà il Papa stesso ad avvertirci della venuta immanente, in modo che possiamo accogliere il Signore nel modo dovuto.
      La cosa strana è che l’Apocalisse non nomina mai il Papa. Come mai? Probabilmente il motivo è per impedire che il Papa fosse raggiunto dal potere pagano dominante.
      Un discorso simile io lo farei per il cosiddetto Katekon (II Ts 2,4), un personaggio misterioso che trattiene il potere di satana. Questo personaggio ad un certo punto viene meno e satana si scatena. Tuttavia immediatamente dopo viene Cristo, il Quale sconfigge satana ed instaura il Regno di Dio.
      La mia opinione è che questo Katekon sia il Papa, ma che non venga nominato per non esporlo alla persecuzione da parte del potere pagano.

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  8. Caro Padre: Li ringrazio per la sua risposta. Ci sarebbe molto da dire, e vorrei trascrivere molte citazioni magisteriali e bibliche affinché i lettori possano verificare il fondamento della mia posizione, ma questo renderebbe il mio commento noioso e inappropriato per questo mezzo. Ne enuncerò pertanto soltanto i principi, accompagnandoli di tanto in tanto con qualche citazione illustrativa.
    Innanzitutto non bisogna lasciarsi ingannare dal linguaggio fallace dei modernisti: l’appartenenza alla Chiesa non ammette gradazioni, uno è cattolico o uno non lo è, il principio di non contraddizione non conosce eccezioni. La Chiesa lo ha sempre inteso così, e l'unico atteggiamento veritiero e caritatevole verso chi è fuori della Chiesa è l'annuncio evangelico e la proposta del battesimo -nel caso degli infedeli- o dell'abiura dell'eresia e dello scisma, per ritornare felicemente a all'unico ovile di Cristo, all'unica arca della salvezza, cioè alla Chiesa di Cristo –che è la Chiesa cattolica (dogma di fede implicitamente e sibilantemente negato dal "susbsitit in" conciliare–), per il resto.
    Il linguaggio adottato dai teologi conciliari semplicemente non è cattolico, ma piuttosto un'eco del sibilo infernale del serpente che cerca di perdere il genere umano, dal Giardino dell'Eden -in quello che fu il primo caso di "dialogo interreligioso"- ai tempi contemporanei Incontri multiconfessionali di Assisi.
    Lei riconosce che nel Concilio si è verificata una "svolta", che è, a dire il vero, una rottura flagrante con il magistero precedente. Così infatti dice Pio XI a proposito degli incontri interreligiosi nella sua enciclica Mortalium Animos:
    "Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio".
    Scusi la crudezza, ma penso che non dovremmo pensarci troppo, questo testo da solo basta e più che sufficiente per smascherare la menzogna conciliare sull'ecumenismo. Capisco che sia doloroso e inquietante ammetterlo, ma è inutile negare la realtà.
    La malizia dell'atteggiamento conciliare consiste nel confermare gli eretici, gli scismatici, gli ebrei rabbinici e gli infedeli nei loro errori, facendo loro credere che le loro "tradizioni religiose" sono buone, sono vie valide per conoscere, amare e servire Dio, questo è ciò che viene inculcato in loro, ad esempio, invitandoli a "pregare per la pace" ad Assisi.
    Si tratta evidentemente di un peccato gravissimo contro il primo comandamento e contro la carità verso quella povera gente perduta nelle tenebre dell'errore.

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    1. Caro Davide,
      bisogna tenere presente che, come insegna il Magistero della Chiesa di oggi, l’appartenenza alla Chiesa è una cosa molto complessa, che risulta dal soddisfacimento di alcuni requisiti o condizioni essenziali, ai quali ne possono mancare alcuni fino ad un limite al di sotto del quale uno non appartiene alla Chiesa in nessun modo.
      Quello che lei dice, ossia che bisogna distinguere l’appartenere dal non appartenere è più che giusto, perchè sarebbe doppiezza mettere assieme l’appartenere col non appartenere. Ma oltre a questa scelta, che si impone a tutti noi, bisogna tenere presente che l’appartenenza alla Chiesa comporta l’assunzione di un certo numero di elementi, dei quali ne può mancare qualcuno. Questo è il caso dei Fratelli separati.
      A questo punto noi comprendiamo l’insegnamento del Concilio, quando ci dice che la pienezza delle verità cristiane si trova solo nella Chiesa Cattolica, mentre i Fratelli separati appartengono alla Chiesa di Cristo, che trova nella Chiesa Cattolica la sua pienezza. Ciò comporta che essi non appartengano pienamente alla Chiesa Cattolica, per cui il Concilio li invita a correggere quegli errori che impediscono l’accoglienza della pienezza della verità.
      Per quanto riguarda il discorso di Pio XI, la sua preoccupazione è più che giusta in quanto egli teme una forma di relativismo religioso che, col pretesto della libertà di coscienza, nega l’universalità dei valori religiosi ed inoltre teme il verificarsi di quel sincretismo o indifferentismo religioso, che mette tutte le religioni alla pari e nega il primato del cristianesimo, e quindi scoraggia l’azione che il Cattolico deve fare per persuadere il Fratello separato ad abbracciare la pienezza della verità, che si trova soltanto nella Chiesa cattolica.
      Questo comportamento è decisamente condannabile e non ha nulla a che vedere col vero ecumenismo promosso dal Concilio, ma è una sua abile mistificazione organizzata dai modernisti e soprattutto dai rahneriani.

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    2. La diversità tra la pastorale del Concilio e quella di Pio XI su come dobbiamo condurci nei confronti dei Fratelli separati consiste nel fatto che, mentre Pio XI è preoccupato di preservare i Cattolici dall’errore e di proteggerli dal rischio di essere ingannati dai Fratelli separati, il Concilio parte dalla considerazione di quelle che sono le verità cristiane che noi Cattolici abbiamo in comunione con i non cattolici, ma non per fermarsi a questa constatazione, che pur reca gioia a tutti, ma, su questa base, vuole arrivare alla riconciliazione di tutti i cristiani nell’unica verità che ci ha insegnato Cristo. Per raggiungere questa unità, stimola sia noi Cattolici che gli altri Fratelli a incontrarci per affrontare con lealtà, franchezza e carità i punti controversi, mentre dovere di noi Cattolici è quello di fare ogni sforzo per persuadere questi Fratelli a giungere alla pienezza della verità.
      L’unica differenza tra Pio XI e il Concilio è una pura diversità di tipo pastorale. Oggi la Chiesa ha maggiore fiducia di potere condurre i Fratelli separati, attraverso il dialogo ecumenico, alla pienezza della verità.
      Si ricordi peraltro che il dovere di noi Cattolici è quello di seguire la pastorale della Chiesa di oggi, perché è nell’oggi che la Chiesa ci indica la via verso Cristo.

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    3. Per quanto riguarda il famoso “subsistit”, come spiegò la CDF qualche anno dopo, il Concilio, parlando di Chiesa di Cristo, non intende riferirsi ad una Chiesa più ampia di quella Cattolica, ma è la stessa Chiesa Cattolica.
      Quel “subsistit” è un semplice riferimento al fatto che la Chiesa è una Persona mistica, che ha una sua sussistenza, ma è chiaro che nel contempo resta valida la dottrina dell’essenza della Chiesa, che risponde alla domanda di che cos’è la Chiesa.
      Che senso ha questa dottrina del “subsistit”? Che scopo ha? Essa ci vuole appunto spiegare che la Chiesa è una Comunità a più dimensioni o gradi di partecipazione, per cui un cristiano può appartenere più o meno alla Chiesa.
      Perché il Concilio distingue la Chiesa di Cristo dalla Chiesa Cattolica? Non perché, come ho detto, non siano la stessa cosa, ma per potere evidenziare questi gradi di partecipazione, per cui l’essere cattolico è la pienezza dell’essere cristiano, mentre la condizione dei Fratelli separati è sempre quella di essere cristiani, quindi anche loro appartengono alla Chiesa di Cristo, ma non pienamente alla Chiesa Cattolica.
      Per questo il Concilio, nel desiderio che essi siano pienamente cristiani, li invita a entrare in pienezza nella Chiesa Cattolica.

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    4. I teologi che seguono il Concilio non hanno nulla a che vedere con non saprei quale influsso diabolico. Se di dottrine diaboliche vogliamo proprio parlare, queste semmai saranno le interpretazioni date dai rahneriani.

      La “svolta” che il Concilio ha provocato nella teologia cattolica, come già spiegò Papa Benedetto XVI, non comporta nessuna rottura con il dogma e con la Tradizione. Questa è la tesi sia dei filolefevriani che dei modernisti, i quali non hanno capito che in realtà le dottrine del Concilio fanno comprendere meglio sia il dogma che la Tradizione. Quindi in esse non c’è nessuna rottura, ma un progresso, un arricchimento, un chiarimento, una esplicitazione e uno sviluppo nella continuità, come ho spiegato nel mio libro “Progresso nella continuità”, Ed. Fede&Cultura, Verona, 2011.
      Filolefevriani e modernisti si accordano invece, come ho detto, sulla tesi della rottura, i primi per gridare allo scandalo, i secondi per rallegrarsene, ma gli uni e gli altri sbagliano nella interpretazione delle dottrine nuove del Concilio.

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    5. Come le ho già spiegato, l’Unitatis Redintegratio” e “Nostra Aetate” non confermano assolutamente i Fratelli separati e i non cristiani nei loro errori. Semplicemente mettono in luce i valori religiosi che abbiamo in comune, pur nel rispetto delle loro legittime tradizioni diverse.
      Il Concilio afferma che la via di elezione per la salvezza è quella cattolica, senza escludere che anche le altre religioni posseggano delle verità salvifiche, peraltro miste all’errore, le quali, liberate dall’errore, costituiscono anch’esse delle vie di salvezza per quanto parziali, che comunque convergono verso Cristo e che derivano da Cristo.
      Per cui, se i soggetti sono in buona fede, possono anch’essi, guidati dalla grazia, pervenire alla salvezza, come ebbe già ad insegnare il Beato Pio IX nell’enciclica “Quanto conficiamur moerore” del 1863, Denz. 2865-2866.

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  9. Riporto una citazione di Francesco per illustrare ciò che dico: "Un pellegrinaggio educativo interreligioso può essere fonte di grande arricchimento, offrendo molteplici opportunità di incontro, di apprendimento reciproco e di valorizzazione delle nostre diverse esperienze. La cultura dell’incontro costruisce ponti e apre finestre sui sacri valori e principi che ispirano gli altri. (…) Cari amici, il mio augurio è che questo pellegrinaggio educativo vi conduca, guidati dal pensiero del vostro Maestro spirituale Buddha, a un incontro più profondo con voi stessi e con gli altri, con la tradizione cristiana e con la bellezza della terra, che è la nostra casa comune". 16/03/2023:
    https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/march/documents/20230316-buddismo-taiwan.html
    Insisto sulla mia tesi: questo atteggiamento ha il suo fondamento nel modernismo, cioè nell'infiltrazione dello gnosticismo panteistico all'interno della Chiesa, camuffato sotto linguaggio cristiano, per ingannare i fedeli incauti.
    È normale che un modernista convochi ad Assisi tutte le religioni, perché pensa che, in fondo, sono tutte vere, nel senso che sono un'espressione autentica, eminentemente rispettabile, dell'esperienza psichica primordiale della divinità immanente nella coscienza de ognuno.
    Questo professano i papi conciliari, quindi le congreghe di Assisi, la difesa della libertà di culto, l'abolizione dello Stato confessionale cattolico nei nuovi concordati -su richiesta del Vaticano e in applicazione della falsa libertà religiosa proclamata nella Dignitatis Humanae, condannato da tutti i papi dalla Rivoluzione francese al CVII-, ecc.
    Ribadisco quanto dicevo in un commento precedente: questo atteggiamento comporta una rottura radicale, essenziale, insuperabile con l'insegnamento e la prassi bimillenaria della Chiesa. Questa svolta copernicana -senza precedenti e con un inequivocabile pregiudizio escatologico-, proveniente dalla sua massima autorità, e applicata praticamente da tutto l'episcopato mondiale, non può significare altro che la grande apostasia annunciata da San Paolo, come segno precedente alla pubblica manifestazione della l'Anticristo.
    Concludo con tre brevi citazioni molto illuminanti di Francesco riguardo a questa eresia perversa e diabolica, insediata a Roma fin dal CVII, e che da allora è stata professata e applicata da tutti i papi conciliari:
    I. "Se nel passato le differenze ci hanno messo in contrasto, oggi vediamo in esse la ricchezza di vie diverse per arrivare a Dio e per educare le nuove generazioni alla convivenza pacifica nel rispetto reciproco". 05/10/2021:
    https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2021/october/documents/20211005-pattoeducativo-globale.html
    II. "Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute". 1/6/2014;
    https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/communications/documents/papa-francesco_20140124_messaggio-comunicazioni-sociali.html
    III. "Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi". 4/2/2019:
    https://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/papa-francesco_20190204_documento-fratellanza-umana.html

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    1. Le parole benevole del Papa nei confronti del Budda sono da intendersi come riferite all’aspetto positivo della sua spiritualità, che il Papa definisce come incontro più profondo con se stessi.
      Naturalmente la circostanza dissuadeva dal ricordare i loro errori teologici, ma è chiaro che essi sono presupposti e si può dire che un accenno ad essi traspare dalle esortazioni che il Papa stesso fa ai pellegrini esortandoli “a un incontro più profondo con gli altri, con la tradizione cristiana e con la bellezza della terra, che è la nostra casa comune”. Infatti, in questi valori ai quali il Papa accenna, purtroppo la spiritualità buddista è carente.

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    2. Per quanto riguarda lo gnosticismo, è vero che oggi esso è molto pericolo, è diffuso e collegato con lo stesso rahnerismo. Ma il Santo Padre si è premurato di condannarlo energicamente nella esortazione apostolica “Gaudete et exsultate” del 19 marzo del 2018 (https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20180319_gaudete-et-exsultate.html).
      Per quanto riguarda la questione della Religione di Stato, questa istituzione ha reso buoni servizi nei secoli passati, ma, come risulta dalla situazione storica soprattutto a partire dal secolo XVII riconosciuta dal Concilio, un giusto rapporto tra Chiesa e Stato richiede oggi da parte dello Stato il riconoscimento al diritto della libertà religiosa, insegnato dal Decreto “Dignitatis Humanae”, il quale non ha nulla a che vedere con qualunque forma di relativismo o di liberalismo, ma, a detta dello stesso Concilio, si fonda sulla Rivelazione e in particolare sul principio della buona fede e della ignoranza invincibile, che è insegnato dallo stesso Vangelo.

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    3. I.
      Nel primo punto, Papa Francesco non esclude il fatto che le altre religioni contengano degli errori, ma si riferisce a fatti incresciosi del passato, che hanno registrato degli scontri violenti nei quali si è mancato contro la carità, e si rallegra del fatto che oggi sia possibile realizzare un dialogo sereno.

      II.
      Anche qui è chiaro che il Papa non si riferisce all’universalità del messaggio cristiano, che evidentemente è obbligatorio per tutti ed è oggetto dell’evangelizzazione, ma evidentemente disapprova una certa nostra tendenza ad assolutizzare le nostre opinioni, assumendo magari dei toni impositivi o violenti.
      Inoltre il Papa ci ricorda che dialogare non significa rinunciare alle nostre convinzioni di fede, ma al contrario comporta un’opera paziente e caritatevole finalizzata alla loro diffusione.

      III.
      Il Papa qui non si riferisce al fatto che le altre religioni possono contenere degli errori, perché non parlerebbe di volontà divina. E di fatti qui non è in gioco l’opposizione tra la verità e l’errore, il quale in se stesso non ha certo diritto all’esistenza e non è certamente voluto da Dio, ma parla di legittime diversità, le quali evidentemente non possono non essere volute da Dio.



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  10. (Segue dal commento precedente) - Quando i papi conciliari invitano le false religioni del mondo a pregare per la pace ad Assisi, le confermano nei loro errori, fanno capire loro che i loro falsi culti e le loro false credenze non costituiscono un ostacolo nel rapporto con Dio, sono idonei a piacergli, sono mezzi validi per vivere santamente e compiere la sua volontà, e tutti conducono alla salvezza.
    Ebbene, questo non solo è falso, ma ha un carattere puramente diabolico.
    Per questo ritengo che l'ecumenismo modernista professato e praticato a partire dal CVII incarna LA GRANDE APOSTASIA prima della comparsa dell'Anticristo, come ci hanno avvertito San Paolo e implicitamente anche Nostro Signore (Quando il Figlio dell'Uomo ritornerà, troverà la fede in terra?).
    L’ecumenismo conciliare si fonda sulla dottrina gnostica panteistica tipica del modernismo secondo la quale ogni forma di religiosità umana è autentica e vera, per la semplice ragione che nasce dall’intimità della coscienza umana, sede inalienabile della divinità. Che poi gli uomini sistemizzino e teorizzino in vario modo questa “esperienza primordiale” comune a ciascun essere umano, utilizzando gli strumenti concettuali disponibili nella cultura, nel luogo e nel tempo in cui vivono, è cosa assolutamente irrilevante rispetto alla legittimità dell’atto religioso.
    Ecco perché non mi stanco di insistere su questo punto: il modo di relazionarsi con le altre religioni attuato dal CVII non è una nuova “opzione pastorale”, che potrà essere più o meno adatta o prudente, a seconda delle circostanze in cui si trova applicato. È, al contrario, un NUOVO MODO DI COMPRENDERE LA RELIGIONE, l'essere umano, la creazione, la redenzione, ecc.
    Così, ad esempio, la Chiesa viene surrettiziamente identificata con “umanità”, la nozione di “inferno” e di “dannazione eterna” viene totalmente evacuata –come potrebbe qualcuno separarsi definitivamente da Dio in una visione monistica del mondo?-, la redenzione esso stesso viene snaturato, diventando una mera “consapevolezza” della nostra comune divinità, insita nelle nostre anime.
    Da questa “immanenza vitale” emerge la “fratellanza universale” e la “fratellanza delle religioni”, artefici della pace nel mondo e custodi della “casa comune”. Siamo di fronte all’ideologia naturalista e umanista della Massoneria, né più né meno.
    L’“ecumenismo conciliare” è la manifestazione dell’indifferentismo religioso nella sua espressione più originaria.

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    1. Caro Davide,
      il dialogo ecumenico e interreligioso promosso dal Concilio comporta due fasi: una prima fase, iniziale e preparatoria, di riconoscimento dei comuni valori cristiani (ecumenismo) e di religione naturale (dialogo interreligioso), e una seconda, finale e conclusiva, di tipo propositivo e correttivo, nella quale, sulla base degli accordi raggiunti, dobbiamo proporre ai non cattolici e ai non-cristiani i valori mancanti e correggere gli errori affinchè essi entrino in piena comunione con la Chiesa cattolica, pienezza della verità salvifica.
      Il bilancio che possiamo fare per questi 60 anni è la conclusione felice della prima fase ossia l'attuazione di rapporti amichevoli di collaborazione reciproca sulla base dei valori comuni appurati in questi 60 anni. Adesso sembra ora di abbordare la seconda fase. Le conversioni al cattolicesimo purtroppo sono state poche, perchè abbiamo avuto scarsa capacità di renderlo attraente al di sopra di tutte le altre confessioni religiose. Fatichiamo a renderci credibili perchè siamo divisi tra di noi tra modernisti e indietristi. Il Papa ha un bel parlare di evangelizzazione e di Chiesa in uscita: ma se non siamo uniti attorno a lui, battiamo l'aria.
      Purtroppo siamo stati intralciati da un falso ecumenismo e dialogo interreligioso dai caratteri gnostici, liberali, indifferentisti, massonici, relativisti e modernisti, che hanno avuto l'effetto di lasciare gli interlocutori nei loro errori, di impedire le conversioni e di infettare i cattolici dei loro errori.
      Gli incontri di "preghiera" di Assisi si sono certamente rivelati un'esperienza fallimentare, perchè si è voluto allargare il dialogo al totemismo, al politeismo e all'idolatria, mentre si sono ottenuti buoni risultati nel dialogo fra le religioni monoteistiche, secondo le prescrizioni del Concilio.

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  11. (Fine del commento) - Concludo, per illustrare quanto ho detto, con due citazioni, la prima di Francesco, del 26/02/2017, in occasione della sua visita alla chiesa anglicana di All Saints a Roma:
    "nel nord dell’Argentina ci sono le missioni anglicane con gli aborigeni e le missioni cattoliche con gli aborigeni, e il Vescovo anglicano e il Vescovo cattolico di là lavorano insieme, e insegnano. E quando la gente non può andare la domenica alla celebrazione cattolica va a quella anglicana, e gli anglicani vanno alla cattolica, perché non vogliono passare la domenica senza una celebrazione; e lavorano insieme. E qui la Congregazione per la Dottrina della Fede lo sa".
    https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2017/documents/papa-francesco_20170226_omelia-visita-allsaints.html
    E il secondo, dalla Gran Loggia di Spagna, “El Oriente”, del 5/10/2020:
    "Trecento anni c’è stata la nascita della Massoneria Moderna. Il grande principio di questa scuola iniziatica non è cambiato in tre secoli: la costruzione di una fratellanza universale dove gli esseri umani si chiamano fratelli a vicenda, al di là dei loro credi specifici, delle loro ideologie, del colore della loro pelle, della loro estrazione sociale, della loro lingua, della loro cultura o della loro nazionalità. Questo sogno fraterno si è scontrato con il fondamentalismo religioso che, nel caso della Chiesa cattolica, ha portato a testi duri che condannano la Massoneria"
    "L’ultima enciclica di Papa Francesco dimostra quanto sia lontana l’attuale Chiesa cattolica dalle sue precedenti posizioni. In ‘Fratelli Tutti’ il Papa abbraccia la Fratellanza Universale, il grande principio della Massoneria moderna: 'Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità', esprime, sostenendo una fraternità aperta, che ci permetta di riconoscere, valorizzare e amare ogni persona, al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo dell'universo in cui è nata o in cui vive. Per la costruzione di questa Fraternità universale, il Papa propone di perseguire l’orizzonte della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, 'non abbastanza universale'."
    https://www.informazionecattolica.it/2020/10/07/fango-della-gran-loggia-spagnola-sul-papa-abbraccia-il-concetto-di-fraternita-della-massoneria/

    Vi saluto molto cordialmente in Cristo e Maria e vi assicuro che d'ora in poi vi lascerò soli con i miei messaggi (mi riferisco a questo scambio). Vi ringrazio tanto per la vostra gentilezza, la vostra pazienza e la vostra carità fraterna.

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    1. Caro Davide,
      per quanto riguarda la collaborazione in Argentina tra il vescovo cattolico e quello anglicano, mi sembra una cosa positiva in quanto, in entrambi i casi, si rende culto al Signore.
      Per capire questa collaborazione bisogna tenere conto della straordinarietà della circostanza, cioè del fatto che i fedeli, se non ci fosse qualcuno a celebrare il rito, rimarrebbero privi della Celebrazione Liturgica.
      Resta comunque il fatto che le ordinazioni anglicane non sono valide. Tuttavia le loro celebrazioni, se realizzate con pietà e zelo, hanno un valore simbolico e sono gradite a Dio e, in fin dei conti, sono cristiani anche loro.
      Per quanto riguarda il fatto che la massoneria abbia gradito l’enciclica “Fratelli tutti”, è possibile che alcuni massoni vogliano strumentalizzare il Santo Padre. Comunque sta il fatto ben noto che non siamo noi cattolici a imparare da loro in fatto di fratellanza universale, ma sono loro che hanno preso dal Vangelo.
      Per questo, se il Papa cita la fratellanza universale, non è perché fa l’occhiolino alla massoneria, ma perchè riconosce in essa su questo punto una traccia del messaggio evangelico e un valore universale della ragione umana.

      Corrispondo volentieri ai suoi cordiali saluti in Cristo e Maria, e non mi dispiacerebbe che il nostro dialogo continuasse.

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  12. Caro padre Cavalcoli,
    ho letto tutti gli interventi del signor Davide. Per me una cosa è chiara: il signor Davide manifesta una contraddizione fondamentale.

    Da un lato, in uno dei suoi primi commenti afferma che: "Inutile dire che non sono d'accordo con Lutero nella sua opinione sul Papa, poiché, come cattolico, ovviamente accetto l'istituzione del Papato e riconosco il Vicario di Cristo nel legittimo Successore di San Pietro. Né ignoro che la roccia petrina costituisce un baluardo contro le forze anticristiche e che lo stesso vale per un concilio ecumenico riunito sotto la sua autorità. Tutto questo è qualcosa di elementare".

    Ma poi, in tutti gli altri commenti è chiaro che egli non rispetta l'autorità del Papa, non la valorizza in tutta la sua dimensione, che vincola i fedeli in tutto ciò che riguarda il suo insegnamento dottrinale, e obbliga i fedeli a seguirlo in tutto ciò che riguarda le sue direttive pastorali.
    Insomma, questa contraddizione vertebrale nel discorso di Davide è una tipica contraddizione dell'indietrismo scismatico lefebvriano.

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    1. Caro signor Ross: la sua osservazione è corretta. La conclusione a cui giungo, sulla base della situazione descritta nei miei commenti precedenti, è che i papi conciliari non hanno potuto ricevere giurisdizione sulla Chiesa universale, poiché, se così fosse stato, non sarebbero incorsi nell’eresia modernista, poiché Ella li avrebbe preservati dall'errare in materia di fede, per promessa divina. Si dà il caso che non abbia voluto esprimere la mia posizione in merito, poiché suppongo che padre Cavalcoli non vorrebbe accettare commenti di tono sedevacantista sul suo blog e rispetto la sua decisione, limitandomi qui a rispondere puntualmente al suo commento.

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    2. Caro Ross,
      la sua osservazione è senz’altro giusta.
      Speriamo che Davide rifletta e sia coerente con quanto ha annunciato in linea di principio, e cioè che la fiducia nei Concili Ecumenici è inscindibile dalla fiducia nel Papa, per cui è impossibile accettare il Papa e rifiutare un Concilio Ecumenico.

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  13. Caro Padre: non credo di aver postato correttamente il primo dei tre commenti di ieri sera, quindi ora lo faccio di nuovo. Un cordiale saluto in Cristo e Maria.

    (Commento del 15 febbraio, parte I della III, ore 22,15) - Caro Padre, grazie mille per la sua gentile risposta. Avrei molto da commentare, ma cercherò di essere il più conciso possibile, attenendomi all’essenziale. Permettetemi di dirvi, con tutto il rispetto, che l’approccio dell’“ecumenismo conciliare” non si riduce a una mera “diversità pastorale”, come lei pensa, ma propone piuttosto una visione innovativa riguardo alla natura della fede e della rivelazione divina. La differenza, quindi, non è “pastorale”, non consiste nella scelta di alcuni mezzi facoltativi e intrinsecamente leciti scelti per raggiungere il fine soprannaturale che riguarda la missione evangelizzatrice affidata alla Chiesa.
    No, purtroppo la differenza nell’approccio adottato dall’“ecumenismo conciliare” rispetto alla prassi preconciliare è di carattere teologico, dottrinale e dogmatico. È la stessa differenza che esiste tra il soggettivismo e l'immanentismo panteistico tipici del modernismo, e la fede cattolica con il suo Dio creatore, redentore e remuneratore esterno alla coscienza umana, alla cui rivelazione l'uomo deve aderire con la sua intelligenza e amare con la sua volontà.
    Assisi è la chiave per capirlo: il suo messaggio implicito ma innegabile è che, quando un uomo pratica la sua religione, qualunque essa sia, sta seguendo la voce del Dio immanente che si manifesta nel profondo della sua psiche, e per questo motivo, il suo atto di “culto” è buono, autentico, legittimo e deve essere non solo rispettato, ma tutelato e tutelato come diritto dalla legislazione civile. È la falsa libertà religiosa della Dignitatis Humanae, condannata da tutti i Papi del XIX secolo e da quelli del XX secolo, precedenti al CVII. Per quanto riguarda la sostanza di ogni atto religioso, le differenze tra le varie “confessioni”, sette eretiche, scismatiche o idolatriche, sono secondarie, accessorie, poiché l'importante non è ciò che ci “separa”, ma ciò che ci “unisce”. divinità che abita nel profondo di ogni anima umana.
    Di qui la libertà illimitata di culto, convertita nel diritto fondamentale della “persona umana” divinizzato dalla gnosi modernista, che logicamente gli conferisce una “dignità inalienabile” (NO alla pena di morte, NO alla dannazione eterna, NO alla repressione di " false religioni", che, di fatto, NON ESISTONO PIÙ COME TALI), che la Chiesa professa fin dal CVII in assoluta contraddizione con la Sacra Scrittura e con duemila anni di insegnamento ecclesiale. Di qui anche gli incontri ecumenici e interreligiosi ai quali tutte le religioni partecipano PARI con le proprie preghiere, la propria liturgia specifica e le proprie “meditazioni spirituali” basate sui propri “libri sacri”.
    Questo –anche se fa male vederlo, anche se fa ancora più male doverlo ammettere– è ciò che accade ogni giorno nella Chiesa dal CVII. L'astuzia malvagia del "subsistit in" è quella di far credere ai poveri cristiani ingannati che le loro sette eretiche e/o scismatiche fanno parte della Chiesa di Cristo, che in esse non corrono alcun rischio spirituale o morale, che attraverso di esse rendono un culto gradito a Dio, che seguendo i suoi insegnamenti e aderendo alle sue pratiche si avvia sicuramente verso la “salvezza” e che, tutt’al più, non potrebbe tentare di raggiungere la “pienezza di fede” che si trova nella Chiesa cattolica. Una cosa del genere sarebbe “raccomandabile”, “auspicabile”, “auspicabile”, ma in nessun modo “necessaria”, “imperativa” o “indispensabile”. “Tutte le strade portano a Roma” e, dal CVII, tutte le religioni portano a Dio.

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    1. ERRATA: L'astuzia malvagia del “subsistit in” è quella di far credere ai poveri cristiani ingannati che le loro sette eretiche e/o scismatiche fanno parte della Chiesa di Cristo, che in loro non corrono alcun rischio spirituale o morale, che attraverso di loro pagano un culto gradito a Dio, che seguendo i suoi insegnamenti e aderendo alle sue pratiche si avviano sicuramente verso la “salvezza” e che, al massimo, POTREBBERO cercare di raggiungere la “pienezza di fede” che si trova nella Chiesa cattolica. Una cosa del genere sarebbe “raccomandabile”, “auspicabile”, “auspicabile”, ma in nessun modo “necessaria”, “imperativa” o “indispensabile”. “Tutte le strade portano a Roma” e, dal CVII, tutte le religioni portano a Dio.

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    2. Caro Davide,
      lei denuncia molti errori di tipo modernista, che sono effettivamente in circolazione. Questi errori io li ho confutati nei miei scritti, soprattutto nella mia critica a Rahner, ma il volerli attribuire al Concilio Vaticano II è un grave errore, perché è come accusare di eresia un Concilio Ecumenico, e questo non è lecito per un cattolico, perché così facendo cade a sua volta nell’eresia.
      La invito pertanto a interpretare correttamente il Concilio e il Magistero del posconcilio, altrimenti lei mancherà della dottrina necessaria per confutare quegli errori che giustamente denuncia.
      Così invece succede che lei, credendo di combattere il modernismo, in realtà casca nella sua rete, perché si priva del vero mezzo di confutarlo, che è la fedeltà al Concilio, interpretato dai Papi del postconcilio, e non nella sua mistificazione rahneriana.
      Per dire tutto in due parole: i mali della Chiesa di oggi non ci vengono dal Concilio e dai Papi del postconcilio, ma ci vengono dai modernisti, i quali non hanno influenzato il Concilio, ma sono caratterizzati dai rahneriani.

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    3. Con tutto il rispetto, Padre, la sua opinione è ingenua, c'è abbondante letteratura che dimostra attendibilmente come i teologi neomodernisti, tenuti sotto stretta sorveglianza durante il pontificato di Pio XII -che censurò le loro dottrine nell'enciclica "Humani Generis", come lei saprete-, furono riabilitati da Giovanni XXIII e subito incorporati nel corpo degli esperti conciliari. Consiglio la lettura di "Il Reno sfocia nel Tevere", di Ralph Wiltgen -autore imparziale, non sospettato di "indietrismo" -, "Il Concilio di Papa Giovanni", di Michael Davies e "Iota Unum", di Romano Amerio. Comunque immagino che lei li conosca. Dal punto di vista di uno dei principali artefici dell'"ecumenismo conciliare", è molto interessante l'opera "Mon Journal du Concile", del domenicano Yves Congar.

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    4. Caro Padre, trascrivo un testo molto interessante e illuminante sulla posizione di padre Yves Congar durante il Concilio:
      «Agli inizi di novembre si discute dello schema sui vescovi e si ripropone la questione della collegialità. Viene distribuito anche lo schema sulla libertà religiosa. In questo quadro il nostro cronista inserisce alcune riflessioni sulle posizioni controverse:
      “Siamo testimoni del confronto tra due ecclesiologie. Vengono messe in discussione le conseguenze del pontificato di Pio XII. E, al di sopra di essi, il regime prevalso a partire dalla riforma gregoriana, basato sull'identificazione tra la Chiesa romana e la Chiesa cattolica universale. Le Chiese vivono, sono lì, rappresentate e riunite nel concilio, e chiedono un’ecclesiologia della Chiesa e delle Chiese, e non solo della monarchia papale con l’ordinamento giuridico che si è data”.
      Sulla stessa linea si espresse nuovamente poco dopo, facendo un bilancio dell'andamento del concilio stesso:
      “Bisogna riconoscere che, fin dall’inizio, durante tutto il periodo preparatorio e dall’apertura del Concilio, continua una lotta tra l’ecclesia e la curia”.
      Condanna duramente l'ultramontanismo, nato dalla struttura prettamente italiana delle organizzazioni romane e dell'ideologia romana: «Le persone di curia (Ottaviani, Browne, Staffa, Carli) fanno TUTTO per impedire all'episcopato di riprendere i diritti che gli sono stati usurpati" (Nota: le lettere maiuscole provengono da Congar).
      Fonte: «No hay “ressourcement” sin dialogo ecuménico: el diario conciliar de Yves Congar» - Universidad Pontificia de Salamanca - Diálogo Ecuménico, t. XXXIX, n. 124-125 (2004) 273-314 - La cita está en las páginas 299 y 300.

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    5. Caro Davide,
      l’intento di Papa Giovanni fu quello di valorizzare gli aspetti positivi di certi teologi, i cui errori erano stati condannati da Pio XII. Il programma del Concilio lo troviamo in qualche modo nel grande progetto di rinnovamento teologico elaborato da Jacques Maritain in con cinquant’anni di attività teologica precedente al Concilio.
      Un caso interessante, da questo punto di vista, è il caso di Rahner, il quale da una parte aveva una buona fama come studioso di spiritualità, ma dall’altra parte era stato censurato da Pio XII a proposito della verginità della Madonna. Successe che Adenauer chiese a Papa Giovanni di togliere la censura. Il Papa permise che Rahner fosse perito del Concilio. Che giudizio dare su questo fatto?
      Il fatto è che Rahner al Concilio ha dato un buon contributo, che purtroppo è stato frainteso dagli indietristi. Questo fatto è dimostrato dalla collaborazione che egli svolse con Ratzinger. Il problema Rahner è nato dopo il Concilio, quando Rahner cominciò a manifestare il criptomodernismo che aveva nel suo animo, ma che durante i lavori del Concilio teneva nascosto. Tuttavia Rahner si era fatto una gran fama di protagonista del Concilio, per cui cominciò a propagandare in tutto il mondo la sua interpretazione del modernismo.
      A questo punto, come osserva il P. Fabro, l’episcopato non se la sentì di intervenire contro Rahner per timore di apparire in contrasto col Concilio.
      Un episodio molto significativo a questo riguardo è la vicenda di Mons. Lefebvre, il quale non riuscì a capire il valore delle nuove dottrine del Concilio, mentre era giusta la sua critica a Rahner. Tuttavia Lefebvre commise un altro errore, e fu quello di credere che quelle dottrine nuove fossero state causate dal modernismo di Rahner.
      Uno dei periti del Concilio, il Ratzinger, che aveva collaborato con Rahner, accortosi dopo il Concilio di questa svolta modernistica di Rahner, lo criticò aspramente nel libro “Les principes de la théologie catholique” del 1981, e per tutto il seguito della sua attività, prima alla CDF e poi come Papa, si oppose al rahnerismo.
      Per quanto riguarda Amerio, egli era un buon tomista, ma non comprese la nuova ecclesiologia del Concilio, credendo che il Concilio avesse cambiato l’essenza della Chiesa, cosa impossibile, perché il Concilio Ecumenico non può sbagliare in materia di fede e morale.
      Per quanto riguarda Congar, egli è stato un grande teologo tomista del secolo scorso. Effettivamente è stato troppo benevolo nei confronti di Lutero.
      Immaginare che il Papa e i Padri del Concilio siano stati turlupinati da alcuni periti modernisti, è una grave offesa al Magistero della Chiesa e una accusa intollerabile in bocca di un Cattolico.

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    6. Caro Davide,
      Per quanto riguarda Congar, secondo me bisogna fare un giudizio sfumato, nel senso che prima del Concilio non si può negare un certo autoritarismo di tipo dottrinale, salva però l’autorità dottrinale del Papa.
      Nello stesso tempo ribadisco la mia critica a Congar per quanto riguarda l’ecumenismo. Egli favorì una ecclesiologia, la quale, senza arrivare ad un ecumenismo filoprotestante, così mi sembra, accentuò in maniera esagerata il pluralismo religioso all’interno e al di fuori della Chiesa.

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  14. (Fine del commento precedente, che non è stato riportato integralmente perché troppo lungo) - Ora, il sofisma sta nel fatto che la Chiesa Cattolica È la Chiesa di Cristo. Non “sussiste” in esso, insieme a molti altri. Tra le due, il rapporto è di IDENTITÀ, non di inclusione concentrica privilegiata, né di maggiore eccellenza o preminenza esercitata tra un insieme di “chiese particolari”, difettose in un certo senso, ma intrinsecamente legittime e accettabili come strumenti “salvifici”. E che, di conseguenza, chi esce dalla Chiesa Cattolica –o nasce al di fuori di essa– NON FA PARTE DELLA CHIESA DI CRISTO, bensì di una setta eretica e/o scismatica.
    Ciò, oggettivamente parlando, senza pregiudicare la buona fede della persona, né la sua eventuale salvezza se è fedele alla grazia battesimale. Ma l'eventuale appartenenza di qualcuno all'“anima” della Chiesa –qualcosa di possibile e desiderabile– è qualcosa che nessuno può conoscere tranne Dio. E se la persona si salverà, non sarà “grazie” ma “malgrado” la sua appartenenza alla setta eretica o scismatica. Questo è qualcosa di assolutamente vero e si potrebbero fare innumerevoli citazioni magisteriali e patristiche al riguardo. Ma, per non disturbarvi, mi accontenterò di trascriverne solo uno:
    «Alcuni non si ritengono vincolati dalla dottrina che, fondata sulle fonti della rivelazione, abbiamo esposto alcuni anni fa in un'enciclica [Mystici Corporis], secondo la quale il Corpo mistico di Cristo e la Chiesa cattolica romana sono uno e stesse cose." Pio XII, enciclica Humani Generis n. 21, 08/12/1950.

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    1. Caro Davide,
      le faccio inoltre presente che chi nasce al di fuori della Chiesa Cattolica visibile, se è in buona fede e vive onestamente, può benissimo appartenere alla Chiesa Cattolica inconsapevolmente.
      Si ricordi infatti che Dio può salvare queste persone anche senza i Sacramenti.
      Inoltre, anche nelle sette eretiche esistono sempre, accanto agli errori, delle verità delle quali Cristo si serve per condurle alla salvezza, verità che sono fatte per essere completate da quella pienezza di verità, che si trova soltanto nella Chiesa Cattolica, la quale coincide con la Chiesa di Cristo in quanto pienezza della Chiesa di Cristo, Chiesa alla quale le confessioni non cattoliche appartengono solo parzialmente, per cui l’attività ecumenica richiede a noi Cattolici di adoperarci per condurre questi Fratelli alla pienezza della verità, che si trova nella Chiesa Cattolica sotto la guida del Papa, che non è lecito accusare di eresia, senza cadere con ciò stesso nell’eresia.

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    2. Caro Padre: sono d'accordo con lei. Per questo ho scritto: "(...) senza pregiudicare la buona fede della persona, né la sua eventuale salvezza in caso di fedeltà alla grazia battesimale. Ma l'eventuale appartenenza di qualcuno all'“anima” della Chiesa" -qualcosa di possibile e desiderabile- è qualcosa che nessuno può conoscere tranne Dio. E se la persona si salva, non sarà “grazie” ma “malgrado” la sua appartenenza alla setta eretica o scismatica”.
      Tuttavia, che questo o quell'individuo nell'invincibile ignoranza ma fedele alla grazia battesimale raggiunga il suo destino soprannaturale e sia, di fatto, appartenuto all'"anima" della Chiesa di Cristo -che è SOLO quella cattolica, non solo "secundum quid" per possedere la “pienezza” della fede, ma “simpliciter”- durante il loro transito terrestre, non significa che la moltitudine delle sette eretiche -che, NEL LORO MODO, sono solo veicolo di errore e la cui paternità corrisponde al Maligno, fonte di ogni opera di inganno e di divisione-, sono membri della “Chiesa di Cristo”, e ai quali non basterebbe raggiungere la “piena comunione” con la Chiesa cattolica.
      È in questo sottile sofisma che si nasconde il discorso mendace adottato a partire dal CVII, utilizzando l'astuto sotterfugio linguistico del "subsistit in", un'innovazione senza precedenti in duemila anni di vocabolario ecclesiologico che dovrebbe destare l'immediato sospetto dei teologi stagionati, informati della Strategie dialettiche dei modernisti. La distinzione tra battezzati, in buona fede nell'errore, e sette eretiche, anatematizzate dalla Chiesa e prive della verità religiosa che è loro riconducibile IN QUANTO TALE, è essenziale...

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    3. Caro Davide,
      il discorso del Concilio, circa i gradi di appartenenza alla Chiesa, non va inteso come una forma di doppiezza che pretenda di mettere assieme l’appartenere e il non appartenere. Si tratta di una vera appartenenza, ma alla quale mancano alcuni elementi.
      Le faccio alcuni esempi. Il Concilio dice che la totalità delle verità cristiane è posseduta soltanto dalla Chiesa Cattolica. I Fratelli separati posseggono alcune verità, ma sono carenti di altre.
      Secondo esempio: la Chiesa si può simboleggiare ad un braciere ardente. I Cattolici sono coloro che sono più vicini al fuoco e si scaldano in maniera conveniente. I Fratelli separati invece si trovano a distanze diverse e quanto più uno è lontano, tanto meno si scalda, fino ad arrivare al freddo, che è la totale separazione dalla Chiesa.
      Per quanto riguarda il Battesimo, esso introduce nella Chiesa e costituisce il grado minimo di appartenenza. Tuttavia il Concilio dice che, mentre il Cattolico appartiene alla Chiesa in senso pieno nell’accettare tutte le verità di fede, i Fratelli separati mancano di una piena comunione a causa della presenza in loro di errori, che impediscono questa piena comunione.
      Per quanto riguarda la distinzione tra anima e corpo della Chiesa, il Concilio riserva la piena comunione a coloro i quali, oltre a beneficiare dell’anima della Chiesa, appartengono in pienezza al corpo, mentre considera i Fratelli separati come aventi la possibilità di beneficiare dell’anima della Chiesa. Per quanto riguarda il corpo, qui il Concilio ammette diversi gradi di appartenenza. Il corpo è la appartenenza visibile.
      Il discorso del subsistit va messo in relazione con i gradi di appartenenza. Il Concilio dice che la Chiesa di Cristo sussiste in pienezza nella Chiesa Cattolica, mentre sussiste in gradi inferiori nei Fratelli separati.

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  15. Analizzando da semplice e modesto osservatore il dialogo che sta avendo con Davide, ho iniziato a pensare al modo in cui dovrebbe svilupparsi quella che Aristotele e San Tommaso chiamano dialettica. Non certo nel senso di Platone e Hegel, ma nel senso di Aristotele e Tommaso, cioè nel senso di un dialogo. Dialogo che, in dialettica, dovrebbe riguardare le opinioni. Ma..., ed è questo che mi chiedo, cosa succede quando uno dei due interlocutori va oltre le semplici opinioni, ed esprime quella che non è più un'opinione, ma una certezza (scienza), come affermazione fondata, sia nella ragione o nella fede?
    Mi chiedo, allora, come fare in modo che l'interlocutore si renda conto che il dialogo (la dialettica) è già finito, perché è passato dalla doxa all'episteme?
    Allora: qual è la sua esperienza, padre Cavalcoli? Come possiamo porre fine alla dialettica quando il nostro interlocutore non si rende conto che essa, di per sé, è già finita?

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    1. Caro Don Sabino,
      la sua domanda è molto interessante. Si tratta di chiarire come avviene che nelle discussioni si passi dalle opinioni alla scienza.
      Può capitare che uno dei due trovi la verità, perché riesce a dimostrare la sua tesi. A questo punto la dialettica dovrebbe finire. Senonché capita che l’interlocutore, al quale viene dimostrata la verità con prove ragionevoli, non appare convinto.
      A questo punto, colui che ha raggiunto il sapere, ossia il ponente, può interrogare l’interlocutore e chiedergli quali obiezioni ha da fare. Il ponente deve ascoltare le obiezioni e deve sapere rispondere. Se la risposta è risolutiva, l’obiettore deve sentirsi soddisfatto. Se l’obiettore insiste, la cosa può dipendere o dal fatto che non ha compreso la risposta o che è ostinato nella sua idea.
      In questo caso, se il ponente si rende conto che l’obiettore è ostinato, è meglio che desista.

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  16. Caro Padre Cavalcoli: La domanda posta dal Sig. Sabino è molto comprensibile e corretta. In effetti, quando accade una cosa del genere, il dialogo è giunto al termine. Non mi sembra, tuttavia, che il principio cui alludi possa trovare applicazione nella presente circostanza. L’obiezione che pongo è la seguente e, a mio avviso, legittima il persistere della mia domanda: può esserci certezza sull’ortodossia del CVII quando alcuni dei suoi principali artefici hanno pubblicamente ammesso il contrario? Vi invito a leggere le seguenti dichiarazioni di padre Congar e dei cardinali Suenens e Ratzinger:
    1. "La Chiesa ha portato avanti pacificamente la sua rivoluzione d’Ottobre" (Yves Congar, Le Concile au jour le jour, 2a sessione, Parigi, Cerf, 1964, p. 115). E riguardo alla Chiesa scrive: "Lumen Gentium ha abbandonato la tesi secondo cui la Chiesa cattolica sarebbe esclusivamente la Chiesa" (Yves Congar, Essais Ecuméniques, Le Centurion, 1984, p. 216). In relazione all'ecumenismo: "È chiaro, sarebbe vano nasconderlo: il decreto conciliare Unitatis redintegratio dice su più punti altro che 'fuori della Chiesa non c'è salvezza', nel senso in cui questo assioma è stato inteso per secoli." (Ibid. p. 85). Congar ha anche ammesso che la dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa è contraria al Syllabus di Papa Pio IX: "È innegabile che la dichiarazione del Vaticano II sulla libertà religiosa esprime qualcosa di molto diverso da quanto affermava il Syllabus del 1864, dicendo proprio ciò che è contrario alle proposizioni 16, 17 e 19 di quel documento" (Yves Congar, La crise d'Eglise et Mgr. Lefebvre, Paris, Cerf, 1977, p. 54). Da parte sua, il cardinale Suenens affermava che "si potrebbe fare un elenco impressionante delle tesi insegnate a Roma prima del Concilio come le uniche valide, e che furono eliminate dai Padri conciliari" (I.C.I., 15 maggio 1969). Fonte: Religione in Libertà, "Lefebvrismo: chiarimenti ad alcune riviste storiche", Ángel Rubio, 17/09/2011.
    2. "Se volessimo fare una diagnosi del testo [Gaudium et Spes] nel suo complesso, potremmo dire che, insieme ai testi sulla libertà religiosa [Dignitatis Humanae] e sulle religioni del mondo [Nostra Aetate] si tratta di una revisione del Syllabus di Pio IX, una sorta di Anti-Sillabo […] Limitiamoci qui a dire che il testo si presenta come Anti-Syllabus e, come tale, rappresenta un tentativo di riconciliazione ufficiale con la nuova era inaugurata nel 1789." Fonte: Cardinale Ratzinger, “I principi della teologia cattolica”, Parigi, Téqui, 1985, p. 426-427.

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    1. Mi permetta di intervenire, signor Davide.
      Né Congar, né Suenes, né Ratzinger, negli interventi da lei citati, fanno Magisterio. Nessuno di essi collega in alcun modo la fede dei cattolici, che è orientata al Magistero della Chiesa, che ha per oggetto, nel caso di cui si discute qui, i testi finali del Concilio Vaticano II (non le sue discussioni precedenti, né alle loro interpretazioni teologiche private).
      E d'altra parte, sì, interpretando il commento del signor Sabino, credo che, effettivamente, padre Cavalcoli abbia presentato sufficienti argomenti di ragione e, soprattutto, di fede, perché lei possa propendere anche per l'evidenza di certezze che dovrebbero indurre ad abbandonare le vostre affermazioni contrarie alla fede cattolica.

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    2. Caro signor Poldark: sono d'accordo con lei che queste non sono dichiarazioni magistrali. Tuttavia in essi i loro autori ammettono che nei documenti conciliari sono state introdotte dottrine contrarie al magistero preconciliare, ecco a cosa mirava il mio commento...

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    3. Davide: poi? quanto sono importanti questi testi? o meglio: questi testi hanno per voi più importanza di quello che vi hanno detto i Papi post-concilio? I Papi che ci danno l'interpretazione autentica del Concilio, infallibile quando parlano di queste cose di fede e di morale, ci insegnano la verità. ma tu... preferisci ascoltare gli altri...

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    4. Il problema è che uno di quei “papi postconciliari” a cui alludi è uno dei tre teologi citati, il cardinale Ratzinger, secondo il quale nei documenti conciliari c'è stata una rottura con il magistero preconciliare. D'altronde padre Congar è stato creato cardinale nel 1994 da GPII, che era un suo fervente ammiratore ed era, insieme a Rahner, uno degli esperti più influenti del concilio. Infine, il cardinale Suenens fu uno dei quattro moderatori del concilio, scelto personalmente da Paolo VI. Non mi sembra ragionevole disdegnare la testimonianza pubblica e casuale di tre personaggi così importanti...

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    5. Davide: La nostra fede cattolica ci dice che, per dichiarazione di Gesù stesso, il Papa è l'unico uomo in tutta l'umanità che gode di un dono speciale che Egli gli concede per garantire la verità alla Chiesa pellegrina sulla terra.
      Cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, nessuno gode dello stesso dono.
      Ecco perché non si capisce come lei, in una questione in cui il Papa dice "bianco", preferiate altri che dicono "nero", chiamate Congar, Suenens o Ratzinger. E in riferimento a Ratzinger, una cosa è ciò che Ratzinger ha insegnato prima di diventare Papa e dopo essere stato Papa, cioè durante gli otto anni in cui Benedetto XVI è stato Papa. In effetti Ratzinger aveva errori dottrinali prima e dopo essere stato papa, è stato dimostrato.
      Pertanto, nelle questioni che riguardano la fede e la morale, il cattolico, se vuole continuare a dirsi cattolico, se il Papa dice "bianco" deve preferire quello che dice il Papa, nonostante lo stesso prefetto della Dottrina della Fede dica " nero" a proprio rischio e pericolo.

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    6. "La nostra fede cattolica ci dice che, per dichiarazione di Gesù stesso, il Papa è l'unico uomo in tutta l'umanità che gode di un dono speciale che Egli gli concede per garantire la verità alla Chiesa pellegrina sulla terra. Cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, nessuno gode dello stesso dono."

      Caro signor Poldark, sono d'accordo con questo, ma non con il resto, perché i papi conciliari hanno introdotto nel CVII l'eresia modernista, che li rende illegittimi, come ho spiegato in un messaggio precedente. È qualcosa di inedito e davvero inquietante, e senza dubbio siamo di fronte ad un mistero di carattere escatologico, ma i fatti sono innegabili, credo di averlo dimostrato nei miei commenti precedenti...

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    7. Davide ...se affermi la prima non puoi affermare la seconda... ti contraddici fratello... devi essere d'accordo con te stesso...

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    8. Capisco la sua obiezione. Li do la mia risposta, sapendo che non è una cosa facile da accettare. Se i "papi conciliari" fossero veri papi, cioè investiti di autentica giurisdizione sulla Chiesa universale e, quindi, dotati del carisma dell’infallibilità nel loro magistero, il CVII e il "magistero postconciliare" non conterrebbero elementi modernisti . Questo è il punto che ho cercato di sottolineare con questa serie di commenti...

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    9. È una posizione hegeliana: affermo sì e no. Affermo che il Papa è infallibile, ma anche che non è infallibile. Ogni pazzo con la sua follia.

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    10. Caro Davide,
      la certezza che le dottrine di un Concilio sono ortodosse non si fonda sulle dichiarazioni di qualche perito o qualche vescovo, che vi ha partecipato, ma si basa sull’autorità dello stesso Concilio Ecumenico, che in campo dottrinale è infallibile.
      I.
      1) La frase di Congar "La Chiesa ha portato avanti pacificamente la sua rivoluzione d’Ottobre", è una frase poco prudente, perché paragona il rinnovamento conciliare a quello che è stato un grave sommovimento politico, che ha portato con sé gravissime violenze.

      2) "Lumen Gentium ha abbandonato la tesi secondo cui la Chiesa cattolica sarebbe esclusivamente la Chiesa". Effettivamente il Concilio ha parlato della Chiesa di Cristo, distinta dalla Chiesa Cattolica. Che cosa ha inteso dire? Alcuni hanno creduto che il Concilio intendesse riferirsi a un concetto più ampio della Chiesa Cattolica. Ma successivamente la CDF chiarì che la Chiesa Cattolica è la Chiesa di Cristo.
      Allora, che cosa ha voluto dire il Concilio? Io credo che Congar lo abbia capito, però io ritengo di fare un chiarimento. Che cosa ha voluto dire Congar? Da come capisco, egli ha intuito la dottrina del Concilio e ha capito il perché di quella distinzione. E qual è questo perché?
      Il Concilio ha voluto dire che la pienezza dell’essere cristiano si trova nella Chiesa Cattolica, la quale in questo senso si identifica con la Chiesa di Cristo. Tuttavia, anche le altre Chiese partecipano in grado inferiore alla Chiesa di Cristo e quindi alla Chiesa Cattolica.

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    11. 3) "È chiaro, sarebbe vano nasconderlo: il decreto conciliare Unitatis redintegratio dice su più punti altro che 'fuori della Chiesa non c'è salvezza', nel senso in cui questo assioma è stato inteso per secoli."

      Questo Decreto Conciliare non è che propriamente dica altro, nel senso che contraddica, ma intende far capire meglio quali sono i confini della divina misericordia, nel senso che il Concilio ci fa capire che la grazia può arrivare anche ai nostri Fratelli separati, cosicché anch’essi vengono ad appartenere, seppur inconsapevolmente, alla Chiesa Cattolica. Per questo resta sempre vero il dogma del Concilio di Firenze del 1442 (Denz. 1351), secondo il quale al di fuori della Chiesa non c’è salvezza.
      Qui non dobbiamo intendere al di fuori della Chiesa visibile, ma al di fuori della Chiesa nel suo complesso, la quale comporta un aspetto di invisibilità, che raccoglie appunto le anime in buona fede che, senza loro colpa, non hanno potuto conoscere la verità della Chiesa Cattolica.

      4) "È innegabile che la dichiarazione del Vaticano II sulla libertà religiosa esprime qualcosa di molto diverso da quanto affermava il Syllabus del 1864, dicendo proprio ciò che è contrario alle proposizioni 16, 17 e 19 di quel documento".
      Le posizioni del Beato Po IX, citate dal Congar, non riguardano il diritto alla libertà religiosa, ma giustamente condannano una concezione massonica della libertà religiosa, che suppone il razionalismo (n. 15), l’indifferentismo (n. 16) e un abuso di autorità dello Stato nei confronti della Chiesa (n.19).
      Quindi Pio IX non si trova affatto in contrasto con la dottrina del Concilio Vaticano II, perché essa si pone sul piano del diritto civile, che tiene conto di quella buona fede salvifica, che è insegnata da Nostro Signore.

      5) "si potrebbe fare un elenco impressionante delle tesi insegnate a Roma prima del Concilio come le uniche valide, e che furono eliminate dai Padri conciliari".

      La cosa che posso dire con certezza, sebbene io non conosca quali siano questi tesi, è che certamente, se i Padri del Concilio hanno avuto la facoltà di abolirle, non saranno state certamente parte della dottrina della Chiesa, giacchè è impossibile che un Concilio smentisca o contraddica a dottrine della Chiesa precedentemente insegnate.
      Devo quindi dedurre che saranno state tesi di carattere o disciplinare o pastorale o giuridico o cerimoniali, le quali per loro natura possono essere mutate o abolite.

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    12. II.
      … Limitiamoci qui a dire che il testo si presenta come Anti-Syllabus e, come tale, rappresenta un tentativo di riconciliazione ufficiale con la nuova era inaugurata nel 1789."

      Per quanto riguarda il Sillabo, bisogna tenere presente che Pio IX si trovava nelle condizioni di doversi difendere dai duri attacchi della massoneria e degli Stati liberali, sostenitori del liberalismo, soggettivismo, razionalismo e indifferentismo religiosi.
      Già col Concilio, invece, i rapporti della Chiesa con gli Stati segnarono un miglioramento e la quasi totale scomparsa della conflittualità. Da qui la possibilità, da parte per esempio di Papa Francesco, di raccomandare i principi della fraternità, della libertà e dell’uguaglianza, che pure erano gli ideali dell’illuminismo settecentesco.

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    13. Caro Davide,
      rispondo alle sue seguenti parole: “in essi i loro autori ammettono che nei documenti conciliari sono state introdotte dottrine contrarie al magistero preconciliare”.

      Qui non ho che da ripetere quello che ho già detto e che è stato ripreso da Ross, e cioè che le opinioni degli autori che lei ha citato creano difficoltà al principio che le dottrine dei Concili sono tra di loro in continuità e quindi è impossibile che la dottrina di un Concilio contraddica a quella di un Concilio precedente, perché sono infallibili, in quanto costituiscono il Magistero della Chiesa.
      Invece possono mutare le disposizioni di carattere pastorale o disciplinare.

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    14. Caro Davide,
      San Tommaso diceva che noi dobbiamo dare la preferenza al Magistero della Chiesa al di sopra di qualunque Dottore della Chiesa.
      Ora, se qui si tratta di Dottori della Chiesa, a maggior ragione potremo dissentire da teologi, seppur così grandi, come Rahner, Congar, Ratzinger e Suenens.
      Per quanto riguarda Ratzinger, bisogna distinguere da quando non era Papa a quando è stato Papa. Da giovane aveva una certa tendenza nei confronti del modernismo di Rahner, ma da Papa ha parlato con chiarezza, per quanto riguarda le dottrine del Concilio, di progresso nella continuità, tanto che io, basandomi su questo principio, ho potuto scrivere addirittura un libro per dimostrarne la validità.
      Il mio libro: Progresso nella continuità, Ed. Fede&Cultura, Verona, 2011.

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    15. Caro Ross,
      sono d’accordo in tutto quello che dice.
      L’unica cosa che vorrei dire è che, quando il Prefetto del DDF parla in nome del Papa in materia dottrinale o morale, non può sbagliare.

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    16. Caro Davide,
      posso capire che alcuni testi del Concilio diano l’impressione di modernismo. Per questo Rahner ne ha approfittato in senso modernista.
      Tuttavia tenga presente che Leone X insegnò, contro Lutero, che le dottrine dei Concili Ecumenici sono infallibili. Lutero infatti affermava che i Concili Ecumenici possono sbagliare.
      Allora, se non vogliamo seguire Lutero nell’eresia, bisogna che noi ci rendiamo conto che anche la dottrina dell’ultimo Concilio è fedele alla Parola di Dio e alla Tradizione.
      Pertanto non è possibile dimostrare che un Concilio Ecumenico possa sbagliare in materia dottrinale.

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    17. Caro padre Cavalcoli,
      effettivamente la sua osservazione è molto opportuna. Mi correggo, quindi, di quanto ho detto. Perché ritengo anche che il Prefetto del DDF condivida o partecipi in modo certo e misterioso al dono carismatico dell'infallibilità pontificia. Ma... questo mi porterebbe ad alcune domande e non vorrei tormentarli al riguardo. Li cito soltanto, per non lasciarli trascurare.
      In quali modalità esisterebbe tale "partecipazione all'infallibilità"? Quanto conta il libero arbitrio del prefetto? Ciò avviene solo per il prefetto del DDF, e non per gli altri prefetti dei Dicasteri romani, benché emettano pareri su argomenti che toccano in qualche modo la dottrina?...
      Riguardo all'ultimo punto, ricordo l'operato del cardinale Kasper nella Curia romana, e i suoi errori (anche dottrinali?) riguardo all'ecumenismo e al dialogo interreligioso...

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    18. Caro Ross,
      dico subito che, tra tutti gli organismi della Santa Sede, l’unico che coinvolge il carisma dell’infallibilità pontificia è solo il DDF, in quanto esso riguarda la dottrina della fede.
      Tutti gli altri Dicasteri ed organismi suppongono certo la dottrina, ma non sono chiamati a pronunciamenti dottrinali, bensì riguardano il governo della Chiesa, dove, come sappiamo, la Chiesa non è infallibile.
      La partecipazione all’infallibilità pontificia da parte del Prefetto del DDF dipende da una speciale grazia di stato, con la quale il Prefetto partecipa appunto alla grazia di stato del Sommo Pontefice. Essa concretamente si attua nella elaborazione dei documenti del DDF, i quali vengono sottoposti al giudizio del Papa per ottenere l’approvazione.
      Questa infallibilità pertanto si realizza nel momento in cui il Papa approva i documenti. In tal modo si può dire che i documenti del DDF sono documenti pontifici, seppure in modo indiretto e rappresentativo.
      Ovviamente il Prefetto non è un semplice ripetitore o portavoce del pensiero del Papa. Egli prepara autonomamente il documento, ma nel momento in cui questo documento viene approvato e confermato dal Papa, non è più un documento del Prefetto, ma è un documento della Chiesa.

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