Pluralismo linguistico e pluralismo dottrinale
Si può esprimere una medesima cosa in molte lingue,
ma non è possibile che una medesima cosa
sia vera e falsa allo stesso tempo
Il recente discorso del Papa ai giovani a Singapore ha suscitato sia reazioni favorevoli che contrarie. Ho già messo in luce il valore del discorso del Santo Padre, chiarendo equivoci e rispondendo alle accuse di relativismo, indifferentismo e reticenza.
Voglio qui mettere in luce un aspetto del dialogo interreligioso e del valore della diversità delle religioni, che non è stato toccato dal Santo Padre, ma che ritengo bene qui mettere in luce, allo scopo di tranquillizzare quei cattolici che sono rimasti turbati per le parole del Papa.
Noi possiamo confrontare le religioni fra loro sotto una duplice luce: o nella luce della diversità o nella luce della verità. Si tratta di due punti di vista o criteri di giudizio che si implicano a vicenda e che quindi vanno usati assieme per esprimere una valutazione adeguata. Ma non è necessario in ogni circostanza usarli entrambi. Possiamo usare l’uno senza l’altro. Il Papa a Singapore ha usato il criterio della diversità e ha taciuto circa la questione della verità. Da qui il turbamento, lo scandalo, le accuse. Ma tacere una cosa non vuol dire negarla.
Il principio di diversità e quello di verità non si escludono a vicenda, ma anzi si richiamano l’un l’altro. Ogni cosa infatti ha una sua identità ed è diversa da ogn’altra. Il che vuol dire che è impossibile che una medesima cosa sia e non sia allo stesso tempo. Non posso quindi di una cosa affermare e negare simultaneamente la stesa cosa. Se faccio così il mio giudizio non ha senso. Questo è il principio di non-contraddizione, che si riferisce a qualunque cosa pensabile.
Ma l’operazione del pensiero non si ferma qui. Il pensiero non ha solo bisogno di coerenza, ma anche di verità, la quale sorge dal contatto del pensiero con la realtà, con le cose che esistono attorno a noi. Occorre allora applicare un ulteriore principio che è il principio di adeguazione, ossia il principio di verità, per il quale il giudizio non è solo incontradditorio ma anche adeguato o conforme al reale.
Occorre precisare al riguardo che quando si parla di verità si possono intendere due cose: o l’adeguazione dell’intelletto alla cosa e o una cosa vera. È chiaro che se si tratta di adeguazione, la verità è una sola perchè l’adeguazione è quella e solo quella; o c’è e allora si dirà il vero o non c’è e allora si avrà il falso.
Invece quando si tratta di una cosa vera, - per esempio che Gesù è Dio - così come molte sono le cose, molte sono le verità che le rispecchiano. In tal senso la verità di fede come adeguazione al credibile – per esempio la divinità di Cristo - è una, mentre molte sono le verità di fede come articoli di fede.
Il principio di verità ci conduce a distinguere il vero dal falso. Un giudizio vero, quindi, non è solo incontradditorio, ma adeguato alla realtà, riflette o rappresenta fedelmente le cose come sono. Ora la diversità riguarda la realtà, riguarda le cose. Esistono nelle religioni dottrine diverse, proprio in nome del principio di verità, perché rispecchiano cose diverse.
Ma è impossibile, in base al principio di non-contraddizione, che due dottrine che si contraddicono siano entrambe vere. Occorre dunque distinguere le dottrine diverse da quelle contradditorie. Due dottrine diverse riguardano cose diverse. Se queste cose esistono, sono entrambe vere.
Che una medesima verità religiosa possa essere espressa in una pluralità di lingue ed anche diverse modalità di pensiero o di condotta o varietà di spiritualità, generi letterari, di immagini, miti, simboli, riti, modi di pregare, costumi, leggi, usanze, tradizioni, opere d’arte non fa difficoltà. È ciò che ha inteso dire il Papa quando ha parlato di una molteplicità di vie verso Dio.
Il Papa ha voluto fermarsi, per una precisa scelta pastorale adatta alla circostanza, a trattare dell’aspetto del dialogo e del rapporto interreligioso che tocca la legittima diversità non tanto fra le religioni come tali, quanto piuttosto fra i fedeli delle diverse religioni, e quindi l’integrazione, la complementarità e l’arricchimento reciproci.
È chiaro che il fatto che il cristianesimo è superiore alle altre religioni, non autorizza il cristiano ad assumere un tono di superiorità saccente o impositivo nei confronti del non-cristiano, perché ciò non metterebbe il suo animo in un’attitudine di ascolto, ma non farebbe che umiliarlo e irritarlo, per cui, se egli con ogni probabilità è convinto della superiorità della sua religione, ne resterebbe offeso e, come osserva argutamente il Papa, il risultato sarebbe un litigio. E allora dove andrebbe a finire l’evangelizzazione?
È vero che noi cristiani dobbiamo mostrare che la nostra religione è quella più sublime di tutte, ma trattandosi di una materia delicatissima, non dobbiamo dirlo con tono propagandistico e gratuito, come se facessimo la pubblicità di un dentifricio, ma dobbiamo farlo con grande prudenza, senza premere e senza fretta, con una buona preparazione catechistica, cauta gradualità, animo umile, con una persuasiva testimonianza, apprezzando i valori della religione dell’interlocutore, e mostrando segni effettivi a lui comprensibili di detta superiorità e non affermarla sic et simpliciter senza addurre prove, in modo che l’altro ne resti persuaso, senza che rischiamo di dare la sgradevolissima impressione che vogliamo prevalere su di lui con le nostre idee. Dobbiamo invece fargli capire che ciò che gli diciamo non è nostra invenzione, ma è un tesoro stupendo che noi per primi abbiamo ricevuto immeritatamente da Dio.
Contrariamente a quanto credono la massoneria o il liberalismo, le religioni non sono tutte alla pari, considerando il fatto che solo la religione cristiana è di fondazione divina e pertanto solo in essa c’è la pienezza della verità, mentre le altre, di semplice fondazione umana o al massimo profetica, partecipano bensì in vari gradi e modi dell’opera salvifica di Cristo e convergono verso Cristo, ma in mezzo a lacune e ad errori, dai quali devono essere purificate, benchè Dio nella sua misericordia, si accontenti di quel poco che ognuno può offrire o fare purchè sia in buona fede e di buona volontà.
Chi del resto può impedire a Dio di render più santo un indù o un musulmano che non un cristiano? Come non potrebbe andare in paradiso un pigmeo o un indigeno dell’Amazzonia non evangelizzati ma in buona fede ed evitare l’inferno un illustre teologo in peccato mortale dell’Università Gregoriana?
Occorre notare inoltre che Il cristiano non è il cristianesimo. Il cristianesimo non ha da imparare da alcuna religione. Il cristiano lacunoso o tiepido può imparare da un indù o un buddista convinti che hanno approfondito i valori della loro religione e, illuminati da Dio, si sono corretti anche dagli errori presenti nella sua religione. In tal modo non sarà solo il cristiano a illuminare e correggere il non cristiano, ma anche il cristiano potrà essere corretto e istruito dal non-cristiano.
Per quanto riguarda il concetto di religione, il Concilio Vaticano II col Decreto Nostra aetate assumendo i dati recenti della storia delle religioni[1], che hanno ampliato enormemente in questi ultimi secoli le nostre conoscenze in questa ricchissima e misteriosa materia, dove certo abbondano l’idolatria e le superstizioni, ma anche le testimonianze delle più illustri sapienze dell’umanità, ha abbandonato la distinzione netta e schematica fra vera e falsa religione, che risaliva a Sant’Agostino, distinzione che, col continuo aumento nei secoli della scienza delle religioni, si è rivelata a un certo punto troppo semplicistica, senza che ciò ovviamente significhi la rinuncia a distinguere il vero dal falso, il buono dal cattivo.
Solo che oggi questo lavoro di discernimento appare molto più complesso e difficile di quanto un tempo si sospettava. Oggi comprendiamo molto meglio di un tempo che la religione non si può ridurre ad una semplice tesi o proposizione, della quale si può dire falsa o vera, ma occorre formare una collezione raccolta di giudizi di merito per ciascuna delle tesi di una data religione. Ogni religione, infatti, comporta un complesso patrimonio dottrinale, dove tranne che nel caso della religione cristiana, occorre fare un lavoro di cernita per separare il grano dalla pula.
Per questo l’attuale Magistero della Chiesa preferisce distinguere la religione cristiana, che contiene la pienezza di tutte le verità salvifiche delle altre religioni che a vari gradi e in vari modi partecipano di quella pienezza.
Altra osservazione da fare riguarda il concetto di fede religiosa, il credere come atto della virtù di religione. È chiaro che solo nel cristianesimo si attua il credere o atto di fede come fede divina, teologale e soprannaturale, dato che solo nel cristianesimo esiste una dottrina teologica divinamente rivelata per mezzo del Figlio di Dio.
Tuttavia occorre precisare che l’atto di fede, in quanto atto umano, è essenziale ad ogni religione, in quanto comunque comporta un credere o nel profeta o in Dio. Cambiano i contenuti. E qui si pone il problema del vero e del falso,
Oggi, male interpretando il senso della pluralità delle religioni, si è diffusa l’abitudine di parlare di «fedi» religiose, come se trattasse della molteplicità delle opinioni politiche presenti in parlamento: segno deplorevole di concezione relativistico-massonica della fede religiosa.
Ma per il credente, quale che sia la religione alla quale appartiene, le cose non stanno così: egli non intende affatto opinare, ma pretende di sapere, di conoscere una verità universale salvifica e obbligatoria per tutti. Chi non la pensa come lui non è solo di un’idea diversa, ma semplicemente sbaglia e mette in pericolo la sua salvezza.
Il credente non intende affatto come opinione il suo credere, la sua fede, anche se poi occorre verificare nelle religioni non-cristiane se e quanto queste convinzioni sono fondate. Egli è convinto, al contrario, di possedere un sapere assolutamente certo, universale e obbligatorio per tutti, perché il contenuto di una fede religiosa riguarda la salvezza dell’intera umanità e quindi norme, riti, leggi e obblighi divini indiscutibili, vincolanti per tutti.
Allora bisogna dire che il dovere dell’uomo di fede non è quello di rispettare le idee contrarie alle sue, proprie del fedele di un’altra religione. Il fedele di quella religione non dice la stessa cosa in un’altra lingua, ma semplicemente sbaglia.
Nasce allora il problema di sapere chi ha ragione. Se Gesù è Dio non può essere altrettanto vero che Gesù non è Dio. E dire che Gesù è Dio e Gesù non è Dio non sono diverse lingue o modi di dire per dire la stessa cosa. No. Per noi cristiani la prima posizione è quella giusta e conduce alla salvezza; l’altra porta alla perdizione. E questo vale non solo per noi cristiani ma anche per i musulmani.
Bisogna che queste cose nel dialogo interreligioso vengano fuori con chiarezza, sia pur con ogni rispetto per il musulmano, per non navigare in un equivoco che gli blocca l’accesso alla salvezza.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 27 settembre 2024
Il Papa ha trattato del valore della diversità nel senso che ho detto e si è riferito alla religione naturale, preparazione alla religione cristiana, che, come egli ama dire, ci fa tutti fratelli, perchè, come direbbe San Tommaso d’Aquino, è basata sulla ragione naturale, principio dell’uguaglianza umana, che definisce la natura umana come tale, valore universale presente quindi identicamente, seppur in infiniti modi diversi, in ogni essere umano, quale che sia la sua religione.
Il Papa ha voluto fermarsi, per una precisa scelta pastorale adatta alla circostanza, a trattare dell’aspetto del dialogo e del rapporto interreligioso che tocca la legittima diversità non tanto fra le religioni come tali, quanto piuttosto fra i fedeli delle diverse religioni, e quindi l’integrazione, la complementarità e l’arricchimento reciproci.
Non sono le religioni ad essere tutte alla pari; siamo noi uomini, cristiani e non-cristiani ad essere tutti alla pari, tutti parimenti peccatori, tutti ugualmente redenti dal sangue di Cristo, tutti chiamati alla salvezza.
* Cf: "Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: «Tu
sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato
immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù,
lingua, popolo e nazione." (Ap 5,9) e "Dopo
queste cose guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva
contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che
stava in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, vestiti di
bianche vesti e con delle palme in mano." (Ap 7,9)
[1] Sono oggi in commercio fornitissime Enciclopedie delle religioni, come per esempio quella dell’Editore Vallecchi di Firenze del 1973 in sei volumi di circa 1000 pagine ciascuno.
Caro Padre, certamente anche io ho capito la prudenza usata da Papa Francesco, diciamo così. Il Santo Padre ha anche insegnato a quei giovani di non dire, fanciullescamente, fra di loro, e a ragione, che "la mia religione é migliore della tua". Però, Il suo discorso é finito su quel punto, a mezz'aria.E' troppo poco per un Papa. In seguito, in altri ambiti, anche formale e non a braccio, ha parlato delle diversità delle religioni come un dono di Dio; ha detto e scritto che è Dio che ha voluto così. Ma di Nostro Signore, che é venuto di persona per dirci tutto ed indicarci la Via (cioè Lui stesso), in quei momenti non parla. Mi pare sempre troppo poco. Esiste il peccato di troppa prudenza? Scusi la domanda.
RispondiEliminaCaro Alessandro, io penso che la prudenza del Papa non sia troppa, ma sia quella giusta.
EliminaPensiamo alle condizioni dei cristiani, che abitano come piccole minoranze in paesi islamici, magari di orientamento dittatoriale. Inoltre abbiamo continue notizie di cristiani martirizzati da musulmani.
Io credo che in queste condizioni il Papa tema che, ad usare una maggiore chiarezza riguardo a Cristo, possa suscitare reazioni violente contro i cristiani.
Una cosa invece che possiamo fare noi, laddove abbiamo occasione di frequentare musulmani, è quella di tastare il terreno per vedere se si può dire una buona parola.
Molto temo che una deficienza di formazione filosofica e teologica in questi ultimi decenni, ha portato molti sacerdoti e vescovi (e ho detto "molti", e credo sia la realtà) a non comprendere questo sguardo più profondo che il Magistero ha sulle realtà delle altre religioni.
RispondiEliminaQuello che voglio dire è che da una parte ci sono i Vescovi e sacerdoti che credendo in buona fede (non credo che ci siano tanti in malafede) che Nostra aetate non permette di distinguere il vero dal falso nelle altre religioni, promuovono un falso dialogo interreligioso, che rinuncia all'evangelizzazione.
E sull'altro polo, ci sono gli altri sacerdoti e vescovi che continuano a pensare secondo lo schema fondamentalista di "vera religione-falsa religione", precedente al Concilio Vaticano II ed al Magistero pontificio postconciliare, e giudicano esplicitamente o implicitamente Papa Francesco come eretico.
Modernisti e passatisti sono nemici del Papa, i primi distorcendo l'insegnamento della Chiesa (e di Papa), i secondi considerando eresia ciò che oggi insegna la Chiesa (e il Papa).
Probabilmente a questi secondi (forse laureati in filosofia e teologia alla Gregoriana o all'Angelicum o a Salamanca) sembra una pietra di scandalo che oggi, un Vicario di Cristo argentino, senza maggiori conoscenze di teologia, eccessivamente verboso, imprudente a volte nel suo parlare, a volte confuso nelle sue espressioni, tuttavia, per speciale carisma dello Spirito Santo, sia predicatore del vero dialogo interreligioso spinto dal Vaticano II.
Grazie, caro padre Giovanni per i suoi articoli su questo tema.
Caro Ross, è vero che i modernisti interpretano la Nostra Aetate in senso relativistico, ma, a mio giudizio, si tratta di un documento dogmatico di grande importanza, perché, per la prima volta, il magistero della Chiesa insegna che il Dio dei cristiani è lo stesso del Dio degli ebrei e dei musulmani. Il Papa ha allargato il discorso agli indù e ai buddisti.
EliminaQuello che già la Chiesa aveva definito è ciò che insegna il Concilio Vaticano I, che la ragione umana può dimostrare l’esistenza di Dio.
Per quanto riguarda il rapporto tra il Dio di Mosè e il Dio di Gesù, la Chiesa ha sempre saputo che è il medesimo Dio, ma forse il Concilio lo afferma con una forza che mai fino ad allora la Chiesa aveva avuto.
Quello che probabilmente impediva alla Chiesa, prima del Concilio, di esprimersi con tanta chiarezza era un certo antisemitismo, che in realtà non è mai stato ufficializzato dalla Chiesa e tuttavia essa lo ha sempre tollerato tra i cristiani.
L'antisemitismo è un concetto moderno.
EliminaCerto, l'Antigiudaismo era presente nella vita della Chiesa. Incoraggiato dal Vangelo di San Giovanni e dalla dottrina cattolica.
Il giudaismo nega l'incarnazione. E la Chiesa è stata fondata dal Verbo incarnato.
L'antigiudaismo non è la persecuzione di ogni ebreo. I Papi hanno accolto gli ebrei a Roma quando sono stati espulsi dalla Spagna. Ma la Chiesa ha combattuto il giudaismo come negazione dell'Incarnazione.
Caro Anonimo,
Eliminala ringrazio per questa precisazione. Comprendo quello che lei vuol dire.
Parlando dei Giudei suppongo che lei si riferisca ai nemici di Cristo, che San Giovanni chiama Giudei.
Quanto all’antisemitismo, inteso come ostilità nei confronti degli ebrei, direi che, come questa ostilità esiste da millenni - pensiamo per esempio alla vicenda riguardante la schiavitù egiziana -, così credo si possa dire che l’antisemitismo non è solo un concetto moderno, ma è esistito fin da allora.
Veramente, Fr Giovanni Cavalcoli, lei è un modernista peculiare, con una gnoseologia ortodossa. Ma modernista alla fine.
EliminaCaro Lodovico,
Eliminavorrei che lei mi spiegasse per quale motivo lei mi considera un modernista. Se lei avesse seguito i miei scritti, si sarebbe accorto che io combatto il modernismo da quarant’anni.
Temo invece che lei non abbia un concetto giusto di modernismo e lo scambi col progressismo. Io sono un progressista, come per esempio Maritain e lo stesso Sommo Pontefice. Ma in ciò non c’è niente di male, anzi è un dovere, perché la Chiesa cammina nella storia, progredisce nella sapienza e nella santità e in particolare oggi ha il compito di mettere in atto quel progresso che il Concilio Vaticano II ha stimolato nella Chiesa.
Il modernismo non è la pura e semplice attenzione ai valori moderni, ma è l’idolatria di tutto ciò che è moderno, sia buono che cattivo. Il modernismo non è il saper cogliere criticamente alla luce del Vangelo quanto c’è di buono nella modernità, ma è la pretesa empia di giudicare il Vangelo in base alla soggezione agli errori moderni.
Allora, padre Cavalcoli, come conclusione: nella Chiesa del nostro tempo non parliamo più di vera religione o falsa religione (e questo lo deve tenere in conto chi rischia di cadere nell'indietrismo), ma non è lo stesso pluralismo linguistico e pluralistico dottrinale (e questo deve essere tenuto in considerazione da chi rischia di cadere nel modernismo).
RispondiEliminaCaro Enzo, nel dialogo interreligioso occorre sempre tenere presente la questione della verità. Ma il Concilio mette in luce il fatto che una dottrina religiosa è costituita da una molteplicità di verità e che la religione cristiana abbraccia in sé tutte le verità della salvezza.
EliminaQuanto alle altre religioni, non dice che sono false, come se si trattasse di un’unica proposizione, della quale diciamo che è o vera o falsa, ma dice che non contengono tutte le verità salvifiche e parla della necessità che i fedeli di queste religioni si istruiscano al fine di correggere i loro errori e di apprendere le verità mancanti.
Con tutto ciò, se essi in buona fede, per ignoranza invincibile, non posseggono in pienezza il patrimonio delle verità, la misericordia di Dio va loro incontro ammettendoli ugualmente nel regno di Dio.
Per quanto riguarda il resto, che lei dice, confermo senz’altro le sue parole.
Parliamo francamente: non possiamo tacciare di eresia, in nessun modo e in nessuna circostanza, quello che ha detto il Papa Bergoglio. È inetto, è maleducazione, costituisce un'inaccettabile mancanza di coraggio, è cercare l'applauso del mondo, è grassona, è mancanza di prudenza, è disagio con la verità, è ignoranza religiosa, è cecità, è sincretismo, è irenismo, ma eresia, no, in nessun modo.
RispondiEliminaCaro Davide,
Eliminami compiaccio del fatto che lei riconosce che il Santo Padre non è eretico, prendendo le distanze da coloro che purtroppo gli fanno questa accusa.
Tuttavia non mi sento di condividere le critiche nel tono così esagerato da lei espresso, anche se sappiamo che è un essere umano con le sue fragilità.
Quello che invece è importante fare, è riconoscere le sue buone qualità e le sue iniziative principali di grande valore, che certamente hanno un carattere storico e lasceranno una traccia positiva nella Chiesa del futuro.