L’avventura della metafisica - Parte Prima (1/6)

 

 

L’avventura della metafisica

Parte Prima (1/6)

Prima che Abramo fosse, Io Sono

Gv 8,5

Prima parte - la posizione del problema

La guerra attorno alla metafisica

 

Sulla metafisica sentiamo da secoli e millenni le posizioni più diverse e contradditorie. Alcuni sostengono che è un affastellamento di astrazioni, altri che è un sapere illusorio, altri che è una forma mentale primitiva ed ingenua ormai superata dalla scienza e dalla critica, altri che è nemica della fede, altri che è una forma di dogmatismo, presunzione e pretesa di imporre agli altri le proprie idee, altri che è un discorso astruso ed insipido, altri che vanta certezze che in realtà non si danno, altri che non ci dà la realtà ma le idee del metafisico, altri che non è una scienza ma una creazione immaginaria, altri che non serve a nulla ed è una perdita di tempo, altri che ha delle pretese esagerate, altri che manca di metodo scientifico, non ha basi certe e non dà risultati certi, altri che è un discorso che non ha senso; altri si dicono non persuasi dei suoi princìpi e delle sue conclusioni. Per questo non usano mai il termine o se lo usano è per mostrare disprezzo per la metafisica.

Possiamo notare sostanzialmente quattro schieramenti. Un primo schieramento è dato da coloro che sanno che cosa è la metafisica e la praticano nel senso giusto. E questi sono i seguaci di Aristotele. Alcuni di essi, tuttavia, pensatori cattolici, a contatto con la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, assumendo dal dato rivelato o di fede alcune verità metafisiche ignote ad Aristotele, hanno corretto e perfezionato il pensiero su alcuni punti, dando il via al progresso del sapere metafisico, che da allora non ha cessato di avanzare sulle sue basi irrefragabili fino ai nostri giorni.

Un secondo schieramento è dato dagli irrisori e spregiatori della metafisica, uomini carnali o finti spirituali, direbbe San Paolo, che non capiscono le cose dello spirito (cf I Cor 2,14-15), per esempio Hobbes, Hume, Comte, Marx, Spencer, Carnap, Schlick, Neurath, Reichenbach, Bertrand Russell.

Lutero, col suo odio per Aristotele e San Tommaso, per le nozioni metafisiche impiegate nel dogma cattolico, è veramente quell’«uomo spirituale» del quale parla San Paolo? Si può essere devoti dello Spirito Santo senza apprezzare la metafisica che è scienza dello spirito? Spirito, però, che non è quello del quale parlano Hegel e Gentile, circa il quale si può dubitare, da qualche segnale, che sia lo Spirito Santo o forse qualche altro spirito del tutto santo.

Il terzo schieramento è quello dei sostenitori della metafisica, i quali, però, se ne fanno un’idea del tutto soggettiva, ognuno diversa da quella dell’altro, per cui viene spontanea la domanda: perché chiamano metafisica ciò che non c’entra con la metafisica? Il perchè è dato dal fatto che essi intendono rispondere a problemi o domande di fondo che effettivamente hanno a che fare con la metafisica, come per esempio qual è l’inizio o il principio del sapere o della certezza, in che consiste la verità, cosa vuol dire pensare, qual è il senso dell’essere, o l’origine delle cose, il fondamento della realtà o della scienza. Qui troviamo, per esempio, pensatori come i filosofi analitici inglesi, un Bergson o uno Jaspers.

Il quarto schieramento è dato da quello che Papa Francesco chiama «gnosticismo», ossia la pretesa di un sapere razionale supremo, superiore alla metafisica e ad un tempo più radicale della metafisica. Superiore allo stesso dogma cattolico. A differenza dei due precedenti schieramenti che rifiutano o alterano la natura della metafisica, questo non la respinge, ma la considera solo come uno stadio «ingenuo», «volgare», «prefilosofico», «derivato», «popolare», «mitologico», «psicologico», «inadeguato», «religioso» dell’io, dello spirito, della coscienza e del pensiero, un livello sì naturale, ma bisognoso di essere fondato e superato dalla scienza assoluta che è la filosofia.

I massoni parlano senz’altro di «gnosi». Così pure Schelling. Per Proclo è la teurgia. Per Marsilio Ficino è l’ermetismo. Per i Rosa-Croce è la mathesis universalis. Per Giordano Bruno è la magia. Per René Guénon è la «tradizione». Per Helena Blavatsky è la teosofia. Per Soloviev è la sofiologia. Per Kant è la filosofia trascendentale. Per Hegel è la logica. Per Bergson è l’intuizione creatrice. Per Husserl è la fenomenologia. Per Rudolf Steiner è l’antroposofia. Per i modernisti è il sentimento inconscio. Per Heidegger è l’ontologia. Per Severino è la verità dell’essere. Per Bontadini è la metafisica parmenidea. Per Rahner è l’esperienza trascendentale.

Altro fatto increscioso, che contribuisce ad alimentare gli equivoci, le polemiche, i fraintendimenti e le repulsioni nei confronti della metafisica, è il fatto che il termine viene usato impropriamente da alcuni filosofi incompetenti di metafisica, per designare la loro discutibile filosofia senza che a tale designazione corrisponda ciò che è veramente metafisica, così come è stata fondata da Aristotele e fatta progredire dalla scuola di San Tommaso.

Solo perché essi intendono rispondere ad alcune domande di fondo o del filosofo o della gente comune, che vagamente possono contribuire alla costituzione della materia della metafisica, quei filosofi si credono autorizzati a designare senz’altro come metafisica i loro punti di vista o le loro opinioni, facendo una pubblicità ingannevole alla metafisica, così da attirare su di essa un discredito che la rende ripugnante o priva d’interesse per menti speculative, le quali, se fosse loro presentata la vera metafisica, non avrebbero difficoltà ad accettarla.

Così succede che alcuni si attendono dalla metafisica una scienza assoluta, una supermetafisica, una gnosi che ha la pretesa di eguagliare la scienza divina superando persino i dogmi del cristianesimo, come vediamo in Hegel o in Heidegger o in Severino; altri, assetati di verità e di conoscenza, attenti alla realtà, rimangono delusi e non si sentono affatto aiutati da una metafisica che scoraggia l’intelletto davanti ad una realtà inintellegibile o inafferrabile, come la metafisica di Bergson o di Jaspers.

Altri ancora, davanti alla metafisica di San Bonaventura, del Beato Duns Scoto, di Suarez,  di Wolff o del Beato Rosmini,  si sentono sì attratti dall’aspetto ideale ed universale dell’essere, giungono certamente all’essere divino, ma faticano a comprendere l’atto d’essere al di là dell’essenza, l’essere per essenza, l’essere sussistente, che è il Nome proprio di Dio[1].

Vedremo alla fine di questo articolo l’uso errato che certi filosofi fanno del termine per designare con questo antico e venerando titolo le loro tesi, che in realtà hanno ben poco a che fare con la metafisica, quando non ne presentano un’immagine errata.

Nella questione della metafisica s’inserisce la Chiesa Cattolica, la quale in numerosi documenti pontifici soprattutto a partire dal sec. XIX[2] usa il termine metafisica e parla di metafisica in un senso altamente positivo e apprezzativo, ne definisce la natura e i fini con riferimento soprattutto all’uso del termine fatti da San Tommaso e al concetto tomistico di metafisica che Tommaso desume  da Aristotele, ne tesse alti elogi, condanna gli errori contro la metafisica, ha proclamato Santi e Dottori della Chiesa grandi metafisici, mostra il suo ufficio di preparare e introdurre alla fede, di darle una giustificazione razionale, afferma che la Rivelazione purifica ed arricchisce la metafisica, ne promuove e stimola il progresso, la raccomanda soprattutto per la formazione del clero, ne fa materia di insegnamento nei suoi istituti scolastici ed accademici.

Nella metafisica cattolica eccelle San Tommaso, ma la Chiesa invita ad apprezzare anche altri Dottori, dei quali alcuni sono santi, come per esempio San Bonaventura o Duns Scoto, anche se la loro nozione dell’ente non ha la perfezione dell’ente tomistico. 

La metafisica di Suarez è accolta dalla Chiesa, ma non è priva di rischi, che possono dar spazio all’esistenzialismo o all’idealismo. La «teosofia» del Beato Antonio Rosmini presenta un concetto dell’essere, che è stato respinto dalla Chiesa se inteso come essere divino oggetto immediato dell’intuizione intellettuale. In occasione della beatificazione di Rosmini, tuttavia, la Congregazione per la Dottrina della fede ha dichiarato che le parole del testo rosminiano, che a suo tempo, furono oggetto di censura, in quanto sanno di idealismo, non riflettono l’autentica intenzione di Rosmini, il quale ammette il realismo gnoseologico, che è necessario per la vera fondazione della metafisica e per la stessa professione di fede cattolica nel Dio trascendente, creatore del cielo e della terra.

Nella storia del pensiero umano altresì si notano, come dice Cristo, sostanzialmente due schieramenti, di altro genere e ancor più radicali di quelli testé esaminati. Qui siamo sul terreno della scelta o per Dio o contro Dio. Si tratta di quelli che la Bibbia chiama «i figli di questo mondo» e i «figli della luce» (Lc 16,8).

Anche San Paolo distingue uomini che sono «tenebra» dai «figli della luce» (Ef 5,8); distingue i «figli della luce e «figli del giorno» da coloro che «sono della notte e delle tenebre» (I Ts 5,5). Con tutto ciò si notano difetti nei figli della luce e lati positivi nei figli delle tenebre. Esiste anche una graduatoria: i primi sono più o meno luminosi; i secondi sono più o meno tenebrosi.

Inoltre non è raro che avvenga in alcuni un mutamento di campo: dalla luce passano alle tenebre o dalle tenebre passano alla luce. In altri non si capisce che scelta abbiano fatta: se per la luce o per le tenebre. A noi stessi può capitare di domandarci da che parte stiamo.

La situazione, insomma, è complessa per non dire complicata; bisogna andare cauti nei giudizi, perché è facile sbagliare. Si può prendere per profeta un impostore e viceversa. Eppure distinguere è importantissimo, per scegliere i veri maestri e non farci ingannare in cose che riguardano il nostro eterno destino e il senso della nostra vita.

L’attitudine di San Paolo nei confronti della filosofia

San Paolo ci avverte e ci esorta ad essere vigilanti e giudiziosi, quando ci mette in guardia nei confronti non della filosofia come tale, ma della falsa filosofia con la sua «vana fallacia, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (Col 2,8). Filosofia, infatti, non vuol dir altro che amore per la sapienza e se c’è uno che ama la sapienza, questo è proprio San Paolo.

Paolo infatti ci pone la questione di qual è la vera sapienza, quindi qual è la vera filosofia, la vera metafisica, affermando che «in Cristo sono nascosti tutti i tesori della scienza e della sapienza» (Col 2,3). Egli parla di «stoltezza della predicazione» (I Cor 1,22) non per fare l’apologia della stoltezza, ma riferendosi al fatto che i pagani, che egli chiama i «Greci» (v.22) considerano stoltezza la sapienza di Cristo, che invece è la vera sapienza.

Questa sapienza, dunque, non è vera stoltezza, ma stoltezza agli occhi dei pagani, intendendo per pagani, «i sottili ragionatori di questo mondo, che, con tutta la loro sapienza, non hanno conosciuto Dio» (v.22). Il vero stolto, dunque, è il pagano, che si crede sapiente e giudica stolto il cristiano.  E quando Paolo cita Isaia che parla di un Dio che «distrugge la sapienza dei sapienti» (v.19), non si riferisce certo a un Dio che promuove la stoltezza, ma si riferisce evidentemente a un Dio che distrugge la falsa sapienza.

Così pure, quando Paolo si contrappone ai «Greci che cercano la sapienza» (v.22), opponendo ad essi «Cristo crocifisso» (v.23), non intende assolutamente condannare in se stessa la ricerca della sapienza, cosa raccomandatissima dalla Sacra Scrittura, ma condanna il loro modo sbagliato, presuntuoso e carnale, di cercare la sapienza.

Paolo introduce il concetto di sapienza cristiana, quella che egli chiama la «ragione della croce» (I Cor 1,18), che appare stoltezza ai pagani, ma che è la vera sapienza, superiore a quella filosofica della ragione naturale, la metafisica, coltivata dai Greci, ma della quale essi si insuperbiscono, così da disprezzare la superiore sapienza cristiana. Essa si acquista soffrendo per Cristo e con Cristo.

Lutero insistette in modo squilibrato su questa sapienza che si acquista nella sofferenza e con la sofferenza, contrapponendola alla metafisica aristotelico-tomista, ossia alla filosofia, che, come abbiamo visto, San Paolo non ripudia affatto, ma che egli considera come propedeutica alla fede e alla sapienza cristiane.

Paolo non ce l’ha con i Greci come tali, ma solo con quei Greci, che, nella loro superbia e stoltezza, rifiutano come stoltezza la sapienza della croce, che è invece «sapienza di Dio» (v.24), benché sembri stoltezza. Per questo, parlando di «stoltezza di Dio» (v.25) non intende dire che Dio sia veramente stolto, il che sarebbe bestemmia, ma che Egli appare stolto agli occhi dei pagani, che non vedono in Cristo la vera sapienza.

D’altra parte, polemizzando con i Greci, Paolo non intende assolutamente condannare in blocco la filosofia greca, giacchè sa benissimo che essa è pur sempre espressione di quella ragione e coscienza naturali che Dio dà a tutti gli uomini e che consente di scoprire la legge morale naturale (cf Rm 2,14) e l’esistenza di Dio (cf Rm 1,20).

Al contrario, Paolo esorta ad un vaglio critico della filosofia pagana per rintracciare in essa ciò che può essere conforme al Vangelo o aiutare a giungere a credere al Vangelo, e ci dà un esempio di questo metodo egli stesso nel famoso discorso all’Areòpago di Atene al c.17 degli Atti degli Apostoli.  La stessa cosa faranno poi lungo i secoli i teologi e i filosofi cattolici, mentre tra costoro emerge il genio di San Tommaso, col suo recupero critico di Aristotele. La stessa cosa ci ordina di fare il Concilio Vaticano II in un saggio confronto critico col pensiero moderno.

Heidegger con il tema dell’angoscia e Jaspers con quello del «naufragio» sembrano riecheggiare il discorso paolino e forse anche la «theologia crucis» luterana, già dialettizzata da Hegel[3], ma trascurano il fatto che Paolo col logos tu staurù non intende una sapienza puramente razionale, ma una sapienza soprannaturale, divinamente rivelata, oggetti della fede cattolica ed espressa nella dogmatica cattolica, cose che i due filosofi sono ben lontani da accettare.

I contrasti in metafisica nascono dal fatto

che toccano gli interessi più profondi dell’uomo

C’è comunque da tener presente che i seduttori in campo filosofico e metafisico hanno molto successo perché spesso abili e astuti come sono fanno leva o sulle basse passioni o sulla tendenza alla superbia e all’egocentrismo, che sono in tutti noi, chi più chi meno, conseguenze del peccato originale. Capita così che ci si trovi in pochi o anche soli in mezzo ai figli delle tenebre, che pure sembrano saggi e sapienti e allora può venirci il dubbio che forse sbagliamo noi. Dobbiamo ricordarci delle parole di Cristo: «sarete odiati da tutti a causa del mio nome» (Mt 10,22).

 

La rivelazione cristiana ci dà criteri sicuri di valutazione, di giudizio, di discernimento e di distinzione, Con tutto ciò è difficile, a volte impossibile, anche se non impossibile, e a volte utile e doveroso, distinguere gli uni dagli altri, i veri dai falsi profeti, per metterci alla scuola dei primi ed evitare o confutare i secondi.

Il problema è che i falsi profeti non sono facilmente riconoscibili, perché vengono a noi «come lupi travestiti da agnelli» (Mt7,15). Viceversa i veri profeti possono irritarci o infastidirci o scandalizzarci o sembrarci troppo esigenti o apparirci egli attaccabrighe, rispettivamente scontentando le nostre basse voglie, irridendo alla nostra mania di grandezza, sfatando i nostri pregiudizi, e scuotendoci dal nostro torpore e dalla nostra vita comoda, stimolandoci a combattere contro il mondo, mentre a noi piace così com’è.

Ora il terreno di elezione sul quale ferve da sempre questo contrasto a volte durissimo, tra figli della luce e figli delle tenebre, è comprensibilmente quello che tocca i nostri maggiori interessi, ciò che più ci sta a cuore, ciò in nome di cui facciamo tutto il resto, ciò che tocca il modo di impostare la nostra vita e la nostra condotta, la questione della verità, del sapere, della certezza, la questione di sapere che cosa è la realtà e qual è il suo principio o fondamento, se c’è qualcosa che vale assolutamente, qual è la giusta scala dei valori, qual è il principio, la causa e lo scopo dell’universo, il fondamento, l’origine e lo scopo delle cose, del mondo e di noi stessi,

Ebbene, questo terreno, questo campo di battaglie infinite e dei massimi conflitti intellettuali, filosofici, spirituali, è la metafisica. Questo terreno delle massime certezze e dei più gravi errori, è la metafisica. Questo campo del radicalismo dove è possibile o beneficare o danneggiare l’umanità è la metafisica. Questo campo dove si decide del destino eterno, buono o cattivo, dell’uomo è la metafisica. Questo campo dove o s’incontra Dio o lo si nega è la metafisica. Questo campo dove si edifica o si distrugge la morale è la metafisica.

E questo perché suo compito ed interesse è quello di porre la base del pensare e dell’agire; è quello di comprendere il senso dell’essere e della realtà, di chiarire il senso dell’assoluto, dell’eterno, dell’infinito, del divenire, della storia, di fornire un punto d’appoggio all’esistenza e alla vita, di dar senso all’una e all’altra, soddisfare i bisogni più profondi e segreti e le esigenze più radicali e rigorose del nostro io e della nostra ragione.

Chi vede questo conflitto dal di fuori, con la pretesa di neutralità e di essere super partes, scettico nella possibilità di stabilire il vero, nota questa conflittualità, magari ne esagera i termini, non sa trovare i valori condivisi e si fa l’idea che sia irrisolvibile, salvo poi a voler lui porre una soluzione definitiva che fino a lui nessuno era riuscito a trovare, scoprendo finalmente la certezza, la verità e il principio del sapere e dell’essere. Questo è l’atteggiamento spavaldo di personaggi come Cartesio, Kant, Hegel, Nietzsche, Husserl, Heidegger e Severino. Ed è interessante notare quanti seguaci, per la loro astuzia, sono riusciti a tirarsi dietro.

Naturalmente sarebbe empia presunzione la pretesa di sostituirci al giudizio divino escatologico nel separare sapienti e stolti facendo nomi e cognomi, non essendo noi in grado, salvo eccezioni di sapere se nell’altro c’è buona o cattiva fede.

Ma ciò non toglie che, quando ne abbiamo gli elementi sufficienti e la competenza necessaria, un giudizio ponderato, seppur con tutta modestia e prudenza, ma anche franchezza, dobbiamo darlo: non possiamo tenerci al fuori, perchè sarebbe infingardaggine, falsa modestia, irresponsabilità, trascuratezza, doppiezza e opportunismo e perché siamo tenuti a seguire e indicare i veri maestri; e se non sappiamo distinguerli dai falsi, come facciamo?

Alla metafisica tocca una sorte dolorosa, che non affligge altre scienze meno implicate negli interessi fondamentali della vita umana, come le scienze sperimentali e matematiche, sul valore oggettivo delle quali non ci sono discussioni o contestazioni, ma circa le quali tutti concordano perché sono utili e vanno incontro ai bisogni materiali della vita quotidiana, viceversa la metafisica, come altre scienze che interpellano la condotta umana, come la psicologia, la morale e la teologia, è sempre stata oggetto di attacchi, fraintendimenti e falsificazioni da parte di coloro ai quali ripugna accettare l’osservanza dei doveri morali e religiosi che da essa conseguono come da loro fondamento speculativo.

Potremmo chiederci come mai l’idealismo e il soggettivismo prosperano nel campo della metafisica e non delle scienze, dove tutti sono realisti ed oggettivi? Perché quando si tratta degli interessi materiali siamo tutti d’accordo; ma se si tocca il campo dello spirito e della nostra volontà, ecco allora apparire tutti i pretesti più sublimi per rifiutare la sottomissione del pensiero all’essere, ben sapendo che Dio si nasconde dietro all’essere, mentre noi vogliamo fare la nostra volontà e non la sua e allora fondiamo la metafisica dell’io al posto di quella dell’essere.

E allora fioriscono le metafisiche ad usum delphini, fatte apposta per sostituire in morale la legge naturale e la  volontà di Dio,  fondate sul pensiero dell’essere, con metafisiche della mia coscienza e della mia libertà, basate sul pensiero del mio essere e del mio io.

È interessante altresì notare come mentre il tomismo si sviluppa e progredisce coerente nei secoli grazie a un fecondo lavoro collettivo dei tomisti, tutti ad una sola voce come si conviene all’oggettività ed universalità al sapere scientifico, viceversa quei pensatori che in uggia a S.Tommaso vorrebbero presentare una metafisica a loro dire migliore, siano poi in disaccordo l’uno con l’altro perchè non è l’oggettività del sapere che li guida, ma la creatività della loro particolare soggettività. Più avanti passeremo in rassegna alcuni esempi di pensatori che pretendono di insegnare che cosa è la metafisica senza aver ricevuto una sufficiente formazione scolastica.

I nomi e l’essenza della metafisica

Chi introdusse il termine metafisica nella filosofia medioevale spiegandone il significato e definendone con chiarezza il concetto, la natura, il metodo e lo scopo è stato San Tommaso d’Aquino, definendo con Aristotele la metafisica come scienza dell’ente in quanto ente e delle proprietà dell’ente.

Il termine «metafisica» non si trova nella Scrittura, ma ad esso corrisponde la parola «sapienza» (gr.sofìa, eb.hokmàh). Infatti, da come la Bibbia parla della sapienza[4] e del sapiente[5], si capisce benissimo che si riferisce alla metafisica.

La Scrittura non ci dà certamente una definizione formale di ciò che è la metafisica, come fa Aristotele, che l’ha fondata e costituita come scienza. Tuttavia dai passi che ho citato in nota, abbiamo di essa una chiara visione ricca ed efficace, delle sue finalità, dei suoi contenuti, del suo metodo, della sua utilità, dei suoi interessi, dei suoi uffici, delle sue preziose prestazioni, delle condizioni spirituali per ben praticarla, dei benefìci che arreca alla vita morale, del suo rapporto col culto divino.

La sapienza, per la Scrittura, è il sapere per eccellenza, è la metafisica, avendo per oggetto il mondo, l’uomo, gli angeli e Dio, Essere assoluto, conosciuto a partire dagli enti creati, visibili e invisibili, materiali e spirituali, e come loro causa creatrice.

La gnoseologia biblica rifugge dal soggettivismo idealista e per conseguenza dalle metafisiche idealiste. Essa invece è realista: il nostro sapere dipende dalle cose create da Dio: sono loro e non noi la regola della verità. Il conoscere, compresa la metafisica, è un atto di obbedienza ed umiltà per il quale la nostra mente si adegua e si assoggetta al dato oggettivo, alla realtà e a Dio stesso.

La metafisica di Aristotele, come si sa, incontrò favore nel mondo islamico soprattutto nei secc. X-XIII per lo stesso motivo per il quale fu accolto da Tommaso nella Chiesa cattolica: il fatto che anche il Corano parla di un Dio unico, trascendente, creatore del cielo e della terra.

Gli islamici non sono pervenuti alla teologia dell’ipsum Esse, però con Avicenna hanno mostrato Dio come l’ente assolutamente necessario, significando implicitamente che Egli esiste per essenza. Essi chiamano la metafisica alla maniera aristotelica, come scienza divina, hikmàt ilahyia[6].

Nel brahmanesimo la metafisica è indicata col termine «jata-vidya», che significa «veggenza-di-ciò-che-sta-germinando». La radice vid di vidya è quella dalla quale viene il videre latino e il greco eidon, so, conosco, da cui eidos, specie, idea, forma.

Tommaso tratta di metafisica nel suo commento alla metafisica di Aristotele, chiamando però «metafisica» quella che Aristotele aveva chiamato «filosofia prima» e «teologia», rispettivamente perché la metafisica è la scienza universale che pertanto pone le basi di tutte le scienze particolari e partendo dalla fisica, scienza dell’ente materiale, la oltrepassa per elevare la mente alla conoscenza delle realtà spirituali, al vertice delle quali c’è Dio.

Il termine metaphysica nasce attorno al sec. X ottenendo un’unica parola dall’espressione greca Metà ta physikà, «dopo la fisica», con la quale Andronico di Rodi, del sec. I a.C., catalogando le opere di Aristotele, volle designare quelle che si aggiungevano a quelle di fisica e di logica[7]. Sembra, che egli non si sia reso conto della preminente importanza della metafisica, che Aristotele chiamò «filosofia prima», e la considerasse una specie di appendice.

Tommaso d’Aquino, invece, venendo a leggere la Metafisica di Aristotele, si accorse che lì lo Stagirita trattava di cose più importanti e superiori a quelle trattate nelle opere fisiche, fossero esse di cosmologia, biologia o antropologia o di morale, nonché di logica o retorica, giacchè in quell’opera Aristotele trattava delle prime cause, della causa prima, e dei primi princìpi cognitivi  ed ontologici di tutta la realtà, e pertanto interpretò quel metà, che significa «dopo», come un «oltre», trans, riprendendo il concetto agostiniano del transcendere, per il quale platonicamente la mente, partendo dalle cose sensibili, va oltre, le supera, si eleva a quelle spirituali e divine.

Alcuni propongono di sostituire il nome metafisica con «ontologia». Ora il nome ontologia è certamente in se stesso appropriato, perchè effettivamente la metafisica è la scienza dell’ente. Tuttavia i due nomi devono stare assieme, perché metafisica esprime il fatto che con essa l’intelletto supera, trascende,  va oltre (trans, metà) le cose visibili e ascende o si eleva a quelle invisibili, mentre nel termine ontologia è ben espressa l’unità dell’oggetto della metafisica.

Accompagnare ontologia e metafisica va bene; sostituire ontologia a metafisica è sbagliato. Perché? Per il fatto che quelli che vogliono questa sostituzione, i seguaci di Husserl e di Heidegger, parlano di un «superamento» della metafisica», sulla base di un sapere precedente ancor più radicale e veramente fondante, che porrebbe le condizioni della stessa metafisica.

Secondo questi pensatori la metafisica realista aristotelico-tomista non è vera scienza, non è un vero pensare, non è filosofia, ma un rappresentare ingenuo, non criticamente vagliato come quello di Cartesio e ancor più quello di Kant e dei successivi idealisti tedeschi, Fichte, Schelling ed Hegel.

Questi filosofi guardano alla metafisica tomista con aria di sufficienza, come ad una forma di pensiero ormai superata dalla cosiddetta «filosofia moderna» di Cartesio ed epigoni, un sapere che, quando non è illusorio, quanto meno, lungi dall’essere fondante, dev’essere esso stesso fondato.

E a ciò avrebbero provveduto gli idealisti grazie alla scoperta fatta da Cartesio, del sapere originario, ossia il senso o esperienza dell’essere come autocoscienza o correlato di coscienza. Sarebbe quella che Husserl chiama «fenomenologia» ed Heidegger, «ontologia». Ora, questo millantato sapere, quella che Hegel chiamerà «scienza assoluta», in realtà non esiste affatto, perché risponde alla pretesa di possedere quel sapere che Dio stesso possiede come fondamento e idea del mondo che Egli crea da nulla.

In realtà il cartesianismo col suo seguito idealista non fa altro che confondere conoscenza, coscienza ed autocoscienza identificate con l’essere, cosa che si verifica solo nella scienza divina, mentre nella mente umana quei tre atti dello spirito si succedono nel tempo geneticamente dal primo al terzo, oltre al fatto che per noi il nostro pensare non coincide affatto con l’essere, il nostro razionale non è il razionale della realtà, benché possano concordare. L’essere, invece, è dato al nostro pensiero, è esterno e presupposto al nostro pensiero, perché l’essere non lo creiamo noi, ma lo crea Dio insieme con la nostra stessa facoltà di pensarlo.

La visione di Husserl e di Heidegger è lo sviluppo di ciò che Kant aveva già detto quando parlava delle condizioni di possibilità della metafisica nei Prolegomeni a ogni futura metafisica che voglia costituirsi come scienza. In sostanza, abbiamo qui l’idea che la metafisica realista non sia la filosofia prima e fondante, il sapere originario, ma abbia bisogno a sua volta di un sapere veramente primo, che questi filosofi si incaricano di stabilire. 

Hegel compie la stessa operazione: come Kant fa capo alla ragione che conosce se stessa come inizio e fondamento del filosofare, un principio che deriva da Cartesio, giacchè l’atto del cogito non è altro che l’atto della ragione, così Hegel pone la logica, intesa come autocoscienza cartesiana, a fondamento della metafisica, anzi per lui «la scienza logica costituisce la vera e propria metafisica»[8].

Hegel parrebbe aver ritrovato la metafisica come scienza dell’ente, ma in realtà anche lui si rifà a Cartesio che considera il «fondatore della filosofia moderna»[9]. Così per Hegel il parlare dell’essere e dell’io o del sum cartesiano è la stessa cosa, giacchè, come egli afferma[10],

«è del tutto il medesimo che a me nella coscienza si sia immediatamente rivelato l’essere, la realtà, l’esistenza dell’io», mentre «l’inseparabilità del pensiero e dell’essere del pensante è senz’altro la prima (non mediata, provata) e più certa conoscenza».

All’inizio del secolo scorso e nella metà di esso rispettivamente Bergson e Jaspers, come vedremo, tornarono a parlare di metafisica, ma sempre nella linea dell’intuizionismo cartesiano, il Bergson e dell’esistenzialismo cartesiano, lo Jaspers.

Fine Prima Parte (1/6)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 7 marzo 2024

Nella questione della metafisica s’inserisce la Chiesa Cattolica, la quale in numerosi documenti pontifici soprattutto a partire dal sec. XIX usa il termine metafisica e parla di metafisica in un senso altamente positivo e apprezzativo, ne definisce la natura e i fini con riferimento soprattutto all’uso del termine fatti da San Tommaso e al concetto tomistico di metafisica che Tommaso desume  da Aristotele ...

Chi introdusse il termine metafisica nella filosofia medioevale spiegandone il significato e definendone con chiarezza il concetto, la natura, il metodo e lo scopo è stato San Tommaso d’Aquino, definendo con Aristotele la metafisica come scienza dell’ente in quanto ente e delle proprietà dell’ente.

Il termine «metafisica» non si trova nella Scrittura, ma ad esso corrisponde la parola «sapienza» (gr.sofìa, eb.hokmàh). Infatti, da come la Bibbia parla della sapienza e del sapiente, si capisce benissimo che si riferisce alla metafisica.

Immagine:
- Allegoria della divina Sapienza, Andrea Sacchi

[1] Gilson ha studiato la vicenda della metafisica essenzialista in L’être et l’essence, Librairie philosophique Vrin, Paris 1981. Questa metafisica, pur mantenendosi nel realismo per il fatto di distinguere il pensiero dall’essere, non lo distingue a sufficienza per il fatto di trascurare o ignorare l’atto d’essere e così dà spazio all’idealismo, che fissandosi solo sull’essenza interna all’intelletto, abolisce la cosa in sé esterna al pensiero.

[2] La Chiesa è intervenuta in campo metafisico nell’’800 con due importanti documenti: la condanna dell’ontologismo nel 1861 (Denz. 2841-2847) e la condanna delle 40 proposizioni rosminiane nel 1887 (Denz.2301-2341). Vedi lo studio accurato  di Alberto Lepidi, Examen pilosophico-theologicum de ontologismo,  Lovanio 1974.

[3] Cf Emilio Brito, La christologie di Hegel. Verbum Cricis, Beauchesne Editeur, Paris 1983.

[4] Pro 8,1-36; Sap 7,22-30; Sir 6,18-36.

[5] Sir 14, 1-27; 15, 1-10; 24, 1-21; 39, 1-11.

[6] Cf Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi Edizioni, Milano 2000, p.266.

[7] Pier Paolo Ruffinengo, Ontonòesis. Introduzione alla metafisica, Editrice Marietti 1820, Genova 2002, pp.16-18.

[8] Scienza della logica, Edizioni Laterza, Bari 1984, pp.5-6.

[9] Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Edizioni Laterza, Bari 1963, p.72.

[10] Ibid., p.83.

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