Un parere di Padre Tomas Tyn
sul Concilio Vaticano II
Prima Parte (1/2)
Mi è gradito presentare ai Lettori questo breve commento di Padre Tomas ad alcuni dei temi principali del Concilio Vaticano II, dove possiamo notare come il Servo di Dio si trovi in piena sintonia con gli insegnamenti del Concilio e ne faccia un riferimento perfettamente aderente ai suoi contenuti.
Padre Tomas ebbe dal Signore, come missione principale della sua testimonianza di teologo, quella di ricordarci alcuni temi della Tradizione, che nel periodo del postconcilio sono stati spesso dimenticati. Per questo lo si potrebbe qualificare come tradizionalista, ma in un senso pienamente cattolico.
E la cosa più interessante è che questo amore per la Tradizione in Padre Tomas si sposa benissimo con la totale docilità alle dottrine del Concilio, contrariamente a coloro che purtroppo o non hanno saputo capirle o le hanno travisate o in nome di un tradizionalismo indietrista o in nome di un pericoloso neomodernismo.
P. Giovanni Cavalcoli,
Fontanellato, 15 luglio 2014
Concilio
Bologna, 11 novembre 1985
Presso Istituto Tincani
Audio: http://youtu.be/FsfOJkdI-ck
Ben trovati, carissimi.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Ave, o Maria … Santa Maria … Amen.
Sede della Sapienza. Prega per noi.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Ecco carissimi. Così ci rivediamo in un nuovo anno accademico. Mi avete proposto dei temi molto interessanti, anche per il sottoscritto e cioè l’esposizione di alcuni argomenti molto cari al Concilio Vaticano II, ma anche un tantino sconosciuti, perché infatti il Concilio è il grande sconosciuto. Continuamente se ne parla, ma molto se ne abusa, come tutti sapete, perché spesso si invoca lo spirito del Concilio contro la lettera del medesimo. Ora è regola di saggia interpretazione dei testi dire quello che l’autore ha voluto esprimere. Quello che ha taciuto non ha voluto esprimerlo[1].
E quindi è molto importante non solo parlare del Concilio e invocare il suo spirito un po’ vago, ma cercare piuttosto di incarnarlo nella concretezza di suoi testi. Ecco perché mi sono proposto di scegliere per voi - ovviamente voi vedete che il lavoro del Concilio non è indifferente, i testi sono parecchi -, abbiamo fatto una certa scelta di argomenti e di testi riguardanti questi argomenti. Così per esempio quest’oggi parleremo del mistero della Chiesa come realtà visibile ed invisibile. Un tema non indifferente. Sapete bene come praticamente anche nel dialogo con i fratelli separati questo assume una grossissima importanza in quanto gli stessi preriformatori come Wycliff per esempio, come Hus, ma poi Lutero stesso affermarono che la Chiesa non è una società visibile, ma piuttosto è la società degli eletti, dei predestinati.
Ora nessuno ovviamente sa chi è predestinato alla vita eterna, cosicchè la Chiesa era ridotta ad una entità sociale sì, ma invisibile. Era una moltitudine di uomini, ma non si sapeva chi appartenesse alla Chiesa. Invece la Chiesa cattolica professa entrambe queste verità, vedremo sotto quali angolature diverse, e cioè che la Chiesa è nel contempo un qualcosa di sociale e visibile, ma anche qualcosa di animato dal di dentro dallo Spirito Santo di Dio che ovviamente è una realtà invisibile.
Ed ecco quindi come parleremo oggi, sempre illuminati dai testi del Concilio e precisamente la Lumen Gentium, capitolo 8, o meglio dal numero 8 della Lumen Gentium, vedremo proprio come il Concilio Vaticano II distingue questi due aspetti dell’unica Chiesa. Ecco, però per arrivare a questo, bisogna vedere un po’ la struttura di questa costituzione dogmatica. Non si tratta di un semplice decreto ma di una vera costituzione dogmatica, quindi un testo di notevolissima autorità, testo più che altro dottrinale, quindi intende pronunciarsi proprio sulla essenza, sulla natura della Chiesa. Ebbene questo testo è strutturato in questi punti.
Primo capitolo: il mistero della Chiesa. Vedete, si comincia a parlare del mistero della Chiesa in sé stessa. E lì ci sono, come vedremo, diverse descrizioni tratte dalla Tradizione e dalla stessa Sacra Scrittura di quello che è la Chiesa. Poi il secondo capitolo: il popolo di Dio. Cioè, dopo aver visto tante descrizioni tradizionali della Chiesa, il Concilio ne prende una; dico ne prende una perché questa caratteristica di popolo di Dio è una delle caratteristiche ben tradizionali conosciute da sempre nella Chiesa, ma il Concilio ha voluto sottolinearlo diciamo così con particolare rilievo proprio per spiegare come la Chiesa si configura non solo come un organismo sociale, ben compaginato, ben definibile, ma anche come una entità dinamica. Ecco perché si parla di un popolo di Dio in cammino, in cammino ovviamente verso la patria celeste.
E’ bellissima questa definizione perché voi vedete come praticamente noi siamo un popolo che cammino, ma cammina verso una meta che è metastorica, cioè si pone al di là della storia. Vedete come la Chiesa è una società, ma società essenzialmente soprannaturale dotata da Cristo Signore che l’ha fondata di mezzi soprannaturali in vista della salvezza dell’uomo. Quindi quello che la Chiesa vuole è una sola cosa, carissimi: la salvezza delle nostre anime. Questa definizione del popolo di Dio in cammino riprende in pieno questa finalità della Chiesa.
Vi dico fra parentesi, che San Tommaso insiste sempre nel dire che ogni agire umano individuale o sociale è specificato dal suo fine. Quando abbiamo indicato il fine che si propone la Chiesa, abbiamo definito la Chiesa. Ora il popolo di Dio in cammino verso la patria celeste significa che la Chiesa è tutta protesa verso la salvezza eterna delle anime come verso il suo fine proprio. Ecco perché il Concilio insiste molto su questo argomento del popolo di Dio.
Ma poi, perché non si crei fraintendimento - il Concilio è tutta questione di equilibrio, tanto è vero che il Santo Padre, mi ricordo tuttora del suo primo discorso ai cardinali, dopo la sua elezione, disse: “il Concilio non è stato ancora messo in pratica” -, adesso a distanza di tempo si convoca un Sinodo proprio per verificare i frutti positivi ma anche negativi nell’applicazione dei decreti conciliari. Il Concilio è stato frainteso. Perché? Perché ciascuno ha provato a tirarlo da una parte o dall’altra. E questo non è consentito. Perciò bisogna leggere i testi nella loro pienezza, nella loro completezza, proprio per renderci conto di quello che il Concilio, cioè la Chiesa stessa, attraverso la sua autorità suprema, cioè il Papa assieme ai Vescovi in comunione con lui, in questa assemblea assistita dallo Spirito Santo, hanno voluto dire.
Allora, subito dopo la definizione del popolo di Dio, che potrebbe dare sì l’idea di qualcosa di dinamico, ma anche qualche cosa di poco ordinato, diciamo così, il Magistero del Concilio si premura in questa Lumen Gentium, di chiarire che si tratta di un popolo ordinato, non di una ammucchiata di gente, ma di un popolo. D’altra parte la parola stessa popolo non significa semplicemente una massa di uomini, significa sempre un qualche cosa di ordinato. Ma era giusto esplicitarlo, a scanso di equivoci, perciò ecco l’altro capitolo, che è intitolato “La gerarchia”, la gerarchia della Chiesa.
Poi infine ecco i laici, un altro argomento importante, cioè il Concilio si è premurato di dare ai laici la giusta responsabilità nella Chiesa. Non che non l’avessero già prima, un laico responsabile sapeva da sempre qual era il suo ruolo e non si sentiva affatto poi così schiacciato dalla prepotenza dei preti, almeno non penso. Quindi un laico consapevole sapeva che doveva essere collaboratore del sacerdote, collaboratore del vescovo, nell’apostolato appunto dei laici. Ma il Concilio ha voluto proprio sottolineare bene questo, cioè che i laici appartengono a pieno titolo al popolo del Signore e lo vedremo poi in una delle nostre meditazioni particolari.
Poi universale vocazione alla santità. Anche questo è molto bello. Il Concilio ribadisce questo concetto che nella Chiesa: tutti, senza esclusione alcuna, sono comunemente chiamati a farsi santi. Quindi, per chi avesse dei dubbi, ma penso che nessuno li abbia mai avuti, ha chiarito che la santità non è monopolio dei frati, delle suore e via dicendo, ma è veramente la vocazione di tutti assolutamente, chierici, frati, religiosi o no, tutti sono chiamati alla santità e cioè in sostanza alla carità. Infatti è la carità che ci santifica, è la grazia che ci unisce con Dio.
Poi c’è un capitolo particolare sui religiosi. Non a caso, vedete. Subito dopo aver parlato della santità della Chiesa, si dice: va bene che tutti sono chiamati alla santificazione, però, perché i frati non si sentissero esenti da questo compito, come potrebbe succedere, perché potrebbero dire: ma allora se tutti sono chiamati a questo, non c’è più differenza tra noi e gli altri, ecco che il Concilio – notate di nuovo quell’equilibrio – dice: tutti sono chiamati, però i frati sono chiamati per così dire due volte. Ecco, per rendere l’idea, sono obbligati particolarmente i religiosi e le religiose, come persone consacrate, in particolare a tendere alla santità. Ecco quindi un capitolo aggiunto sui religiosi e poi l’indole escatologica della Chiesa, cioè la meta, il fine al quale la Chiesa tende, e poi – dulcis in fundo – insomma il capitolo conclusivo, una bellissima contemplazione, proprio una meditazione, su Maria Santissima, Madre e Modello della Chiesa, esempio di ogni buon cristiano. E’ bellissima questa conclusione della Lumen Gentium, che fa vedere come Maria è veramente la sintesi di tutte le proprietà della Chiesa.
Noi invece ci soffermiamo in questo primo capitolo che tratta del mistero della Chiesa. E allora, anche qui c’è una suddivisione: il mistero della Chiesa è visto soprattutto come sacramento in Cristo. Sacramento che cosa vuol dire? Lo richiamo alla vostra benevola attenzione. Sacramento vuol dire sacrum signum, dice Sant’Agostino, cioè un segno sacro, segno di una realtà divina, perché Dio solo in fondo è santo. Quindi sacramento significa segno di una realtà sacra.
Addirittura nella Nuova Alleanza i sacramenti non solo significano la grazia, ma la producono. Ora, certo la Chiesa non è uno dei sette sacramenti, questo è evidente. Però la Chiesa ha una certa sacramentalità in un senso più largo della parola, in quanto anche la Chiesa raffigura, cioè significa il Cristo nel mistero. San Paolo dice che la Chiesa è il corpo mistico di Cristo, che essa significa, rappresenta il Cristo. E non solo, in qualche misura lo rende presente con la sua grazia, perché la Chiesa santifica coloro che le appartengono. In questo senso si parla della sacramentalità della Chiesa.
Poi il disegno salvifico universale del Padre. Ecco, c’è una meditazione trinitaria. Prima di tutto l’intenzione del Padre di salvare tutti gli uomini. Gesù ci rivela Dio come nostro Padre, il Padre che cosa vuole? La nostra santificazione. Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione, dice San Paolo. Ecco quindi il Padre che ci ama in vista della nostra santificazione. Questa santificazione si realizza per mezzo di Cristo, il Figlio dell’eterno Padre mandato nel mondo, consegnato agli empi per essere crocifisso e per salvare così il mondo. Quindi missione opera del Figlio. Poi lo Spirito santificatore della Chiesa, la Persona divina donata alla Chiesa, data come pegno della gloria futura e data anche come assistenza lungo i secoli fino alla fine del mondo.
Poi il Concilio parla della Chiesa come regno di Dio. Gesù stesso parla del regno di Dio, sia dentro all’uomo, in quanto l’uomo appartiene a Dio, sia nella società di uomini. Questo regno di Dio si compie nella Chiesa del cielo. Abbiamo celebrato la festa di tutti i santi. Ebbene, la Chiesa del cielo sono i santi che già sono nel possesso dei beni celesti.
La Gerusalemme celeste è la Chiesa già congregata; noi siamo ancora la Chiesa congregante, che cerca di unire tutte le genti a sé per portare tutti in paradiso, nella Chiesa congregata nella casa del Padre. Ecco il regno di Dio. Questo è molto bello, la basileia tu theù. Il regno di Dio come dice Gesù nel Vangelo significa la sottomissione perfetta dell’uomo a Dio. Insomma, nella Chiesa Dio è sovrano, Dio è re. Ecco perché la Chiesa coincide con il regno di Dio, perché essere della Chiesa, appartenere alla Chiesa significa appartenere a Dio per mezzo della carità che ci rende conformi alla volontà del Signore, ossia il Signore regna nelle anime nostre e ci rende fratelli tra noi, perchè ciò che noi condividiamo come membra dell’unico corpo che è la Chiesa è la nostra appartenenza mediata da Cristo nello Spirito Santo, la nostra appartenenza a Dio, un unico Padre di tutti. Vedete allora che cosa significhi il regno di Dio.
E poi le immagini della Chiesa tratte appunto dalla Scrittura. L’ovile sotto un unico pastore. Poi il campo coltivato da Dio, Dio che fa crescere il grano. Poi l’edificio del Signore, la oikonomia, addirittura il tempio di Dio. E infine la sposa del Signore, senza ruga e senza macchia, tutta splendente di bellezza. Dopo queste varie immagini della Chiesa, il Concilio parla del corpo di Cristo, il corpus Christi mysticum, e questa è una teologia molto approfondita.
Mentre le altre immagini sono più che altro poetiche, il corpo di Cristo mistico significa già qualche cosa di molto più proprio. Infatti il corpus Christi mysticum significa già una società organica di uomini, ordinata, la quale è il Cristo nel mistero, e quindi società soprannaturale. In sostanza il corpo di Cristo mistico è una immagine biblica paolina che descrive la definizione teologica della Chiesa che è società perfetta soprannaturale. E noi ci soffermiamo sull’ultimo punto che è questo: realtà visibile e spirituale, Chiesa realtà visibile e spirituale. Era necessario premettere tutto il resto per capire a quale punto si inserisce appunto questo trattato sulla Chiesa come società visibile e spirituale allo stesso tempo. Il corpus Christi mysticum esplicita la socialità della Chiesa ma anche la sua soprannaturalità.
Adesso bisogna vedere in che senso la Chiesa è società visibile e in che altro senso invece è il Cristo nel mistero. Allora il Concilio dice. soprattutto che la Chiesa è fondata in Cristo e da Cristo, unico mediatore. Inizia subito così questo capitoletto otto. Dice: “Cristo unico mediatore ha costituito sulla terra la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, come un organismo visibile”. Allora, soprattutto il Concilio ribadisce che la Chiesa è fondata da Cristo. E specifico, fondandomi sulla tradizione del Magistero della Chiesa, non solo è fondata da Cristo, ma è fondata da Cristo Dio, dall’autorità divina del Salvatore.
Quindi la Chiesa, carissimi, questa è una verità assolutamente fondamentale, la Chiesa in nessun modo, è opera di un uomo, è invenzione di un uomo. La Chiesa è tutta, come dice il Card. Journet in una sua bellissima opera, dice “la Chiesa è la creatura del Verbo”. La creatura del Verbo incarnato, che è Cristo. Vedete, Cristo come Dio, il Verbo incarnato crea la Chiesa. Quindi la Chiesa non è opera di mano di uomo, un’invenzione sociale di un uomo, ma è fondata da Cristo e nessuno può rifondarla diversamente. Questo è un obbligo enorme che noi abbiamo davanti alla Chiesa. La Chiesa non si manipola. Guai a chi osasse manipolare la Chiesa, perché la Chiesa è opera del Signore.
Perciò sapete, al giorno d’oggi ci sono certe opinioni un po’ peregrine. Cioè si pensa, ma insomma la Chiesa è un’espressione di socialità, a tutti noi piace stare insieme. E’ vero anche questo, per carità, il Signore ci ha fatto questo piacere di stare insieme nella Chiesa, ma non è invenzione nostra, non è che gli apostoli si sono messi d’accordo “adesso ci piace essere insieme”. No! È Gesù che li ha convocati.
La stessa parola ecclesia significa l’unione dei chiamati, l’unione di coloro che sono chiamati da ogni parte della terra. Ma questa chiamata non è una parola umana rivolta alle genti. È la stessa vocazione divina di Cristo Dio che convoca la sua Chiesa. Quindi primo concetto fondamentale: la Chiesa è fondata da Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini, colui che sta in mezzo, colui che intercede per noi, colui che ci ha salvati, colui che ci conduce alla patria celeste, colui che ci conduce alla vita perché Lui è il primogenito di coloro che risorgono dai morti. Quindi, solo Cristo ha fondato la Chiesa, solo Cristo guida la sua Chiesa.
Poi, la santità della Chiesa. Dice il Concilio che la Chiesa è santa ed è santa come comunità teologale della fede, speranza e carità. Vedete, ciò che noi condividiamo - molto bello questo concetto -, cioè la Chiesa è società, la società è fondata sull’amicizia; non si direbbe vedendo la nostra società, comunque di per sé non è una cosa rivelata da Dio; è Aristotele che dice questo. Proprio col suo ragionamento umano, dice che in fondo la socialità è espressione di amicizia umana, ogni uomo dovrebbe provare una naturale amicizia per ogni altro essere umano. Solo che la socialità della Chiesa è soprannaturale e quindi anche l’amicizia che ci unisce nella Chiesa è soprannaturale. E allora è una condivisione amicale dei beni soprannaturali della stessa fede. Notatelo bene, la fede è la prima condivisione, quindi senza fede niente Chiesa, anche questo è un grosso errore al giorno d’oggi.
Io capisco questi errori, in ogni errore c’è una particella di verità, dice San Tommaso. E così anche qui, c’è una certa bontà in quella gente che dice: ma insomma come possiamo escludere gli altri, facciamoci entrare tutti, insomma. E allora dicono che non ha importanza se credono o no o altro. E invece no! No! Certo è giusto essere buoni con tutti, il Concilio lo prevede quando parlerà poi dell’ecumenismo. Però l’appartenenza alla Chiesa è anzitutto l’appartenenza nella fede, di una fede convinta, piena ed esplicita. Insomma appartengono pienamente ed esplicitamente alla Chiesa coloro che credono tutti i 12 articoli di fede. Coloro che tranquillamente possono ripetere il Credo, il Simbolo degli Apostoli o addirittura il Simbolo, quello che diciamo la domenica, niceno-costantinopolitano.
Sembra una cosa semplice, ma oggi è un tantino discussa. Quindi il primo bene condiviso è quello della fede divina. Notate che con la fede noi non conosciamo verità umane. Con la fede noi conosciamo ciò che solo Dio può sapere. Gesù ce lo rivela perché solo Lui conosce il Padre. E quindi noi nella fede non abbiamo più opinioni umane, non abbiamo fondato un partito dove tutti hanno qualche opinione su che cosa bisogna fare nella società. No! La Chiesa è fondata non su un’opinione umana, bensì sulla verità di Dio rivelata da Cristo. E su questa luminosità della fede, virtù eminentemente intellettuale – è una conoscenza la fede, capite? – su questo poi si innesta la perfezione teologale della volontà che è il soggetto della speranza e della carità. Allora, avendo in comune la stessa conoscenza di Dio, condividiamo anche la stessa speranza della salvezza, speranza che Dio sia per noi, che Dio sia nostro amico, che ci aiuti perché noi possiamo conseguire alla fine dei tempi il bene di Dio.
E poi c’è la stessa carità, che vuol dire amare Dio così come Dio stesso è amabile in sé. Anche questo non è possibile senza l’aiuto di Dio. Vedete, solo se Dio ci infonde la sua carità, ci rende partecipi del suo amore, solo allora noi possiamo amare Dio come Dio stesso sa amare. Questa è la carità, questa carità unisce la Chiesa.
Poi, però il Concilio dice che se è vero che la Chiesa è un’unità teologale di coloro che condividono la stessa fede, speranza e carità - io però non vedo dentro agli altri, non so se hanno la stessa fede, speranza e carità -, tuttavia è anche organismo visibile. E dice che Gesù l’ha fondata così la Chiesa, quindi come comunità teologale, e questa è invisibile; però anche come organismo visibile. Vedete la dualità. Bisogna sempre dare ragione all’uno e all’altro, mai spostare questo equilibrio in uno solo degli estremi: o pura socialità visibile o puro mistero disincarnato. È l’uno e l’altro. È società di fede, speranza e carità, ma è anche organismo visibile. Vedete quindi che la Chiesa è qualcosa di ben visibile.
Fine Prima Parte (1/2)
Padre Tomas Tyn, OP
Registrazione di Amelia Monesi e/o Altri
Trascrizione da registrazione di Sr. Matilde Nicoletti, OP – Bologna, 15.02.2012
(Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP – Bologna, 18 febbraio 2012) Testo rivisto nuovamente con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP - Fontanellato, 19.7.24
Visita del Card. Giacomo Biffi alla Parrocchia bolognese di San Giacomo Fuori le Mura.
Padre Tomas Tyn partecipa alla concelebrazione della Santa Messa.
[1] Possono tuttavia esserci dei sottintesi o dei significati impliciti. Tuttavia la possibilità o legittimità di queste esplicitazioni deve essere data dal testo esplicito.
"In primo luogo va ricordato l'insegnamento del Concilio Vaticano II che, in modo chiaro, non limita il magistero infallibile solamente alle materie di fede oppure alle definizioni solenni. « Lumen Gentium », al n. 25, afferma: « ...quando tuttavia essi (i vescovi), anche dispersi per il mondo, ma conservanti il vincolo della comunione tra di loro e col successore di Pietro, nel loro insegnamento autentico circa materie di fede e di morale s'accordano su una dottrina da ritenersi come definitiva, propongono infallibilmente la dottrina di Cristo ». Per di più, la Chiesa non costruisce la sua vita solo sul suo magistero infallibile, ma anche sull'insegnamento del suo magistero autentico ordinario." (CDF, 1986)
RispondiEliminaCaro Fabio,
Eliminati ringrazio per la citazione di questi documenti del Concilio.
"Benché in maniera analogica e con modalità proprie all’uno e all’altro, l’elemento comune dei compiti del Magistero e dei teologi è «conservare, penetrare sempre più profondamente, esporre, insegnare, difendere il sacro deposito della Rivelazione» a servizio del popolo di Dio e per la salvezza di tutto il mondo. Tale servizio prima di tutto deve mettere al sicuro la certezza della fede, cosa che vien fatta in maniera diversa dal Magistero e dai teologi, senza tuttavia che si debba o si possa stabilire una netta separazione
RispondiElimina(...)
In questo comune servizio reso alla verità sia il Magistero sia i teologi sono egualmente vincolati: (...) dalla cura pastorale e missionaria verso il mondo, nell’esercizio del loro compito. Benché il Magistero del Sommo Pontefice e dei vescovi venga considerato per sua natura pastorale, tuttavia il carattere scientifico del lavoro dei teologi non li dispensa dalla responsabilità pastorale e missionaria, tanto più che - ad opera dei moderni strumenti della comunicazione sociale - anche le ricerche scientifiche vengono messe alla portata del pubblico con grande rapidità. Inoltre la teologia, in quanto funzione vitale nel e per il popolo di Dio, deve avere un intento e un effetto pastorale e missionario.
(...)
Comune - benché diversa - è la maniera insieme collegiale e personale con cui viene esercitata la funzione del Magistero e dei teologi. Ciò che, con il carisma dell’infallibilità, è promesso all’«universalità dei fedeli» [8] e al collegio dei vescovi in comunione col Successore di Pietro, e allo stesso Sommo Pontefice in quanto capo di quel collegio [9], dev’essere tradotto in pratica attraverso l’unione corresponsabile, fattiva e collegiale dei membri del Magistero e dei singoli teologi. Ciò deve verificarsi sia tra i membri del Magistero sia tra gli stessi teologi, ed anche tra il Magistero da una parte e i teologi dall’altra, salva tuttavia l’indispensabile responsabilità personale dei singoli teologi, senza la quale la scienza, anche quella della fede, non progredisce mai.
(...)
È compito del Magistero difendere autoritativamente l’integrità cattolica e l’unità della fede e dei costumi. Da ciò derivano alcune funzioni peculiari, le quali, anche se a prima vista sembrano presentare un carattere piuttosto negativo, costituiscono tuttavia un ministero positivo per la vita della Chiesa, e cioè «l’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa» [10]; la condanna di opinioni pericolose alla fede e ai costumi propri della Chiesa; l’insegnamento di verità più attuali nel presente tempo; benché non sembri che spetti al Magistero proporre sintesi teologiche, tuttavia per tutelare l’unità esso deve considerare le singole verità alla luce della totalità, in quanto l’inserimento di ciascuna verità nell’insieme appartiene alla verità stessa.
(...)
In che modo, oggi, possono venir regolati i rapporti fra teologi e Magistero:
Questo fine del dialogo - essere cioè al servizio della verità - non raramente viene messo in pericolo. In modo particolare la possibilità di dialogo viene coartata dai seguenti atteggiamenti: là dove il dialogo viene strumentalizzato per un determinato fine in maniera «politica», cioè esercitando pressioni e, in ultima analisi, prescindendo dalla verità, è destinato a naufragare; colui che occupa «unilateralmente» il terreno del dialogo, ne viola le leggi; il dialogo tra Magistero e teologi viene soprattutto violato quando, abbandonato prima del tempo il piano della discussione e del colloquio, si adoperano subito mezzi coercitivi, minacce e sanzioni; lo stesso si dica quando la discussione tra teologi e Magistero viene condotta facendo ricorso ad una pubblicità non sufficientemente informata, sia dentro sia fuori della Chiesa, con pressioni esterne che hanno un notevole influsso (mass media)."
(...)
(Commissione Teologica Internazionale, Magistero e Teologia, 1975, Link: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_1975_magistero-teologia_it.html)
Caro Fabio,
Eliminati ringrazio per avermi citato questi brani del Magistero, che confermano quanto dico nei miei scritti.
Ti faccio presente comunque che quanto io scrivo è appunto basato sulla conoscenza degli insegnamenti della Chiesa, per cui, se tu trovi una coincidenza, questa non dipende dal fatto che quanto dice la Chiesa corrisponde alle mie idee, ma, al contrario, se le mie idee corrispondono a quello che dice la Chiesa, questo dipende dal fatto che ho già letto quei documenti che tu mi mandi.
Ad ogni modo, questo tuo lavoro può essere utile a dimostrare che quanto dico è conforme al Magistero della Chiesa.
Ugualmente gli insegnamenti di P. Tyn sono così conformi al Magistero non per caso, ma perché lui per primo li ha letti e quindi basa quanto dice su di essi.