Ricordo di un maestro - La testimonianza del teologo tomista Padre Roberto Coggi - (Parte Seconda (2/2)

 

Ricordo di un maestro

La testimonianza del teologo tomista Padre Roberto Coggi

Parte Seconda (2/2)

 Padre Roberto e Lutero

Unico autore al quale Padre Roberto ha dedicato due libri è Lutero[1]. In Ripensando a Lutero troviamo una buona sintesi storica dei principali teologi luterani a cominciare da Kant, per passare a Schleiermacher, a Barth, Bultmann, Brunner, Tillich, Schmidt. Mostra l’influsso di Heidegger.

Coggi trascura però Kierkegaard ed Hegel, i quali, insieme con gli altri, influenzano e infettano oggi la teologia cattolica. Manca una sufficiente messa in luce dei punti di contatto di Lutero col cattolicesimo, effetto del lavoro ecumenico in atto a partire dal Concilio Vaticano II.

Coggi tratta poi dell’influsso protestante sui cattolici di oggi, ma si mantiene solo sulle generali e si limita a citare la critica di Von Balthasar a Rahner. Ci sarebbero molti altri teologi o pseudoteologi o teologi improvvisati o teologi-giornalisti da chiamare in causa, che però, essendo apparsi in questi ultimi decenni, non hanno potuto essere oggetto di studio da parte di Coggi.

Il fatto peraltro è comprensibile: Padre Roberto non ebbe modo di studiarli, perché in questi ultimi vent’anni, egli non fu in grado di affrontarli. Infatti nei primi anni del 2000 andò soggetto ad una malattia latente da anni.

Padre Roberto guarì ma pagò la recuperata salute con la cessazione delle pubblicazioni e in generale dell’attività pubblica di difesa della dottrina cattolica, attività che in precedenza per lunghi anni aveva costituito un grande merito della sua teologia. Egli ha passato gli ultimi anni in una camera dell’infermeria del convento di Bologna. I modernisti hanno tirato un respiro di sollievo per essersi liberati di un fastidioso rompiscatole.

Il fatto è che Padre Roberto, per sua stessa confessione, si ritrovò in qualche modo in Lutero per una certa affinità psicologica, per aver patito sofferenze simili, come egli stesso riconosce nella Premessa al suo libro Ripensando a Lutero. Coggi non precisa in che cosa consista questa affinità, ma io che ho vissuto con lui a Bologna per 30 anni, sono stato anche suo discepolo, penitente, amico e consigliere, conosco bene il suo animo, per quanto si tratti di cose intime, ma credo di poter dire con certezza in che è consistita questa affinità. Devo infatti aggiungere che conosco Lutero da 40 anni e quindi non mi è difficile dare un’interpretazione o fare una diagnosi comparativa.

Tale affinità sta dunque in quella che fu in Coggi e Lutero una pretesa perfezionistica continuamente frustrata dalla constatazione sempre amaramente rinnovata della propria impotenza ad attuarla, con conseguente angoscia causata dai ripetuti insuperati insuccessi. 

Il perfezionismo è una ricerca troppo rigida ed esigente della propria perfezione, per la quale il soggetto, giudicandosi con puntigliosità e durezza, confliggendo con l’orientamento emotivo-affettivo della propria persona, non accetta e non sopporta la propria fragilità. Davanti alle ripetute sconfitte, cadute e fallimenti si scoraggia, se la prende con se stesso e con Dio. Giudica Dio troppo esigente.

Si trova in un continuo stato di ansia e di angoscia, perché teme di essere sempre in peccato[2]. È il fenomeno dello scrupolo. Vorrebbe sapere con assoluta certezza se si trova in peccato o in grazia. È terrorizzato dall’idea che Dio sia adirato con lui e che lo aspetti l’inferno. Crede di essere un ipocrita e che il suo pentimento sia falso. Gli sembra impossibile amare Dio con cuore sincero. 

Padre Roberto si ritrovò in Lutero in questo senso, seppure non certo con quell’intensità drammatica con la quale Lutero visse questa situazione psicologica.

Il perfezionismo dipende da un’eccessiva pretesa di certezza, laddove invece può esserci solo probabilità. È una forma di irragionevole durezza con se stessi. Bisogna infatti distinguere la certezza intellettuale da quella morale. La prima è assoluta in quanto si basa sul principio di non-contraddizione ed è necessaria e necessitata.

Nulla e nessuno può scuotere questa certezza. Essa non può affatto essere sostituita, come crede Cartesio, da una decisione della volontà – dubito (cogito), dunque esisto -, perchè ne verrebbe fuori una certezza falsa e forzata. È questo il vizio del volontarismo, del quale sembra soffrire in certo modo la spiritualità ignaziana, almeno se male intesa, con la sua esagerata e militaresca enfasi sull’obbedienza al superiore, mentre dimentica che la prima ed originaria obbedienza non è quella della volontà – nihil volitum nisi cognitum -, ma quella dell’intelletto alla realtà: adaequatio intellectus et rei. Ora appunto Padre Roberto, prima di farsi domenicano, ebbe una guida spirituale gesuita.

La certezza intellettuale è quella dell’evidenza oggettiva – sensibile o intellettuale – o della conclusione scientifica. La seconda, invece, è la fermezza della volontà nell’adesione a un’opinione o ad una probabilità. Qui sta la questione di sapere se siamo in grazia o se siamo colpevoli. Qui la Chiesa c’insegna, sulla scorta di San Paolo, che non si può pretendere la certezza. Ma non per questo c’è motivo di angosciarsi: dobbiamo metterci con fiducia nelle mani di Dio dopo aver fatto il possibile, come dice San Paolo: «Anche se non sono consapevole di colpa alcuna, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore» (I Cor 4,4).

Lutero si domandava: sono sincero nel giudicarmi innocente? O non sarà invece che io sono in colpa e non voglio riconoscerlo? Posso evitare veramente la falsità e la cattiva volontà? Posso vincere la concupiscenza o questa è invincibile? Posso avere esperienza della grazia? Posso ottenere misericordia e sentire di essere in grazia? Posso sentire di essere perdonato? Che Dio è con me? Di aver ricevuto misericordia?

Differisce invece profondamente da Lutero il modo col quale Coggi si liberò da questa psicosi: Lutero credette di liberarsi dandosi al piacere con una vana fiducia nella grazia e nella divina misericordia, buttando a mare penitenze, sacrifici, sforzi, autocontrollo, voti religiosi, austerità. rinunce, ascesi, discipline, diritto canonico, sacramenti, Magistero della Chiesa e risolse tutta la vita cristiana nella convinzione che comunque Dio era con lui, qualunque peccato avesse commesso.

Padre Roberto comprese che questa non era la soluzione e si guardò bene dal seguire Lutero, nonostante l’amplissimo successo ottenuto, che gli procurò la fama di riformatore e un numero sterminato di seguaci fino ad oggi.

Padre Roberto, invece, restando fedele alle sue promesse battesimali e religiose, mantenne la disciplina e lo sforzo morale, il dominio delle passioni, la pratica penitenziale e dei voti religiosi.

Ricordo che una volta, allarmatissimo, entrò nella mia camera mostrandomi il libro di un seguace di Severino che sosteneva che il tempo non esiste, proprio lui che insegnando cosmologia, aveva il compito di spiegare che cosa è il tempo. Io gli spiegai come mai Severino fosse caduto in un errore così incredibile, avendo voluto ridurre tutte le cose, come Parmenide, all’essere eterno.

L’esempio di un santo

Il modello di santità che è oggi diffuso è quello del cattolico dedito all’assistenza sociale in tutte le numerose forme che essa comporta. La misericordia è attenzione e soccorso ai poveri, agli emarginati, ai perseguitati, ai carcerati, alle donne sfruttate, alle vittime della mafia o della droga, agli immigrati, ai terremotati, ai disoccupati, agli affamati, ai malati, agli andicappati, ai giovani sbandati, agli orfani, agli anziani, alle ragazze-madri.  

Padre Roberto apprezzava altamente tutte queste forme di misericordia e solidarietà umana. Non mancava di occuparsi, per quanto gli era possibile, di casi del genere. Tuttavia è chiaro che Dio distribuisce i suoi doni come vuole e a chi vuole. La missione domenicana è quella della predicazione della verità salvifica. La misericordia domenicana tocca pertanto innanzitutto le opere della misericordia spirituale. «La più grande delle opere di misericordia – dice San Tommaso – è quella di condurre un fratello dalle tenebre dell’errore alla luce della verità».

Oggi abbiamo più che mai bisogno di teologi santi. Per quanto permangano le ingiustizie sociali, il fenomeno della miseria, i bisogni creati dalle calamità naturali o dalle guerre o dalle malvagità umana, mali contro i quali dobbiamo lottare con tutte le forze, soccorsi dalla grazia di Dio, e per quanto permanga sempre urgente il nostro dovere di combattere questi mali, ancora più importante è combattere i mali che ne sono le cause prime e profonde: la cattiva volontà, il vizio, il peccato, le forze demoniache.

E per vincere queste forze non bastano le risorse materiali ed economiche, non basta l’uso della forza, non bastano le azioni e gli interventi fisici, medici, politici ed umani, ma occorre un’opera di illuminazione delle anime, occorre molta dottrina e molta carità, occorre un saggio discernimento, occorre istruire coloro che ignorano la parola di Dio, occorre l’annuncio del Vangelo, occorre persuadere gli increduli, ammonire e convertire i peccatori,  offrire sacrifici di espiazione e di riparazione, consigliare i dubbiosi, dare certezze, avvertire i malfattori, confutare gli erranti, smascherare gli ipocriti, occorre mettersi a disposizione dello Spirito Santo, sventare le insidie del demonio, occorre pregare Dio per i vivi e per i morti, occorre  l’amministrazione dei sacramenti, occorre il culto divino. È qui che Dio aveva dotato Padre Coggi, è qui che egli ha dato il meglio di se stesso e ha prodotto abbondanza di frutti. «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

Esemplare era il modo col quale Padre Roberto celebrava la Messa: con diligenza, precisione, adagio, devozione, esattezza, raccoglimento, nel rispetto pieno e intelligente delle norme. Nutrientissime le sue omelie: chiare, brevi, succose, sostanziose, con proprietà di linguaggio, ben argomentate, utili, stimolanti, spiegazioni dei testi biblici.

Era molto scrupoloso nella purificazione della patena dopo la consacrazione. Si fermava a lungo con occhio attentissimo per verificare che non vi fossero rimasti frammenti, per quanto piccoli, dell’ostia.

Scelsi Padre Roberto come mio confessore per gli ultimi anni in cui fui a Bologna. Ho avuto un confessore saggio. Quello che insegnava lo metteva in pratica lui per primo. In questi incontri Padre Roberto mi si mostrava perfettamente sereno, senza quella leggera agitazione che segnava la sua tendenza allo scrupolo. Ma al contrario la sua parola e il suo consiglio mi davano serenità e certezza.

Padre Roberto è stato esempio di perfetto religioso: povertà, castità, obbedienza.

Povertà. Vita estremamente sobria, parco nel cibo, fedele nell’uso dell’abito domenicano, camera spoglia e ordinata, alieno da spese e da sprechi, anche nei libri, attento nella conservazione delle sue cose.

Aveva l’uso di mangiare il cibo avanzato perché non fosse sprecato. Ricordo che un giorno, quand’ero novizio, sentii un confratello riferire ad un altro che Padre Roberto per scrupolo aveva mangiato sei uova sode che erano avanzate dopo il pasto in refettorio. Al mercoledì si cibava solo di pane ed acqua, in ossequio all’invito della Madonna di Medjugorje. Non possedeva né computer né telefonino.

Castità. Quanto più lontano possibile dall’edonismo freudiano, si notava in lui una qualche traccia di origenismo. Disponibilissimo e sapiente nella guida delle donne e delle religiose, era alieno nelle parole e nei gesti da qualunque espressione o manifestazione di affetto o di confidenza. Non sono a conoscenza di alcun rapporto di amicizia con alcuna donna, che non fosse discepola del suo insegnamento teologico o della sua guida spirituale.

Padre Roberto spiegava la sentenza di Alessandro VII (Denz.2060) affermante che il bacio cercato per godere sessualmente è peccato mortale, precisando che il Papa sottintende che questo bacio sia implicitamente ordinato all’unione sessuale e resta lecito il bacio come espressione dell’amore o unione spirituale. 

Obbedienza. Diligentissimo nell’eseguire gli ordini dei superiori. Padre Roberto intendeva l’obbedienza come un semplice tenersi a disposizione dei superiori o esecuzione di ordini dei superiori, similmente a come in teologia si asteneva dall’avanzare sue opinioni nuove nel timore di sbagliare. Era come una specie di auto parcheggiata nel garage pronta per essere usata da chiunque ne avesse bisogno.

Forse aveva un eccessivo bisogno di sicurezza che lo spingeva ad insegnare solo ciò che la Chiesa ha stabilito con sicurezza o Autori esplicitamente approvati dalla Chiesa. Comunque è chiaro che tutta la sua intensissima, calma e metodica attività nasceva dall’obbedienza.

Gli ultimi anni di Roberto di degenza in una camera dell’infermeria del convento di Bologna sono stati la via crucis, la «purificazione passiva», per dirla con San Giovanni della Croce, che lo hanno preparato al paradiso, anni nei quali Padre Roberto si è perfezionato nell’umiltà, nella pazienza, nell’accettazione della volontà di Dio e quindi nel sacrificio, nella carità e nell’oblazione di sé per il bene della Chiesa e delle anime.

Con la sofferenza noi «completiamo nella nostra carne quel che manca ai patimenti di Cristo» (Col 1,24). Dio la riserva alle sue anime predilette, quelle che maggiormente vuol render partecipi della sua passione. Ebbene, Dio la riservò per Padre Roberto.

Non dubito che, nel contempo, come avviene in queste circostanze, Padre Roberto abbia avuto esperienze mistiche che lo hanno consolato e gli abbiano fatto pregustare la gioia del paradiso rafforzandolo in quella certezza che ha sempre desiderato senza trovarla nel volontarismo cartesiano assorbito probabilmente dalla guida gesuita.

Tutti i confratelli che in questi ultimi anni gli hanno fatto visita mi hanno detto di aver trovato Padre Roberto molto sereno, completamente liberato dagli scrupoli. Sono convinto che egli in questo ultimo passo della sua vita spirituale terrena sia diventato veramente certo e sicuro della verità, realista, tomista, domenicano.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato 24 marzo 2024


 

Esemplare era il modo col quale Padre Roberto celebrava la Messa: con diligenza, precisione, adagio, devozione, esattezza, raccoglimento, nel rispetto pieno e intelligente delle norme. Nutrientissime le sue omelie: chiare, brevi, succose, sostanziose, con proprietà di linguaggio, ben argomentate, utili, stimolanti, spiegazioni dei testi biblici.



Immagine da Internet:
P. Roberto Coggi, OP


[1] La riforma protestante (2 voll.) e Ripensando a Lutero, entrambi pubblicati dalle Edizioni Studio Domenicano di Bologna.

[2] Heidegger in Essere e tempo descrive bene questo stato di angoscia (Angst), questo sentirsi colpevole (schuldig), che comporta una continua preoccupazione (Sorge) e che costituisce un essere-per-la-morte (sein zum Tode).

4 commenti:

  1. Grazie per averci fatto conoscere Padre Coggi anche attraverso frammenti di vita conventuali che molto dicono, ispirano e guidano. Che riposi nella pace in Paradiso. Anche Lei, Padre, ci ha detto cose utilissime sullo scrupolo, il bisogno di santi teologi e la sofferenza come occasione per arrivare al Cielo.

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  2. Un teologo tomista in ossequio di Medjugorje? E' sicuro padre?

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    1. Caro Angheran,
      non vedo perché ci sia da sorprendersi.
      San Tommaso non ha alcuna difficoltà ad ammettere le rivelazioni private.
      P. Coggi era assolutamente lontano, appunto come tomista, da ogni forma di fanatismo o facile credulità. Egli deduceva la presenza operante della Madonna a Medjugorje non tanto dalle apparizioni, quanto dalla enorme possibilità che il sacerdote e pastore di anime incontra a Medjugorje di esercitare a tempo pieno il suo ministero ottenendo abbondanza di frutti, data la cospicua presenza di fedeli di qualunque condizione ed età e di varie nazioni presenti con una condotta religiosa, priva anch’essa di fanatismo e quindi disponibili a ricevere i sacramenti.
      Per questo P. Roberto, come ho già detto nel mio articolo, con grande generosità, si sottoponeva ad enormi fatiche nel ministero della confessione nel quale impegnava tantissimo tempo, anche a Medjugorje.
      E tutto questo ovviamente si combina benissimo con lo stile del teologo tomista.

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  3. La ringraziamo, Reverendissimo Padre, per questo bel profilo di Padre Coggi. Avendo avuto il privilegio di essere stati suoi allievi fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, si affacciano alla nostra mente ricordi ed immagini di questo vero maestro di vita e di pensiero, un domenicano indimenticabile. Nella preghiera per la sua anima e nella gratitudine al Signore per avercelo donato, desideriamo svolgere due brevissime riflessioni.

    La prima è che, nonostante negli anni abbiamo avuto modo di studiare in università di prestigio riconosciuto in giro per il mondo, nessuna ha lasciato un’impronta sulla nostra formazione paragonabile a quella dello STAB e di una generazione irripetibile di domenicani, da Padre Tyn a Padre Centi, da Padre Galli a Padre Prete a Padre Coggi, a Lei stesso, Padre Cavalcoli, che ci insegnò storia della filosofia nel biennio propedeutico. Il segreto di questo assoluto valore sta ovviamente nell’averci aperto lo scrigno del pensiero di San Tommaso, presentato sempre con la massima fedeltà da insegnanti tanto preparati quanto umili.

    E la seconda riflessione è che ciascuno di questi padri domenicani era egli stesso un’intera università, la cui vastità di conoscenze e profondità d’animo ci aprivano nuovi orizzonti ad ogni lezione. Ascoltare Padre Coggi sui temi della cosmologia, della mistica o del protestantesimo era davvero un’avventura in terre a noi ignote guidati da chi aveva grande dimestichezza col cammino e sapeva riconoscere le linee tracciate da Dio.

    Grazie, Padre Coggi, per aver combattuto la buona battaglia, dando a noi stessi strumenti per combatterla. Iddio l’accolga nella sua visione beatifica.

    Drs. Maurizio e Grazia Ragazzi – Washington USA

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