29 aprile, 2023

Non omnes salvantur - Che cosa significa questa dottrina della Chiesa? - Seconda Parte (2/2)

  Non omnes salvantur

Che cosa significa questa dottrina della Chiesa?

 
Seconda Parte (2/2)

Dio offre a tutti la salvezza, ma è libero di fare le sue preferenze

Dio, nello scegliere i suoi eletti non fa preferenze di persone, ma è libero di preferire e prediligere chi vuole, non fa accezione di persone, perché non teme nessuna creatura né ha da ingraziarsi nessuno, non va a simpatie perché è sommamente imparziale ed equanime nel giudizio, non fa discriminazioni, perché è mosso da un criterio di discernimento sapientissimo, ma tratta tutti con giustizia e con giustizia proporzionale.

Dio sceglie coloro che salva. Suscita in essi lo stesso atto del loro libero arbitrio, per il quale loro a loro volta, sorretti dalla grazia,  scelgono Lui come fine ultimo della loro vita. Come dice il Concilio Vaticano II:

 

«Tutti gli eletti il Padre fino dall’eternità “li ha conosciuti nella sua prescienza e li ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinchè Egli sia il primogenito di una moltitudine di fratelli” (Rm 8,29)» (LG 2).


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Questo desidera Dio dall’uomo e a ciò Dio destina l’uomo, pur lasciandolo libero di scegliere. Non tanto i disobbedienti o gli ingiusti, quanto piuttosto gli innamorati infedeli sanno che cosa è l’inferno. L’inferno è la vendetta dell’amore tradito.

Questa forza terribile dell’amore è ben rappresentata dal sommo Poeta in questa terzina dell’Inferno che parla di una scritta posta all’ingresso dell’inferno: «Giustizia mosse il mio alto fattore, fecemi la divina podestate, la somma sapienza e ’l primo amore» (Inf., III, 4-6).

Il fuoco dell’inferno è la fiamma dell’amore divino odiata da chi odia l’amore. L’atteggiamento di Dio verso il dannato, più che essere quello del giudice soddisfatto e dell’offeso che si è vendicato, è quello dell’amate respinto.


La morte infernale è la paga dell’amore negato, è lo scotto di chi odia l’Amore. «Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco» (Ct 8,6). «Forte come la morte» vuol dire che il dannato subisce, nella fiamma dell’inferno, in cambio dell’amore tradito e abbandonato, la violenza della morte infernale, equivalente, alla rovescia, alla forza della fiamma dell’amore.

Tuttavia, come precisa il Cantico, «le grandi acque non possono spegnare l’amore, né i fiumi travolgerlo» (v.7). L’odio non può vincere l’amore. La morte non può né vincere né spaventare l’amore, che si acquista a prezzo della morte. È l’amore che accettando la morte, vince la morte e fa trionfare l’amore: Mors et Vita duello conflixere mirando: Dux Vitæ mortuus, regnat vivus.

 
Immagini da Internet:
- La porta dell'Inferno, William Blake
- Il bacio, Marc Chagall

27 aprile, 2023

Non omnes salvantur Che cosa significa questa dottrina della Chiesa? - Prima Parte (1/2)

 

  Non omnes salvantur

Che cosa significa questa dottrina della Chiesa?

Prima Parte (1/2)

 

Se ne andranno, questi al supplizio eterno

                                                                                                       e i giusti alla vita eterna.

Mt 25,46

Dio offre a tutti la possibilità di salvarsi,

ma non tutti accettano la proposta di Dio

In questo articolo mi propongo due cose: una, ricordare brevemente come e perché la Chiesa afferma l’esistenza di dannati, rimandando ad altri scritti miei[1] e dei teologi su questo argomento[2]; l’altra, cercare di capire che importanza ed utilità ha per la nostra salvezza il sapere che non tutti si salvano. 

 

Il primo insegnamento della Chiesa è un articolo di fede del Simbolo Atanasiano del sec. V: «coloro che hanno fatto il bene, andranno nella vita eterna; coloro invece che hanno operato il male, nel fuoco eterno» (Denz.75).

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Altri dicono che un Dio buono, onnipotente e perfetto non può compiere un’opera difettosa dove permanga il male. Ora l’esistenza dell’inferno sembra essere proprio un’opera del genere. Dunque essa è incompatibile con Dio.

Altri sostengono che un Dio buono e onnipotente deve poter eliminare ogni male per sempre e totalmente. Ma  l’inferno suppone un Dio che lascia sussistere per sempre il male. Dunque, se Dio è Dio, l’inferno non può sussistere.

Essendo sempre sentita questa difficile tematica, anche oggi nella Chiesa è in atto la discussione se si salvano o non si salvano tutti.

 

Riprendendo il tema del nostro articolo, diciamo che non tutti si salvano perché non tutti accettano il piano del Padre così come lo ha realizzato il Figlio. Non tutti concepiscono la salvezza come l’ha concepita Cristo, ossia come remissione dei peccati mediante il sacrificio della croce, come ingresso nella vita eterna, come salvezza dalla dannazione eterna, come figliolanza divina in Cristo, come prospettiva della visione beatifica e risurrezione gloriosa del corpo alla fine del mondo.

Coloro che concepiscono l’uomo come autofondato, per cui negano che sia creato da Dio e per conseguenza negano l’esistenza di Dio, non sentono affatto il problema di essere salvati, giacchè ritengono che l’uomo da sé possa liberarsi di tutte le forze ostili che vorrebbero la sua distruzione, oppure ritengono che se egli è distrutto dalla sventura, ciò dipenda dall’evoluzione dell’universo, che è l’Assoluto. L’ateo o il panteista ritiene di essere egli stesso l’Assoluto o di risolversi nell’Assoluto. E all’Assoluto che cosa può nuocere? L’Assoluto ha bisogno di essere salvato?

Immagini da Internet:
- Redentore "Salvator mundi", Bartolomeo della Gatta
- René Magritte, La recherche de l’absolu

26 aprile, 2023

Lettera aperta a Luigino Bruni

 Lettera aperta a Luigino Bruni

Caro Luigino,

ho letto il tuo articolo su Avvenire del 22 scorso. Il Concilio di Trento non ha bloccato, come tu dici, gli inizi di riforma che sarebbero stati rappresentati da Erasmo di Rotterdam, il quale col suo umanesimo secolaresco disprezzava il monachesimo e preannunciava piuttosto il Rinascimento. Lutero non fece male a criticare in lui la sua tendenza pelagiana, ma cadde nell’eccesso contrario di negare il libero arbitrio.

Ma se volevi citare alcuni autentici riformatori precedenti a Trento, avresti dovuto citare Santa Caterina da Siena e il Savonarola. Il Concilio di Trento ha assunto questa vera riforma, e non poteva non opporsi a Lutero, il quale rifiutava quelle che tu chiami «antiche pratiche meticce (culto dei santi, devozioni, indulgenze, voti, reliquie…)».

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Il Concilio Vaticano II, con la riforma del costume, ha eliminato questa tendenza dolorista ed inoltre, con la riforma liturgica, ha messo in luce nella Messa l'aspetto pasquale e la prospettiva escatologica della Messa, senza per questo negare il suo essenziale aspetto sacrificale. 

 

Immagine da Intenet

25 aprile, 2023

Considerazioni sulla questione della sofferenza - Terza Parte (3/3)

 Considerazioni sulla questione della sofferenza

Terza Parte (3/3)

La sofferenza dell’invecchiamento e la morte

Con l’invecchiamento accade che, diminuendo col tempo la forza animatrice ed organizzatrice dell’anima, come sanzione della colpa originale, e permanendo invece l’energia naturale dei componenti chimici del corpo, essi si rendono vieppiù indipendenti dal dominio dell’anima.

Con l’avanzare degli anni, avviene un graduale deterioramento fisico, le funzioni vitali e i movimenti diventano lenti e faticosi, l’agilità fisica diminuisce, la fragilità della salute aumenta e diminuiscono le difese dell’organismo, finchè a un certo punto l’anima non riesce più a mettere d’accordo le forze chimiche in contrasto fra di loro. 

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La sofferenza, per il cristiano, può essere un valore e pertanto entro certe condizioni ed entro certi limiti, può essere desiderabile, utile, amabile, preziosa, feconda e sorgente di purificazione, espiazione, salvezza, gioia e pace. In che modo? Come comprendere questo? Bisogna studiare e comprendere il significato delle sofferenze di Cristo.

Per avere un’idea più che sufficiente e consolante della misericordia divina del Padre e del Figlio, non occorre ricorrere ad assurde concezioni di una sofferenza nella natura divina, ma è sufficiente considerare le sofferenze dell’umanità di Cristo in quanto uomo. Gesù uomo è il modello del misericordioso a noi proporzionato e in Gesù certamente la misericordia ha quella tonalità psicoemotiva che la caratterizza come sentimento umano. Nel contempo in Cristo e attraverso Cristo possiamo leggere i sentimenti del Padre.

Nel sofferente è Cristo stesso che implora la nostra misericordia e, come Egli stesso ci avverte, è Cristo stesso che compassioniamo nel sofferente che solleviamo dalla sua sofferenza.

Ovviamente il sofferente, per dar valore salvifico alla sua sofferenza, deve unirsi a Cristo sofferente; ma questo può avvenire anche implicitamente in un sofferente che in buona fede ignori il mistero della croce. 

Ed oggi la Chiesa ci persuade che questa presenza redentrice di Cristo la possiamo vedere anche nei bambini e negli stessi embrioni.

Gesù in croce c’insegna che uniti a Lui possiamo essere sereni e fruire della presenza di Dio anche sulla croce. Gesù infatti godeva addirittura della visione beatifica in forza dell’unione ipostatica della sua natura umana alla persona del Verbo. Infatti è possibile che mentre i sensi patiscono, l’anima sia nella pace. «Ecce in pace amaritudo mea amarissima» (Is 38,17). Se abbiamo la coscienza a posto, che ci importa se gli altri ci disprezzano?

Immagini da Internet:
- Feto nel grembo materno, Leonardo da Vinci
- Volto del Cristo Crocifisso, Giotto 

24 aprile, 2023

Considerazioni sulla questione della sofferenza - Seconda Parte (2/3)

 Considerazioni sulla questione della sofferenza

Seconda Parte (2/3)

Il male

È evidente che la sofferenza è un male. Per capire allora a fondo che cosa è la sofferenza, bisogna che comprendiamo il significato della categoria generica nella quale essa rientra, ossia che cosa è il male.

Il male in generale è la privazione del bene dovuto ad un soggetto di vita psichica o spirituale. L’agente che causa il male è la volontà della persona, uomo o angelo. L’intelletto concepisce un’intenzione maligna e la volontà la manda in esecuzione. L’intenzione maligna è causa del peccato, quando il soggetto sa qual è il vero bene e ciononostante decide arbitrariamente e irragionevolmente esser bene per lui un atto contrario al vero bene. 

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Il male non esiste senza il bene, perché il bene, che può essere sostanza o accidente, è il soggetto del male. Il male, infatti, non può essere soggetto, perchè appartiene al non-essere.

Il male non è un accidente della sostanza, perché è privazione di essere, ma è un qualcosa di accidentale; il male esiste accidentalmente, non di per sé.   

Il male è certamente connesso con la corruzione dell’ente, nella sua sostanza e nei suoi accidenti. Tuttavia questo fenomeno non è ancora formalmente il male. Si tratta di un processo fisico del tutto normale, che esprime l’ordine e la bellezza dell’universo. Perché ci sia il male in quanto percepito non basta la corruzione, ma occorre che l’agente e il paziente siano soggetti animati almeno da anima sensitiva. 

Se poi per male intendiamo il male di colpa, non basta neppure il semplice animale, ma occorre l’agente spirituale, angelo o uomo, la cui azione è consapevole e responsabile. Per questo, non diciamo che il leone fa male ad uccidere la gazzella. Invece diciamo che fa male il marito ad uccidere la moglie, perchè va contro alla legge morale naturale.

La distruzione nell’ambito della natura e dell’universo fisico è un semplice fenomeno di trasformazione e di evoluzione della materia cosmica. Solo per metafora possiamo parlare della «morte» di una stella. La morte vera e propria è la perdita dell’anima e la stella non ha nessun’anima, a meno che non vogliamo tornare all’astronomia aristotelica o babilonese, che credeva che gli astri fossero degli dèi.

Immagini da Internet:
- Ligabue
- Van Gogh

23 aprile, 2023

Considerazioni sulla questione della sofferenza - Prima Parte (1/3)

 

Considerazioni sulla questione della sofferenza

Prima Parte (1/3)

Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi

                                                                                                                                     I Pt 2,4

Natura della sofferenza

Il discorso sulla sofferenza è sempre attuale e assorbente. Essa è la compagna di tutti i nostri giorni. Moltissime sono le sue forme e i suoi gradi. Spesso e inaspettatamente la incontriamo senza volerla o desiderarla e a volte ce la procuriamo noi stessi o per la nostra stoltezza o per la nostra distrazione o perché riteniamo che ci sia utile. Di per sé non è mai gradita; il gradirla di per sé è cosa patologica; tuttavia possiamo renderla gradita e possiamo anche amarla: è il paradosso cristiano, che vedremo di spiegare in questo articolo. Spesso riusciamo a sopportarla, a volte riusciamo e toglierla o a diminuirla; a volte non ce la facciamo.

Essa ripugna alla nostra natura. Eppure ci troviamo sempre a combattere contro di essa. Il cristianesimo ci dice che è possibile allontanarla, ma proprio passando attraverso di lei. Vediamo in questo articolo come si risolve questo paradosso. Cominciamo col definire che cosa è la sofferenza. Essa è lo stato emotivo di turbamento di un soggetto senziente, conseguente alla percezione di ciò che per il soggetto è nocivo o male, ossia la mancanza di un bene dovuto. 

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«Cor nostrum - come dice Sant’Agostino - inquietum, donec requiescat in te». Qui abbiamo quella «sana inquietudine», della quale ha più volte parlato il Papa, per la quale noi ci sentiamo male lontani da Dio. Infelici coloro che non sentono questa inquietudine benefica e salvifica, che ci conduce a liberarci da ogni sofferenza per una perfetta ed eterna felicità!

Una sofferenza inutile e psichicamente dannosa può nascere da uno sforzo fuori luogo od eccessivo, come è quello che è motivato da un atteggiamento troppo severo e dispotico nei confronti delle proprie passioni o stati emotivi, per esempio di tipo sessuale o di tipo aggressivo. Questa eccessiva durezza con se stessi può nascere da una concezione dualistica del rapporto fra spirito e corpo, per la quale, come già notava Aristotele, si trascura il fatto che l’istinto non è un semplice peso o un oggetto fisico da muovere al cenno della volontà, ma ha una sua autonomia vitale, che chiede di essere governata con rispetto e semmai moderata, ma non ignorata.

La sofferenza suppone dal punto di vista ontologico l’ente creato composto di essenza ed essere, potenza ed atto, sostanza e proprietà, per cui una sostanza creata materiale o spirituale può essere privata di un certo suo atto o qualità o bene che le spetta di diritto, per cui nei viventi conoscenti, dall’animale fino all’angelo, la conoscenza di questa privazione è la sofferenza.

L’origine prima della sofferenza, secondo il cristianesimo, è il peccato dell’angelo alle origini della creazione del mondo. Questi nel paradiso terrestre ha istigato a peccare i nostri progenitori, i quali sono stati da Dio puniti in loro stessi e in tutta l’umanità che da essi avrebbe tratto origine con la cacciata dal paradiso terrestre, la perdita dei doni preternaturali della familiarità con Dio, dell’immortalità, del dominio sull’universo fisico, nonché della scienza di tutto il creato ed inoltre con la perdita dell’innocenza e della giustizia, della perfezione fisica e spirituale, della piena funzionalità dell’intelletto e della volontà, della comunione uomo-donna e della piena comunione sociale, del pieno dominio sulle passioni e del rapporto sereno e costruttivo con la natura.

Immagini da Internet: Adamo ed Eva rimproverati da Dio:
- Francesco Furini
- Tintoretto
- Rubens

17 aprile, 2023

Il mistero dell’essere in Karl Rahner - Mistero dell’essere e mistero di Dio - Quarta Parte (4/4)

 

Il mistero dell’essere in Karl Rahner

Mistero dell’essere e mistero di Dio

 
Quarta Parte (4/4)

La soggettività umana come apertura all’essere e come autocoscienza

Per Rahner alla trasparenza dell’essere (il «categoriale») corrisponde l’incomprensibilità dell’essere (il «trascendentale»), che egli chiama «mistero dell’essere». Ora, però questa autotrasparenza e questa incomprensibilità dell’essere sono ad un tempo quelle dell’uomo e quelle di Dio, giacchè, come si è visto, Dio è l’orizzonte ultimo della trascendenza dell’uomo e l’uomo è la determinazione storica ed empirica del divenire di Dio.

Rahner ammette dunque un rapporto dialogico fra Dio è l’uomo: l’uomo è quell’ente che per essenza è in ascolto di una possibile rivelazione da parte di Dio e Dio per essenza è libero manifestarsi all’uomo. L’uomo è uomo in quanto aperto a Dio e Dio è Dio in quanto divenuto uomo. 

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Un merito di Rahner è stato quello di stimolare molti ad interessarsi delle questioni fondamentali della vita e dell’esistenza, credenti e non credenti, ha offerto stimoli per una vita cristiana attenta ai valori della modernità, capace di confrontarsi con le sfide del nostro tempo, in linea col rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II.   

Ha fatto un forte richiamo ad un cristianesimo libero e responsabile, attento ai valori dello spirito e nel contempo ai bisogni e alle prospettive del mondo d’oggi.

Rahner ha tuttavia esercitato anche un influsso negativo col promuovere una maniera modernistica di attuare le direttive del Concilio. Nel tentativo di realizzare un tomismo aperto ai valori della filosofia moderna, ha inquinato la visione cattolica con errori provenienti dal protestantesimo liberale e dall’idealismo tedesco, tanto da orientare molti ad un’impostazione tendenzialmente pelagiana e gnostica del cristianesimo nelle classi intellettuali, mentre a livello popolare ha contribuito alla diffusione di quel buonismo, misericordismo e permissivismo che oggi è molto diffuso.

Immagini da Internet: mosaici, Basilica Aquileia

16 aprile, 2023

Il mistero dell’essere in Karl Rahner - Mistero dell’essere e mistero di Dio - Terza Parte (3/4)

 

Il mistero dell’essere in Karl Rahner

Mistero dell’essere e mistero di Dio

 
Terza Parte (3/4)

Trasparenza e misteriosità dell’essere in Rahner

Il sistema rahneriano, come quello di Hegel, risolve la totalità dell’essere nell’autocoscienza dello spirito. Tutto si risolve nel mistero dell’essere come spirito cosciente di sé, che comincia da sé (cogito cartesiano), esce da sé in quanto finito luminoso («categoriale») e torna a sé come mistero oscuro («trascendentale»). Ma il mistero dell’essere viene ad essere ad un tempo il mistero dell’io e il mistero di Dio. 

 Una nozione fondamentale del sistema rahneriano, fonte di tremendi equivoci, che lo minano alla sua base, è quello di «trascendenza», che egli non chiarisce mai sufficientemente, dando adito a due possibili interpretazioni, sulle quali egli gioca continuamente, per dar luogo al realismo e all’idealismo. Il verbo trascendere viene dal latino transcendo, che vuol dire oltrepassare, andar oltre verso l’alto, passare salendo, superare. Rahner poi lo usa in senso riflessivo, come autotrascendenza. 

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Una nozione fondamentale del sistema rahneriano, fonte di tremendi equivoci, che lo minano alla sua base, è quello di «trascendenza», che egli non chiarisce mai sufficientemente, dando adito a due possibili interpretazioni, sulle quali egli gioca continuamente, per dar luogo al realismo e all’idealismo. Il verbo trascendere viene dal latino transcendo, che vuol dire oltrepassare, andar oltre verso l’alto, passare salendo, superare. Rahner poi lo usa in senso riflessivo, come autotrascendenza.

È il senso già usato da Sant’Agostino nel suo famoso transcende teipsum. In Agostino il significato è chiaro: egli si riferisce allo sguardo della nostra ragione, la quale, trovando se stessa mancante di fondamento, per trovare questo fondamento, deve salire oltre se stessa e raggiungere così quella luce infinita, che è Dio. È in altre parole lo stesso ragionamento che farà San Tommaso nel mostrare come la ragione, partendo dalla considerazione della contingenza delle cose, si eleva alla conoscenza dell’esistenza di Dio applicando il principio di causalità.


Rahner, invece, che confonde l’essere col pensare, intende l’autotrascendenza agostiniana, che è solo gnoseologica, in un senso ontologico, come se io per il fatto che mi elevo col pensiero e col mio desiderio a Dio, elevassi il mio stesso essere a Lui, cioè potessi sollevare, accrescere o aumentare il mio essere sino a diventare Lui, cosa semplicemente assurda, perché io non posso innalzarmi al di sopra del mio essere, se non è la causa stessa del mio essere che mi innalza.

Posso, invece, e questa è la meraviglia del pensiero umano, ampliare ed elevare il mio pensiero a pensare all’ente infinito, benché la capacità del mio pensiero, essendo un pensiero non autofondato, sia finita.

Immagini da Internet: mosaici Basilica San Marco, Venezia

15 aprile, 2023

Il mistero dell’essere in Karl Rahner - Mistero dell’essere e mistero di Dio - Seconda Parte (2/4)

 

Il mistero dell’essere in Karl Rahner

Mistero dell’essere e mistero di Dio

 

Seconda Parte (2/4)

La dottrina del mistero in San Paolo

Il significato teoretico del mistero appare chiaramente in San Paolo, quando, tessendo le lodi della sapienza divina, dice, stando alla traduzione della Bibbia della CEI: «Quanto sono imperscrutabili (anexeràuneta) i suoi giudizi e inaccessibili (anexicnìastoi) le sue vie!» (Rm 11,33).

Anexerauneta significa propriamente inesplicabile e anixicnìastoi vuol dire ininvestigabile. San Paolo usa il verbo katalambano, comprendere, quando parla della conoscenza dell’«amore di Cristo, che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3, 19). Quindi, come nota acutamente San Tommaso, San Paolo nel riferirsi alla conoscenza di Dio, distingue katalambano, comprehendo da ghinosko, cognosco. In base a questa distinzione, egli afferma che Dio può essere colto o conosciuto dall’intelletto, ma non compreso.

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Il mistero divino, non è unico, come crede Rahner, ma molteplice. Esistono cioè molti misteri rivelati, oggetto di fede. Questi misteri sono realtà o proposizioni intellegibili, ma il cui contenuto o significato ci sfugge perché è al di là e al di sopra di quanto possiamo capire, anche illuminati dal lume della gloria celeste.

La loro molteplicità dipende dal fatto che la nostra mente è un ente complesso, in quanto creato, per cui la nostra mente apprende il vero solo mediante una composizione di concetti, che è quella del giudizio, nonchè nella molteplicità dei sillogismi. Per questo noi possiamo apprendere il mistero di Dio e di ciò che lo riguarda solo per mezzo di questa molteplicità, dalla quale si ricavano gli articoli del Credo e i dogmi della fede.

Esistono due gradi di conoscenza del mistero divino rivelato: la fede e la visione. La conoscenza di fede è un sapere provvisorio, proprio della vita presente, per il quale il credente accoglie la verità divina nascosta sotto le proposizioni di fede formulate dalla Chiesa, i dogmi e gli articoli del Credo, e velata da immagini e simboli proposti da Dio stesso rivelante. Si tratta di un sapere che può e deve sempre progredire con un continuo approfondimento del contenuto della fede, ma che resta sempre mediato dalla concettualità, per quanto arricchita dal dato rivelato e dalla dottrina della Chiesa.

Ma anche in paradiso Dio resterà un mistero. In ciò Rahner ha ragione. Tuttavia, resterà mistero non nel senso che non vedremo nulla. Qui Rahner ha torto.

Immagini da Internet: Cena in Emmaus e Cristo Pantocratore, mosaici, Duomo Monreale

13 aprile, 2023

Il mistero dell’essere in Karl Rahner - Mistero dell’essere e mistero di Dio - Prima Parte (1/4)

 

Il mistero dell’essere in Karl Rahner

Mistero dell’essere e mistero di Dio

Prima Parte (1/4)

                                                                          Per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero

Ef 3,3

Considerazioni generali

Un oggetto del nostro intelletto può essere chiaro o può essere misterioso. È chiaro se in esso comprendiamo tutto quello che c’è da capire. Sono queste le verità matematiche. Infatti gli enti matematici sono enti di ragione, perfettamente calcolabili, misurabili, controllabili e verificabili dalla nostra ragione.  Invece in tutte le altre scienze, che sono a contatto con la realtà esterna, da quelle sperimentali a quelle filosofiche e teologiche, l’oggetto presenta sempre un lato oscuro, attualmente impenetrabile, che stimola l’intelletto ad una ricerca e ad un’indagine che non hanno mai termine. Il filosofo procede di sillogismo in sillogismo con ragioni necessarie e dimostrative; il teologo cristiano produce argomenti di convenienza, che non sono necessari o dimostrativi, ma che mostrano l’armonia della fede con la ragione.

Il mistero, in generale, è un fatto empirico o narrato o un’asserzione teoretica o pratica, il cui contenuto è conoscibile ed intellegibile e in tal senso è  confusamente comprensibile, ma il suo contenuto attualmente non è esaurientemente e chiaramente comprensibile; infatti il suo contenuto  è nascosto e la ragione di detto contenuto è attualmente ignota, e per questo è attualmente un fatto inspiegabile o la cui causa è ignota, o è un’asserzione intellegibile, ma non attualmente dimostrata, benché possa essere dimostrata razionalmente.

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Il mistero della conoscenza dell’essere è il fatto che tutti sanno spontaneamente che cosa è l’essere senza che nessuno l’abbia loro insegnato, ma semplicemente partendo dall’esperienza delle cose.

Il mistero dell’essere è il mistero della sua analogica intellegibilità, della sua unità nella molteplicità, della sua singolarità nella sua universalità, della sua diversificazione nella sua unità, della sua opposizione al nulla.

Il mistero dell’uomo è il mistero di una creatura materiale, composta di anima spirituale e corpo, fatta ad immagine e somiglianza di Dio, fragile, peccatrice e mortale, eppur redenta dal sangue di Cristo, possibile erede della vita eterna, ente finito, eppure con una mente e un cuore capace di conoscere ed amare l’Infinito.


Il mistero dell’essere divino è il mistero dei misteri, il mistero del suo essere sussistente, della sua assolutezza, attualità, semplicità, perfezione ed infinità, della sua infinita personalità, della sua totalità, autosufficienza ed autofondatezza, della sua sconfinata ed illimitata vastità, tuttavia precisa e determinata, della sua inesauribile intellegibilità.

Il mistero di Dio è rappresentato con l’immagine della nube. La nube c’impedisce di vedere il sole. Tuttavia sappiamo che dietro la nube c’è il sole. Così il mistero divino in sé è luminoso, ma ai nostri occhi mortali, alla nostra ragione oscurata dal peccato originale e dalle passioni indomite, si nasconde dietro una nozione confusa e indeterminata dell’assoluto, dell’infinito e dell’essere.

Immagini da Internet: mosaici, Ravenna

11 aprile, 2023

Come può costui darci la sua carne da mangiare?

 

Come può costui darci la sua carne da mangiare?

(Gv 6,52)

Problemi del dialogo ecumenico

Il dialogo ecumenico con i luterani si è fermato attorno a tre punti essenziali di quanto Cristo ha voluto per la nostra salvezza: l’eucaristia, la Messa, il sacerdozio.  È presente il pastore, il maestro, il profeta. Manca il sacerdozio come potere di offrire il sacrificio della salvezza e nutrire la comunità cristiana col cibo eucaristico.

Iniziamo con la questione dell’eucaristia. Essa prevede, come si sa, la consumazione di un cibo che rappresenta Cristo presente nella comunità radunata nel suo nome. Ma come è da intendere questo mangiare e come è da intendere la presenza di Cristo? Nella comunione eucaristica il mangiare fisico si associa ad un nutrirsi spirituale ed è la condizione di un nutrirsi spiritualmente. 

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Gesù, presentando ai discepoli un pane spezzato (almeno ciò che ai sensi appariva pane), ha detto loro «prendete e mangiate: questo è il mio corpo», come se ciò che appariva ai sensi come pane non fosse in realtà pane, ma fosse quella sua carne, che in precedenza aveva detto dover essere mangiata per avere la vita eterna? Gli apostoli hanno veramente mangiato la carne del Signore? Certamente. Ma in che modo?

I Padri del Concilio di Trento hanno risposto: spiritualiter, sacramentaliter (Denz.1648) e realiter (Denz.1658). Spiritualiter vuol dire che è stato un mangiare spirituale, un alimentarsi spirituale; sacramenaliter vuol dire misterioso o mistico, ossia razionalmente incomprensibile e verbalmente inesprimibile; realiter vuol dire fisicamente o materialmente, perché la carne di Cristo «è vero cibo» (Gv 6,55) dell’anima e del corpo.

Immagine da Internet: Ultima Cena, Philippe de Champaigne