Fruizione ed astinenza - Considerazioni sulla vita ascetica

 

Fruizione ed astinenza

Considerazioni sulla vita ascetica

 

C’è un tempo per abbracciare

                                                                                                       e c’è un tempo per astenersi dagli abbracci

Qo 3,5

Perchè mi sono fatto frate nel 1971

Oggi è diffusa una concezione della vita cristiana per la quale, col pretesto che essa è basata sull’amore e la libertà, che il cristiano è una persona gioiosa e misericordiosa, inclusiva e comprensiva, che ognuno ha una sua propria via di felicità, che Dio dà grazia a tutti e ci prende come siamo, si rifiutano princìpi morali assoluti ed universali, si rifugge dal concepire la morale come obbedienza a una legge, come esercizio faticoso del dovere, e si rifugge in ogni modo dalla sofferenza, dallo sforzo, dalla fatica e dalla rinuncia.  Non ci si preoccupa di evitare il peccato perché si pensa che Dio perdona tutti. Non si è disposti ad evitare il peccato, se ciò comporta sofferenza. Da qui per esempio la legalizzazione dell’eutanasia. Il male non è il peccare, ma il soffrire.

Fuggire il male per i buonisti e gli edonisti non è fuggire il peccato, ma fuggire la sofferenza. Non si devono compiere azioni che costino o che comportino sofferenza, ma solo azioni che ci piacciono. Oppure si compiono grandi sacrifici per fruire di beni vani ed effimeri Concetti come espiazione, soddisfazione, riparazione, sacrificio per loro non hanno senso. Non si deve far soffrire nessuno. Pertanto, se esiste il peccato, questo è l’irrogare una pena, è il castigare qualcuno. Il male è credere che sia possibile volere e fare il male. Viceversa, tutti sono buoni: solo che hanno concezioni diverse del bene e del male. Bisogna lasciar libero ciascuno di seguire la propria morale.

Ora io non ho mai accettato queste idee, trovandole false. Per questo, in barba a questi lassisti e falsi cristiani, io mi sono fatto frate domenicano nel 1971. Feci questa scelta dando fiducia alle parole di Cristo, quando promette a chi ha lasciato tutto per Lui di ricevere già nella vita presente il centuplo di ciò che per amor suo si è lasciato, insieme con tribolazioni e in premio la vita eterna al di là della vita presente. 

A me è successo proprio così. Ho ricevuto da Dio anche di più di quanto mi aspettavo, immaginavo e mi attendevo. Quando non pensavo più a ciò che avevo lasciato e vivevo senza difficoltà in questo stato di astinenza, pienamente capace di dominare le mie pulsioni grazie al lungo esercizio ascetico e contento di ciò, ecco che Cristo stesso di sua iniziativa mi ha dato quel centuplo promesso, dandomi prova concreta della verità e attendibilità delle sue promesse.

Non ho mai sentito la concupiscenza alla maniera di Lutero o di Rasputin, come qualcosa di irresistibile, che quindi bisogna soddisfare perché comunque essa ci vince. E quindi mi sono guardato bene dal giustificare il rigetto di Lutero del voto di castità col pretesto dei bisogni fisici. Al contrario, ho sempre accolto e messo in pratica la concezione cattolica della castità e tuttora sono ben contento di essere rimasto fedele fino ad adesso al mio voto di religioso.

Frequentando il pensiero di Maritain e venendo a conoscenza della sua meravigliosa, quasi miracolosa sessantennale unione matrimoniale verginale con Raissa[1], ricchissima di frutti spirituali, una vera benedizione per la Chiesa, feci la scoperta del fatto che l’esser uomo non è l’essere singolo ma l’essere coppia. Come dice lo stesso San Paolo, non sia l’uomo senza la donna. Infatti l’individuo non è pienamente essere umano senza l’unione col sesso opposto, verginale o sessuale che sia.

Per questo Dio dice «non è bene che l’uomo sia solo». E per questo la castità non è virtù personale, ma virtù di coppia. Non si tratta solo di autocontrollo, ma di realizzare l’amore. Dio dice: «saranno una sola carne». L’amore richiede l’essere in due.

Capii inoltre che la coppia, per essere conforme al piano di Dio, non può porsi semplicemente sul piano umano e profano, ma dev’essere coppia consacrata[2], coniugale o religioso-religiosa che sia.

Fu così che nel 1970, laureandomi in filosofia a Bologna, sostenni una tesi nella quale, ispirandomi alla coppia profetica Maritain[3], ed avendo presente il programma di riforma del Concilio Vaticano II conclusosi da pochi anni, davanti al conturbante e deprimente spettacolo della cosiddetta «contestazione» del 1968, compresi che il rimedio alla «crisi dell’intellettuale nella società moderna» - tale era il titolo della mia tesi - è la coppia uomo-donna sul modello di Maritain, coppia evidentemente non necessariamente vergine, dato che qui si tratta di carisma rarissimo, ma è sufficiente quella ordinariamente coniugata.

Sognai per un momento di poter realizzare anch’io questo raro ideale. Ma, accortomi che il Signore non me lo concedeva e d’altra parte avendo capito bene il valore della vita religiosa, ad essa mi sentii chiamato, sicchè nel 1971 entrai in religione facendomi domenicano a Bologna.

Studiando la vita dei Santi, in particolare dei Padri e dei Dottori della Chiesa – sentivo infatti un ardente amore per la sapienza -, mi ero accorto dell’importanza del voto di castità per l’acquisto della sapienza e per ottenere la forma più alta della libertà spirituale e dell’unione con Dio. Compresi che il raggiungimento dell’esperienza mistica suppone una vita ascetica.

Il mio esempio restava comunque il matrimonio vergine di Jacques con Raissa. Certo una cosa apparentemente incongrua per uno che rinuncia al matrimonio per farsi frate. Sentivo invece che Dio avrebbe a suo modo da par suo soddisfatto questo nobilissimo desiderio, che Egli stesso aveva messo nel mio cuore.

Misi allora nelle mani di Dio questo desiderio di poter realizzare come Maritain una coppia consacrata, nella certezza che Dio, quando e come avrebbe voluto, mi avrebbe dato il centuplo di quello che per amor suo avevo lasciato. E intanto mi impegnai con tutto lo zelo possibile nella pratica delle osservanze della vita religiosa domenicana col suo taglio così fortemente intellettuale, proseguendo nella linea di pensiero che era stata alla base della mia tesi di laurea.

Studiando San Tommaso, del quale sono appassionatissimo discepolo dal 1960, mi accorsi di due cose[4]: prima, che egli concepisce l’essenza dell’unione coniugale indipendentemente dalla prospettiva procreativa, che può anche non esistere, come un’unione spirituale indissolubile fra uomo e donna; e seconda, che questa unione è destinata a ricomparire alla futura risurrezione dei morti, allorchè evidentemente l’aumento numerico della specie umana sarà cessato, ma non sarà cessato l’amore.

Il nuovo concetto wojtyliano della castità

Nel 1980 e nel 1982 pubblicai su questo argomento due articoli su Sacra Doctrina[5], il periodico dello Studio Teologico domenicano bolognese, dove insegnavo. La cosa fu notata dalla Segreteria di Stato, che mi assunse come officiale e collaboratore del Papa. Infatti le mie idee corrispondevano esattamente a quelle che San Giovanni Paolo II stava portando avanti alle Udienze generali dal 1979 e che terminarono nel 1983.

In queste Udienze il Papa presentava un nuovo concetto di castità che faceva riferimento alla nudità edenica e sottintendeva il superamento della vecchia concezione della donna, dominante da millenni, che faceva da supporto alla concezione della castità invalsa fino al suo tempo.

Questa concezione antifemminista non manca di agganci agli stessi Proverbi biblici e nei Padri della Chiesa, i quali non si accorgevano che queste cose sono estranee al vero contenuto della divina rivelazione. Si trattava di credenze legate alla mentalità antifemminista di allora, ma che però purtroppo furono interpretate come fossero Parola di Dio[6]. Per questo il pregiudizio antifemminista è stato durissimo da abbattere ed è tuttora presente anche in certi ambienti attuali che si ritengono progressisti.

Si trattava di una visione della donna del tutto negativa, tranne che si trattasse della madre prolifica ed economicamente redditizia, la donna abbassata alla stregua di un minore che dev’essere controllato e tenuto a bada, un soggetto qualificato come sensuale, impulsivo, emotivo, linguacciuto, volubile, tentatore, poco intelligente, inaffidabile, seduttore, insomma un soggetto pericoloso a tutti gli effetti per chi vuole intraprendere la vita ascetica e raggiungere l’esperienza mistica, un soggetto che quindi dev’essere tenuto lontano e trattato con freddezza e durezza, senza concedergli alcuna confidenza.  

Esisteva sì un culto altissimo della Madonna, ma ci si dimenticava che ella è donna, ed anzi si annullavano i segni della sua femminilità, così come si toglie dall’immagine di un Santo ciò che può apparire e essere impuro e sconveniente.

Viceversa San Giovanni Paolo II assume con franchezza la nuova visione della donna, quella veramente biblica, ricavata dalla Genesi, dall’Apocalisse e dagli insegnamenti di Cristo, visione già introdotta da Pio XII come compagna dell’uomo, di pari dignità personale e uguaglianza di natura, voluta da Dio affinchè tra i due esista una reciprocità su tutti i piani dell’esistenza e della socialità.

Quanto a San Tommaso, egli mi ha fatto capire altresì la distinzione fra la fruizione di certi beni nella vita futura e la loro astinenza nella vita mortale. La fruizione riguarda l’attuazione dei valori protologici culminanti in quelli escatologici.

L’astinenza invece è una pratica d’emergenza, necessaria ma provvisoria e temporanea giustificata dalle condizioni di miseria dell’attuale natura decaduta, nella quale, data la ribellione della carne allo spirito e la tendenza dello spirito a disprezzare la carne, lo spirito  può raggiungere il massimo delle sue forze, della sua libertà e dell’unione con Dio solo mediante la pratica di una moderata astinenza, che non danneggi o comprometta il soddisfacimento dei legittimi bisogni vitali essenziali, ma anzi che ne garantisca l’onesto e necessario soddisfacimento.

Nessun orgoglioso e ipocrita rigorismo, nessuna violenza o crudeltà sono permessi o ammissibili contro gli istinti e le passioni nella vera ascesi perché essi sono di per sé buoni e creati da Dio e quindi non vanno schiacciati col pretesto di dominarli, perché, come dimostrano Freud e l’esperienza di sempre, essi poi si vendicano e il soggetto, umiliato nel suo orgoglio, invece di elevarsi al livello dello spirito cade nella melma della carne e nei lacci del diavolo.

Ma la riproduzione della specie non è evidentemente uno di quei bisogni. Da qui la possibile utilità della rinuncia al matrimonio come pratica ascetica per una migliore unione con Dio. Si può vivere senza generare, ma non certo senza mangiare o senza dormire o senza riscaldamento o senza rapporti sociali. L’errore di Lutero fu quello di credere che non si può fare a meno di avere rapporti sessuali come non si può fare a meno di mangiare e di dormire.

Ecco dunque i digiuni, le mortificazioni, le veglie, la povertà, le penitenze, la solitudine, il silenzio, l’astinenza sessuale, tutte pratiche buone ed utili, anche se dolorose, nella presente condizione di natura decaduta, ma non tutte corrispondenti al piano escatologico di Dio. Quelle escluse da questo piano, come la separazione fra uomo e donna, la cosiddetta «clausura» saranno evidentemente assenti alla risurrezione.

Alcune pratiche infatti come la riproduzione della specie, l’alimentazione e il riposo, sono chiaramente legate alla vita presente. Altre pratiche, come il dominio sulla natura, la tecnologia, la socialità, la comunicazione linguistica, l’unione dell’uomo e della donna hanno un valore assoluto; sono proprietà del piano escatologico e pertanto le ritroveremo nella futura risurrezione.

L’istanza escatologica applicata al sesso è un’antica istanza della mistica russa. Lo slavo Wojtyla, conoscitore della mistica russa, ci ha offerto questa visione escatologica purificata da ogni sozzura luterana o kabbalistica. Bisogna pertanto dire a chiarissime lettere che la dottrina dell’unione escatologica non ha niente a che vedere con un’ipocrita copertura pseudomistica dei propri inconfessati bisogni libidinosi, ma si tratta di dottrina di fede che San Giovanni Paolo II ha messo in luce commentando il capitolo due della Genesi.

Non si deve quindi fare di questa dottrina, che apre ad un orizzonte escatologico finora ignorato la visuale tradizionale della castità limitata alla considerazione della sola vita presente, una lettura psicanalitica freudiana, ma una lettura genuinamente teologica.

Questa dottrina non nasce dalla libidine, ma è una deduzione squisitamente e rigorosamente teologica. Non è un trucco per giustificare le voglie segrete della concupiscenza, facendola apparire come sublime amore, ma al contrario nasce da un animo di credente e di Santo perfettamente casto, oltre a tutto Maestro universale della fede, quale altro non poteva essere quello di San Giovanni Paolo II. Ad alcuni, animi pii ma dalle vedute ristrette, queste idee sono apparse come demenziali o scandalose. Possiamo invece fidarci, dato che ci vengono dal Vicario di Cristo.

Per far luce su queste cose sorprendenti e quasi incredibili, per offrire un orizzonte di comprensione adeguato nel quale collocarle e per dare ad esse una plausibilità, bisogna che noi ci rifacciamo a quanto insegna San Paolo, quando dice che la vita presente è un passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, dall’uomo animale all’uomo spirituale, ossia dallo stato di natura decaduta alla natura redenta e da questa alla futura natura risorta, la «creatura nuova», che nasce col battesimo, per il quale rinasciamo come figli di Dio, ad immagine del Figlio, mossi  dallo Spirito Santo.

Secondo San Paolo la vita ascetica è una sistematica mortificazione dell’uomo vecchio fino a che avrà cessato di morire del tutto al momento della morte fisica. Le pratiche ascetiche peraltro vanno portate avanti fino a che l’uomo vecchio non sarà del tutto morto. Questo è il senso della promessa che noi religiosi facciamo al momento solenne dell’emissione dei voti, di conservare la pratica della castità usque ad mortem, finchè l’uomo vecchio non sarà del tutto morto.

La vita futura della risurrezione sarà la pienezza di una vita risorta che può e deve iniziare sin da quaggiù, sia pure in mezzo alle miserie della vita presente e alle pratiche ascetiche ad esse annesse. Si tratta di ciò che San Paolo chiama «primizie o caparra dello Spirito». È il centuplo promesso da Cristo per coloro che si fanno eunuchi per il regno di Dio, si tolgono un occhio o si tagliano una mano o un piede per non finire nella geenna, vendono tutto per acquistare la perla preziosa, lasciano tutto per seguire Cristo.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 agosto 2024

Festa del Santo Padre Domenico


San Giovanni Paolo II assume con franchezza la nuova visione della donna, quella veramente biblica, ricavata dalla Genesi, dall’Apocalisse e dagli insegnamenti di Cristo, visione già introdotta da Pio XII come compagna dell’uomo, di pari dignità personale e uguaglianza di natura, voluta da Dio affinchè tra i due esista una reciprocità su tutti i piani dell’esistenza e della socialità.

Quanto a San Tommaso, egli mi ha fatto capire altresì la distinzione fra la fruizione di certi beni nella vita futura e la loro astinenza nella vita mortale. La fruizione riguarda l’attuazione dei valori protologici culminanti in quelli escatologici.


Per far luce su queste cose sorprendenti e quasi incredibili, per offrire un orizzonte di comprensione adeguato nel quale collocarle e per dare ad esse una plausibilità, bisogna che noi ci rifacciamo a quanto insegna San Paolo, quando dice che la vita presente è un passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, dall’uomo animale all’uomo spirituale, ossia dallo stato di natura decaduta alla natura redenta e da questa alla futura natura risorta, la «creatura nuova», che nasce col battesimo, per il quale rinasciamo come figli di Dio, ad immagine del Figlio, mossi  dallo Spirito Santo.

 

Immagini da Internet:
- La Pala di Ognissanti di Ludovico Brea, Genova
 
 
 

[1] Vedi Jean-Luc Barré, Jacques e Raissa Maritain. Due intellettuali anarchici testimoni di Dio, Edizioni Paoline, Milano 2000; Nora Possenti Ghiglia, I tre Maritain. La presenza di Vera nel mondo di Jacques e Raissa, Edizioni Ancora, Milano 2000.

[2] Vedi il mio libro La coppia consacrata, Edizioni Viverein, Monopoli (BA) 2008.

[3] Caso rarissimo di coppia matrimoniale vergine, sul modello di Maria e Giuseppe. E infatti San Tommaso ne parla a proposito di quel matrimonio santissimo: Sum. Theol., III, a.2.

[4] Nell’articolo della Summa già citato.

[5] LA CONDIZIONE DELLA SESSUALITA’ UMANA NELLA RESURREZIONE SECONDO SAN TOMMASO, Sacra Doctrina, 92, 1980, pp.21-146; LA RESURREZIONE DELLA SESSUALITA’ SECONDO SAN TOMMASO, in Atti dell’VII Congresso Tomistico Internazionale a cura della Pontificia Accademia di San Tommaso, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1982, pp. 207-219.

[6] Così per esempio si credeva che la soggezione della donna all’uomo fosse una cosa naturale e non ci si rendeva conto che invece era una conseguenza del peccato originale.

9 commenti:

  1. Ho letto che l'Ordine domenicano attira ancora oggi (in questi ultimi anni, forse non tanto dopo il 68, immagino) non pochi giovani. Com'é la situazione in Italia e in Europa. Cosa deve fare un giovane che vorrebbe sapere se la propria vocazione é giusta? Grazie (lo chiedo a titolo e per informazione generale)

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    1. Caro Alessandro,
      effettivamente, almeno in Italia, noi Domenicani abbiamo una rifioritura di vocazioni molto consolante. Per quanto riguarda l’Europa non sento notizie molto confortanti, anche se confesso di non essere aggiornato. La mia è piuttosto un’impressione, considerando la decadenza morale che stiamo vivendo. Tuttavia, incoraggiato anche da Papa Francesco, sono fiducioso pensando anche al prossimo anno santo della speranza. Una cosa è certa, che la missione domenicana oggi è più che mai attuale.
      Il problema è quello di essere ascoltati, perché sono frequenti i soggetti che si atteggiano a protagonisti, quasi che la Chiesa dipendesse dalle loro false profezie.

      Per quanto riguarda giovani alla ricerca della loro vocazione, abbiamo delle case di accoglienza dove essi possono fare un’esperienza della nostra vita e, se si trovano bene, possono essere ammessi a fare un percorso di formazione.
      https://www.facebook.com/vitaefratrum

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  2. Caro padre Cavalcoli,
    tenendo conto di quello che lei chiama il nuovo concetto wojtyliano della castità, dovremmo allora parlare di una castità preconciliare e una castità postconciliare, come manifestazione delle riforme della Chiesa promosse dal Concilio Vaticano II?

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    1. Cara Caterina,
      è chiaro che la definizione della castità è sempre quella e cioè dominio razionale dell’istinto sessuale.
      Tuttavia San Giovanni Paolo II ci ha donato una concezione della castità più serena, più biblica, maggiormente riferita allo stato edenico e allo stato escatologico, una visuale che dal punto di vista filosofico utilizza più Aristotele e San Tommaso che non Platone e sant’Agostino. Che cosa voglio dire? Mi riferisco al fatto che mentre Platone oppone severamente la spirito al sesso, tanto che sembra che per liberare lo spirito occorra rinunciare al sesso, San Tommaso, che comprende maggiormente l’insegnamento di Cristo, senza negare il tradizionale ascetismo, mostra maggiormente come la volontà di Dio è quella di unire lo spirito al sesso, perché Dio ha creato l’uno e l’altro.

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  3. Caro padre Giovanni,
    vorrei chiedergli circa l'incidenza che potrebbe avere questa nuova concezione della vita verginale e celibataria sul problema dell'attuale discesa nelle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa.
    Dagli anni '70 - '80, quando lei ha cominciato a riflettere su queste cose, guidato dalle catechesi di san Giovanni Paolo II, in tutti questi decenni, è riuscito forse a vedere un legame tra la discesa delle vocazioni alla vita consacrata a Dio, fuori dal matrimonio, e la permanenza di un concetto sbagliato della vita celibataria?

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    1. Per dirlo in modo molto breve: capisco per concetto sbagliato di celibato la completa assenza della donna nella vita sacerdotale.

      Quando in realtà, se si intende che l'uomo è coppia ("non è bene che l'uomo sia solo"), per cui la vita di un uomo deve essere completata con la presenza della donna, e viceversa, anche se, naturalmente, trattandosi di vita celibataria, questa vita congiunta tra uomo-donna sarà vita vergine.

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    2. Caro padre Giovanni, caro fratello nel sacerdozio: ho detto qualcosa di inopportuno? C'è qualcosa di sbagliato nella mia concezione del celibato?

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    3. Caro Don Silvano,
      ho compreso che cosa lei intendeva dire con concezione sbagliata del celibato.
      Il riferimento biblico della reciprocità tra uomo e donna, che lei cita, è il fondamento e la giustificazione di quel rapporto tra uomo e donna, anche in clima di celibato, che si sta delineando oggi in modo particolare con riferimento alla questione del diaconato femminile.
      Ho trattato di questa questione nel mio articolo su questo tema, che ho appena pubblicato.

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    4. Caro Don Silvano,
      da quello che le ho appena detto dovrebbe ricavare che sono pienamente d’accordo con lei ed anzi le faccio i miei rallegramenti per questi suoi interessi, che sono in perfetta linea con quanto lo stesso Pontefice ci esorta a indagare in collaborazione con la donna, affinchè oggi nella Chiesa emerga con maggior chiarezza quella che è la funzione del carisma femminile in una Chiesa sinodale dove tutti ascoltano la voce dello Spirito Santo.

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