Lo gnosticismo secondo Luigino Bruni - Prima Parte (1/2)

 

Lo gnosticismo secondo Luigino Bruni

Prima parte (1/2)

Alcune notazioni giuste

In Avvenire del 17 febbraio scorso è apparso un articolo di Luigino Bruni dal titolo «dimenticare l’amore, la trappola della gnosi»[1]. L’articolo è piuttosto denso ed impegnativo con osservazioni giuste ed utili. Vorrei comunque fare alcune osservazioni.

L’intuizione fondamentale Bruni è che si è accorto che lo gnosticismo[2] è una forma di superbia e di presunzione per la quale lo gnostico ha una pretesa esorbitante di una conoscenza di Dio al di sopra della rivelazione cristiana e del magistero della Chiesa, tale da pareggiare la stessa scienza divina, una pretesa di autoglorificazione che lo chiude nel suo splendido isolamento e lo porta a disprezzare i doveri dell’amore di Dio e del prossimo.

Preciso io che tutto per lo gnostico si risolve nell’io, nella propria autocoscienza, che è l’Assoluto e la sua mira è identificarsi con l’Assoluto abbandonando il corpo nella sua vanità che è il fondamento, ed inoltre concepisce la pienezza del suo io come l’espansione e il vertice del suo io empirico.

Il pensiero per lo gnostico s’identifica con l’essere e con l’agire. Tutto è pensiero. L’essere è l’essere pensato e l’amore è l’amore pensato. Da qui nello gnostico l’esibizionismo, il preziosismo esoterico, il voler primeggiare, il concentrarsi sul proprio io, l’autocompiacimento per il proprio falso sapere e quindi un chiudersi nella propria torre d’avorio e nel circolo esclusivo degli iniziati e dei superintelligenti, in un’atmosfera fatta di astrazioni che rivelano un cuore privo di misericordia e di interesse per le necessità del prossimo e in particolare dei poveri. Qui Bruni ha visto giusto.

Bruni riconosce il noto carattere dello gnosticismo di essere una visione della realtà di origine orientale per la quale si ammette la realtà dello spirito, ma lo si vede in contrasto con la materia e la corporeità considerate come vane apparenze, nemiche ed ostacolo alla libertà dello spirito, viste come tentatrici ed origine del male, dell’illusione, e prigioni dello spirito.

Bruni pertanto ha ragione nel riconoscere il dualismo come difetto essenziale dello gnosticismo, in quanto oppone irragionevolmente materia e spirito. Attenzione, però: occorre chiarire perbene in che cosa consiste questo dualismo da togliere. Esso non sta certo, come sembra pensare Bruni, nella distinzione fra il pensiero e l’essere o fra la materia e lo spirito o fra il vero e il falso o fra il bene e il male, ché invece qui si tratta di dualità, che sarebbe errore gravissimo voler ridurre all’unità.

Infatti in alcuni casi si tratta di creare un’unione nella distinzione, come fra pensiero ed essere o tra materia e spirito; in altri casi l’opporre non è per nulla un male, ma un preciso dovere morale, come l’opporre il vero al falso o il bene al male, il peccato alla giustizia. È noto tuttavia qui il dualismo gnostico manicheo, che sostanzializza il peccato e relativizza nel contempo la giustizia, mentre fa del demonio una divinità e di Dio un Dio dal potere limitato.

Riguardo al problema del peccato, il dualismo gnostico non prevede la sua cancellazione, ma la sua giustificazione o copertura o legittimazione, perché il principio del male è divino come il principio del bene, l’uno ha bisogno dell’altro, nè l’uno prevale sull’altro.

Il Dio buono non vorrebbe il peccato, ma non ha il potere di togliere il peccato. Pertanto il Dio buono scende a patti col Dio malvagio, il demonio. Qualche traccia di questa visione manichea sembra potersi ritrovarla nella dottrina luterana della giustificazione.

In tal modo, se da una parte lo gnosticismo non riconosce le dualità, ma è dualista, dall’altra, per un bisogno indiscreto di unità, non si accontenta dell’unione e confonde i distinti, creando un’unità forzata che offende il principio di non-contraddizione.

Ma va anche oltre, identificando gli opposti, come vero e falso, bene e male, peccato e giustizia. Pretende di conciliare l’inconciliabile, come è evidente nella dialettica hegeliana, che ha origine dalla teologia di Jakob Böhme, mistico protestante del sec. XVII influenzato dalla Kabbala[3].

Nello gnosticismo la materia si risolve nello spirito. Ma a questo punto – di ciò Bruni non si accorge - il rapporto può capovolgersi: lo spirito si risolve nella materia. Da qui la possibilità nello gnostico della congiunzione del più rigido ascetismo con la più sfrenata dissolutezza. Questi fenomeni sono ricorrenti nella storia della spiritualità e del costume. Si manifestarono nel sec. XIII col catarismo e nella Russia fine ‘800 con la setta dei clisty, alla quale apparteneva Rasputin.

In tal modo il dualismo gnostico nel campo del sesso può dar luogo sia al pansessualismo freudiano che alla sessuofobia origenista, a seconda che nel primo caso lo spirito si materializzi nel sesso e la materia diventi spirito, mentre nel secondo caso il sesso venga vanificato nello spirito o la materia scompaia nello spirito. In ogni caso il dualismo, non riuscendo a congiungere spirito e materia, o li oppone come due nemici o li confonde nel monismo.

Anche l’attuale lassismo in campo sessuale ha un preteso fondamento spiritualistico nella concezione della persona come libertà e puro spirito, puro soggetto, io puro o pura singola coscienza che si ritiene libera plasmatrice della propria corporeità a prescindere dalla considerazione di leggi morali che possano governarla.

Caratteri generali dello gnosticismo

Una convinzione giusta dello gnosticismo è che il fine della vita è la visione di Dio e l’uomo è fatto per la conoscenza della verità. Inoltre lo gnostico ha la percezione del fatto che per raggiungere la piena gnosi finale occorre un cammino ascetico di sforzi, purificazioni, rinunce e sacrifici.

L’impresa non è facile e molti battono il passo, si adagiano o addirittura vi rinunciano, sedotti dalle illusioni del mondo o perché non sufficientemente attratti dal sommo bene o dall’ideale, nel quale forse non credono per mancanza di convinzione o perchè s’ingannano su di esso.

Gli gnostici sanno che la vita morale procede per gradi, che la perfezione non si ottiene tutta d’un colpo, ma solo nel tempo e con un lungo esercizio, partendo da una situazione iniziale di ignoranza e di miseria.

Lo gnostico ha la percezione che esiste una gerarchia di fini, di valori e di virtù. Ci sono gradini da salire. Esiste un metodo, esistono norme e prescrizioni per raggiungere la beatitudine finale.  Essi hanno il concetto del progresso spirituale che comporta un inizio, un miglioramento e un compimento finale. La perfezione è effetto di un’azione educativa e formativa.

Gli gnostici sanno che la vita spirituale comporta il  passare da un’età  infantile all’età adulta, dall’ingenuità al discernimento critico, dalla rozzezza alla sapienza.  Occorre sottoporsi ad un apprendimento, assoggettarsi a una scuola, ad una disciplina ad un guida spirituale, ad un maestro, che faccia anche da esempio di come comportarsi.

Occorre entrare per la porta stretta. Molti sono i chiamati e pochi gli eletti. Via via che si sale, c’è una selezione. Alcuni si fermano, desistono o tornano indietro. Non tutti arrivano alla fine. Occorre una lotta dello spirito contro la carne per assoggettare la carne allo spirito. Dall’uomo carnale bisogna passare all’uomo spirituale.

La vita morale è come una salita dalla terra al cielo, è un processo di progressiva liberazione dal male e forza nel fare il bene. Bisogna elevarsi, trascendersi.  In questo cammino c’è chi è più in alto e chi è più in basso. Vi sono gradi di perfezione.  Per arrivare alla meta, occorre salirli tutti.

La santità è proposta a tutti, ma non tutti hanno la voglia o la possibilità di conseguirla, non tutti accettano la proposta e anche tra coloro che l’accettano c’è chi si impegna di più e chi s’impegna di meno. In tutto ciò gli gnostici hanno colto la verità. Tutto ciò è vero e corrisponde esattamente agli insegnamenti cristiani. Non consiste in ciò l’errore dello gnosticismo.

Esso consiste invece nell’atteggiamento ipocrita di chi guarda con supponenza il prossimo dall’alto in basso, facendogli pesare la sua irraggiungibile superiorità, con l’avvolgere il proprio eloquio un un’aura di mistero, che lascia l’ascoltatore a bocca aperta, dandogli a credere che l’eloquio criptico nasconda ineffabili misteri chiarissimi per lo gnostico, ma incomprensibili da lui povero profano. Questo è il modo di esprimersi di un Heidegger, di un Jaspers o di uno Hegel.

Lo gnostico è colui che, avendo compiuto la critica della ragion pura, sviluppando il cogito cartesiano e la coscienza luterana in senso fenomenologico husserliano, svela  la rozza ingenuità del realismo cattolico rappresentato da San Tommaso e guarda, al seguito di Severino,  il cattolico e lo stesso Gesù Cristo con un occhio di benevolo compatimento per la limitatezza cosalistica dello sguardo, che non sapendo scendere nell’abisso dell’autocoscienza, non si rende conto della propria divinità, non vede l’identità dell’atman col Brahman, ma resta illuso e intrappolato nelle parvenze fenomeniche della maya e dell’io empirico.

Principio fondamentale dello gnosticismo è la convinzione dello gnostico di possedere la scienza divina e quindi di essere, come tale, Dio. Egli ritiene che il suo pensiero non si distingua dall’essere, ma che il suo pensiero s’identifichi con l’essere, sicchè per lui l’essere non è altro che l’essere pensato da lui.

È evidente che in base a questo presupposto lo gnostico non può essere un cristiano e tanto meno essere un cattolico, giacchè la conoscenza che il cristiano ha di Dio è basata sulla fede in Cristo. Nel cattolico, poi, si aggiunge la fede nel Magistero della Chiesa.

Ora lo gnostico non ritiene di aver bisogno di una conoscenza di Dio basata sulla fede, in quanto il credente possiede un sapere mediato da Cristo. Egli viceversa non ha bisogno di sapere da Cristo che è Dio, perché lo sa già per conto proprio, anzi per lui Cristo non raggiunge il sapere su Dio che ha egli stesso.

In queste condizioni, verrebbe fatto di pensare nello gnostico un’opposizione aperta al cristianesimo in nome del suo sapere, che egli ritiene superiore e addirittura capace di svelare errori nella stessa dottrina di Cristo, vantandosi di conoscere Dio o l’Assoluto o l’Essere meglio di quanto lo conosce Cristo. Di fatto le cose stanno proprio così: filosofi come Heidegger o Severino dichiarano di conoscere l’Essere meglio di quanto lo conosca il cristianesimo o il cattolicesimo ed anzi pretendono di accusarli di sbagliare.

Invece la storia della filosofia e anche dell’attualità registra uno gnosticismo mascherato sotto apparenze cristiane, come quello di Hegel o addirittura cattoliche, come quello di Rahner. Si tratta, direbbe Cristo, di lupi travestiti da agnelli. Difficile capire come Rahner sia riuscito a procurarsi la fama di cattolico, non solo, ma di uno più grandi teologi cattolici del secolo scorso.

La cosa si può spiegare come effetto di un grandioso ed abilissimo lancio pubblicitario organizzato dai modernisti in combutta con la massoneria per distruggere la Chiesa dall’interno spingendola ad una falsa attuazione del Concilio, che ha dato  risultati opposti a quelli che esso avrebbe dato se fosse stato realizzato secondo i suoi veri intenti. Così, nel propagandare Rahner si sono mescolati gli ingenui con gli astuti: i primi, che sono stati condotti nell’errore senza accorgersene; i secondi, che si sono fatti coscientemente complici di Rahner per distruggere la Chiesa dall’interno.

Ricordo che negli anni ’80, lavorando in Segreteria di Stato, avevo contatti col Card. Mario Luigi Ciappi, mio Confratello e Teologo della Casa Pontificia e gli espressi il mio parere che Rahner debba considerarsi un lupo travestito da agnello. Egli mi dette ragione. Ricordiamoci dell’avvertimento di San Paolo: «anche Satana si maschera da angelo di luce» (II Cor 11,14).

Oggi, dopo sessant’anni di azione del rahnerismo nella Chiesa, dobbiamo fare un bilancio dei risultati di questa colossale operazione, stante l’abbondantissima produzione teologica di Rahner nell’intento di toccare tutti gli aspetti della Chiesa e del cristianesimo alla luce delle nuove dottrine conciliari.

Dobbiamo infatti constatare che in questi sessant’anni la Chiesa, se in piccola parte ha progredito nell’applicazione della riforma conciliare, per una maggior parte è stata colpita da molti mali che hanno provocato un processo di corruzione e decadimento. Quale la causa?

I rahneriani, davanti a questo quotidiano aggravarsi dei mali dovrebbero finalmente aprire gli occhi e comprendere che questi mali hanno origine dallo gnosticismo rahneriano. Nessuno discute sui grandi meriti che Rahner ha avuto nella promozione dei valori del Concilio. Ma in ciò egli non è stato originale: al suo fianco e anche meglio di lui hanno lavorato anche altri teologi, come il Maritain, il Congar, lo Chenu, il Von Balthasar, il Ratzinger, lo Journet, lo Spiazzi.

Ciò che invece Rahner ha di proprio sono i suoi errori, di origine hegeliana, heideggeriana e protestante.  una vera riedizione di modernismo, che abilmente mascherata da cattolicesimo e da rinnovamento conciliare, ha invaso molti ambienti della Chiesa provocando la crisi attuale dalla quale è colpita. 

Urge dunque fare un bilancio approfondito della vasta ed influente opera rahneriana[4] al fine di sfatare il diffuso pregiudizio che il suo modernismo gnostico abbia influenzato il Concilio, pregiudizio comune a indietristi e rahneriani: i primi per accomunare Rahner e Concilio nell’accusa di modernismo, i secondi per strumentalizzare il Concilio per i loro fini modernistici.

Gli errori dello gnosticismo

A Bruni è sfuggito un errore dello gnosticismo consistente nel suo pensiero conflittuale e circolare, oggi diremmo «dialettico». È curioso che nell’articolo abbiano messo l’immagine gnostica del serpente che si morde la coda, ma che Bruni non si sia preoccupato di commentarla. Invece si tratta di un concetto fondamentale dello gnosticismo. Ho detto pensiero conflittuale-circolare.

Che vuol dire? Perché conflittuale? Si tratta effettivamente del dualismo, ma dualismo non vuol dire affatto distinguere l’essere dal non-essere, il vero dal falso e il bene dal male. Dualismo non è il principio di non-contraddizione o il principio del terzo escluso, che sono invece i princìpi della verità e dell’onestà intellettuale, a suo tempo sostenuti da Aristotele conto gli scettici e i sofisti, che erano gli gnostici di allora, come lo erano i farisei, contro i quali polemizza Cristo[5].

Perché circolare? In che senso? Che vuol dire? Si tratta del principio metafisico del moto dell’essere. Il cerchio rappresenta la coincidenza dell’uscita col ritorno, dell’inizio con la fine, l’attrattiva che la causa finale esercita sulla causa efficiente. Primum in intentione est ultimum in executione. L’ente in movimento va là da dove è partito. Ora ciò è verissimo se si tratta della creatura che, causata dal creatore, è mossa da Lui verso Lui stesso come suo fine.

Ma il guaio dello gnosticismo è che esso, essendo una forma di panteismo (cosa che sfugge a Bruni), rappresenta Dio stesso che esce da Sé, nega Sé nel mondo e come mondo torna a Sè e va verso di Sé. Così il cerchio si chiude. Ma occorre tenere presente che questo cerchio è Dio stesso e lo gnostico in Dio, così come risulta dalla dialettica hegeliana. Ma ciò comporta necessariamente l’identità di Dio col mondo e con lo stesso gnostico.  

Da qui la doppiezza e il dualismo del pensiero conflittuale. Dio è il mondo e non è il mondo, come dice Rahner, Dio è ad un tempo immutabile e mutabile. Come poi ciò sia possibile, chiedetelo a lui.

Il pensiero circolare gnostico è dunque il ritorno dell’uguale e ripreso da Nietzsche e ricompare nella dialettica del divenire escogitata da Hegel. È  il dualismo ipocrita condannato da Cristo come diabolico, quando Egli proibisce di  dire sì al no e no al sì (Mt 5,37), perché questo è il principio della menzogna e non della verità; invece i princìpi della verità (sì, sì, no, no) sono gli atti fondamentali della lealtà del pensiero e del linguaggio, doveri morali assoluti per evitare di essere persone false, doppie e abbiette.

Il vero abominevole dualismo gnostico sta proprio nella unione del vero e del falso, del sì e del no, così da negare una verità assoluta priva di falsità e da negare un bene assoluto privo di male. In che senso parliamo di pensiero conflittuale? Nel senso che si tratta di un pensiero che non riesce a risolvere il conflitto e a procurare la pace e la concordia.

E perché? Perché nel dualismo gnostico non si dà essere che non sia negato dal non-essere, per cui, come già nell’antica sofistica greca, non può esistere l’affermazione e la certezza assoluta e indiscutibile, che non ponga fine alla discussione, affermazione che non possa essere contraddetta; nella visione gnostica è impossibile affermare un sì netto e deciso, definitivo e incondizionato, ma l’affermazione è sempre accompagnata – volere o non volere - dalla negazione perché è solo in questa congiunzione dell’affermazione con la negazione che starebbe la verità. Pretendere un sì assoluto è impossibile e comunque sarebbe falsità.

Per questo – e ciò è degno di nota – lo gnosticismo si accompagna con l’agnosticismo. Il sì va sempre col no. Per lo gnostico Dio era ad un tempo ghnostòn e àghnoston, noto e ignoto. O chiarissimo od oscurissimo. O totalmente comprensibile o totalmente incomprensibile.

Per questo il mistero è privo di qualunque luce; è un buio totale.  È questa la concezione rahneriana del mistero divino. Per lui esso non è qualcosa dove si vede qualcosa e qualcos’altro sfugge, ma è qualcosa dove non ci si capisce assolutamente niente. Sia Hegel che nega il mistero in nome della ragione, che Rahner che lo afferma sono gnostici.

Per lo gnostico o si sa tutto o non si sa nulla. O lo scetticismo o il dogmatismo. Per lui o tutto è certo o nulla è certo. O tutto è bene o niente è bene. Non c’è via di mezzo, perché manca il senso dell’analogia e della diversità dell’essere. È una forma di parmenidismo. L’essere è uno e doppio ad un tempo. O c’è l’identità assoluta o c’è’ la contraddizione. O tutto è uno o c’è il contradditorio: ecco il dualismo dialettico e conflittuale.

Per il dualismo gnostico i due termini opposti essere-non-essere, vero-falso, bene-male non possono essere l’uno senza l’altro. L’Uno, l’Intero, il Tutto, come in Hegel, è l’unità degli opposti, la coincidentia oppositorum.

Questo principio gnostico dualista-ciclico ricompare nella dialettica hegeliana, si ritrova in Nietzsche nel mito dell’eterno ritorno, è presente nella massoneria esoterica col motto «Niente vita senza morte, niente morte senza vita», nella coincidentia oppositorum di Nicolò Cusano, ed ha le sue antichissime origini nel mito indiano, rappresentato dal simbolo della svastica, della dea Sciva che dona ad un tempo la morte e la vita.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 12 marzo 2024


Il pensiero per lo gnostico s’identifica con l’essere e con l’agire. Tutto è pensiero. L’essere è l’essere pensato e l’amore è l’amore pensato. Qui Bruni ha visto giusto.

Principio fondamentale dello gnosticismo è la convinzione dello gnostico di possedere la scienza divina e quindi di essere, come tale, Dio. Egli ritiene che il suo pensiero non si distingua dall’essere, ma che il suo pensiero s’identifichi con l’essere, sicchè per lui l’essere non è altro che l’essere pensato da lui.

 A Bruni è sfuggito un errore dello gnosticismo consistente nel suo pensiero conflittuale e circolare, oggi diremmo «dialettico». 

Si tratta del principio metafisico del moto dell’essere. Il cerchio rappresenta la coincidenza dell’uscita col ritorno, dell’inizio con la fine, l’attrattiva che la causa finale esercita sulla causa efficiente. Primum in intentione est ultimum in executione. L’ente in movimento va là da dove è partito. Ora ciò è verissimo se si tratta della creatura che, causata dal creatore, è mossa da Lui verso Lui stesso come suo fine.

Immagine da Internet

[2] Un buon panorama di come oggi si presenta lo gnosticismo è il libro di Giovanni Filoramo, Il risveglio della gnosi ovvero diventare Dio, Edizioni Laterza, Bari 1990.

[3] È molto interessante come Hegel giudica Böhme, dove si vede chiaramente che egli trae spunto per la sua concezione dialettica di Dio dalla teologia di Böhme. Vedi: Lezioni sulla storia della filosofia, vol.3,II, Editrice Nuova Italia, Firenze 1981, pp.41-45.

[4] Bilanci sono già stati tentati in questi ultimi vent’anni, ma occorrerebbe fare un lavoro migliore e più approfondito. Il bilancio fatto nel lavoro collettivo curato da Ignazio Sanna L’eredità teologica di Karl Rahner, Lateran University Press, Roma 2004 è un lavoro di parte, perché influenzato dagli stessi rahneriani. Veri studi critici, con ricchezza di documentazione, sono i seguenti: la raccolta fatta da Davide Berger, Karl Rahner. Kritische Annäherungen, Verlag Franz Schmitt, Siegberg 2004; la raccolta di studi curata da Serafino Lanzetta, Karl Rahner. Un ‘analisi critica, Edizioni Cantagalli, Siena 2009 e il mio studio Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009. Occorrerebbe riprendere questi lavori con una più ampia documentazione e con citazioni del Magistero della Chiesa e della CDF che maggiormente possono avere attinenza con gli errori rahneriani, anche se non si nomina l’autore. Finchè  non si farà questo lavoro  di chiarificazione, l’opera del Concilio sarà falsificata dai rahneriani e i mali aumenteranno con rischio non solo per la Chiesa, ma per la stessa pace internazionale.

[5] Lo gnosticismo in quanto pretesa di pareggiare il proprio sapere a quello divino si trova in tutte le religioni. Così per esempio Julio Meinvielle ha potuto scrivere uno studio sullo gnosticismo ebraico originato dalla Kabbala: Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, a cura di Ennio Innocenti, Edizioni della Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1988.

19 commenti:

  1. Noto un forte spettro gnostico nel cardinale Fernández, quando parla di un carisma peculiare del Santo Padre, diverso dall'infallibilità riguardo al deposito della fede e costituito da un carisma dinamico, con i suoi impulsi e iniziative che dovrebbero essere accettati come ispirazioni dello Spirito Santo. Non essendoci riferimenti al deposito della fede, bisognerebbe fare riferimento alla conoscenza gnostica di cui avrebbe Bergoglio.
    Carlos Bodjian

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    1. Caro Carlos,
      da dove trae simile giudizio sul Santo Padre, proprio lui che ha condannato lo gnosticismo, cosa che nessun Papa finora aveva fatto? Si rende conto che una simile accusa contro il Papa, fatta senza alcuna pezza di appoggio, è profondamente offensiva?

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    2. Si prega di leggere con attenzione. È sorprendente la sua incomprensione, che lo porta a calunniarmi con un'inesattezza che suppongo non intenzionale. Non ho mai accusato di gnosticismo il Papa, ma piuttosto il cardinale Tucho, che parla di un carisma separato da quello del "magistero del deposito della fede statico", e che consisterebbe in un misterioso "dono vivo e attivo" cioè non del deposito, soprannominato “statico”. Tipico ragionamento gnostico, perché il Papa, al di fuori la fede e la moralità del deposito, non ha altra dottrina.
      Carlos Bodjian, Ph.D.

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    3. Caro Carlos,
      innanzitutto tenga presente che il Card. Fernandez, in quanto Prefetto del DDF, in materia dottrinale rappresenta il Papa. Quindi, se lei fa delle accuse al Card. Fernandez, è come le facesse al Papa.
      In secondo luogo le faccio presente che, se lei per carisma intende un carisma dello Spirito Santo, non esistono carismi dello Spirito Santo che siano fallibili. Forse che Dio è fallibile? Mi riferisco alle sue parole: “carisma peculiare del Santo Padre, diverso dall'infallibilità”.
      Quindi le chiedo di citarmi le parole del Cardinale, con le quali affermerebbe quello che mi ha riferito lei.
      Indubbiamente, certo, se effettivamente il Cardinale avesse parlato di carisma fallibile, si tratterebbe di una posizione gnostica.
      Se lei fa riferimento al documento del Cardinale, che parla di benedizioni di carattere pastorale o popolare e non liturgiche, le faccio presente che qui lo gnosticismo non c’entra nulla, per il fatto che queste benedizioni presuppongono l’autorità pastorale del Santo Padre.
      È vero che in campo pastorale il Papa non è infallibile. Tuttavia, come sappiamo, la Chiesa, insieme con il Diritto Civile, ammette l’obiezione di coscienza.
      Per esempio, Benedetto XIV insegnò che se per motivi di coscienza un fedele non se la sente di accettare il giudizio della Chiesa, relativamente alla dichiarazione di soprannaturalità di apparizioni mariane, gli è consentito di dissentire senza per questo disobbedire alla autorità della Chiesa.
      Tornando al problema delle benedizioni, la Chiesa concede ai vescovi di astenersi dal mettere in pratica la Dichiarazione FS, non certo in nome di obiezione di carattere dottrinale, ma eventualmente per motivi di convenienza pastorale.

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    5. Vorrei ringraziare lei, padre Cavalcoli, per la sua pazienza, la sua generosità nel rispondere a tutti i lettori (anche i più fuorviati e irrispettosi), e la sua chiarezza di concetti. Dio li benedica e premi i suoi meriti.

      Oscar

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    6. Mi scusi, il cardinale Tucho ha pubblicato libri con contenuto pornografico. Dire questo significa accusare il Papa che lo ha nominato? Insisto sul fatto che gli manca la capacità di comprendere i testi. E il buon senso: quello che fa Fernández è di Fernández e non di Bergoglio.
      Per quanto riguarda il preventivo che mi chiedi, è in questo rapporto:
      https://www.infocatolica.com/?t=noticia&cod=47441

      Bodjian ph.d.

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    7. Caro Oscar,
      io ringrazio lei per le sue buone parole, che mi incoraggiano a proseguire nel mio ministero a servizio delle anime.

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    8. Caro Bodjian,
      la cosa importante per noi cattolici non è mettersi a discutere circa il valore spirituale o meno delle pubblicazioni del Card. Fernandez, precedenti la sua nomina a Prefetto del DDF. Sarebbe come volere giudicare Sant’Agostino alla luce di quello che fece o scrisse prima della conversione. Sarebbe un lavoro inutile e dannoso per le nostre anime e uno stolto pretesto per respingere il valore della sua sapienza.
      Le ricordo inoltre che, una volta che un prelato è assunto alla direzione di un Dicastero Pontificio, soprattutto se è il DDF che riguarda l’infallibilità della dottrina pontificia, costui, senza fruire egli stesso del carisma dell’infallibilità, tuttavia possiede una grazia di stato, per la quale, nella misura in cui esegue la volontà del Papa e rappresenta la sua dottrina, partecipa dello stesso carisma dell’infallibilità pontificia.

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    9. Non dirmelo. Da dove lo prende?

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    10. Caro Anonimo,
      la sua domanda non è chiara. La pregherei quindi di spiegarsi meglio, in modo che io capisca a che cosa lei si riferisce. Solo a questo punto potrò darle una risposta.

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    11. Gli ho chiesto da dove ricava che Tucho Fernández partecipa al carisma dell'infallibilità petrina. Certamente non dal Vaticano I.

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    12. Caro Anonimo,
      il Vaticano I si limita a definire quella che è l’infallibilità dottrinale personale del Sommo Pontefice. Tuttavia già da prima si sapeva, e la cosa è abbastanza logica, che il collaboratore del Papa nella difesa della fede non può non partecipare di quella infallibilità della quale Cristo ha fatto dono al Successore di Pietro.
      Questo punto lo ritroviamo in due documenti del Pontefice attuale, che le cito in nota, laddove il Papa ricorda al Card. Fernandez che deve essere “custode della fede”.
      Ora, io mi domando, come fa Fernandez ad essere custode della fede, se non è assistito, sia pur per partecipazione, dell’infallibilità pontificia?

      https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/documents/20230106-in-ecclesiarum-communione.html

      https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/07/01/0487/01090.html

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    13. Il Papa non può trasferire l’infallibilità a terzi. C'è un solo Papa. Il suo massimalismo ultramontano è incredibile, padre Cavalcoli.

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    14. Caro Anonimo,
      non si tratta di trasferire niente. Non sto parlando come se si trattasse di un incarico trasmesso ad un altro, come potrebbe fare un direttore d’azienda che incarica il suo segretario di sostituirlo in sua assenza.
      Invece ho parlato di partecipazione del carisma dell’infallibilità. Partecipazione vuol dire avere in parte qualche cosa preso da un tutto. In questo caso la partecipazione è uno stato di grazia, tenendo presente che la grazia è partecipazione della vita divina.
      Per questo il Card. Fernandez non ha ricevuto dal Papa l’incarico come se il Papa fosse un direttore d’azienda, che dà un incarico a un suo segretario. Per capire quello che voglio dire, occorre tenere presente che qui si tratta di un rapporto spirituale soprannaturale caratterizzato dal possesso della grazia divina, sia da parte del Papa che del Cardinale.
      L’infallibilità, di cui sto parlando, è un dono divino. Ora, fino a prova contraria Dio è infallibile. Quindi non c’è da meravigliarsi che chi riceve questo dono, diventi infallibile, relativamente all’ufficio al quale questa infallibilità si riferisce ossia all’insegnamento della dottrina cattolica.

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    15. È ridicolo. I collaboratori del Papa in materia di fede sono i vescovi e ciò non significa che abbiano l'infallibilità, a meno che non si esprimano in un Concilio in comunione con Pietro. Il Prefetto non è altro che un alto funzionario, niente di più. Non "partecipa" all'infallibilità. Basta ascoltare Tucho per ridere di questa tua proposta, padre.

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    16. Caro Anonimo,
      io ho lavorato otto anni in Segreteria di Stato come collaboratore di San Giovanni Paolo II, per cui so quello che dico e la cosa non è tanto difficile da comprendere.
      Che cosa voglio dire? Che il Prefetto del DDF è di aiuto al Papa nella custodia della dottrina della fede e quindi come tale partecipa del carisma dell’infallibilità pontificia, per cui partecipa della stessa guida dottrinale che il Papa esercita nei confronti dell’episcopato.
      Anche per quanto riguarda il lavoro di un Concilio il Profetto del DDF svolge la stessa funzione.
      Detto questo, è chiaro che ciò che il Prefetto dice a proprio nome o come opinione personale non gode di nessuna infallibilità.
      Le rinnovo il caldo invito ad usare nei confronti del Cardinale Fernandez un linguaggio rispettoso, conveniente alla sua alta dignità.

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  2. Caro padre Cavalcoli, da qualche giorno penso a quei commenti un po' offensivi o sprezzanti che tanto lei ricevi su questo blog. Commenti che di solito sono lunghi una o due frasi, espressi in maniera autoritaria, come chi parla con arroganza gettando briciole di saggezza ai maiali.
    Come hai ben indicato a uno di questi irrispettosi commentatori, di stare attento perché certe espressioni suggeriscono odio verso le persone, e hai ricordato loro che l'odio è una colpa grave.
    Ho cominciato a pensare che forse queste persone sono cristiane, anche cattoliche. Ma intuisco (potrei sbagliarmi) che intervenendo in forma anonima o con pseudonimi, senza rivelare la propria identità, nascondono una psicologia forse malsana.
    Mi spiego: come cattolici forse queste persone sapere cos'è un'espressione indicativa di odio o di disprezzo verso il prossimo, ma...! Poiché si nascondono sotto il pretesto di essere anonimi o sotto uno pseudonimo, potrebbero queste persone pensare che per questo semplice fatto non siano responsabili della loro espressione offensiva.
    So che la mia interpretazione potrebbe essere un po' inverosimile. Ma ho l'impressione che il modo in cui avviene la "comunicazione" negli attuali social network nasconde molte bugie, doppiezze, falsità, ipocrisia...

    Nadia Márquez

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    1. Cara Nadia,
      la ringrazio per queste osservazioni molto interessanti.
      L’arroganza, secondo me, nasce da una falsa soluzione del problema della certezza. Il soggetto, invece di aderire con l’intelletto alla realtà, che fatica a capire, raggiunge la certezza non perché è davanti all’evidenza, ma in modo artificioso con un atto della volontà.
      Il famoso cogito di Cartesio, come ha rilevato giustamente il Padre Fabro, non dipende dalla percezione di qualcosa di evidente, ma da una decisione della volontà, perché il cogito cartesiano non è un vero pensare, ma è un dubitare.
      Quindi Cartesio non risolve affatto il problema del dubbio, ma fonda l’essere (ergo sum) proprio sul dubitare, dal che si capisce che non abbiamo una vera certezza, ma quella certezza forzata, che è propria del volontarismo.
      Da qui l’arroganza, che si attua in un atteggiamento aggressivo, col quale in maniera dispotica si vuole dominare l’avversario o percepito come tale.
      Per quanto riguarda il problema dell’odio, il Papa viene spesso su questo argomento. L’odio di per sé è una passione con la quale noi ci opponiamo al male o a ciò che consideriamo come male. In psicologia corrisponde all’aggressività.
      È una passione utile al vivente per aggredire le forze nemiche o per difendersi da esse. Il problema morale nasce quando noi odiamo ciò che è bene e in particolare odiamo Dio e il prossimo. A questo punto certamente nasce la colpa grave.
      È possibili che queste persone si considerino cattoliche, ma di tendenza indietrista o forse anche modernista. Il che vuol dire che sono persone faziose, che probabilmente hanno sofferto dai nemici del fronte opposto. Esse mi scambiano appunto per i loro avversari.
      A questo punto è possibile scusarli in qualche misura. Tuttavia io chiedo a loro: “Se vi comportate così, come fate a dirvi cattolici?”.
      Come mai l’anonimato? Probabilmente perché temono di fare brutta figura o di essere rimproverati o perché riportano e ripetono frasi per sentito dire, per cui da una parte mi vogliono colpire, ma dall’altra non sono capaci di dimostrare quello che sostengono. Da qui il ricorso all’offesa e all’arroganza. Allora ritengono così di essere al riparo, ma non possono evitare la loro responsabilità morale.

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