Come Sequeri è cascato nella trappola di Bontadini

 

Come Sequeri è cascato nella trappola di Bontadini

                                                                          Non est affirmare et negare simul idem

                                                          de eodem sub eodem respectu

 

Esiste l’essere che non può non essere e l’essere che può non essere

Su Avvenire del 27 febbraio scorso è apparso un articolo di Pierangelo Sequeri dal titolo «Gustavo Bontadini e la metafisica del ’900, un genio da riscoprire»[1].

Sequeri esordisce con un’osservazione senz’altro giusta:

«Il termine “metafisica”, la parola «davanti alla quale ognuno, più o meno, si affretta a fuggire come davanti a un appestato» (Hegel), ritorna nella forma di un appello alla serietà “politica” – nientemeno – del pensiero (Cacciari). Ritorna come paradosso del mondo, prima che come domanda su Dio. Ma infine, l’uomo non potrà separare ciò che Dio ha congiunto».

E prosegue:

«Il segreto della concretezza del mondo, sta certamente “nel mondo” (se stesse fuori, il mondo sarebbe solo virtuale, un’astrazione); ma, altrettanto certamente, “non è del mondo” e lo trascende (proprio come il Logos del vangelo di Giovanni). Che accada un mondo, e che non si possa fare a meno di domandarsi se il mondo è tutto quello che accade, non ha nulla di ovvio».

Alludendo a Bontadini Sequeri sembra dargli ragione nella sua idea che Dio trascenda il mondo stando nel mondo senza essere fuori del mondo, perché, se fosse fuori sarebbe un’astrazione. Si può dire che Dio come Verbo incarnato è stato nel mondo, ma ciò non esclude affatto che il Padre celeste sia fuori e al di sopra del mondo senza essere affatto per questo un «Dio astratto», come diceva Hegel.

Inoltre, è vero che Bontadini si fa una domanda laddove invece molti non si fanno problema: il mondo nel suo divenire basta a se stesso? Bontadini, a contatto con Gentile e con Parmenide, avvertì nel suo animo un profondo bisogno di unità e identità dell’essere, oltre ogni contraddizione, dualismo e separazione, un’unità coincidente con la totalità, quello che egli chiamava l’«Intero».

In nome di questo bisogno metafisico egli affrontò la questione dell’esistenza di Dio in quanto distinto dal mondo e creatore del mondo e credette di poter elaborare una prova di detta esistenza, una «via breve», come la chiamava, più rigorosa di quella elaborata da San Tommaso d’Aquino, che parte dalla considerazione dell’ente sensibile diveniente e contingente ed applica per induzione il principio di causalità efficiente, mostrando che Dio, essere sussistente, puro atto di essere, causa prima degli enti, produce dal nulla – conformemente al dogma cristiano della creazione - la totalità dell’ente senza presupporre nulla di esso (ex nihilo sui et subiecti).

Bontadini purtroppo, invece di assumere la concezione aristotelica dell’essere come analogico, uniplurale e polisenso, assume quella univocista e assolutista parmenidea, che ha senz’altro il pregio di affermare il principio di non-contraddizione, ma nel contempo, affermando che l’essere non può non essere, afferma solo l’essere necessario e fa apparire contradditorio l’essere contingente. In tal modo diventa impossibile interpretare razionalmente il divenire sensibile, la generazione e las corruzione, che pure sono dati dall’esperienza, che Bontadini non intende assolutamente negare.

Aristotele rimase inorridito nel considerare la metafisica di Parmenide per la quale tutto è uno, immutabile ed eterno, confondendo Dio e mondo, confondendo il pensare con l’essere, il vero col falso, il bene col male e negando il tempo, il divenire, la storia e la molteplicità.

Aristotele lo considerò un pazzo, sospendendo in quel caso la sua solita apertura agli aspetti positivi dei filosofi che lo avevano preceduto. Così egli non si accorse dei meriti di Parmenide che per primo nella storia della filosofia aveva formulato la nozione dell’essere (einai) e il principio di identità. E così pure San Tommaso, nel commentare Aristotele, non avendo a disposizione i passi di Parmenide dei quali disponiamo noi oggi, non si accorse della presenza dell’esse nel pensiero di Parmenide.

Così c’è voluta la conoscenza che oggi abbiamo di Parmenide per mettere in luce i suoi meriti, come fecero nel secolo scorso Heidegger, Severino e appunto Bontadini, il quale però, per un’eccessiva stima data a Parmenide, nella considerazione della questione dell’essere non è riuscito ad accordare ragione ed esperienza.

Da qui il suo dramma del tentativo vanamente iterato per decenni, di metter d’accordo l’esperienza, che attesta la realtà del divenire con la ragione da lui intesa in senso cartesiano-parmenideo che gli sembrava escludesse la possibilità del divenire.

Egli infatti, influenzato dal rigido monismo di Parmenide, temendo che l’idea del produrre come far passare dal non essere all’essere e pure quella di un ente diveniente apparissero contradditorie, credette necessario espungere dalla formula del teorema della creazione il concetto del nulla e quello dell’ente diveniente, per risolvere il fatto creativo nel semplice toglimento dell’apparente contraddizione del divenire senza far ricorso al concetto del nulla che gli appariva contradditorio.

Analoga insormontabile difficoltà Bontadini incontra nello spiegare razionalmente il fenomeno della corruzione e del finire degli enti, ossia il loro passare dall’essere al non essere, al non esser più. Esso appare contradditorio nella visione parmenidea. Per questo tutto appare eterno.

Anche per Aristotele la materia e la forma sono eterne; tuttavia egli spiegava bene la trasformazione sostanziale appunto facendo uso di quelle categorie sulla base del passaggio dell’ente dalla potenza all’atto. È indubbio che Dio non annulla niente di quello che crea, ma questo non vuol dire che ogni ente sia eterno ed immutabile.

Se nell’800 Garibaldi esisteva, oggi non esiste più. Ma non diciamo che all’atto della sua morte sia precipitato nel nulla. Sopravvive la sua anima. Quanto al suo corpo, si dissolse o disintegrò nei suoi componenti chimici. Invece nell’eternalismo parmenideo si è obbligati se non ci si vuol contraddire, ad affermare che tutto è eterno come se tutto fosse Dio. Quindi Garibaldi esiste da sempre e sempre esisterà, come del resto esisteva già da sempre prima di apparire con la sua nascita, solo che era ed è nascosto ai nostri occhi.

Sulla base di queste premesse Bontadini si rifiuta di lasciare nella formula del dogma della creazione il riferimento al nulla, in quanto il nulla, a suo dire «non esiste».

Riprendendo infatti Bontadini, Sequeri osserva:

«Dal nulla non viene assolutamente niente: ed è ovvio, questo sì, che alla luce di questa banale considerazione l’essere non è mai incominciato e non saprebbe dove finire. Il nulla non è un tempo, non è un luogo, per l’accadere. Ma nella nostra esperienza, “niente” di ciò “che è” (che acrobazie deve fare il nostro linguaggio, per parlare dell’accadere) assomiglia neppure lontanamente all’essere che non incomincia e non finisce. Con ciò si è già enunciato il tema – e il paradosso – di questo choc del pensiero: che appare inevitabile anche quando cerca di essere evitato».

Sequeri sembra far proprio qui l’errore bontadiniano di respingere il concetto del nulla con la conseguenza di non intendere il dettato del dogma della creatio ex nihilo. Non è vero che dal nulla non viene nulla, se Dio stesso produce le cose dal nulla. È vero semmai che il nulla non produce nulla, perché l’essere può essere causato solo dall’essere.

Tutti sanno che cosa è il nulla e pertanto il nulla esiste

Il nulla non è una parola senza senso, ma tutti fin bambini ne facciamo uso, il che vuol dire che a questa parola corrisponde un concetto, un contenuto mentale da tutti intellegibile, altrimenti, quando usiamo questa parola, noi non ci intenderemmo. Per questo distinguiamo l’essere dal nulla, l’esistere dal non esistere.

Se dico che in questa camera o in questa bottiglia non c’è nulla, non occorre che chi mi ascolta sia un metafisico o che conosca Parmenide perché possa capire che cosa voglio dire. Bisogna dunque concludere, per quanto possa sembrare strano e paradossale, che in qualche modo il nulla esiste, pur essendo non-essere, pur essendo fuori della realtà, senza neanche appartenere al mondo dell’immaginazione.

Infatti anche Babbo Natale o il minotauro esistono come prodotti dell’arte umana. Anche il male esiste come privazione di essere, anche il concetto esiste come ente mentale, anche il numero tre esiste come ente astratto da tre mele, Siamo nel puro mondo del pensiero (in anima), distinto dalla realtà esterna (extra animam), eppure è un mondo a modo suo esistente e assai importante.

Eppure il nulla è un possibile oggetto del pensiero. Possiamo definirlo, ci possiamo ragionar sopra, come stiamo facendo adesso. Il nulla non è impensabile, come l’impossibile o l’assurdo, anche se possiamo avere un concetto pure di queste cose, tanto da poter parlare di un’esistenza concettuale, certo non reale, dell’impossibile. Un conto infatti è non pensare a nulla, come quando stiamo dormendo e un conto è pensare il nulla o l’assurdo, quando si vuol far metafisica.

Per avere un concetto del nulla occorre distinguere l’essere dall’esistere. L’essere è l’atto d’essere, atto del poter essere. L’esistere è l’essere in atto, attuazione del possibile. La creazione è ad un tempo passaggio dal non-essere-non-esistere all’essere-esistere. Il nulla è un non-essere, eppure esiste.

Tutto quello che noi pensiamo lo pensiamo sotto la categoria dell’essere, della realtà. Per questo, per poter concepire e pensare quello che non c’è, ossia il nulla, il non-essere, siamo obbligati a pensarlo come se fosse essere (ad instar entis), pur sapendo che è non-essere.

Il nulla quindi non esiste nella realtà fuori di noi, non nel senso che non possa esistere un nulla di un barattolo nella dispensa in un dato posto, mentre il barattolo si trova in un altro luogo, ma il nulla in quanto nulla è solo un ente mentale prodotto da noi per poterlo pensare (ens rationis).

Se quindi ha senso chiedersi chi ha creato l’essere, non avrebbe senso chiedersi chi ha creato il nulla. Il nulla non ha bisogno di una causa, per il semplice fatto che è non-essere. Il nulla esiste solo come precedente l’atto creativo divino, come suo presupposto. Il nulla non esisterebbe solo se Dio non avesse creato il mondo.

 Contraddizione è quindi se dicessimo che l’essere è il non-essere, ma non che il nulla esiste, perché, come ho detto, l’essere non è l’esistere. L’esistenza del nulla è un’esistenza di ragione, non un’esistenza reale. È un esistere prodotto dalla ragione e immanente alla ragione (ens ratioinis), che ci serve per poterlo concepire, pensare ed esprimere nella parola «nulla», cosicchè, quando si pronuncia questa parola, tutti capiscono che cosa vuol dire, anche coloro che, come Bontadini, ne fanno uso. Infatti se la parola «nulla» non avesse senso, nessuno la userebbe. È in base al fatto che tutti sanno che cosa è il nulla che ha permesso alla Chiesa di parlare di creazione dal nulla.

Rifiutare il dogma col dire che il nulla non esiste o è contradditorio è quindi una stoltezza, oltre che un’eresia per chi vuol essere cristiano. Il teorema della creazione è di per sé verità di ragione, anche se è contenuto in quella parte della Bibbia che è accettata, oltre che dai cristiani, anche dagli ebrei e dai musulmani. Quindi si tratta di una verità di fondamentale importanza per il dialogo interreligioso. Sbagliare quindi nel concetto di creazione non è solo grave errore metafisico, ma anche un grave ostacolo al dialogo interreligioso.

Contradditorio è dire che l’essere è il non-essere. Questo lo diciamo in base al principio di non-contraddizione scoperto da Parmenide. Qui Bontadini, seguendo Parmenide, che fu del resto seguìto anche da Aristotele, ha perfettamente ragione. Nessun teorema sulla creazione potrà mai contravvenire a questo principio, se non vuole essere un’assurdità. Severino accusa il dogma di essere un’assurdità e per conseguenza accusa il cristianesimo di follia e di nichilismo, perché non distingue l’esistere dall’essere, il possibile dall’attuale, l’atto dalla potenza, l’essenza dall’essere.

Il nulla non è un prima temporale rispetto al sorgere della creatura dal nulla come se prima della creazione del tempo ci fosse stato un tempo e il nulla non è neppure un serbatoio dal quale Dio avrebbe tratto l’essere. Queste sono immaginazioni assurde. Il nulla non è un prima temporale dell’esistenza della creatura,  ma un prima trascendentale.

«Dal nulla» (de nihilo o ex nihilo) non è un tirar fuori da un serbatoio come si tira fuori il pane dall’armadio, ma significa che l’essere della creatura segue al suo al suo non-essere, ossia la sua attualità o realtà segue alla sua semplice possibilità nella mente di Dio, sicchè il suo provenire dal nulla vuol dire che quando Dio decide di crearla, fa sì che l’atto creatore espressione della sua onnipotenza, faccia passare la creatura dal non essere all’essere, ossia la fa esistere fuori di Dio (opus ad extra), fuori naturalmente non in senso spaziale, come se esistesse uno spazio fuori di Dio, ma significa semplicemente che la creatura è distinta dal creatore per evitare il panteismo che identifica Dio col mondo.

Quanto all’accadere o al divenire il nostro linguaggio non deve fare nessuna acrobazia, nessuno lo obbliga a parlare di «un niente di ciò che è» o ad andar contro il principio di non contraddizione, se solo abbiamo i buon senso si dire che il divenire è il fatto che ciò che c’era prima poi non c’è più o è il passaggio dalla potenza all’atto. Nessuna meraviglia se il divenire «non assomiglia neppure lontanamente all’essere che non incomincia e non finisce», per la buona ragione che esso è l’essere che comincia e che finisce.  Nessun paradosso, nessuno choc, se ricordiamo che l’essere non è solo l’essere immutabile, ma anche quello mutevole.  

Che «l’essere non è mai incominciato e non saprebbe dove finire» non è una «banale considerazione», ma è un grave errore metafisico, perché l’essere non è solo l’essere eterno, che non passa, ma anche quello temprale, storico, che comincia, trascorre e finisce. 

Un conto è l’essere che non può non essere, e questo è l’essere necessario, distinto dall’essere che può non essere, che è il contingente, e un conto è dire che l’essere non è il non-essere, che è il sacro principio di non-contraddizione. Ammettere l’essere che può non essere – il divenire, il contingente – non è affatto contradditorio, come teme Bontadini e sostiene Severino.

Citando poi Severino, Sequeri osserva:

«In effetti, l’irruzione nella scena contemporanea di una filosofia che proclama “l’eternità di ogni essente”, mentre denuncia il radicale “nichilismo” della stessa concezione cristiana-cattolica dell’eternità di Dio e della creazione del mondo, aveva di che suscitare impressione. Bontadini, pur apprezzandone l’ispirazione (come “pungolo” per il laicismo decostruttore di ogni assoluto, e ragione filosofica ospitale per la “nostalgia” dell’eterno), ha contrastato la deduzione “eternistica” del “principio di Parmenide” che imponeva la necessaria rimozione del “principio di Creazione”. Ma Bontadini non fu ascoltato, né fu presa in considerazione la questione di coerenza dell’impianto che Bontadini stesso aveva inventato.

Il dibattito, all’interno del mondo cattolico, si risolveva e si spegneva nel semplice accertamento della contrapposizione fra Severino, che negava la creazione, e la Chiesa che, ovviamente, la difendeva. In certo senso, questa semplificazione faceva torto a entrambi. Ma soprattutto, essa ha oscurato la reale portata innovativa, speculativa e culturale del progetto metafisico di Bontadini, nel quadro complessivo della contemporaneità filosofica novecentesca».

Questa portata innovativa di Bontadini consisterebbe secondo Sequeri in due punti:

«La prima è la proposta di essenzializzazione – che è insieme semplificazione e rigorizzazione – del paradosso metafisico, che l’ipertrofia dell’ontologia scolastica ha finito per indebolire del suo vigore e per svuotare della sua provocazione».

Si tratta, come ho detto sopra, di due operazioni: la prima è la cosiddetta «via breve», alla quale ho già accennato, per dimostrare l’esistenza di Dio. Invece di applicare il principio di causalità efficiente, Bontadini vorrebbe lavorare solo sul principio di non-contraddizione mostrando che, siccome l’assolutizzazione del divenire è contradditoria, per sciogliere tale contraddizione bisogna ammettere l’esistenza di Dio come creatore del mondo.

La prova non è male, ma è insufficiente, perchè essa si pone solo sul piano dell’essenza o del pensiero e trascura quello dell’esistenza o della realtà, perché si tratta di capire quale è il fondamento della realtà e non soltanto di risolvere un problema di logica.

La seconda operazione è, come ho già accennato, l’espunzione del riferimento al nulla presente nella formula dogmatica ecclesiale della creazione, la quale viene ridefinita come atto col quale Dio toglie la contraddizione del divenire mondano altrimenti contradditorio senza questo atto. Quindi per Bontadini il finito, il creato non è attuazione di un possibile, ma finitizzazione di un attuale, ossia Dio stesso. Difficile immaginare come Bontadini posa sfuggire al panteismo, nonostante non ne abbia affatto, come cattolico, l’intenzione.

Continua Sequeri:

«La seconda invenzione, anche più elegante della prima, consiste nella deduzione storica dell’approdo metafisico: inteso come inevitabile auto-superamento del problematicismo radicale, col quale si devono fare i conti ragionando metafisicamente, appunto. Il problematicismo radicale, cifra del nostro tempo, secondo Bontadini, prepara obiettivamente il ritorno inevitabile della metafisica: infatti, nel momento in cui il problematicismo radicale diventa teoria trascendentale della totalità reale, lascia spuntare un assoluto metafisico indimostrato e indimostrabile».

 

La giusta rigorizzazione della dimostrazione dell’esistenza di Dio

e della formula della creazione

Bontadini ha ragione nel sottolineare l’importanza della metafisica in ordine alla teologia con particolare riferimento alla questione dell’esistenza di Dio e della creazione del mondo. Il suo errore è stato quello di sbagliarsi nel concepire l’essere rifacendosi a Parmenide anziché a San Tommaso.

In tal modo, da buon idealista, è rimasto intrappolato nelle sue idee, nel piano dell’essenza astratta e del pensiero pensato e non ha raggiunto, secondo il metodo realistico della Scrittura, il concreto, il divenire, lo storico, il singolare, l’essere, il reale, l’esistente.

Ora Dio è il sommante reale ed esistente, per cui, per dimostrarne l’esistenza non basta operare con le idee, per quanto sublimi, ma bisogna che queste idee siano ricavate dalla realtà e ci conducano alla realtà, perchè questo è il loro scopo. Esse non sono fini a se stesse, né è da esse che si ricava la realtà. Questa è proprietà della mente divina, non di quella umana. Senza previo contatto sensibile col reale esterno, la nostra mente è vuota, una tavoletta, come diceva Aristotele, nella quale non c’è scritto nulla.

Nessun dubbio che il nostro intelletto è fatto per l’assoluto, l’uno, il totale, il necessario, l’infinito, l’eterno, l’immutabile e l’universale. E nessun dubbio che solo Dio soddisfa pienamente a questi bisogni della ragione. Ma la nostra mente arriva a sapere che queste qualità le possiede Dio non perché parte da una nozione dell’essere che già le contiene, ma perché scopre, partendo dalla conoscenza degli enti, che essi esistono perché esiste Dio.

Bontadini è alla ricerca di un’unità e totalità dell’essere che appartiene solo a Dio, ma non appartiene all’essere come tale, il quale invece non è solo uno ma anche molteplice, non è solo totale ma anche parziale, non solo immutabile ma anche diveniente. Ed è partendo dalla molteplicità degli enti divenienti e temporali che la ragione si eleva all’unità dell’ipsum Esse eterno ed immutabile. Questo è il giusto cammino indicato dalla Scrittura (Sap 13,1).

Egli crede di trovare in Parmenide una concezione dell’essere più unitaria, che egli chiama «unità dell’esperienza», un’esperienza dell’essere inteso come «Intero», sintesi di pensiero ed essere, superamento della contradditorietà del divenire, negazione dell’esistenza del nulla.

In tal modo Bontadini crede di aver trovato una via breve e più rigorosa per dimostrare l’esistenza di Dio delle cinque vie di San Tommaso ed una nuova formulazione del teorema della creazione, che eviti la caduta a suo dire nichilistica della formula contenente la creatio ex nihilo.

Le famose cinque vie tomistiche possono effettivamente venir rigorizzate con una maggiore aderenza alla divina rivelazione basandole esclusivamente sulla nozione dell’essere; ma l’operazione dev’essere fatta con metodo realistico, induttivo, sperimentale, conformemente al modo biblico di concepire la conoscenza e non lasciandosi sedurre da una razionalità univocista, astratta e totalizzante, che se può dar la soddisfazione di giocare abilmente con le idee,  pascendosi di esercizi dialettici o di schemi prefabbricati, ci conduce a chiuderci nel giro ristretto della nostra autocoscienza perdendo i contatti con la realtà extramentale, contatti più che mai necessari in metafisica, scienza che sommamente impegna la ragione e l’esperienza nella ricerca delle prime cause, dei valori fondamentali, trascendentali e supremi, dei primi princìpi e dei ultimi fini.

La rigorizzazione del discorso tomista su questi temi comporta a mio avviso da una parte la maggior messa in luce, conformemente all’insegnamento biblico, del fatto che la dimostrazione dell’esistenza di Dio è sostanzialmente un passaggio della ragione mediante il principio induttivo di causalità, dall’ente temporale, ente per partecipazione o contingente all’essere sussistente, «Colui Che È».

Quindi si tratta di scoprire sì un Dio causa prima, motore immobile, essere necessario, ente supremo, fine ultimo e sommo bene, ma soprattutto un Dio personale, un «artefice», del quale l’artefice umano è un’immagine, insomma un soggetto personale dotato d’intelletto e di volontà, che ha ideato l’opera e la mette in esecuzione. Questo è il concetto giusto di creazione.

Il discorso biblico, a differenza dell’impostazione bontadiniana che guarda con ripugnanza e quasi con scandalo il sensibile, il vivente, il divenire, il diverso, il molteplice e la temporalità, mentre invece la Scrittura riconosce francamente la bellezza affascinante della creatura, sicchè la ragione è tentata di considerarla sufficiente per la felicità umana, tanto che la Bibbia è disposta a scusare in qualche modo coloro che, attirati dalla bellezza della creatura, quasi dimenticano chi l’ha fatta. «Neppure costoro però sono scusabili, perché, se tanto poterono sapere da scrutare l’universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?» (Sap 13,9), come a dire: la causa non vale più dell’effetto? Possiamo accontentarci dell’effetto senza conoscere la causa?

Contrasto di pareri tra San Bonaventura e San Tommaso

circa la possibilità di un mondo esistente ab aeterno

 

Inoltre bisogna notare che nelle cinque vie c’è l’intrusione inutile e indebita di schemi matematici, quali quello della infinità quantitativa, che si esprime nell’ipotesi, poi scartata, di un regresso temporale delle cause all’infinito, che Tommaso mette in opera sia per dimostrare l’impossibilità di un regresso temporale infinito di cause causate sia  per sostenere che, se Dio avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo esistente da un tempo infinito.

L’ipotesi del regresso all’infinito dev’essere scartata, dice Tommaso perchè altrimenti non ci sarebbe la causa prima. Ma che esiste la causa prima è proprio ciò che si deve dimostrare e quindi non lo si può postulare o dare come presupposto. È vero comunque che Tommaso rifiuta il processo all’infinito, perché altrimenti non ci sarebbero gli effetti. Ma che ci sia la causa prima è proprio ciò che bisogna dimostrare ed Tommaso del resto altrove lo fa elegantemente senza bisogno di ricorrere a quel mezzo, applicando il principio di causalità in modo analogico, come suggerisce Sap 13,5. Ciò che la ragione legittimamente chiede è l’esistenza di una causa che sia solo causa, perché una causa causata non dà sufficientemente ragione del’effetto.

È vero che se non ci fosse una causa prima, tutte le cause causate sarebbero annullate. Siccome invece esistono, occorre ammettere una causa prima. Questo ragionamento va bene. Ma non è necessario ipotizzare il regresso all’infinito, perché questa è un’immagine matematica, non è un concetto metafisico.

Il discorso vero da fare, allora, come ci è indicato dalla Scrittura, è semplicemente quello di passare dalla causa seconda alla causa prima, dalla opera fatta al suo fattore senza che occorra mettere in mezzo una serie di cause sovraordinate più o meno lunga, precisando che dev’essere finita. Il nostro esistere, non essendo fondato su se stesso, non dipende da noi, ma da Dio. La prova rigorizzata dell’esistenza di Dio è tutta qui.

Certo, ciò che questa prova richiede è il senso dell’essere, richiede che sia nota la differenza tra l’esse a se e l’esse ab alio, tra l’essere per essenza e l’essere per partecipazione, tra l’essere necessario e l’essere contingente, tra l’ente e l’ipsum Esse, tra l’essere in quanto essere e l’essere divino.

Se abbiamo una nozione parmenidea dell’essere, non occorre dimostrare che Dio esiste, giacchè nell’essere parmenideo c’è già tutto; esso è già Dio. Semmai si tratta di dimostrare che qualunque cosa al di fuori di Dio è assurdità e contraddizione. Il discorso di Bontadini in fondo è questo. Ma è questa la vera prova dell’esistenza di Dio creatore del mondo?

La metafisica si occupa dell’infinito reale, ontologico, esistenziale, perfettivo e qualitativo, non dell’infinito numerico, quantitativo, astratto, che è oggetto dell’immaginazione matematica. La scienza fisica sperimentale non conosce se non quantità materiali misurabili, temporali e finite.

L’idea di un tempo infinito o di una quantità numerica infinita di effetti e di cause successivi nel tempo non è una realtà possibile o attuale, ma è una pura immaginazione matematica, che non può entrare nel ragionamento metafisico, che è scienza della realtà.

Bisogna dunque dire che su questo punto ha ragione San Bonaventura contro San Tommaso nel sostenere che l’inizio del tempo non è solo un dato di fede, ma anche di ragione, perché il tempo reale (e non quello immaginario) è per sua natura, secondo il dato della cosmologia, tempo che ha un inizio, uno svolgimento e una fine, e come tale va considerato dalla metafisica e dalla teologia.

Immaginare anche solo come possibile un mondo esistente da un tempo infinito con la relativa successione temporale infinita delle cause vuol dire non sapere che cosa è il tempo reale e trasformarlo in un’idea; è un’intrusione dell’immaginazione matematica nel terreno della metafisica, è un’intrusione dell’ideale nel reale. È un porsi soltanto nel mondo delle essenze astratte anzichè dell’esistente concreto e reale. In questa questione Bonaventura mostra un senso del concreto e della storia che in questo caso manca a San Tommaso.

La quantità infinita è oggetto soltanto dell’immaginazione. La quantità reale, oggetto della fisica, è sempre finita e determinata, calcolabile e misurabile[2]. Lo stesso dicasi, di conseguenza, per la durata temporale. Un tempo infinito si può immaginare, ma non si può sperimentare, quindi non può esistere. Su ciò Bonaventura aveva ragione. Non è vero, quindi, che se Dio avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo esistente da un tempo infinito.

Nella retrocessione sovraordinata delle cause nell’essere certamente occorre fermarsi a una causa prima, come pure aveva capito Aristotele col suo assioma ananke stenai. Ma occorre fermarsi anche nelle cause del divenire e del moto, nella retrocessione temporale.

È vero che Dio ha dato inizio al tempo quando ha voluto, poteva farlo iniziare o prima o dopo. Ma comunque non poteva non farlo iniziare a causa dell’intrinseca finitezza del tempo, come intuì Bonaventura. Su ciò Bonaventura ha ragione. La metafisica considera il tempo reale, non quello immaginario. Il tempo è accidente della sostanza materiale generabile e corruttibile e quindi inizia e finisce con lei.

 Altro discorso va fatto per il tempo escatologico, oggetto della rivelazione cristiana. Ma qui siamo su di un piano ontologico superiore, che avvia una temporalità incessabile, trascendente e misteriosa, solo analogicamente simile a quella alla quale siamo abituati nella vita presente.

San Bonaventura non aveva torto quando mostrava la sua preoccupazione che l’ipotizzare la possibilità che Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo esistente ab aeterno, a somiglianza della concezione aristotelica del cosmo esistente ab aeterno, faceva correre il rischio di assimilare troppo il mondo all’eternità divina con la conseguenza di divinizzare il mondo

La fisica moderna conferma la concezione di San Bonaventura, in quanto, calcolando all’indietro nel tempo la velocità dell’espansione dell’universo nello spazio supposta costante, si è potuta formulare l’ipotesi di quando l’universo avrebbe iniziato questo moto di espansione a partire da un nucleo originario di materia di piccolissime dimensioni, ma ad alta concentrazione e di alto potenziale energetico e forte spinta evolutiva. Il risultato di questo calcolo è che l’universo avrebbe 14 miliardi di anni.

Inoltre, per dimostrare l’esistenza di Dio è sufficiente la distinzione fra causa prima (persona divina) e causa seconda (persona creata). E naturalmente occorre il fondamento ontologico formato dalle coppie essere-mobile essere immobile, essere-per-essenza essere-per-partecipazione, essere-inerente essere- sussistente, essere-necessario essere essere-contingente, essere-minimo essere massimo, essere-temporale essere-eterno, essere-mutabile essere-immutabile, essere-finito essere-infinito, essere-causato essere-incausato.

La rigorizzazione del discorso tomista richiede dunque la messa da parte dei suddetti schemi di immaginazione matematica, che costituiscono un’indebita interferenza, fanno deviare il pensiero verso ipotesi impossibili, avvicinandolo all’idealismo, appesantiscono, complicano ed oscurano la straordinaria robustezza metafisica ed esistenziale dell’argomentare tomista.

La vera rigorizzazione consiste inoltre nell’accentuare e sottolineare l’elemento personalistico presente in Sap 13, 5, dove si parla di Dio assimilandolo a un «artefice». L’ipsum Esse deve apparire come somma ed assoluta personalità, della quale la persona umana è immagine analogica, perché l’uomo – uomo e donna – sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 29 febbraio 2024

 

Sequeri sembra far proprio qui l’errore bontadiniano di respingere il concetto del nulla con la conseguenza di non intendere il dettato del dogma della creatio ex nihilo.

Per avere un concetto del nulla occorre distinguere l’essere dall’esistere.

Contradditorio è dire che l’essere è il non-essere. Questo lo diciamo in base al principio di non-contraddizione scoperto da Parmenide. Qui Bontadini, seguendo Parmenide, che fu del resto seguìto anche da Aristotele, ha perfettamente ragione. Nessun teorema sulla creazione potrà mai contravvenire a questo principio, se non vuole essere un’assurdità. Severino accusa il dogma di essere un’assurdità e per conseguenza accusa il cristianesimo di follia e di nichilismo, perché non distingue l’esistere dall’essere, il possibile dall’attuale, l’atto dalla potenza, l’essenza dall’essere.

La rigorizzazione del discorso tomista su questi temi comporta a mio avviso da una parte la maggior messa in luce, conformemente all’insegnamento biblico, del fatto che la dimostrazione dell’esistenza di Dio è sostanzialmente un passaggio della ragione mediante il principio induttivo di causalità, dall’ente temporale, ente per partecipazione o contingente, all’essere sussistente, «Colui Che È».

Quindi si tratta di scoprire sì un Dio causa prima, motore immobile, essere necessario, ente supremo, fine ultimo e sommo bene, ma soprattutto un Dio personale, un «artefice», del quale l’artefice umano è un’immagine, insomma un soggetto personale dotato d’intelletto e di volontà, che ha ideato l’opera e la mette in esecuzione. Questo è il concetto giusto di creazione.

Immagine da Internet:
- Gustavo Bontadini

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  1. Sono pienamente d'accordo con l'impossibilità metafisica della creazione "ab aeterno", che è sempre stata una cosa che mi ha lasciato perplesso, provenendo da una mente superiore, come quella di San Tommaso. Si tratta chiaramente di una nozione che implica una contraddizione in termini, dato che, ad esempio, nel caso supposto di un numero infinito di giorni "a parte ante", si potrebbe sempre aggiungere un'unità aggiuntiva, cioè l'infinito numerico attuale è un impossibilità metafisica. Diverso è il caso del numero a durata indefinita "a parte post" -infinito solo in quel senso, cioè senza fine-, che non comporta contraddizione logica o metafisica. La stessa cosa: immaginare una serie infinita nella generazione di persone –tutte immortali–, invitate a iscriversi in un ipotetico albero genealogico, dal più vecchio al più giovane, questo sarebbe irrealizzabile perché assurdo. Pertanto, in termini assoluti -"de jure"-, la ragione è capace di dimostrare, non solo la creazione "ex nihilo", ma anche la sua finitezza sul piano temporale. Il che, ovviamente, non significa che, senza l’ausilio dei dati rivelati, l’uomo avrebbe potuto giungere ad una conoscenza "di fatto" di questa verità filosofica, data la condizione di natura decaduta in cui si trova l’umanità, con le sue diverse conseguenze invalidanti. conseguenze, sia intellettuali che morali…

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    1. Caro Alessandro,
      io direi che l’ipotesi di una retrocessione temporale quantitativa sia infinita che indefinita, quindi questa esistenza del mondo ab aeterno, è un’ipotesi che confonde il sapere fisico con l’immaginazione matematica. Infatti, già Aristotele, seguito da San Tommaso, afferma giustamente che in base all’esperienza non ci è dato di trovare una quantità continua o discontinua infinita o indefinita, sia sul piano temporale che sul piano spaziale.
      Ora, San Bonaventura si basa giustamente su questa constatazione sperimentale per contestare a San Tommaso la stessa possibilità di un mondo esistente ab aeterno.
      Per questo io direi che questa esistenza ab aeterno non è un concetto contradditorio, tanto è vero che il concetto dell’infinito o dell’indefinito è normale in matematica. Il difetto del ragionamento di San Tommaso, come ho detto in precedenza, per quanto ciò possa sorprenderci in un realista come San Tommaso, è quello di una interferenza dell’idealità matematica nell’analisi dell’ente temporale.
      Per riassumere la differenza tra la posizione di Bonaventura e quella di Tommaso, Tommaso dice che, se Dio avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo esistente da un tempo infinito. Invece Bonaventura sostiene che un tempo infinito non può esistere, perché, in base alla nostra esperienza, la creatura materiale possiede una quantità finita sia nello spazio che nella successione temporale.
      Quindi, per Bonaventura è impossibile che esista una successione temporale di creature, tesi questa riconducibile all’impossibilità di una quantità reale infinita, perché la quantità infinita è oggetto della matematica e non della fisica.

      Per quanto riguarda il futuro, da come ho capito, lei mette in gioco sia il progetto edenico che il progetto cristiano e parla di una successione di generazioni.
      Per quanto possiamo saperne, se avesse funzionato il piano edenico ci sarebbe stata una successione di persone immortali, probabilmente secondo un numero indefinito di generazioni, giacchè è chiaro che, se Dio vuole, può sempre aggiungere un’unità ad un certo numero, creando una nuova creatura.
      Per quanto riguarda invece il piano cristiano, che è quello che si sta effettivamente realizzando, la prospettiva è quella della resurrezione, nella quale il succedersi delle generazioni è cessato. Che dire qui, a proposito del futuro? Gesù parla di una vita eterna. Questo significa che tutti i beati saranno immortali.
      Considerando il fatto che l’anima è immortale, e che fruisce della partecipazione della vita divina, dobbiamo pensare che Dio onnipotente farà in modo che anche i corpi avranno una durata infinita. Come ciò sia possibile, non lo sappiamo, perché, secondo la nostra esperienza in questo mondo, ogni corpo ha una durata finita.

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  2. Osservo, padre Cavalcoli, che lei non fornisci alcun argomento che confuti ciò che sostiene San Tommaso in S. l. E del mondo. Né fornisce alcun argomento solido a favore di san Bonaventura. Dice semplicemente che la fisica (quale fisica?), e presumo si riferisca al secondo principio della termodinamica e alla conseguente entropia, milita contro l'argomentazione. Ma queste non sono ragioni metafisiche. La ragione non può dimostrare che Dio non abbia creato il mondo ab aeterno. L'argomento ridicolo dell'albero genealogico è ripreso anche da San Tommaso nel suddetto libretto.
    Averroes

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    1. Caro Anonimo,
      San Bonaventura fa notare che non può esistere una quantità infinita o un numero infinito di sostanze reali create, spirituali e materiali, fisiche e sperimentabili. Infatti, osserva San Bonaventura, la quantità infinita è solo immaginabile, ma non sperimentabile.
      L’ipotesi di una esistenza del mondo ab aeterno, cioè da un tempo infinito, comporterebbe una quantità successiva di cose o di cause infinita. Ora, continua San Bonaventura, una simile quantità non può esistere, dunque Dio non potrebbe creare un mondo esistente ab aeterno, anche se lo volesse.
      Che cosa dice San Tommaso? Che le essenze delle cose, materiali e spirituali, sono enti semplicemente intelligibili, indipendentemente dalla quantità ovvero dallo spazio-tempo.
      Bonaventura obietta che nella realtà non esistono delle pure essenze di quantità infinita, ma, anche se si trattasse degli angeli, il loro numero, per quanto numerosi, è di una entità limitata.

      Esaminiamo a questo punto la sua tesi: “La ragione non può dimostrare che Dio non abbia creato il mondo ab aeterno”.
      Dunque lei intende dire che Dio ha creato il mondo ab aeterno e la ragione non può dimostrare il contrario.

      Dico invece che non si può dimostrare che il mondo esiste ab aeterno, ossia da un tempo infinito.
      Con la ragione si dimostra che il mondo ha avuto un inizio ontologico, cioè che è stato creato da Dio, per cui il mondo non ha in se stesso la sua ragione d’essere, perché non è di natura divina.
      Se poi prendiamo in considerazione solamente l’azione divina, si può dire che Dio, essendo Atto Puro, ha creato il mondo spirituale e materiale con un unico atto, al di fuori dello spazio-tempo, che sono effetti dell’atto creativo.
      Ma, dal punto di vista della realtà creata, che non è di natura divina, è chiaro che tutta la creazione ha avuto un inizio ontologico e reale, perché anche il tempo-spazio è una realtà creata e quindi la numerazione degli enti creati non va all’infinito.
      Sappiamo che gli enti spirituali, angeli e anime umane, hanno avuto un inizio ontologico, cioè sono stati creati ed hanno iniziato ad esistere, perché creature, ma che vivranno in eterno.

      Per quanto riguarda la sua affermazione: “Dice semplicemente che la fisica (quale fisica?), e presumo si riferisca al secondo principio della termodinamica e alla conseguente entropia, milita contro l'argomentazione. Ma queste non sono ragioni metafisiche.”
      Io dico semplicemente che San Bonaventura fa presente che, dal punto di vista fisico, cioè sperimentale, noi non conosciamo delle quantità o dei numeri infiniti. Da qui l’impossibilità di una quantità o successione o numerazione infinite andando indietro nel tempo, cioè non può esistere un tempo infinito nel passato e quindi Dio non può crearlo.
      È vero che stiamo trattando di metafisica, tuttavia quando si tratta del problema della creazione non possiamo limitarci alla questione metafisica dell’inizio ontologico del mondo, ovverosia della causa dell’essere del mondo, ma, siccome il mondo comporta una pluralità di enti sia nello spazio che nel tempo, è inevitabile che la questione della creazione prenda in esame anche il problema se il mondo possa esistere da un tempo infinito. In poche parole, il tempo-spazio è una realtà creata e non è di natura divina.

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    2. Buon padre Cavalcoli, nessuno parla della pluralità degli enti infiniti. Né sostengo l'eternità del mondo, il che è contrario alla fede. Dico con San Tommaso che la ragione non può dimostrare che il Mondo sia stato creato nel tempo. Nient'altro. E se qualcuno sostiene che infinite epoche passate non possono essere concepite, ebbene, vedrà se stesso in figurine quando la fede gli dice che verranno infinite epoche future. San Bonaventura usa un dato di fede, l’accoglienza, per san Tommaso l’idea della creazione (come osserva acutamente Sertillanges) è indipendente dal tempo e affonda le sue radici nella dipendenza ontologica della creatura.

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    3. Buon padre Cavalcoli, nessuno parla della pluralità degli enti infiniti. Né sostengo l'eternità del mondo, il che è contrario alla fede. Dico con San Tommaso che la ragione non può dimostrare che il Mondo sia stato creato nel tempo. Nient'altro. E se qualcuno sostiene che infinite epoche passate non possono essere concepite, ebbene, vedrà se stesso in figurine quando la fede gli dice che verranno infinite epoche future. San Bonaventura usa un dato di fede, l’accoglienza, per san Tommaso l’idea della creazione (come osserva acutamente Sertillanges) è indipendente dal tempo e affonda le sue radici nella dipendenza ontologica della creatura.
      Caro anonimo,
      innanzitutto le faccio presente che San Tommaso non sostiene che “la ragione non può dimostrare che il mondo sia stato creato nel tempo”, ma insegna che noi sappiamo che il tempo ha avuto un inizio soltanto dalla fede, perché, se Dio avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo esistente da un tempo infinito.
      Ora, Bonaventura osserva che l’esperienza fisica non ci dà l’esistenza di quantità numeriche infinite e quindi di conseguenza appare impossibile l’esistenza di una successione infinita di cause e di enti retrocedendo infinitamente nel tempo. Quindi per Bonaventura si può dimostrare razionalmente che il tempo ha avuto un inizio.
      In secondo luogo è molto interessante confrontare quanto la rivelazione ci dice sul passato del mondo e quanto ci dice sul futuro. Mentre, per quanto riguarda il passato, la fede ci dice che il tempo ha avuto un inizio nel passato, per quanto riguarda il futuro dei nuovi cieli e della nuova terra e dell’umanità beata risorta, quello che sappiamo è che queste realtà continueranno ad esistere, ma le loro qualità ci restano del tutto misteriose. Mi riferisco in modo particolare a quella che è la quantità dimensiva, numerica e successiva degli enti, soprattutto di quelli materiali.
      D’altra parte sappiamo che inizierà una nuova storia, che non avrà fine, perché sarà la realizzazione della vita eterna. Quello che resta del tutto misterioso è come potrà esistere una quantità successiva infinita e come potranno esistere corpi, che non possiedono dimensioni e spazialità così come nella vita presente noi abbiamo esperienza dei corpi tridimensionali collocati nello spazio-tempo.
      Per quanto riguarda la dipendenza ontologica della creatura dal Creatore, su questo punto San Tommaso è d’accordo con San Bonaventura, perché qui siamo davanti a un dato metafisico per il quale siamo obbligati a sostenere che l’ente contingente dipende dall’ente necessario, che l’ente, che non ha in sé la ragione del suo essere, ha la sua ragion d’essere in un ente che ha in se stesso la ragione del suo essere e che l’ente che esiste per partecipazione dipende da un ente che è l’essere per essenza.
      Ora, bisogna considerare che Dio è il Creatore anche del tempo, per cui si pone il problema se possa esistere un tempo infinito nel passato. Tommaso ammette questa possibilità, perché osserva che le essenze create di per sé sono indipendenti dal tempo.
      Tuttavia bisogna tenere presente che le essenze sono indipendenti dal tempo solo nello stato di universalità astratta presente nella mente, mentre fuori della mente esse sono soggette ad una durata e sono collocate nel tempo-spazio.
      Ora tutto ciò pone la questione della quantità ovvero del numero. Infatti nella realtà le essenze esistenti, sia successive nel tempo che presenti nello spazio, esistono in una data quantità di per sé finita.
      C’è da osservare inoltre che considerare queste essenze al di fuori dello spazio-tempo può significare che queste essenze create sono solo in potenza, in attesa di ricevere l’essere per partecipazione.
      Quindi, per esprimerci in modo figurato possiamo dire che Dio prima crea l’essenza, che è una potenza, e poi la completa con l’essere o l’esistenza, che è l’atto della potenza.
      Una volta creata la sostanza, Dio aggiunge gli accidenti, tra i quali c’è lo spazio-tempo, in modo tale che non è concepibile una sostanza creata che non sia nello spazio-tempo.

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    4. Insisto: non confuta gli argomenti di san Tommaso nel suo libretto sull'eternità del mondo. Al contrario, ricorre a una bizzarra dissezione dell'ente, spennandolo come una gallina negli ultimi due paragrafi del suo commento. Leggete l'opuscolo di San Tommaso e poi confutatelo di conseguenza.

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    5. Caro Anonimo,
      conosco bene questo opuscolo di San Tommaso, e le ripeto che egli, rifacendosi ad Aristotele, cita il fatto che le essenze come tali sono indipendenti dallo spazio-tempo.
      Questo è vero, sennonché la questione se Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto creare un tempo infinito nel passato, non coinvolge soltanto le essenze, ma anche le esistenze concrete, perché gli enti sono un composto di essenza e di esistenza, per cui non basta considerare le essenze, ma anche gli accidenti spazio-temporali, che sono connessi con l’esistenza.
      Ora, questi accidenti coinvolgono una quantità finita, per cui andando indietro nella quantità di tempo, questa quantità è necessariamente limitata in connessione con la quantità limitata del numero delle cause e degli enti.
      Diversa è la considerazione da fare per quanto riguarda il futuro, perché, in questo caso, non siamo davanti ad una realtà semplicemente accessibile alla ragione e all’esperienza, ma ad una rivelazione che oltrepassa la nostra comprensione razionale, per cui qui le categorie della quantità, del numero e dell’estensione assumono un aspetto misterioso non comparabile al modo col quale noi adesso concepiamo queste categorie.

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    6. Egli continua a ragionare dalla parte dell'infinito, che non è il centro del ragionamento di San Tommaso. E nel suo ultimo paragrafo lei ricorre al deus ex machina, perché ostacola la sua argomentazione, facendo appello a un “oltre la comprensione razionale”. Preparo lo spezzatino, lo cucino, lo mangio.

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    7. Caro Anonimo,
      San Tommaso fonda la giustificazione della possibilità di un tempo passato senza inizio facendo ricorso alla dottrina aristotelica dell’essenza universale astratta.
      Queste sono le sue parole: “Ogni cosa, secondo la ragione della sua specie, astrae dal qui e dall’adesso, per il fatto che gli universali sono dovunque e sempre.” (Somma Teologica, Parte I, questione 46, articolo 2).
      Da qui si vede bene che Tommaso prescinde dallo spazio e dal tempo, appunto perché l’essenza universale astrae dallo spazio e dal tempo.
      Da questa impostazione viene necessariamente la conseguenza della possibilità di retrocedere nel tempo infinitamente, per il fatto che le essenze sono fuori del tempo. Ora, le entità reali materiali sono temporali.
      C’è da osservare inoltre che in queste condizioni siamo obbligati ad ammettere una successione infinita di cose o di cause. In questo senso Tommaso fa riferimento all’infinito quantitativo, che non è oggetto della fisica, ma della matematica. Ora, qui si tratta di conoscenza del mondo fisico e non di matematica.

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    8. Il mio riferimento al futuro escatologico non ha nulla a che vedere con il Deus ex machina, ma si riferisce alla glorificazione dell’uomo, che è effetto della grazia della figliolanza divina.
      Secondo la fede cristiana l’uomo, salvato da Cristo, ha davanti a sé la prospettiva futura di una nuova storia, che è quella dei figli di Dio glorificati dalla vita eterna. In queste condizioni possiamo parlare di una infinità temporale futura, anche se questo concetto supera la comprensione della nostra ragione, la quale concepisce soltanto quantità determinate e non è in grado di capire come possa esistere una quantità estensiva e successiva infinita, qual è quella che risulta dal dato rivelato.

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  3. Ho l'impressione che lei non comprenda appieno l'approccio di De aeternitate mundi. San Tommaso si chiede se Dio potrebbe fare un Mondo senza inizio, e dice di sì, perché non c'è ripugnanza tra l'idea di un Mondo creato e un mondo eterno, basando la sua argomentazione sul fatto che Dio come causa è immediato a il suo effetto, uno. E due, la non precedenza del nulla al momento della creazione, perché il nulla non è qualcosa che “esisteva” prima di essere. L'obiezione all'infinità delle anime o essenze appare alla fine, e con buon senso san Tommaso obietta che non è necessario che le essenze siano sempre esistite e Dio le abbia fatte apparire in un dato momento, supponendo che l'infinito avvenga nel tempo, non in atto. E inoltre non è dimostrato che Dio non possa creare un infinito in atto. Lo sforzo di questo san Tommaso maturo è ciclopico, perché la sua meditazione metafisica è di enorme acutezza, poiché riesce, senza cadere nel volontarismo occamiano, a delineare la portata infinita della potenza divina. Naturalmente, indipendentemente dai dati rivelati, come lo era Aristotele. Siamo di fronte a un'analisi profondamente teocentrica, focalizzata sulla trascendenza e sulla potenza di Dio che non può creare l'assurdo. Ma questo non è assurdo, dimostra san Tommaso, anche se non è stato ciò che Dio ha fatto. Il che accentua anche la liberissima disposizione della sua Volontà.
    Questa separazione tra creazione e tempo è estremamente importante nel tomismo (cfr. Sertillanges, ¨L'idea della creazione in San Tommaso¨).

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    1. Caro Anonimo, rispondo secondo i punti che lei tratta.
      1)
      E’ vero che Tommaso mette in evidenza che l’atto creativo è istantaneo e non comporta movimento, per cui la causa è a sua volta eterna e istantanea. In base a questo fatto, Tommaso sostiene giustamente che Dio Creatore non precede nel tempo l’effetto del suo atto. In base a ciò Tommaso sostiene questa possibilità che il mondo esista da sempre, se Dio lo avesse voluto.
      Ora, a questa posizione di Tommaso, Bonaventura osserva che un tempo infinito nel passato è impossibile, perché non può realmente esistere un numero o una quantità o una successione di enti infiniti. Da qui la necessità che il tempo abbia un inizio, perché altrimenti dovremmo sostenere che Dio crea qualcosa di contradditorio.
      Per quanto riguarda la tesi di Tommaso secondo cui “non c’è ripugnanza tra l’idea di un Mondo creato e un mondo eterno”. Ora, qui Tommaso, come risulta dalle sue parole nella Somma Teologica, 1,q.46,a.2, che le ho citato, prende in considerazione soltanto la essenza astratta, che prescinde dal tempo, ma in queste condizioni è facile immaginare un tempo che retrocede all’infinito. Siamo soltanto sul piano delle idee.

      2)
      Sono pienamente d’accordo che non si può concepire nulla come un tempo precedente all’atto creativo, ma ciò non è sufficiente per escludere la possibilità di una retrocessione temporale infinita.
      Al contrario, come osserva San Bonaventura, tale retrocessione è impossibile, perché è impossibile un tempo infinito nel passato.
      Perché è impossibile? Perché il tempo, in fisica, è un accidente della sostanza, la quale ha un inizio temporale, cioè non esiste da sempre.
      Che Dio abbia creato il mondo dall’eternità non equivale a dire che il mondo è eterno, perché il mondo è sempre e comunque una realtà creata, cosa che richiede sempre un inizio nell’esistenza.

      3)
      San Tommaso riprende l’osservazione di Aristotele, in base alla quale l’esperienza ci dice che non esiste un numero o una quantità o una successione infinita. Questi sono solo concetti matematici, che non possono entrare nella fisica.

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    2. Amico mio, finisce per essere d'accordo con me: dice che Dio può creare un futuro infinito, e infatti lo farà. Allo stesso modo, Dio potrebbe creare un passato infinito, il fatto che sia passato non significa che Dio avrebbe potuto disporre le cose in quel modo. Infatti gli angeli, che sono pure sostanze immateriali, potrebbero essere stati creati ab aeterno. Sappiamo che non è stato così. Ma avrebbe potuto essere così, da parte della potenza divina.
      "Potrebbe", ci dice la fede, che un inizio c'è stato. Ciò che San Tommaso vuole affermare in questo opusculo è che, nella misura in cui non esiste ripugnanza logica tra due concetti, Dio può tutto. Tra i nominalisti e Bonaventura, che vuole costringere la ragione a dare ciò che solo la fede dà, c'è san Tommaso. E inoltre, riprende brillantemente l'idea della creazione dell'inizio temporale, fondamentale per una metafisica dell'ente contingente e dell'atto puro.

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    3. «Perché è impossibile? Perché il tempo, in fisica, è un accidente della sostanza, che ha un inizio temporale, cioè non è sempre esistito." Qui vedo nel tuo ragionamento una questione che pone una domanda. Non mi convince.

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    4. Caro Anonimo,
      bisogna distinguere in Dio la sua potenza creatrice della natura e la potenza creatrice della grazia. Quando San Tommaso si pone il problema di sapere se il mondo potrebbe esistere da sempre, considera soltanto il livello ontologico della natura, e San Bonaventura fa lo stesso.
      I due teologi sono in contrasto su questo piano, che è puramente metafisico e prescinde dalla considerazione del futuro escatologico dell’uomo, in quanto relativo allo stato di gloria dei figli di Dio nella vita eterna.
      Ora, su questo piano ha ragione San Bonaventura, per il semplice motivo che non può esistere una quantità numerica reale, e quindi successiva, infinita. L’infinito esiste solo in matematica e non nel mondo fisico.
      Invece, se prendiamo in considerazione la gloria futura, qui subentra un elemento nuovo da prendere in considerazione e cioè dobbiamo tenere presente che il dono della grazia fa sì che la creatura diventi partecipe della vita divina e quindi venga in qualche modo divinizzata.
      Ora, siccome la grazia è una vita divina e la vita divina è infinita, allora in un certo modo si può parlare di un futuro infinito, che è ciò che Gesù Cristo chiama “vita eterna”.
      Un problema che adesso si potrebbe porre è quello di chiederci come concepire l’immortalità delle anime e l’eviternità degli angeli. Siamo qui davanti a una durata futura infinita? Sì, ma in che modo? Come concepire questa infinità? In modo quantitativo? Non lo sappiamo. Siamo davanti a un mistero di fede, che ci sarà svelato solo in paradiso.
      Altra domanda che potremmo porci è la seguente: se Dio avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo in grazia esistente da sempre? In questo caso, dovremmo dare ragione a San Tommaso, però precisando che non ci si deve fermare alle essenze, ma si deve considerare anche il tempo e l’eviternità.
      Da questo punto di vista rimane valida la critica di Bonaventura, anche se a lui, come a Tommaso, non è mai venuto in mente di porsi la domanda che ci siamo posti noi, perché essi si fermano soltanto a considerare ciò che Dio avrebbe potuto fare nel creare la natura e non hanno pensato a quello che avrebbe potuto fare nel creare la grazia.

      Bisogna che ci intendiamo sulla onnipotenza divina. Un conto è la sua onnipotenza rispetto ai possibili e un conto è la sua onnipotenza rispetto ai reali. In altre parole, un conto è ciò che Dio può creare e un conto è ciò che Dio di fatto crea. Il problema che ci poniamo non riguarda la possibilità logica, cioè non si riferisce all’onnipotenza divina dal punto di vista logico di ciò che è semplicemente possibile, perché qui, ossia nell’essenza divina, il finito coincide con l’infinito: In Deo omnia sunt unum, come dice il Concilio di Firenze del 1439.
      In altre parole, qui siamo sul piano dell’astratto, mentre il nostro problema riguarda la realtà fisica e quindi siamo da capo a dover riconoscere che su questo piano neppure Dio può creare una quantità numerica infinita di creature, sia successivamente che simultaneamente.
      Quindi non basta la ripugnanza logica e ciò che può essere pensato o il puro possibile, ma occorre considerare la potenza reale di Dio, ossia ciò che Dio può realmente fare. Infatti San Bonaventura accusava la posizione tomista di sostenere che Dio possa fare una cosa reale contradditoria.

      Per quanto riguarda i nominalisti e San Bonaventura, conoscono anche loro la metafisica e l’utilità della ragione filosofica. Certamente Ockham fatica a dare un fondamento certo alla scienza e si affida alla fede. Ma Bonaventura ha un’indubbia percezione dell’oggettività della verità razionale, anche se certamente la metafisica di costoro non raggiunge in fatto di solidità e rigore l’elevatezza della metafisica tomista.
      Per quanto riguarda “una metafisica dell'ente contingente e dell'atto puro”, certamente essa serve a Tommaso per spiegare la dottrina della creazione.

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    5. Caro Anonimo,
      intendo dire che la sostanza fisica è soggetta al divenire e cioè ha un inizio, uno svolgimento e un termine. Il movimento comporta due termini: la partenza e l’arrivo. Inoltre la stessa cosa avviene anche per gli altri tipi del divenire: la trasformazione, la generazione, la corruzione, l’alterazione, la crescita, la diminuzione.
      Per quanto riguarda le sostanze spirituali, siccome sono composte di sostanza e di azione, la loro esistenza ha un carattere evolutivo comportante la successione di atti sia dell’intelletto che della volontà, mentre la durata della sostanza non ha termine, perché è una forma semplice e sussistente.
      Il principio primo dell’iniziare o cominciare dell’ente creato e il suo finire, che riguarda gli enti temporali corruttibili, è la loro composizione di essenza e di esistenza, nonché di sostanza ed accidenti, di materia e forma.

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  4. Quando parlo di deus ex machina intendo dire che per spiegare la fattibilità di un infinito (futuro), che secondo lei non sarebbe fattibile per gli stessi argomenti che usa per negare la fattibilità di un infinito passato, ricorre alla potenza divina, che è proprio ciò su cui fonda San Tommaso. Il suo deus ex machina è “supera la comprensione della nostra ragione”. Quando se gioca onestamente dovrebbe ammettere con San Tommaso che Dio può (anche se in realtà non lo ha fatto) creare un mondo infinito nel passato, perché può farlo nel futuro.

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    1. Caro Anonimo,
      per quanto riguarda la durata temporale, bisogna fare un discorso diverso per il passato e per il futuro.
      Mentre è impossibile un tempo infinito nel passato, è possibile un tempo infinito nel futuro. Ciò dipende che mentre nel passato noi abbiamo soltanto il dinamismo degli enti mondani, per quanto riguarda il futuro, secondo la fede cristiana, l’uomo come figlio di Dio si prepara quaggiù ad una vita futura gloriosa, che Cristo chiama vita eterna.
      Quindi la prospettiva escatologica è quella di una temporalità, perché ci sarà la resurrezione de corpo, ma questa temporalità sarà in qualche modo divinizzata in forza della partecipazione alla vita divina, assicurata dalla grazia.
      Se quindi possiamo essere certi che da un punto di vista filosofico non può esistere un tempo infinito e quindi il mondo non può esistere da sempre, dal punto di vista della fede possiamo ammettere un tempo futuro infinito, in quanto divinizzato dalla grazia, senza che peraltro in questa vita possiamo comprendere con la ragione come ciò sia possibile, ma siamo davanti a un mistero di fede, che ci sarà svelato solo nella visione beatifica.
      Posso aggiungere infine che è ovvio che non si può parlare di un tempo prima della creazione, dato che Dio ha creato il tempo dandogli un inizio. D’altra parte noi non possiamo non usare le categorie del prima e del poi, che di per sé si riferirebbero al tempo, tanto è vero che anche Cristo, in Giov. 17, parlando di Sé, dice: “Prima che il mondo fosse”. Dunque, di quale prima si tratta? Di un prima trascendentale, per esprimere il fatto che le cose nel venir create passano dal non-essere all’essere.

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    2. Amico mio, finisce per essere d'accordo con me: dice che Dio può creare un futuro infinito, e infatti lo farà. Allo stesso modo, Dio potrebbe creare un passato infinito, il fatto che sia passato non significa che Dio avrebbe potuto disporre le cose in quel modo. Infatti gli angeli, che sono pure sostanze immateriali, potrebbero essere stati creati ab aeterno. Sappiamo che non è stato così. Ma avrebbe potuto essere così, da parte della potenza divina.
      "Potrebbe", ci dice la fede, che un inizio c'è stato. Ciò che San Tommaso vuole affermare in questo opusculo è che, nella misura in cui non esiste ripugnanza logica tra due concetti, Dio può tutto. Tra i nominalisti e Bonaventura, che vuole costringere la ragione a dare ciò che solo la fede dà, c'è san Tommaso. E inoltre, riprende brillantemente l'idea della creazione dell'inizio temporale, fondamentale per una metafisica dell'ente contingente e dell'atto puro.

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    3. Caro Anonimo,
      bisogna distinguere in Dio la sua potenza creatrice della natura e la potenza creatrice della grazia. Quando San Tommaso si pone il problema di sapere se il mondo potrebbe esistere da sempre, considera soltanto il livello ontologico della natura, e San Bonaventura fa lo stesso.
      I due teologi sono in contrasto su questo piano, che è puramente metafisico e prescinde dalla considerazione del futuro escatologico dell’uomo, in quanto relativo allo stato di gloria dei figli di Dio nella vita eterna.
      Ora, su questo piano ha ragione San Bonaventura, per il semplice motivo che non può esistere una quantità numerica reale, e quindi successiva, infinita. L’infinito esiste solo in matematica e non nel mondo fisico.
      Invece, se prendiamo in considerazione la gloria futura, qui subentra un elemento nuovo da prendere in considerazione e cioè dobbiamo tenere presente che il dono della grazia fa sì che la creatura diventi partecipe della vita divina e quindi venga in qualche modo divinizzata.
      Ora, siccome la grazia è una vita divina e la vita divina è infinita, allora in un certo modo si può parlare di un futuro infinito, che è ciò che Gesù Cristo chiama “vita eterna”.
      Un problema che adesso si potrebbe porre è quello di chiederci come concepire l’immortalità delle anime e l’eviternità degli angeli. Siamo qui davanti a una durata futura infinita? Sì, ma in che modo? Come concepire questa infinità? In modo quantitativo? Non lo sappiamo. Siamo davanti a un mistero di fede, che ci sarà svelato solo in paradiso.
      Altra domanda che potremmo porci è la seguente: se Dio avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo in grazia esistente da sempre? In questo caso, dovremmo dare ragione a San Tommaso, però precisando che non ci si deve fermare alle essenze, ma si deve considerare anche il tempo e l’eviternità.
      Da questo punto di vista rimane valida la critica di Bonaventura, anche se a lui, come a Tommaso, non è mai venuto in mente di porsi la domanda che ci siamo posti noi, perché essi si fermano soltanto a considerare ciò che Dio avrebbe potuto fare nel creare la natura e non hanno pensato a quello che avrebbe potuto fare nel creare la grazia.

      Bisogna che ci intendiamo sulla onnipotenza divina. Un conto è la sua onnipotenza rispetto ai possibili e un conto è la sua onnipotenza rispetto ai reali. In altre parole, un conto è ciò che Dio può creare e un conto è ciò che Dio di fatto crea. Il problema che ci poniamo non riguarda la possibilità logica, cioè non si riferisce all’onnipotenza divina dal punto di vista logico di ciò che è semplicemente possibile, perché qui, ossia nell’essenza divina, il finito coincide con l’infinito: In Deo omnia sunt unum, come dice il Concilio di Firenze del 1439.
      In altre parole, qui siamo sul piano dell’astratto, mentre il nostro problema riguarda la realtà fisica e quindi siamo da capo a dover riconoscere che su questo piano neppure Dio può creare una quantità numerica infinita di creature, sia successivamente che simultaneamente.
      Quindi non basta la ripugnanza logica e ciò che può essere pensato o il puro possibile, ma occorre considerare la potenza reale di Dio, ossia ciò che Dio può realmente fare. Infatti San Bonaventura accusava la posizione tomista di sostenere che Dio possa fare una cosa reale contradditoria.

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    4. Per quanto riguarda i nominalisti e San Bonaventura, conoscono anche loro la metafisica e l’utilità della ragione filosofica. Certamente Ockham fatica a dare un fondamento certo alla scienza e si affida alla fede. Ma Bonaventura ha un’indubbia percezione dell’oggettività della verità razionale, anche se certamente la metafisica di costoro non raggiunge in fatto di solidità e rigore l’elevatezza della metafisica tomista.
      Per quanto riguarda “una metafisica dell'ente contingente e dell'atto puro”, certamente essa serve a Tommaso per spiegare la dottrina della creazione.

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