Lo spirito e la carne - Prima Parte (1/2)

 

Lo spirito e la carne

Prima Parte (1/2)

                                                                                                       Caro te excaecaverat? Caro te sanat

S.Agostino

 

Il contrasto di ciò che dovrebbe essere unito

Uno dei problemi fondamentali della vita è come mettere d’accordo le esigenze dello spirito con gli appetiti del corpo, i piaceri dello spirito con quelli fisici, la vita del senso con quella dell’intelletto, l’esercizio della volontà con quello delle passioni, l’esercizio della ragione con quello dell’istinto, l’affettività sensibile con l’amore spirituale, il sesso con lo spirito.

La Sacra Scrittura, al riguardo, ha due concetti fondamentali: carne (eb.basar, gr.sarx) e spirito (eb.rùach, gr.pneuma). Essa rappresenta lo spirituale con l’immagine del cielo, il materiale con quella della terra. Lo spirito è incorruttibile, la carne è corruttibile. Lo spirito è al di sopra del tempo, la carne è nel tempo. lo spirito si vede con l’occhio della mente, la carne con l’occhio del corpo. Il Creatore è spirito, la creatura è carne. L’anima è lo spirito dell’uomo, composto di anima e corpo.

Per la Scrittura la carne non è solo la parte materiale dell’animale, ciò che noi comunemente chiamiamo «carne», ma è anche la creatura umana nella sua fragilità, corruttibilità e tendenza al peccato, distinta dallo spirito come forza divina animatrice vivificante. Per questo Cristo dice che lo spirito è forte, la carne è debole. Si potrebbe però anche dire che purtroppo nell’attuale stato di natura decaduta lo spirito è debole e la carne è forte.  

Platone distingue il sensibile (aisthetòn) relativo all’immagine (eikòn) dall’intellegibile (noetòn) relativo all’idea.  L’anima sente il corpo mediante il senso e intuisce l’idea mediante l’intelletto. Per Platone l’uomo è un’anima che abita in un corpo, nel quale è prigioniera e a causa del quale è ostacolata nella vita spirituale, per cui la prospettiva morale platonica è che l’anima si liberi dal corpo per tornare allo spirito dal quale proviene.  

Aristotele distingue la materia (yle) dalla forma (morfè, eidos). Per Aristotele l’uomo è una sostanza composta di anima come forma e corpo come materia. Anche per Aristotile l’anima intellettiva intuisce l’essenza delle cose sensibili e le sente mediante i sensi, ma per Aristotele il sentire sensibile non è atto della sola anima come per Platone, ma è atto del soggetto congiunto anima e corpo.

Per Aristotele l’anima spirituale contiene in sé virtualmente l’anima sensitiva, per cui, benché le potenze intellettuali siano essenzialmente distinte da quelle sensitive, come aveva già capito Platone, l’anima umana è una sola forma sostanziale, quella razionale e non esistono nell’uomo, come credeva Platone, due anime, una per l’intelletto e una per i sensi. Quindi per Aristotele il sesso ha origine dall’anima razionale e quindi è fatto apposta per concordare con essa ed essere espressione della sua attività.

La cosa strana, quindi, della psicologia di Platone, è che essa tende ad un tempo al dualismo, opponendo intelletto e senso come fossero due anime, ma nel contempo attribuendo il sentire all’anima, col rischio di confondere l’intelletto col senso.

Lo spiritualismo rigido, esagerato e sessuofobo di Platone crea delle personalità intolleranti, dissociate e frustrate, giudici implacabili delle debolezze altrui e orgogliose della propria gonfia spiritualità, senza rendersi conto che Dio fa cadere nella carnalità proprio coloro che credono di essere puri spiriti e che, ignorando che anche il corpo e il sesso vengono da Dio, ne provano diffidenza, disgusto e ripugnanza. Non si rendono conto che il problema non è quello di rifiutare il sesso, ma di assoggettarlo a Dio.

Quanto ad Aristotele, per lui la volontà guidata dalla ragion pratica trova difficoltà a domare gli appetiti sensitivi, gli istinti e le passioni, ma in fin dei conti essi, ben diretti, potenziano la forza della volontà. Questo dominio non dev’essere dispotico come se le passioni fossero dei nemici, ma forte e dolce ad un tempo, perchè il corpo e il sesso sono componenti essenziali della persona e sono per natura fatti per essere guidati dalla ragione. 

Certamente, se essi prendono l’iniziativa, la volontà viene trascinata, facilmente prendono il sopravvento e conducono al peccato. Ma se invece è lei a prendere l’iniziativa con ragionevole decisione e muove gli istinti e le passioni, come è suo dovere, allora l’azione aumenta il suo valore morale.

Infatti per Aristotele la congiunzione dell’anima col corpo non è, come per Platone, accidentale, sgradevole, sventurata e dannosa, non della natura umana, è obbligo morale, è sorgente di sana felicità fisica e spirituale, è cosa sostanziale e ragionevole, onde assicurare l’unità e l’armonia interiore della persona nell’ordine gerarchico delle sue facoltà e potenze, onde formare quell’unica sostanza ilemorfica che è la persona umana. E ciò corrisponde esattamente all’antropologia biblica.

Per Aristotele l’uomo, per raggiungere il suo fine, la contemplazione dello spirito assoluto, deve astrarsi dal sensibile per cogliere l’intellegibile e tuttavia la felicità dell’uomo consiste nell’unione della carne con lo spirito, del senso con l’intelletto, della volontà con le passioni. Tuttavia Aristotele non disprezza la corporeità, anzi dà come oggetto naturale all’appetito sensitivo e alla passione il bene sensibile e piacevole.

La sapienza biblica, dal canto suo, come quella indiana avverte il primato assoluto dello spirito sulla carne, sul corpo e sulla materia, dell’intelletto sul senso, della volontà sulle passioni, quindi di ciò che non passa rispetto ciò che passa, il primato dell’immutabile sul mutevole, dell’eterno sul temporale, del necessario sul contingente, dell’invisibile sul visibile. Per questo, Dio, che è l’altissimo, l’ente supremo, il sommo bene, la causa prima e il fine ultimo, è purissimo spirito.

Tuttavia esiste una differenza fra la sapienza biblica da quella indiana, che mentre per la Bibbia Dio è il creatore dello spirito e della carne, per cui tanto lo spirito che la carne sono reali e buoni, anzi destinati alla vita eterna, per l’India Dio appare come spirito e come carne, mentre questa, che è nociva parvenza e illusione, scompare in Dio al momento della liberazione definitiva dell’uomo.

La Bibbia, riguardo alla questione del rapporto fra spirito e carne, presenta una duplice visione apparentemente contradditoria: da una parte abbiamo la constatazione di un conflitto tra spirito e carne, la proclamazione della necessità di una vittoria dello spirito sulla carne,  della separazione  dell’uomo dalla donna  e di una rinuncia alla carne, ma dall’altra presenta il piano divino protologico ed escatologico che comporta l’unione dello spirito con la carne e l’unione dell’uomo con la donna.

Come sciogliere questa contraddizione?  Occorre distinguere due punti di vista diversi: da una parte la condotta umana nello stato di natura decaduta e dall’altra quella che corrisponde alla volontà originaria ed escatologica di Dio. Questa volontà comporta la creazione del maschio e della femmina e la loro unione motivata dalla loro reciproca complementarità come effetto e base del loro reciproco amore.

Viceversa, nella condizione attuale di natura decaduta a seguito del peccato originale, l’unione originaria è spezzata, l’uomo è in conflitto con la donna e l’uno costituisce una tentazione per l’altra, vige una reciproca incomprensione e un reciproco disprezzo, l’uno arde di passione per l’altra, l’uno vuol godere egoisticamente dell’altra, l’uno vuol dominare sull’altra.

Tutto ciò evidentemente soffoca la vita dello spirito oppressa dalla carne, il sesso fa da padrone nelle vicende della vita quotidiana, fa inaridire la vita dello spirito, che perde il gusto e l’interesse per le cose spirituali, mentre si sente quasi irresistibilmente attratto dai piaceri della carne.

Nella vita presente, nella quale patiamo un contrasto fra le superiori esigenze dello spirito e gli stimoli della carne non domata, senza che riusciamo pienamente ad assoggettare la carne allo spirito, San Paolo ci fa presente che ci si impone una scelta: o ci facciamo guidare dalla carne con le sue concupiscenze e ciò conduce alla perdizione; o ci facciamo guidare dallo Spirito Santo e ciò porta alla salvezza.

Ma il prezzo da pagare è la rinuncia ad accontentare i desideri della carne, il che non significa ovviamente non soddisfare i nostri bisogni fisici e le legittime tendenze della nostra animalità, tra le quali, per esempio, la giusta soddisfazione sessuale che proviene dall’unione coniugale. Ma significa reprimere quei moti passionali seguendo i quali noi non ci comporteremmo in modo conforme alla nostra dignità umana, ma ci abbasseremmo al livello delle bestie o, nel caso si trattasse di inclinazioni alla superbia, diventeremmo degli spiriti diabolici.

San Paolo è ben consapevole che il corpo e il sesso non sono fatti per la fornicazione, ma per essere tempio dello Spirito Santo (I Cor 6, 13-20). Paolo, ben consapevole delle conseguenze del peccato originale, constata dolorosamente un confitto nell’uomo tra carne e spirito, che non era nel piano originario divino e come soluzione oppone l’uomo spirituale all’uomo carnale.

Il primo è l’uomo temperante, pronto alla rinuncia e al sacrificio, giudizioso e sapiente, che pone le aspirazioni spirituali al di sopra di quelle materiali, che giudica e regola la vita fisica secondo i valori dello spirito, è il cristiano, che vive secondo gli impulsi dello Spirito Santo; il secondo è l’uomo che vive nel peccato, privo dell’intelligenza spirituale e di aspirazione ai valori più alti, sordo agli appelli dello Spirito, schiavo dei desideri della carne, tutto preso da interessi materiali e terreni o, se guarda allo spirito, non si tratta certo dello Spirito Santo, ma dello spirito della superbia e del demonio (I Cor 2, 12-15).

Particolarmente delicato è il discorso che Paolo fa quando tratta del corpo umano nella futura risurrezione gloriosa. Egli parla di un passaggio dall’attuale «corpo animale» a un «corpo spirituale», e dall’attuale «uomo terrestre» a un «uomo celeste» (I Cor15, 44-49). Che significa tutto ciò? Che l’uomo perderà la sua animalità per diventare un puro spirito? Che non ci sarà più la distinzione e l’unione fra uomo e donna? Che cosa intende dire San Paolo?

Lungi da lui la prospettiva platonica o indiana, della quale purtroppo Origene è rimasto vittima, della liberazione dello spirito dalla carne o dell’anima dal corpo o di un corpo asessuato, sennò dove va a finire la risurrezione del corpo? Paolo intende, al contrario, riferirsi, al di là del linguaggio desunto dallo gnosticismo, al pieno dominio dello spirito sulla carne e dell’anima sul corpo maschile e femminile, alla piena riconciliazione della carne con lo spirito e dell’uomo con la donna secondo il ripristino del piano originario della creazione secondo il quale maschio e femmina li creò.

Sant’Agostino è estremamente acuto nell’osservare che quella carne e quindi quel sesso che, pur creati da Dio, sono stati per noi occasione di perdizione col peccato originale, quella stessa carne e quello stesso sesso diventano per noi, assunti dal Verbo divino, occasione, principio, criterio e mezzo di salvezza. Dio ha voluto servirsi di ciò che ci aveva perduti per farci trovare la via della salvezza dalla perdizione.

Ecco allora la carne di Cristo e quindi il sesso di Cristo, nell’Eucaristia, come medicina per la nostra carne e il nostro sesso ribelli allo spirito. Ecco il cibo divino che rende lo spirito capace di domare la carne, il cibo che produce i vergini, che riconcilia la carne e il sesso con lo spirito, l’uomo con la donna, l’esperienza sessuale con l’esperienza mistica, come ha cercato di dire Victor Miguel Fernandez.

Maschio e femmina nel confronto spirito-carne

La dualità maschio e femmina per la Scrittura è strettamente connessa col confronto spirito-carne. Infatti la Bibbia precisa la creazione del maschio e della femmina subito dopo aver detto che entrambi li creò «a sua immagine» (Gen 1,27), ossia dotati di un’anima spirituale, dato che Dio è purissimo Spirito.

Anche il discorso paolino del raffronto verginità-matrimonio è piuttosto delicato e dev’essere rettamente compreso per evitare interpretazioni gnostiche o platoniche. È nota l’apparente contraddizione che esiste fra le lodi altissime della verginità contro il matrimonio in I Cor 7, 1-10 e le lodi altissime del matrimonio in Ef 5,32.

Infatti, mentre in I Cor il marito sembra per la moglie un’alternativa a Cristo (7, 32-33), che quasi costringe la moglie a scegliere fra Cristo e il marito, in Ef  il marito viene paragonato addirittura a Cristo e il matrimonio diventa immagine dello sposalizio della Chiesa con Cristo.  Qui la sposa di Cristo sembra non essere più la vergine ma la moglie. È interessante come in Paolo s’incroci il nuovo ideale della vergine, annunciato dal Nuovo Testamento e disprezzato nell’Antico col permanere dell’ideale coniugale proprio dell’Antico Testamento.

In I Cor 7,9 il matrimonio appare uno sfogo legalizzato della concupiscenza, simile all’istituto della prostituzione, se non fosse che il matrimonio assicura la procreazione, mentre la vergine è la donna che si mantiene «santa nel corpo e nello spirito» (7,32), come se la sposata non potesse essere santa nel corpo e nello spirito.

Qui il matrimonio non appare un ideale altissimo come in Ef, ma una concessione fatta a coloro che non riescono a vincere le tentazioni della carne. Paolo poi, al fine di consigliare la verginità, aggiunge che nel matrimonio ci sono «tribolazioni». E forse che nella vita religiosa non ce ne sono delle peggiori? È chiaro che in queste espressioni estremistiche di Paolo non dobbiamo vedere alcuna verità rivelata, ma solo l’influsso della mentalità rabbinica del suo tempo.

Ma un’altra cosa da aggiungere che fa problema è anche l’uso paolino, benché solo implicito (v.34), dell’immagine della «sposa» per significare la condizione della Religiosa, in quanto Paolo la presenta come simile a una moglie che si dedica al marito, che qui sarebbe Cristo.

Questa immagine della Religiosa sposa di Cristo sarà destinata ad un’immensa fortuna nello stesso linguaggio della Chiesa fino ai nostri giorni. Per questo tale immagine Essa corrisponde all’altra, di Cristo «Sposo». Questa è ancora più importante, perché Gesù stesso la attribuisce a Se stesso. Ora, possiamo osservare che questo paragone che Cristo fa di sé con uno sposo non ha alcun contenuto dogmatico cristologico, ma è un semplice adattarsi di Cristo al linguaggio del suo tempo. Il termine s’inserisce certamente nel tradizionale linguaggio veterotestamentario di Jahvè sposo di Israele, ma suppone una concezione del maschio come superiore alla femmina, quindi del marito come «signore» (baàl) della moglie.

L’unico modo per mantenere l’immagine della Religiosa «sposa di Cristo», potrebbe essere quello di concepire mascolinità e femminilità in senso spirituale, come dirò più avanti. Ma siamo pronti oggi a questo concetto?

Il termine biblico sposo vuole semplicemente esprimere che Jahvè è il Signore, che ama il suo popolo e ne è geloso, come uno sposo è geloso della moglie. Ma, stante il fatto che oggi, proprio per una migliore comprensione dell’insegnamento biblico, non si concepisce più una superiorità dell’uomo sulla donna, ne viene per conseguenza che per esprimere la signoria divina di Cristo non conviene più presentarla con la categoria del maschio.

In base a queste considerazioni dobbiamo dire che l’immagine di Cristo sposo non può più oggi evocare l’idea della sua signoria divina, ma abbassa Cristo a livello dell’umano, giacchè è chiaro che Dio non ha sesso e il sesso appartiene solo alla creatura.

Ora, venendo meno questa categoria e per conseguenza anche l’immagine nuziale, è chiaro che appare superata anche la categoria della Religiosa «sposa di Cristo» e anche l’immagine della Chiesa, «sposa di Cristo». Non parliamo poi della sconvenienza della Madonna «sposa» di Cristo» o dello Spirito Santo. Semmai Maria è sposa del Padre, feconda di Spirito Santo[1], se è vero che due persone che generano il medesimo figlio è una coppia di sposi.

L’immagine dello sposo, se la prendiamo nel suo senso proprio, implica amore sessuale: se togliamo questa nota, la parola si svuota di senso. Vogliamo con essa esprimere la divina signoria amorosa, tenera e misericordiosa? Ebbene, esprimiamola con altre parole, rinunciando a termini, che per il loro essenziale richiamo all’emotività sessuale, finiscono per essere più di disturbo e causa di sottili e inconsci equivoci, che non di giovamento psicologico per un’anima votata alla castità.  

L’ingenua ed innocente enfatizzazione, per esempio, del modo col quale Santa Teresa del Bambin Gesù volle celebrare le sue «nozze» con Cristo, riproducendo esattamente tutto quello che si usa fare per un comune matrimonio, sembra inserire un che di romantico in un evento mistico, che così rischia di perdere, del tutto al di là delle intenzioni della Santa, qualcosa del suo mistero, quasi a diventare la vantata sostituzione compensativa di un amore umano seppur sublime al quale si ha rinunciato.

La violenza della concupiscenza attenua la colpa del peccato,

ed è vinta dalla forza dello Spirito

Un’altra cosa da osservare per comprendere il senso e la necessità dell’ascetismo cristiano è che la concupiscenza, conseguenza del peccato originale, non domata, crea gravissimi ostacoli alla comunione spirituale con Dio e col prossimo. Essa attira a sé tutta l’attenzione del soggetto, genera svogliatezza, pigrizia e infingardaggine nei confronti dell’amore di Dio e del prossimo, mentre concentra tutta l’attività del soggetto nella ricerca del piacere sessuale etero od omosessuale.

L’esistenza della concupiscenza ha orientato fin da tempi antichissimi l’umanità verso due strade, come possibili scelte di vita. Innanzitutto tutti avvertono l’assoluta necessità dell’istituto familiare, per la conservazione e l’accrescimento della specie umana.  Qui la concupiscenza è moderatamente soddisfatta e tenuta sotto controllo dalla necessità di salvaguardare i bisogni e le finalità della famiglia. Esistono poi coloro che, particolarmente sensibili ai bisogni dello spirito, scelgono, per estinguere i desideri carnali, la totale rinuncia all’esercizio del sesso e quindi a formarsi una famiglia. È questa la scelta monastica, che compare in Tibet e in India parecchi secoli prima di Cristo. 

Gli antichi popoli dell’Occidente, invece, compreso Israele, per lunghi secoli prima di Cristo non conoscono l’ideale monastico con l’astinenza sessuale che lo accompagna. Le categorie basilari e gli interessi fondamentali dei Greci sono strettamente congiunti con l’uomo e il mondo, il logos, il kosmos, la yle, la sarx, il soma, la fysis. Parmenide col suo einai e Platone, con l’eidos, spregiatori del divenire, dei sensi e della materia, sembrano un fenomeno d’importazione dall’Oriente mistico, ebbro dell’Assoluto. Aristotele, invece, con la materia e la forma, concorda con la distinzione biblica dell’anima e del corpo, dello spirito e della carne.

Esiste, certo, la rùach in Israele, Dio è rùach, ma il concetto di pneuma compare solo con San Paolo. Tanto lo spirito che la carne, tanto l’anima che il corpo sono creati da Dio. Israele fa da cerniera fra Occidente e Oriente; ma anche Israele non conosce il monachesimo fino al I sec. a.C. con Giovanni Battista, la Madonna e la Comunità di Qumran, dove appare per la prima volta in Occidente l’ideale della verginità.

Ma lo spiritualismo biblico è diverso da quello orientale: la verginità non è preparazione a lasciare il corpo che si dissolve, quale vana parvenza, nell’Assoluto, ma è preparazione terrena alla riconciliazione celeste dell’uomo con la donna.

Considerata inoltre la forza della concupiscenza e in molti la fragilità umana e la difficoltà nel domare la passione, già nei popoli antichi e nell’antico Israele e per tutta la storia cristiana fino ai nostri giorni, la pubblica autorità, che deve prendersi cura anche dei più fragili, ha sempre tollerato la prostituzione a vantaggio, se così si può dire, di coloro che, non avendo avuto la grazia e la forza di creare una famiglia e neppure il dono speciale di una consacrazione religiosa, nel contempo faticano o non riescono a domare l’impulso dell’istinto.

Cristo stesso prende atto dell’esistenza delle prostitute e parla addirittura di prostitute che entrano nel regno dei cieli, ovviamente pentite dei loro peccati, mentre insegna un’etica sessuale nella quale da una parte ha spazio la verginità, il lasciare tutto per Lui e il «farsi eunuchi per il regno dei cieli», mentre dall’altra richiama il progetto originario divino che comanda all’uomo e alla donna di essere «una sola carne» (Gen 2,24).

È chiaro che nel regno dei cieli non ci saranno le prostitute, ma siccome adesso risentiamo delle conseguenze del peccato originale, che comportano la concupiscenza della carne, ecco l’opportunità che si abbia indulgenza per quelle persone che, nonostante gli sforzi della loro volontà, non riescono a trattenersi dal soddisfare l’appetito dell’istinto.

Aggiungiamo che l’unione sessuale può essere espressione fisica dell’unione spirituale, ma può essere anche effetto della concupiscenza. Dipende dall’intenzione e dalla causa che la motiva e dal fine che ci si propone: se esprimere l’amore o soddisfare il proprio egoismo. Di per sé l’unione sessuale entra nel piano originario di Dio, dove essa è presentata indipendentemente dalla procreazione (Gen 2,24) e semplicemente finalizzata a riempire la solitudine dell’uomo, così che egli trovi un aiuto non tanto al fine di procreare, ma, come ha indicato San Giovanni Paolo II, un aiuto a trovare il senso umano e la pienezza della sua esistenza (Gen 2,18)[2].

L’unione dell’uomo con la donna è procreativa nella vita presente, mentre nella futura vita della risurrezione gloriosa essa mantiene il suo significato di essere espressione dell’amore, ed anzi arriva al vertice di questo amore, anche se non sappiamo adesso come potrà essere questa unione dal punto di vista fisico, perché il sesso che conosciamo adesso è un sesso procreativo, mentre quello di lassù è un sesso puramente affettivo e unitivo, pienezza dell’unione.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 12 gennaio 2024

 


Particolarmente delicato è il discorso che Paolo fa quando tratta del corpo umano nella futura risurrezione gloriosa. Egli parla di un passaggio dall’attuale «corpo animale» a un «corpo spirituale», e dall’attuale «uomo terrestre» a un «uomo celeste» (I Cor15, 44-49). Che significa tutto ciò? Che l’uomo perderà la sua animalità per diventare un puro spirito? Che non ci sarà più la distinzione e l’unione fra uomo e donna? Che cosa intende dire San Paolo?

Lungi da lui la prospettiva platonica o indiana, della quale purtroppo Origene è rimasto vittima, della liberazione dello spirito dalla carne o dell’anima dal corpo o di un corpo asessuato, sennò dove va a finire la risurrezione del corpo? Paolo intende, al contrario, riferirsi, al di là del linguaggio desunto dallo gnosticismo, al pieno dominio dello spirito sulla carne e dell’anima sul corpo maschile o femminile, alla piena riconciliazione della carne con lo spirito e dell’uomo con la donna secondo il ripristino del piano originario della creazione secondo il quale maschio e femmina Dio li creò.


Sant’Agostino è estremamente acuto nell’osservare che quella carne e quindi quel sesso che, pur creati da Dio, sono stati per noi occasione di perdizione col peccato originale, quella stessa carne e quello stesso sesso diventano per noi, assunti dal Verbo divino, occasione, principio, criterio e mezzo di salvezza. Dio ha voluto servirsi di ciò che ci aveva perduti per farci trovare la via della salvezza dalla perdizione.

 

Immagini da Internet: San Paolo di Tarso e Sant'Agostino d'Ippona.


[1] Quando l’angelo dice a Maria che lo Spirito Santo la coprirà con la sua ombra, non risponde alla domanda su chi sarà il suo sposo, perché aveva capito che doveva sposare Dio Padre, il Padre del Figlio che ella avrebbe generato, ma desiderava sapere come questa unione sarebbe avvenuta, stante il fatto che ella aveva fatto voto di verginità. Del resto Maria sapeva bene che essendo Dio puro spirito non poteva unirsi a Lui se non restando vergine.

[2] Vedi il mio articolo nel quale commento il pensiero del Papa: IL CORPO UMANO “IN PRINCIPIO”, Sacra Doctrina, 3-4, 1984, pp.302-324.

14 commenti:

  1. "(...) il sesso che conosciamo adesso è un sesso procreativo, mentre quello di lassù è un sesso puramente affettivo e unitivo, pienezza dell’unione."

    Caro Padre: è la prima volta che sento dire questo. Sono rimasto perplesso all'idea che ci saranno rapporti sessuali dopo la risurrezione, poiché Cristo ha detto che saremo "come angeli"...

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    1. Caro Alessandro,
      il paragone dell’unione uomo-donna nella resurrezione con la condizione angelica è stata spiegata da San Giovanni Paolo II, il quale ha detto che il Signore non ha inteso dire che di là saremo dei puri spiriti come gli angeli, altrimenti verrebbe meno la resurrezione dei corpi.
      Ma il paragone con gli angeli – spiegò sempre il Papa – vuole significare quel “corpo spirituale”, del quale parla San Paolo in 1 Cor 15, vale a dire il pieno dominio dello spirito sul corpo.
      Altra cosa da tenere presente è che nella resurrezione sarà restaurato ciò che c’era nell’eden, escludendo gli aspetti che riguardano la vita presente. Ora, nell’eden la volontà di Dio è che uomo e donna siano una sola carne. Viceversa la procreazione è un’attività che riguarda solo la vita presente. Come immaginare questa sola carne?
      Diciamo subito che, come dice la Scrittura, “occhio non ha mai visto ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano”. Nello stesso tempo Gesù ci parla con parole prese dalla nostra vita terrena. Per questo, per immaginare questa futura unione occorre un punto di equilibrio tra lo agnosticismo assoluto, che prende a pretesto il mistero futuro, e il materialismo, che si pone sul piano dell’univocità anziché dell’analogia. Una forma di materialismo è la concezione coranica, chiaramente ispirata ad una forma di edonismo e di svalutazione della donna.
      Una considerazione che ci aiuta a capire qualcosa di questo mistero di come vivremo la nostra sessualità in paradiso è quella che potremmo fare riguardo alla questione se in paradiso ci sarà l’alimentazione. Ricordo che la Scrittura al riguardo usa l’immagine del banchetto. Inoltre Gesù risorto mangia del pesce. Come spiegare questi fatti e queste immagini?
      Non dobbiamo prenderli alla lettera, sennò cadremmo in una forma di materialismo che non ci farebbe capire nulla del mistero. Che cosa dunque bisogna dire? E’ evidente che un corpo immortale non ha bisogna di alimentazione. Allora possiamo dire che queste immagini vogliano significare la convivialità e la gioia di stare assieme nell’affetto fraterno, cose che indubbiamente ci saranno in paradiso.
      Altra considerazione da fare è chiarire che cosa vuol dire che l’amore escatologico non è procreativo. Non significa, come credono i freudiani, far uso di metodi anticoncezionali, ma vuol dire quella infecondità che dipende dalla natura e quindi dalla volontà di Dio.
      Il dogma della resurrezione dei corpi del Concilio Lateranense IV del 1215, dice che risorgeremo con il corpo che abbiamo adesso. Che significa ciò? Evidentemente non dobbiamo intendere queste parole alla lettera, ma queste parole vogliono significare che noi manterremo la nostra identità personale, cioè con il proprio corpo maschile o femminile. Ma come sarà questo corpo? Per adesso non lo sappiamo. Dio stesso ci farà una sorpresa e vedremo che è molto più bello di quanto potrebbe adesso immaginare l’immaginazione di un grande poeta o artista.
      Altra considerazione da fare. L’unione fisica nel piano divino dev’essere espressione dell’unione spirituale, mentre essa per sua natura favorisce l’unione spirituale. Da tenere presente che questa unione spirituale è molto più importante di quella fisica.
      Altra cosa da ricordare è la proibizione dei rapporti sessuali extraconiugali. Infatti la tesi secondo la quale può essere lecita l’unione non procreativa potrebbe essere fraintesa dai freudiani, nel senso di legalizzare il rapporto extraconiugale. Questa unione non procreativa, della quale parlo, non ha niente a che vedere con quella concezione freudiana.

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    2. Caro Padre: Avrei bisogno di sapere se ci sono altri autori ecclesiastici che hanno presentato in precedenza questa idea. Una domanda: Giovanni Paolo II ha mantenuto questa posizione nelle sue catechesi sulla teologia del corpo? Se è così, sarei molto grato se potessi darmi il riferimento preciso, o allegare il link digitale al testo. Onestamente, che il corpo risorto in stato di gloria si accoppi nella vita eterna è una cosa per me totalmente nuova, oltre che incomprensibile, dato che l'uso della genitalità in uno stato di esistenza in cui non ci sarà più generazione non sembra giustificarsi. Si potrebbero immaginare i risorti -dotati di un corpo glorioso e sottile-, dediti interamente ad attività di ordine spirituale e intellettuale, cioè all'adorazione di Dio e alla comunicazione diretta con gli angeli, oltre a un delicato scambio fraterno con i nostri simili esseri umani, fondata sull'ineffabile gioia spirituale che scaturisce dalla crescente conoscenza di Dio e delle meraviglie celesti, senza alcun bisogno di esercitare l'animalità a cui sono ancora soggetti i viattori quaggiù. Quando Cristo dice che saremo come angeli, sospetto che si riferisca, tra l'altro, al fatto che operazioni animali come l'atto sessuale non faranno più parte di una vita umana spiritualizzata dal "lumen gloriae" e nella quale le pulsioni sessuali verso il genere opposto saranno state lasciate indietro, senza per questo subire alcuna lesione dell'alterità maschile-femminile -che lei caratterizzi così adeguatamente-, con la sua capacità di legame complementare e reciprocamente arricchente, ma senza dover ricorrere alla sua attuale manifestazione animale, il che mi rende difficilmente compatibile con l'analogia angelica proposta da Nostro Signore...

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    3. Caro Anonimo,
      questa dottrina che ho esposto l’ho ricavata dagli insegnamenti di San Giovanni Paolo II, che ho commentato in alcuni articoli pubblicati in Sacra Doctrina. (Cf. http://www.arpato.org/studi.htm).
      Non conosco altri autori che abbiano trattato questo argomento. Gli autori che si avvicinano maggiormente sono Jacques Maritain ed Edith Stein.
      Riguardo ai testi di San Giovanni Paolo II, è sufficiente che lei consulti i miei articoli e lì troverà questi testi significativi. (Cf https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1979.index.html )

      L’unione uomo-donna escatologica è la restaurazione dell’unione uomo-donna edenica. Questa unione è a un tempo spirituale e fisica, dove il corporeo esprime lo spirituale e lo spirituale si esprime nel corporeo.
      La sessualità che noi conosciamo in questa vita comporta degli organi specificamente deputati alla generazione. La sua perplessità la capisco molto bene, perché lei si domanda: come è possibile nella resurrezione un’unione fisica non procreativa? La risposta che si può dare è che di là ci sarà il sesso, ma non sappiamo come questo sesso sarà fatto, appunto perché non sarà un sesso procreativo.

      La dimensione animale dell’uomo è essenziale alla natura umana. Da essa dipende quell’esser maschio e femmina che permane alla risurrezione. Infatti in essa la natura umana di ciascuno di noi sarà restaurata e integrata nella sua pienezza, secondo il piano divino originario della creazione che si era attuato nell’Eden, del tutto libera dalle conseguenze del peccato originale per le quali nella vita presente essa è parzialmente corrotta.
      Il piano originario di Dio prevede che l’uomo sia perfetto come coppia ("non è bene che l’uomo sia solo", "saranno una sola carne"), perchè uomo e donna si completano a vicenda sia spiritualmente che fisicamente, su di un piano di parità, anche a prescindere dalla procreazione fisica.
      Questa dualità nel completamento reciproco l’uno dell’altra consente la realizzazione dell’unione di amore (“una sola carne”), che è ciò che a Dio sta sommamente a cuore per la felicità dell’uomo e della donna. Dio ha creato l’esser maschio e l’esser femmina in vista della procreazione in questa vita e fin dall’inizio in vista della loro unione d’amore, che continuerà nella vita futura in una modalità a noi ora sconosciuta.
      Occorre altresì distinguere la coppia coniugale, propria della vita terrena, dalla coppia escatologica, propria della risurrezione. La prima è una coppia determinata di unione esclusiva indissolubile, di questo con questa, perchè ciò è richiesto dal compito educativo proprio dei genitori e quindi è connesso con la procreazione fisica. La seconda può essere determinata, ma non necessariamente, perchè potrebbe essere questi con queste, in una comunità d’amore, secondo la Scrittura che dice “non è bene che l’uomo sia solo”.
      Qualche cosa di questo mistero sembra adombrato nella famosa comunione delle donne, della quale parla Platone. Quello che non possiamo accettare è il fatto che Platone si pone dal punto di vista dello Stato e quindi nella prospettiva della riproduzione della specie. Viceversa la visione escatologica prevede una comunità non procreativa.
      A questo proposito bisogna ricordare il totale fraintendimento di questa prospettiva escatologica da parte di alcune sette gnostiche e delle attuali cosiddette “famiglie allargate”. In questo caso non si tratta di vero amore, ma di sfrenata lussuria o di fraintendimento della dignità della persona umana.
      Bisogna stare attenti allo spiritualismo di Platone, perché, separando lo spirito dal sesso, abbandona il sesso a se stesso, per cui paradossalmente una spiritualità rigorista può provocare una tendenza lassista. Invece la Chiesa, attraverso San Tommaso, ha preferito Aristotele, perché la psicologia aristotelica consente una sintesi di spirito e carne, della quale non è capace Platone.

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    4. Per immaginare come potranno andare le cose, possiamo pensare che le coppie coniugate si ritroveranno insieme, mentre coloro che adesso sono singoli, celibi o vergini formeranno coppie o apparterranno a comunità d’amore, secondo una somiglianza con rapporti avuti adesso o le disposizioni della provvidenza. Se uno è in paradiso e l’altro è all’inferno, Dio provvederà a consolare chi è in paradiso con un fratello di paradiso.

      Caso unico, specialissimo ed inimitabile, ma solo venerabile, è quello di Gesù e Maria, nuovo Adamo e nuova Eva, prototipi della mascolinità e della femminilità. Occorre infatti distinguere la loro verginità perenne e divina, annessa alla loro esenzione dalla colpa originale e motivata dall’unione ipostatica di Cristo e dall’unione ad essa della Madre di Dio, dalla castità religiosa della vita presente, condizione privilegiata ma provvisoria, contingente e d’emergenza, motivata dall’attuale stato di natura decaduta, dove le anime più spirituali sentono il bisogno di rinunciare alla carne per liberare lo spirito.
      Questa condizione di vita non sarà più necessaria nella futura condizione gloriosa che comporterà una perfetta unione dello spirito col sesso, conformemente al piano originario della creazione. Allora il sesso non sarà più un pericolo, ma al contrario un bene per lo spirito, che comunque troverà la sua massima gioia nella visione beatifica di Dio e nella comunione dei Santi e degli Angeli, nel pieno dominio della terra nuova, ben oltre e al di là dei massimi piaceri del corpo.

      Apprezzo molto le sue considerazioni spirituali, che condivido pienamente. Tuttavia mi sembra di notare una certa punta dualistica, che mi fa pensare ad Origene e allo spiritualismo platonico, laddove lei afferma che non c’è “alcun bisogno di esercitare l’animalità”. Le ricordo a questo riguardo che l’animalità è parte essenziale della natura umana.
      D’altra parte sono d’accordo con lei se per esercizio dell’animalità lei intende la alimentazione e la procreazione, atti chiaramente legati allo stato presente. Occorre invece ricordare che la sessualità in paradiso rappresenta l’amore, che evidentemente è un valore immortale. Similmente l’immagine del banchetto può rappresentare la convivialità escatologica. Naturalmente queste due dimensioni saranno prive di qualunque difetto, eccesso, conflitto, peccato, malattia, miseria, corruzione, violenza e disagio che purtroppo sono presenti nella vita quaggiù, e in modalità a noi per ora sconosciute.

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  2. Caro Padre, la ringrazio molto per la sua risposta. Naturalmente leggerò sui testi con calma, prendendomi il tempo necessario. Le trasmetto una mia preoccupazione in merito. Se la pienezza escatologica dell'essere umano supponesse, come lei sostiene, l'attività sessuale tra uomo e donna, quali sarebbero le implicazioni di questo rispetto a Nostro Signore e alla Beata Vergine Maria, dato che essi sono, appunto, il nuovo Adamo e la nuova Eva, i prototipi del maschio e della femmina? La Madonna e San Giuseppe avrebbero avuto rapporti sessuali in Cielo? E anche Gesù? E in tal caso, con chi sarebbe, visto che non si è sposato? Le assicuro che sono domande che mi vengono in mente sul serio, in nessun modo sto cercando di generare polemiche gratuitamente. Cordiali saluti in Cristo e Maria.

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    1. Caro Alessandro,
      che cosa significa che Gesù e Maria sono il nuovo Adamo e la nuova Eva e i prototipi della mascolinità e della femminilità? Per rispondere a questa domanda bisogna aggiungere un altro elemento e cioè Gesù Sposo della Chiesa e Maria Madre e modello della Chiesa.
      Ora, è evidente che questo paragone non possiamo spingerlo fino in fondo, perché, stando alla logica e facendo riferimento a Gesù-Adamo e Maria-Eva, ne verrebbe che Gesù è sposo di Maria, cosa evidentemente inaccettabile.
      D’altra parte Maria è sposa di Giuseppe, in quanto Giuseppe è padre putativo di Gesù, ed è sposa del Padre, in quanto genera il Figlio del Padre.
      In base a questi principi, che cosa significa Gesù nuovo Adamo e Maria nuova Eva? Direi che qui troviamo una sublimazione del mistero del matrimonio, che fa dire a San Paolo che il matrimonio sacramento è un simbolo del matrimonio mistico di Cristo con la Chiesa.
      Riguardo al matrimonio è interessante mettere in rilievo il matrimonio tra Maria e Giuseppe, che è e resta un matrimonio vergine, la cui fecondità consiste in quella che è stata l’educazione del Figlio di Dio. Similmente l’amicizia tra religiosi e religiose ha anch’essa la sua fecondità puramente spirituale.

      Altra osservazione che dobbiamo fare è che sia Gesù che Maria sono vergini. In base a questo mistero, come dobbiamo vedere la dualità Gesù-Maria? Dobbiamo chiederci che cosa significa questa verginità. Come ho già detto, essa ha rapporto con l’unione ipostatica.
      Quindi Gesù e Maria praticano una verginità, che appartiene soltanto a loro, una verginità inimitabile, ma soltanto venerabile. San Giuseppe partecipa

      In questo senso Gesù e Maria non sono i prototipi dell’Adamo e dell’Eva dell’eden, ma sono, come ho detto, un Adamo ed una Eva trascendenti, perché uniti in una verginità divina per noi trascendente.
      Invece i nostri prototipi, proporzionati alla nostra perfezione antropologica, sono l’Adamo ed Eva dell’eden, a proposito dei quali Dio dice “saranno una sola carne” e “non è bene che l’uomo sia solo”.
      A questo punto il rischio può essere quello di Maometto, cioè di concepire il sesso in un senso univoco, cioè di concepire il sesso dotato di quegli organi genitali che servono per la procreazione. Invece, per capire che cosa è il sesso risorto, occorre un concetto analogico di sessualità.
      La domanda che allora potremmo porci è la seguente: in paradiso ognuno di noi potrà essere umanamente completo senza l’unione con l’altro sesso? Dobbiamo ricordare le parole della Genesi: “Non è bene che l’uomo sia solo”, esse sono riferite all’unione dell’uomo con la donna. Ora, qui non si parla di alcuni sì e di altri no, quindi non c’è la facoltà di unirsi o di non unirsi e quindi di restare soli, ma ad entrambi Dio ha detto di coltivare e dominare la terra.

      Da qui la conseguenza che in paradiso la sessualità, affinché ci sia la pienezza dell’umano, richiede l’espressione sessuale da intendersi in un senso misterioso ed analogico, non univoco alla vita presente, altrimenti sacralizziamo uno stato contingente, che comporta la procreazione, e cadiamo nell’errore di Maometto, dei genderisti e dei freudiani.
      Altra osservazione che noi potremmo fare è la seguente: la venuta di Cristo apre all’umanità la possibilità della figliolanza divina, in modo tale che la prospettiva escatologica comporta una gloria che non era prevista nello stato edenico, per cui uno si potrebbe domandare se per caso lo stato di gloria non sostituisca lo stato edenico, che comporta l’unione dell’uomo con la donna.
      A questa domanda io rispondo che la venuta di Gesù in questa terra risponde a due finalità: la prima è liberarci dal peccato e restaurare l’innocenza originaria, e la seconda condurci al regno di Dio, che è la Chiesa celeste, la Gerusalemme celeste, che è la Comunità dei figli di Dio.

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    2. La Chiesa celeste è composta da uomini e donne che, insieme con gli angeli, sono partecipi della stessa natura di Dio e che in qualche modo partecipano anche alla unione ipostatica di Gesù Cristo, in quanto sono parte del Corpo mistico del Signore, avendo ricevuto in questa terra l’Eucarestia.
      Inoltre è da notare che il Cristo è il Capo della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, generato da Gesù Crocifisso e dalla Madre di Dio, che diventa per volontà del Figlio, Madre della Chiesa.
      Ora in paradiso ci sarà ogni cosa buona e santa, come dice San Paolo, e quindi possiamo e dobbiamo pensare che i redenti saranno uomini e donne, perché la sessualità è un costitutivo della persona umana, voluto da Dio, dono di Dio.
      Concludiamo dicendo che anche l’espressione sessuale, secondo la volontà di Dio, è e rimane un bene e quindi potrà far parte, in una modalità a noi sconosciuta e superiore a quanto di meglio possiamo immaginare, della felicità escatologica, anche se i beni maggiori di questa felicità eterna resteranno puramente spirituali.

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    3. Caro padre,
      sto leggendo attentamente il suo commento.
      Potrebbe una sua frase essere incompleta?
      Questa:
      "Quindi Gesù e Maria praticano una verginità, che appartiene soltanto a loro, una verginità inimitabile, ma soltanto venerabile. San Giuseppe partecipa" ... (?)

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    4. Caro Alessandro,
      completo la frase rimasta in sospeso.

      Anche San Giuseppe partecipa del contatto con l’unione ipostatica, ma in una misura inferiore a quella di Maria. Infatti mentre Maria, come Madre di Dio, ha concepito nel suo seno il Figlio di Dio Incarnato, Giuseppe è del tutto al di fuori di questo evento misterioso. Ciò comporta che Giuseppe limiti la sua paternità nei confronti di Cristo ad una figura puramente giuridica.
      Che cosa possiamo dire della verginità di Maria e di Giuseppe, tenendo conto di questi dati di fede? Che differenza c’è tra la verginità di Giuseppe e quella di Maria? Ribadisco il fatto che la verginità di Maria, in quanto ordinata al suo contatto diretto col Verbo Incarnato, è inimitabile, anche se non è affatto da disapprovare la tradizionale imitazione di Maria propria delle religiose.
      Per quanto invece riguarda Giuseppe ritengo che la sua verginità sia proporzionata alle nostre possibilità per il fatto che la sua paternità è meramente giuridica, mentre la maternità di Maria è biologica, perché ha dato la sua carne nella generazione del Figlio di Dio Incarnato.
      Abbiamo quindi il divario tra l’elemento biologico e l’elemento giuridico. È chiaro che dal punto di vista ontologico vale più la realtà corporea, che non quell’ente di ragione, che è dato da una figura giuridica.
      Ci potremmo chiedere qual è la condizione escatologica di Giuseppe e di Maria. La risposta potrebbe essere che, nel loro caso unico, rimangono in eterno sposi vergini, come lo sono stati in terra.
      Bisogna aggiungere che San Giuseppe, insieme con Maria, ha svolto un ufficio di custode e di educatore nei confronti di Cristo in questa terra e ora è il Protettore e Custode della Chiesa Universale, per il fatto che è sposo di Maria, Madre della Chiesa.

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    5. Caro Padre: li ringrazio moltissimo per la sua gentile e molto interessante risposta. Ha una sua logica, lo riconosco e ci rifletterò. Se lo merita, perché devo confessare che, finora, non mi ero mai interrogato sulla natura del legame specifico che esisterà in Cielo tra l'uomo e la donna, il quale, come giustamente dici lei, si fonda sul testo genesiaco ed è costituente essenziale della nostra condizione umana, non solo nel Paradiso né nel nostro attuale stato di natura decaduta (e anche redenta, ma senza ancora goderne tutti gli effetti concreti). Mantengo tuttavia l'impressione che questa unione di complementarietà escatologica tra uomo e donna sarà di natura spirituale ed emotiva, senza partecipazione della genitalità, la quale, come indica la sua etimologia, è ordinata alla riproduzione della specie, scopo che non riguarderà i risorti, poiché il numero degli eletti sarà già completato. Quella dolce e bella compagnia femminile, donata da Dio all'uomo nel giardino dell'Eden, affinché «non fosse solo», adempirà allora pienamente la sua missione, nella gioia ineffabile della carità e nella contemplazione dell'essenza divina, costituendo elemento essenziale, benché subalterno, della beatitudine eterna risultante dalla visione beatifica. Un cordiale saluto in Gesù e Maria.

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    6. Caro Alessandro,
      ho già detto che in paradiso il sesso non è riproduttivo e quindi non è genitale, in quanto la genitalità è funzionale alla riproduzione. Quindi non essendoci la riproduzione, le dò ragione quando lei dice che non ci sarà la genitalità.
      Tuttavia per fede sappiamo che ci saranno la femminilità e la mascolinità, le quali evidentemente sono anche un qualche cosa di fisico, di sensibile, di materiale e di corporale. Nello stesso tempo ho detto e ripetuto che per adesso noi non sappiamo come saranno i contorni fisici e i dati sensibili della sessualità escatologica.
      Pertanto vorrei precisare che la complementarità reciproca non sarà soltanto spirituale, ma anche fisica, dato che siamo composti di anima e di corpo.
      Comprenderemo finalmente quale era stato il progetto di Dio nel creare l’uomo maschio e femmina, entrambi di pari dignità nella reciproca complementarietà, e verrà realizzato in pienezza il piano della salvezza, che non solo ripristina la natura umana nella sua bellezza originaria, ma la eleva, nella totalità di anima e corpo, alla partecipazione della stessa natura divina.

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    7. Caro Padre: grazie mille per la sua risposta. Allora mi è chiaro che in Paradiso non ci saranno rapporti sessuali, e questa è stata la cosa che mi è sembrata strana e mi ha messo a disagio. Comprendo anche che ci sarà un'unione di complementarità fisica tra l'uomo e la donna, di cui ora non ci è dato conoscere la manifestazione concreta. Riconosco che questa costituisce per me una novità notevole, sulla quale non smetterò di indagare e di riflettere. Vi auguro una felice e santa domenica.

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    8. Caro Alessandro,
      Gesù Cristo è venuto a restaurare la condizione umana originaria, che corrisponde alla volontà di Dio così come si manifesta nello stato edenico. Ora, il piano di Dio prevedeva che uomo e donna siano una sola carne. Certamente non è facile capire esattamente ciò che significa, perché nella vita presente noi viviamo una sessualità decaduta. Sentiamo che questa è una cosa contraria alla volontà di Dio, ma siccome non abbiamo fatto l’esperienza edenica siamo davanti ad un mistero. Ma la prospettiva escatologica è ancora più misteriosa, perché ad essa si aggiunge la figliolanza divina.
      Per quanto riguarda l’espressione “rapporto sessuale”, capisco bene la risonanza fastidiosa che può avere nella vita presente, considerando la situazione di corruzione della sessualità. Eppure uomo e donna sono stati creati da Dio e sono destinati alla resurrezione.
      Vedo che lei ha usato l’espressione “complementarità fisica tra l'uomo e la donna”. Ebbene, questa sua espressione mi piace molto. D’altra parte, quando lei parla di uomo e donna è evidente il riferimento al sesso maschile e al sesso femminile.

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