Un parere di Padre Tomas Tyn
sul
Concilio Vaticano II
Poi il Concilio dice che la Chiesa riceve da Cristo sostentamento e così diventa strumento, così che Cristo diffonde su tutti la verità e la grazia. Pure questo è molto bello, Gesù ci ha promesso, ecco, “Io sono con voi fino alla fine dei tempi”. Gesù accompagna la Chiesa in ogni momento della sua vita storica e soprattutto poi in tempi burrascosi come i nostri possiamo pensare che il Signore ci è più vicino che mai. Quindi sostenta la sua Chiesa e la sostenta in maniera tale che essa possa essere sempre il suo strumento. Vedete che questo è molto bello.
Il Concilio prima ci ha detto che la Chiesa rappresenta il Cristo, che significa il Cristo, che è segno di Cristo. Adesso dice che non solo è segno, ma anche strumento di Cristo. Ecco che si riallaccia di nuovo con la teologia della sacramentalità della Chiesa: essere segno e strumento nel contempo. Strumento di che cosa? Della diffusione di grazia e della verità su tutte le genti della terra.
Così dice il Concilio nella Lumen Gentium, la luce delle Genti. La Chiesa è luce che illumina tutte le Nazioni della terra. Ma, cari, noi che apparteniamo alla Chiesa, ci rendiamo conto che responsabilità abbiamo? Capite? Come Chiesa dobbiamo tutti, ma non in maniera anonima, tutti nel senso di ciascuno di noi, essere segni e strumenti del Signore per santificare non solo noi che abbiamo già la fortuna di essere cristiani, ma per santificare ed illuminare con la luce della fede tutte le Nazioni della terra, perché tutto di diritto appartiene a Cristo.
Noi quindi dobbiamo renderci promotori di questo far appartenere tutte le Nazioni a Cristo Signore, sottomettere a Cristo re tutte le Nazioni della terra. Non è affatto imperialismo, come si dice oggi. E se lo fosse, lo è sul piano spirituale e soprannaturale e così è del tutto non solo innocuo ma anche santo e buono, affinchè il Signore attraverso la Chiesa possa diffondere su tutte le Genti la grazia e la verità. Sono due parole bibliche che sono molto significative.
Gli antichi Ebrei dicevano che il nucleo della Legge, il senso, il fondamento della Torah, il fine della Torah, è appunto la grazia e la verità, hanan ed emet, dicevano. Grazia e verità. È questo binomio di grazia e verità che San Giovanni riprende nel suo Prologo al suo Vangelo, quando dice che noi l’abbiamo visto, Cristo. Lui, l’apostolo del Signore, ha visto il Cristo, l’unigenito di Dio, pieno di grazia e di verità.
Ed è questa grazia e verità di Dio ciò di cui è piena la legge di Dio e di cui è pieno colui che è la legge incarnata di Dio, la sapienza incarnata del Padre, cioè Cristo. Diffondere questa grazia e verità su tutte le Genti: ecco il nostro compito. Vedete come praticamente la grazia e la verità scaturiscono da Dio e poi per mezzo del Cristo e per mezzo della Chiesa si diffondono su tutta la terra. C’è una duplice mediazione, vedremo poi in seguito che l’umanità di Cristo è quasi strumento congiunto di Dio, della sua divinità. La Chiesa con i sacramenti è come uno strumento separato.
San Tommaso fa un esempio. Dice che la nostra mano è strumento dell’anima, l’anima muove la mano, ma è strumento congiunto perché fa parte dell’unico corpo animato dall’anima. Se io invece, per esempio, prendo un martello o qualche altro strumento, non c’è più uno strumento congiunto, ma è uno strumento separato. Vedete la duplice mediazione: l’umanità di Cristo vitalmente unita al Verbo, e poi la Chiesa con i sacramenti come strumenti separati. Questa duplice mediazione mira a diffondere la grazia e la verità su tutti i popoli della terra.
Sempre notate bene questo binomio, miei cari, perché, sapete, non lo dico solo per motivi tomistici o intellettualistici, voi mi conoscete già un pochino e allora sospettate che ci sia questo intellettualismo, comunque il fatto è, cari, che al giorno di oggi non lo faccio solo come apologia pro domo mea , ma proprio perché non bisogna di nuovo perdere questo equilibrio. Oggi si parla molto, moltissimo di grazia. E’ giusto, la grazia è ciò che ci santifica, però la grazia a sua volta poggia sulla verità. Niente grazia senza la verità. Quindi, quando pronunciamo la parola grazia bisogna dirla nel sensus plenior, nel senso più pieno in quanto riassume in sé, comprende in sé anche la verità.
Poi si parla di unità, unità della Chiesa sotto tutti questi aspetti, ve li elenco adesso. Sono aspetti apparentemente contrastanti. Il Concilio dice che la Chiesa è un’ unità di società gerarchica e corpo mistico. Società gerarchica, uno pensa insomma, ad una repubblica, uno stato qualsiasi. Però poi subito dice corpo mistico, che è qualcosa di molto più spirituale mi sembra. Quindi, la Chiesa è l’uno e l’altro. E’ società visibile, un organismo visibile, ma è anche corpo mistico. Poi dice assemblea visibile, dunque una moltitudine visibile di uomini, ma è anche comunità spirituale.
Ecco, vedete, per esempio una parte della Chiesa, è l’assemblea del popolo di Dio che si raduna in quel luogo[1] che si chiama non a caso appunto Chiesa. Però coloro che sono radunati lì non lo fanno perché di nuovo a loro piace stare insieme, come vuole farci credere qualcuno dei nostri teologi contemporanei, ma perché c’è in mezzo a loro il Signore Gesù nella reale presenza dell’Eucarestia. Oppure anche perché pregano insieme, elevano la mente a Dio, ma il centro non è l’uomo al quale viene il capriccio di stare con gli altri, ma è Dio, al quale noi eleviamo la nostra mente.
Vedete, carissimi. Quindi assemblea visibile, ma anche comunità spirituale, assemblea che si raduna sì, ma nello Spirito del Signore. Considerate questo. Poi Chiesa della terra, ma anche la Chiesa che è in possesso del cielo. Questo va sottolineato molto, perché noi quando parliamo di Chiesa pensiamo a questa nostra povera piccolina Chiesa terrena. Mentre la più grande parte della Chiesa è quella della quale noi generalmente non parliamo ed è quella che è già in possesso dei beni celesti in cielo. Bisogna sentire molto proprio questo legame con la Chiesa della terra, la Chiesa pellegrina, la Chiesa militante come si diceva con una espressione un tantino militaresca, però è il caso di dirlo.
Domanda di una signora: “... semplici mortali, cose tanto grandi per noi”.
E sì cara, è vero. È una domanda molto bella. La signora – non so se tutti hanno udito, perciò lo ripeto qui al microfono – la signora mi ha chiesto come mai noi così piccolini, possiamo sentirci uniti con la Chiesa del cielo. È lodevole questa umiltà. Notate che S.Paolo lo dice nella Lettera ai Filippesi. Dice il nostro politeuma, che la Vulgata traduce conversatio nostra cioè il nostro conversare, in coelis est, è in cielo.
È terribile[2] questo, vedete. Allora, che cosa bisogna dire? Bisogna dire che il buon cristiano, il buon uomo di Chiesa che appartiene alla Chiesa, deve avere due virtù che solo apparentemente si contraddicono. Una è la virtù dell’umiltà, l’altra è quella virtù che San Tommaso chiama magnanimità e appartiene alla fortezza, bisogna farsi coraggio.
Allora, vedete, da un lato abbiamo ogni motivo di umiltà, dall’altro abbiamo ogni motivo di farci coraggio. Ma come? Le due cose sembrano impossibili insieme, no? Perché l’umiltà mi dà il senso della mia piccolezza, la magnanimità mi dice: guarda che qualche cosa puoi ben fare, insomma. Come mettere insieme queste cose? Allora San Tommaso ci aiuta e dice: guardate che bisogna distinguere il punto di riferimento, cioè riguardo a noi è più che giusto dire io sono un poverino che non sa fare molto, anzi proprio niente, ecc. Invece riguardo a Dio, dal quale tutto abbiamo, notate bene, tutto l’essere, riguardo a Dio che tutto ci ha dato, noi possiamo assolutamente tutto.
Pare che fosse Santa Teresina che diceva che senza Dio era proprio un nulla, ma con Dio poteva fare tutto. Vedete, questa è la consapevolezza. In questo senso noi da un lato, guardando la nostra debolezza, diciamo: oh, siamo tanto lontani. Però, dall’altro lato, guardando la volontà di Dio nei nostri riguardi, che è quella che ci facciamo santi, diciamo: Signore, tu ci vuoi da quell’altra parte[3], tu ci vuoi nella tua Gerusalemme celeste. Notate, o cari.
Bisogna allora che consideriamo l’una e l’altra cosa, seppure vi confesso che solo con molta fatica e molto lavoro spirituale ho questa avvertenza anche quasi, non dico sensibile, ma intuitiva dell’appartenenza delle due Chiesa l’una all’altra. per evitare equivoci. Preciso per allontanare equivoci che il sottoscritto è ben lontano dal realizzare questo ideale.
Però, per adesso, poiché non siamo ancora al livello dell’intuizione mistica, o almeno a livello di speculazione teologica, diciamo questo, che le due Chiese si appartengono a vicenda, anche se purtroppo non c’è questa capacità di colloquiare a tu per tu con gli angeli e i santi di Dio. Allora, tutti questi aspetti della Chiesa si appartengono a vicenda e formano una sola Chiesa. Vedete la questione dell’equilibrio, carissimi.
Io dico talvolta, scandalizzando un po’ il prossimo con questo paradosso, dico sempre: bisogna essere fanatici dell’equilibrio. L’unico fanatismo che non fa male, perché il fanatismo significa avere un’idea diciamo così da maniaci. Non so se rendo l’idea. Ma se uno ci tiene con tutto il suo cuore ad essere equilibrato allora l’equilibrio poi non nuoce. In questo senso bisogna avere una grandissima prudenza, sempre, questo ve lo dico proprio perché il Concilio, miei cari, richiama ad essere laici responsabili.
Però laici responsabili significa in primo luogo laici equilibrati. Comprendete, cari. E i guasti del cosiddetto dopoconcilio - il Card. Ratzinger non ama parlare del dopo e prima Concilio, perché di fatto vedete la Chiesa è una, ce lo dice il Concilio stesso[4]. È Gesù che l’ha fondata, quindi non può essere rifondata, una Chiesa di prima o dopo. Però i guasti del periodo per così dire postconciliare stanno soprattutto in questa mancanza di equilibrio. Allora mi preme proprio farvi vedere con i testi conciliari questa esigenza, non di dividere ed opporre una cosa all’altra, ma di sintetizzare, di unire in questa divina armonia i vari aspetti della Chiesa. Quindi si tratta - dice il Concilio - di una unica realtà complessa costituita da due elementi, uno umano visibile, l’altro divino invisibile.
E’ la santità della Chiesa l’elemento divino. Prosegue il Concilio, ma adesso entriamo un po’ nel difficile: “Per una non debole analogia, la Chiesa può e dev’essere paragonata al mistero del Verbo incarnato”. Notate che la Chiesa è per analogia Cristo nel mistero. Perché c’è un rapporto di somiglianza tra Cristo e la Chiesa. Come c’è un elemento umano e divino nella Chiesa, così ce ne è uno anche in Cristo. E come l’elemento umano in Cristo è strumento della divinità del Verbo per la nostra santificazione, così, diciamo che l’organizzazione visibile umana della Chiesa è strumento di quello Spirito che la anima, che è lo Spirito di Dio datole in dono, di nuovo in vista della nostra santificazione.
Vedete l’analogia, cioè la somiglianza tra Cristo e la Chiesa, Cristo il Verbo che santifica per mezzo della sua umanità. La Chiesa mistero della comunione sociale dell’uomo con Dio e tra noi nel vincolo invisibile della carità che però si serve di organismi umani concreti, concretissimi, si tratta di cose molto concrete: Vaticano, i vari dicasteri, di cui si parla a proposito e a sproposito, lo IOR e via dicendo, capite. Ecco, tanto per dirne una. Ebbene, quando si tratta di cose positive tutto questo fa parte, si capisce, di questo organismo visibile che serve per mediare questa comunione spirituale che fonda la Chiesa.
Dunque la Chiesa, questa Chiesa così riccamente definita in questa dovizia di elementi umani e soprattutto di quell’elemento più profondo che è quello divino, la Chiesa così definita, dice il Concilio, è stata affidata a Pietro e agli Apostoli. E non ha delle difficoltà a dirlo. Io mi meraviglio perché al giorno di oggi se ne parla così poco, se il Concilio stesso ci invita a parlarne.
Quindi la Chiesa è di origine apostolica, ma gli Apostoli non fondavano diciamo così le chiese ognuno per conto proprio[5], ma le fondavano gli Apostoli radunati nel collegio apostolico cum Petro et sub Petro, con Pietro e sotto Pietro. Vedete, miei cari, questo è l’unico senso attendibile della cosiddetta collegialità dei vescovi. Voi sapete che i reverendissimi eccellentissimi vescovi sono i legittimi successori degli Apostoli. Non è una cosa da poco, è una immensa dignità. Guardate però che come gli Apostoli erano cum Petro et sub Petro, così i vescovi sono sempre cum Papa cioè col Papa e sotto la giurisdizione del Papa.
Allora, “la Chiesa è stata affidata a Pietro e agli altri Apostoli in vista della sua diffusione e guida”. Cioè gli Apostoli, così radunati attorno a Pietro, dovevano diffondere e guidare la Chiesa. Qui ci sono le due dimensioni della Chiesa che sono la missione e la comunione. E generalmente se ne parla in senso inverso cioè comunione e missione mentre qui si dice per diffondere e per guidare. Per diffondere: compito missionario. Per guidare la Chiesa in sé: comunione ecclesiastica. Agli Apostoli spetta l’una e l’altra cosa. Essi sono araldi della Parola di Dio davanti al mondo tutto intero, ma anche guide autorevoli della Chiesa di Cristo.
E adesso il Concilio cita una cosa molto bella. Si riferisce alla I Lettera di San Paolo a Timoteo, nel capitolo 3, versetto 15. Dice che nella Chiesa Cristo erexit, cioè ha stabilito, ha costruito, ha posto in mezzo a noi in perpetuum, per sempre, vedete, la Chiesa è eterna fino alla fine del mondo, in perpetuum erexit columnam et firmamentum veritatis, la colonna e il sostegno, ma il firmamentum è qualcosa ancora di molto di più, non riesco a tradurlo per benino. Il firmamentum è ciò a cui attorno tutto gira[6]. Notate. Il firmamentum, in sostanza, è l’universo, le stelle che non si spostano dal loro luogo, ma che girano attorno a quell’asse che non si sposta mai. Notate. Il firmamentum è un po’ questo. Allora il Cristo nella Chiesa ha stabilito in mezzo al mondo la colonna e il firmamentum, in quel senso profondo della parola, la colonna e il fondamento della verità. Di nuovo la parola verità! Quale importanza ha riguardo alla Chiesa! E allora, adesso di nuovo entriamo nel difficile, ma abbiamo già sorpassato il primo scoglio, quindi ci facciamo coraggio anche qui. Dice così – è un testo discussissimo quello che vi sto per citare adesso, quindi ci prendiamo tutto il tempo per commentarlo – dice così: “La Chiesa nel mondo è costituita e organizzata come società”, fin qui nessuna difficoltà, solo naturalmente alcuni fratelli separati ce lo contesterebbero perché ovviamente loro non vedono la Chiesa come società. San Roberto Bellarmino sarebbe tutto contento, perché egli è senza peli sulla lingua, come si dice. Infatti ebbe a dire una volta semplicemente che la Chiesa è una società perfetta come il Regno di Francia, perché allora la Francia era monarchia, o come la repubblica di Venezia. Per lui era una società, con grande scandalo dei nostri teologi moderni. Ma di fatto, certo non è una società nel senso naturale, però ha in comune con la società naturale questa caratteristica di essere società ben organizzata. Vedete, non c’è dubbio. La Chiesa è costituita, è organizzata come società e come società visibile e possibilmente funzionante.
Però la Chiesa di Cristo[7], così organizzata e costituita, - continua il Concilio - sussiste, in latino subsistit costituita ed organizzata come società, nella Chiesa cattolica. Subsistit in ecclesia cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, tanto per non lasciare equivoci. Cioè per Chiesa cattolica si intende quella che è fedele al Papa, che si lascia governare dal Papa, insomma la Chiesa romana. Oggi si ha un po’ questo spirito antiromano, soprattutto nelle latitudini nordiche.
Allora, bisogna dire con chiarezza che la Chiesa è romana, in quanto non a un uomo, ma a Dio piacque stabilire a Roma la sede di Pietro e dei suoi successori. In questo senso è romana, non per il resto, capite? È romana in questo senso preciso. Allora, quello che ci interessa è la parola subsistit ed è questa che è difficile, cioè la Chiesa di Cristo, la Chiesa comunità e società, la Chiesa nel senso pieno sussiste, subsistit nella Chiesa cattolica e romana.
Adesso lo traduco in parole più sintetiche. Nella Chiesa cattolica e romana sussiste la Chiesa tutta intera – subsistit. Vedete quindi che non è permesso quello pseudo-ecumenismo, quello che dopo il Concilio sarà chiamato irenismo, quello che dice: tutti in fondo siamo d’accordo, eliminiamo un po’ la Madonna e un po’ il Papa, loro ci concedono qualche santo in più e facciamo la pace tra tutti. Non è così che si fa l’ecumenismo.
Allora, che cosa significa ciò? Significa renderci conto – ma la parola subsitit è tremendamente discussa. Proprio recentemente mi arrivò una lettera da un padre missionario che discute su questa faccenda col sottoscritto. Comunque il subsistit – sapete, voi mi conoscete già, io sono sempre discepolo in queste cose di San Tommaso, e per San Tommaso il subsistit significa costituire la sostanza. Un’essenza sussistente è sostanza. Quindi se interpretiamo il Concilio nel senso rigoroso della parola, questo dire che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa romana vuol dire che solo la Chiesa romana è sostanza della Chiesa. Notate, è sostanza della Chiesa[8].
Ora, in metafisica, la sostanza si distingue dagli accidenti. Allora, non è detto che qualche proprietà ecclesiastica non ci sia nelle altre comunità cristiane; però la sostanza della Chiesa c’è solo nella Chiesa apostolica romana. Adesso vi ho dato un’interpretazione per così dire, lo ammetto, un pochino ristretta[9], ma - capite - i buoni moralisti dicono che in queste cose bisogna sempre seguire la parte più sicura, giusto? E allora ho seguito la parte sicurissima della metafisica di San Tommaso d’Aquino.
Allora la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica e romana. E poi, vedete l’allargamento però – e qui è il vero ecumenismo, non quello che si inventano i nostri postconciliaristi, ma quello che è insegnato dal Concilio stesso, e cioè il vero ecumenismo consiste nel riconoscere con ogni sincerità e anche con ammirazione che pure al di fuori della Chiesa cattolica si trovano elementa plura, cioè molti elementi, santificationis, veritatis, molti elementi di santità, di santificazione e di verità che sono doni propri della Chiesa di Cristo.
Vedete quindi la sussistenza nella Chiesa romana. Ma in tante altre comunità ci possono essere le proprietà che propriamente sarebbero della Chiesa cattolica. È un guaio nostro se poi eventualmente non coltiviamo queste proprietà come dovremmo e le lasciamo ai fratelli separati. Ma in questo, io lo dico sempre, tanto anche per sorridere un po’, che non bisogna imitare i difetti dei fratelli separati, ma bisogna imitarne le virtù, capite? Quindi per esempio nella liturgia non bisogna imitare i protestanti, ma piuttosto semmai gli ortodossi. Mentre nello studio della Scrittura non bisogna imitare gli ortodossi, ma piuttosto i protestati. Capite? E quindi ciascuno nel suo forte.
Ad ogni modo il Concilio dice che ci sono tanti elementi apprezzabili di santità e di verità anche in altre comunità non cattoliche che appartengono di diritto e di dovere direi alla Chiesa cattolica. È un po’ quello che dice Sant’Agostino riguardo agli Israeliti e agli Egiziani, quando prendono l’oro degli Egiziani. Dice: era un furto? No, dice Sant’Agostino, ovviamente. Il buon Dio l’ha permesso a loro. Perché? Perché in fondo era come un riscatto per quelle pene che hanno subito lì in Egitto. Ora, dice Sant’Agostino, facciamo qualcosa di simile con la cultura pagana. Nella cultura pagana ci sono tante verità - sapete che Sant’Agostino era discepolo indiretto di Cicerone, di Platone e di Plotino - ebbene S.Agostino dice proprio questo: bisogna prendere quello che c’è di vero nella cultura pagana cristianizzandolo, perché come l’oro degli Egiziani apparteneva al popolo di Dio, così anche queste verità pagane appartengono di diritto, e di dovere aggiungo io, ai cristiani.
E così ai cattolici appartiene tutto quello che c’è di buono nelle comunità separate da Roma. E poi dice ancora il testo conciliare che tutti questi elementi buoni spingono verso l’unità cattolica. Quindi dobbiamo apprezzarli e collaborare a questa unità. Però non un’unità superficiale, quella che percorre le scorciatoie per così dire, ma l’unità sofferta, elaborata anche con lacrime e con sudore. Che è l’unica che conta, quella che non raggira la verità, ma che si realizza nella verità. La Chiesa segue il Cristo sulla via della povertà e delle persecuzioni per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. La Chiesa non sceglie la via del trionfalismo, seppure un pochino di quello ci sarà pure, lo vedremo poi in seguito, ma sceglie la via di Cristo povero e sofferente per mediare all’umanità questi frutti della salvezza.
“La Chiesa per compiere la sua missione ha bisogno di mezzi umani”. Vedete, un tantino di trionfalismo non nuoce, capite, nel senso di decoro. Capitemi bene, di decoro. “La Chiesa per compiere la sua missione ha bisogno di mezzi umani, eppure non cerca la gloria della terra, ma deve far conoscere con l’esempio l’umiltà e l’abnegazione”. La Chiesa deve dare l’esempio di umiltà e di abnegazione, però ciò non toglie che la Chiesa si comporti anche con una certa decenza, secondo la sensibilità del mondo che la circonda, vale a dire che la povertà non è, per esempio, avvilire la liturgia. Invece di paramenti usare degli stracci, capite? Perché non è vera povertà. Il culto del Signore esige un certo decoro. Ricordatevi del passo biblico. La donna peccatrice che lava i piedi del Signore con questo unguento preziosissimo, costoso, costosissimo. E Gesù la difende, dice: “lo ha fatto per la mia sepoltura”, quindi per dare gloria a Dio che si rivela nel suo Figlio.
Perciò la Chiesa deve essere solenne, perché annuncia anche il Signore che verrà nella gloria, però questa solennità non toglie lo stile di povertà e di umiltà. Vedete, di nuovo è questione proprio di stile, cioè di capacità, una cosa che non si può teorizzare. Potremmo fare tanti discorsi su questo, ma è piuttosto qualcosa che ogni cristiano onesto sente immediatamente, cioè che non c’è un contrasto, ma c’è una unità tra questi due elementi: decoro per lodare Dio, umiltà e quindi anche povertà nei nostri riguardi, povertà nel senso di una certa semplicità.
“La Chiesa circonda di affettuosa cura quanti sono afflitti dall’umana debolezza. Riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, si premura di sollevarne l’indigenza e di servire a Cristo in loro”. I poveri sono immagine di Cristo. Però, non è un pauperismo di nuovo materialistico. Certo, c’entra anche l’indigenza materiale, ma soprattutto la debolezza umana. Vedete, questa è molto più estesa di qualche privazione materiale. Anzi, direi che per debolezza umana s’intende piuttosto la fragilità di tipo morale. Ecco quello che la Chiesa intende alleviare innanzitutto. Ecco, allora, dice il Concilio alla fine, per concludere il capitolo, “dalla forza del Signore risuscitato, la Chiesa trova forza per vincere con pazienza ed amore le sue interne ed esterne afflizioni e difficoltà e per svelare al mondo con fedeltà anche se sotto ombre il mistero del Signore fino alla sua manifestazione alla fine dei tempi”.
Quindi vedete la dualità propria della Chiesa che è protesa verso le cose future, ma senza averle ancora conseguite. Quindi è ancora in via; ecco perché è umile, povera, semplice, ma si fa anche coraggio, perché già protesa verso il Cristo Risorto che l’aspetta sull’altra sponda nella vita eterna e che quindi le infonde coraggio, le dà forza di superare tutte le afflizioni. Vedete come il Concilio parla con realismo? Conosciamo tutte le afflizioni, le difficoltà, le interne divisioni, i bisticci. Tutti lo sappiamo. E quelle esterne, tutte le insidie alle quali la Chiesa è esposta. Insomma la Chiesa è equilibrio di quest’anima soprannaturale e divina e di una società umana, anche se sopranaturalmente elevata. Bisogna tenere ben presente l’uno e l’altro elemento per capire almeno in minima parte la grande cosa che è la Chiesa, nostra santa madre. Ecco, carissimi. Vi ringrazio.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Ti rendiamo grazie, Signore Dio onnipotente per tutti i tuoi benefici. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Tante grazie per la vostra attenzione. Che Dio vi benedica e buon proseguimento.
Padre Tomas Tyn, OP
Registrazione di Amelia Monesi e/o Altri
Trascrizione da registrazione di Sr. Matilde Nicoletti, OP – Bologna, 15.02.2012
(Testo
rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP – Bologna, 18 febbraio
2012) Testo rivisto nuovamente con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP
- Fontanellato, 19.7.24
Visita del Card. Giacomo Biffi alla Parrocchia bolognese di San Giacomo Fuori le Mura.
Padre Tomas Tyn partecipa alla concelebrazione della Santa Messa.
[1] Si tratta della Chiesa locale, per esempio la comunità diocesana che si raduna nella chiesa cattedrale o la parrocchia, che si raduna nella chiesa parrocchiale.
[2] Padre Tomas intende dire probabilmente che questa consapevolezza che la nostra conversazione è nel cielo, quasi ci spaventa, perché ci responsabilizza seriamente. Noi invece nelle nostre conversazioni siamo portati a discorsi banali o futili o inutili, che possono aprire la porta al diavolo, come le maldicenze, i pettegolezzi e le irrisioni del prossimo o delle persone assenti. Occorre invece molta vigilanza sulle parole, che devono essere sempre benefiche ed edificanti, anche quando devono essere di critica, di rimprovero o di disapprovazione. In tal senso il nostro conversare dev’essere celeste.
[3] Padre Tomas intende dire che Dio vuole distoglierci dall’attaccamento alle cose terrene e vuole che solleviamo lo sguardo alle cose del cielo.
[4] Si condanna l’espressione “prima-dopo il Concilio” nel senso usato da Alberigo, ossia della rottura o mutazione sostanziale della Chiesa del dopo rispetto a quella di prima. Ma è evidente che l’ecclesiologia conciliare è più avanzata e in tal senso diversa da quella del preconcilio. Ma senza smentirla, anzi approfondendo e sviluppando la precedente in continuità con essa. La fine dell’era costantiniana (come diceva Don Dossetti) o il passaggio dall’era sacrale a quella cristiano-profana (Maritain) non intacca per nulla l’essenza immutabile della Chiesa, ma semplicemente due sue realizzazioni storiche di per sé mutevoli e caduche.
[5] Oppure: ognuna (le chiese) separatamente dalle altre.
[6] E’ ciò che rende fermo (firmus) e che di per sé è fermo.
[7] “La Chiesa di Cristo”, dice il Concilio.
[8] Non c’è nessun contrasto con la definizione tradizionale della Chiesa, nella quale, appunto perché definizione, viene impegnato il verbo essere: la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica. E questa definizione tradizionale è stata ribadita da un recente documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale ha appunto risposto ai dubbi relativi al subsistit. Per fugare timori di contraddizione tra la definizione tradizionale e il subsistit, basterebbe ricordare, e Padre Tomas lo illustra con chiarezza, che nel Concilio si parla della sostanza della Chiesa, ossia, per usare un linguaggio moderno, della Chiesa come soggetto esistenziale, concreto e storico, mentre nella definizione tradizionale si parla dell’essenza (quidditas) della Chiesa. Ora un minimo di preparazione metafisica ci dice che non c’è nessuna contraddizione fra essenza e sostanza, ma entrambe sono, a differente titolo, costitutive dell’ente. Pertanto il timore che il subsistit implichi l’idea di una superchiesa nella quale cattolici e non cattolici siano dei semplici membri a pari titolo è un timore inconsistente, che rivela soltanto l’ignoranza della metafisica. Il Concilio invece intende dire, come spiega bene Padre Tyn, che mentre la Chiesa cattolica costituisce la sostanza, ossia la pienezza della Chiesa di Cristo, altri elementi accidentali di questa Chiesa si trovano nelle comunità dei fratelli separati. La novità della dottrina conciliare consiste nel riconoscimento di questi elementi validi, cosa che finora il Magistero della Chiesa non aveva mai fatto, limitandosi a segnalare solo gli errori, segnalazione che peraltro rimane sempre valida. Questi sono i principi del vero ecumenismo. L’“ecumenismo” che comporta un complesso di inferiorità nei confronti dei non-cattolici, non è ecumenismo, ma, se mi è consentita un’espressione popolare ma efficace usata dal compianto mio professore di morale, amico del Padre Tyn, il Padre Alberto Galli, è una vergognosa calatio bracarum.
[9] Circoscritta.
"La Commissione Teologica Internazionale continua, con impegno rinnovato, il suo servizio. Siete chiamati a compierlo nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II, che – a sessant’anni dal suo inizio – costituisce la bussola sicura per il cammino della Chiesa, «sacramento, in Cristo, dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Cost. dogm. Lumen gentium, 1).
RispondiEliminaVorrei indicarvi tre direttrici di marcia, in questo momento storico; momento arduo eppure, per lo sguardo della fede, carico della promessa e della speranza che scaturiscono dalla Pasqua del Signore crocifisso e risorto.
La prima direttrice è quella della fedeltà creativa alla Tradizione. Si tratta di assumere con fede e con amore e di declinare con rigore e apertura l’impegno di esercitare il ministero della teologia – in ascolto della Parola di Dio, del sensus fidei del Popolo di Dio, del Magistero e dei carismi, e nel discernimento dei segni dei tempi – per il progresso della Tradizione apostolica, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, come insegna la Dei Verbum (cfr n. 8). Benedetto XVI descrive infatti la Tradizione come «il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti» (Catechesi, 26 aprile 2006); così che essa «irriga diverse terre, alimenta diverse geografie, facendo germogliare il meglio di quella terra, il meglio di quella cultura. In questo modo, il Vangelo continua a incarnarsi in tutti gli angoli del mondo, in maniera sempre nuova» (Cost. Ap. Veritatis gaudium, 4d).
La tradizione, l’origine della fede, che o cresce o si spegne. Perché, diceva uno – credo fosse un musicista – che la tradizione è la garanzia del futuro e non un pezzo di museo. È quello che fa crescere la Chiesa dal basso in alto, come l’albero: le radici. Invece un altro diceva che il tradizionalismo è la “fede morta dei vivi”: quando tu ti chiudi. La tradizione – voglio sottolineare questo – ci fa muovere in questa direzione: da giù in su: verticale. Oggi c’è un grande pericolo, che è andare in un’altra direzione: l’“indietrismo”. Andare indietro. “Sempre è stato fatto così”: è meglio andare indietro, che è più sicuro, e non andare avanti con la tradizione. Questa dimensione orizzontale, l’abbiamo vista, ha mosso alcuni movimenti, movimenti ecclesiali, a restare fissi in un tempo, in un indietro. Sono gli indietristi. Penso – per fare un riferimento storico – a qualche movimento nato alla fine del Vaticano I, cercando di essere fedeli alla tradizione, e così oggi si sviluppano in modo da ordinare donne, e altre cose, fuori da questa direzione verticale, dove cresce, la coscienza morale cresce, la coscienza della fede cresce, con quella bella regola di Vincenzo di Lérins: “ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate”. Questa è la regola della crescita. Invece l’indietrismo ti porta a dire che “sempre è stato fatto così, è meglio andare avanti così”, e non ti lascia crescere. Su questo punto, voi teologi pensate un po’ a come aiutare.
La seconda direttrice concerne l’opportunità, al fine di realizzare con pertinenza e incisività l’opera di approfondimento e di inculturazione del Vangelo, di aprirsi con prudenza all’apporto delle diverse discipline grazie alla consultazione di esperti, anche non cattolici, come previsto dagli Statuti della Commissione (cfr n. 10). Si tratta – l’ho auspicato nella Costituzione Apostolica Veritatis gaudium – di far tesoro del «principio dell’interdisciplinarietà: non tanto nella sua forma “debole” di semplice multidisciplinarità, come approccio che favorisce una migliore comprensione da più punti di vista di un oggetto di studio; quanto piuttosto nella sua forma “forte” di transdisciplinarità, come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio» (n. 4c).(...)
Caro Fabio,
Eliminati ringrazio anche di queste parole del Papa che mi confermano nel mio lavoro teologico e mi incoraggiano a proseguire in questo senso.
Per quanto riguarda P. Tomas, queste parole del Papa si possono applicare bene anche a lui.
La terza direttrice, infine, è quella della collegialità. Essa acquista particolare rilevanza e può offrire uno specifico contributo nel contesto del percorso sinodale, in cui è convocato tutto il Popolo di Dio. Lo sottolinea il documento elaborato in proposito, nel precedente quinquennio, su La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa: «Come per qualsiasi altra vocazione cristiana, anche il ministero del teologo, oltre ad essere personale, è comunitario e collegiale. La sinodalità ecclesiale impegna dunque i teologi a fare teologia in forma sinodale, promuovendo tra loro la capacità di ascoltare, dialogare, discernere e integrare la molteplicità e varietà delle istanze e degli apporti» (n. 75).
RispondiEliminaI teologi devono andare oltre, cercare di andare oltre. Ma questo voglio distinguerlo dal catechista: il catechista deve dare la dottrina giusta, la dottrina solida; non le eventuali novità, di cui alcune sono buone, ma ciò che è solido; il catechista trasmette la dottrina solida. Il teologo si arrischia ad andare oltre, e sarà il magistero a fermarlo. Ma la vocazione del teologo è sempre quella di arrischiarsi ad andare oltre, perché sta cercando, e sta cercando di esplicitare meglio la teologia. Ma mai dare catechesi ai bambini e alla gente con dottrine nuove che non sono sicure. Questa distinzione non è mia, è di Sant’Ignazio di Loyola, che credo capisse qualcosa meglio di me!
Vi auguro dunque, in questo spirito di ascolto reciproco, di dialogo e di discernimento comunitario, in apertura alla voce dello Spirito Santo, un sereno e proficuo lavoro. I temi affidati alla vostra attenzione e perizia rivestono grande importanza in questa nuova tappa dell’annuncio del Vangelo che il Signore ci chiama a vivere come Chiesa a servizio della fraternità universale in Cristo. Essi infatti ci invitano ad assumere pienamente lo sguardo del discepolo, il quale, con stupore sempre nuovo, riconosce che Cristo, «proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (Cost. past. Gaudium et spes, 22); e così Egli ci insegna che «la legge fondamentale dell’umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore» (ibid., 38)."
(...)"
(Link: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/november/documents/20221124-cti.html)
Caro Fabio,
EliminaLa distinzione tra l’opera del catechista e quella del teologo è bene illustrata qui dal Papa.
Il catechista deve dare, come dice il Papa, una dottrina solida, cioè deve fare conoscere l’intero patrimonio dottrinale della Chiesa. Il testo d’insegnamento del catechista è il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Invece il teologo, sulla base del Catechismo della Chiesa Cattolica, ha il compito di essere un esploratore, di avanzare nella conoscenza della verità. Egli è un ricercatore. Certo, a suo rischio e pericolo, perché è possibile che egli si inganni. Ecco allora l’importanza dell’umiltà, con la quale il teologo deve sottoporre al giudizio della Chesa le sue scoperte, perché solo la Chiesa, nella sua infallibilità, può dirgli se ha colto o no la verità.