Le radici spirituali della guerra
La pace si ottiene solo con la forza dello spirito
Prima Parte (1/2)
Provvedere subito prima che sia troppo tardi
Siamo ancora in tempo per evitare la catastrofe nucleare, però bisogna mettere subito in pratica quanto Cristo ci insegna. E cioè che cosa? Che cosa è la guerra, da che cosa nasce, come la si toglie, che cosa è la pace e come si ottiene la pace.
Hegel, l’apologeta della guerra, ebbe tuttavia una frase felice: solo lo spirito può vincere lo spirito. Gli animali lottano per il cibo o per la riproduzione o per difendersi da altri animali, insomma per interessi puramente materiali. Siccome anche l’uomo è un animale, anch’egli può far guerra per ottenere risorse materiali, per recuperare beni derubati dal nemico, per difendersi da un aggressore, per poter sopravvivere all’assalto di nemici, per liberarsi da nemici irriducibili.
Tuttavia l’uomo, per quanto ingannato da ideologie materialiste, per quanto schiavo della cupidigia di beni materiali, per quanto prono alla concupiscenza, per quanto iracondo o prepotente o immerso nei vizi dell’egoismo, dell’avarizia e della libidine, per quanto sadico o portato all’odio e alla violenza fisica, resta sempre una persona, che, come tale, salvo i casi di malattia mentale, non agisce mai per puro istinto o per pura passione o per pura emozione o per soli interessi od obiettivi materiali, ma sempre con l’intelletto e la volontà, in base a un certo concetto dell’uomo, della vita, della morale, di Dio, della felicità.
Questo vuol dire che al fondo dell’agire di ogni uomo ci sono interessi, finalità e forze morali e spirituali. Che questi interessi, finalità e forze siano ragionevoli, lodevoli, nobili, sani, costruttivi, benefici, salvifici, questo è un altro discorso.
Chiediamoci tuttavia; che cosa può indurre un uomo, un popolo, una nazione a muover guerra a un altro popolo o ad un’altra nazione col mettere a repentaglio la propria vita la prospettiva di uccidere altri uomini, se non l’intervento e la azione motrice di forze, interessi, motivazioni, obiettivi, finalità che vanno al di là dei propri interessi fisici?
Che l’uomo agisca in base alle sue idee, alle sue concezioni, a ciò che pensa e vuole circa il senso della sua vita o la sua felicità, è inevitabile, perché corrisponde alla sua natura. Tutto quello che può succedere è che agisca o in base a idee giuste o in base a idee sbagliate. Il problema della guerra è tutto qui.
Le guerre nascono perché gli uomini, corrotti dal peccato originale, spinti e accecati dalla superbia, dalla concupiscenza e dalle passioni, sono portati a concepire idee sbagliate sulla natura umana, sulla morale, sul senso della vita, su Dio, sulla felicità e sulla pace stessa, idee che guidano l’azione fuori strada verso il disastro e la perdizione.
Mentre la verità nasce dall’animo limpido, onesto e umile e spinge all’unione, all’armonia, al dialogo, alla giustizia, all’obbedienza, alla concordia, all’ordine, all’amore e alla pace, l’errore, la menzogna e l’eresia, nate dalla disonestà intellettuale, spingono all’ingiuria, alla calunnia, alla derisione dell’avversario, alla doppiezza, alla divisione, alle inimicizie, allo scisma, alla ribellione, alla discordia, al conflitto, alla violenza, all’odio, alla crudeltà, alla distruzione e alla guerra.
Cause della guerra e motivi etici dell’azione bellica
La causa radicale e più profonda delle guerre, ancor più che le passioni carnali e le cupidigie di beni terreni, sono la superbia e l’empietà. È la convinzione che un popolo o una associazione umana si fanno di avere il diritto di dominare sugli altri o su di un altro popolo o sull’intera umanità perché si considerano senza fondamento e per autosuggestione apportatori di salvezza e libertà per l’intera umanità. Questo è il caso di certe dottrine come quella islamica, massonica o comunista. Se c’è un popolo che a buon diritto può vantare simile privilegio, questo è il popolo d’Israele, ma solo perché è stato scelto da Dio per questa missione.
La guerra in senso fisico è solo lo sbocco tragico e mortifero di una guerra che comincia per suggerimento del diavolo e matura nel silenzio della nostra mente, una guerra fomentata dalle false filosofie, dal disprezzo, dalla falsificazione della Parola di Dio, dai falsi cristi e falsi profeti, lupi travestiti da agnelli, abili seduttori.
Essa nasce nei nostri cuori, dalle nostre cattive intenzioni, dalle nostre idee illusorie e manie di grandezza, dai nostri cattivi pensieri e desideri riguardo noi stessi e il nostro agire o concernenti Dio e il prossimo. La morte fisica è la conseguenza del peccato mortale, che fa andare di mezzo anche gli innocenti.
In una comunità o in una società, per esempio all’interno della Chiesa stessa, si può essere benissimo in guerra senza che nulla appaia o trapeli all’esterno, ma anche in mezzo alle buone maniere o alle cortesie, in un’apparente tranquillità, che però nasconde l’invidia, il disprezzo, l’emarginazione, la persecuzione, il dileggio, l’ipocrisia. Vuol dire allora che qui non c’è la guerra? Il conflitto fra passatisti e modernisti non è forse una guerra?
Le idee false su Dio, l’ateismo, lo gnosticismo e il panteismo sono un fattore potentissimo di guerra. Il peccato originale è stato un peccato di superbia e di disobbedienza a Dio e tutti i mali, le disgrazie e quindi anche la guerra nascono e traggono l’origine prima da questo primo peccato originario.
Credere che nello stato di natura decaduta della vita presente, seppur redenta da Cristo, gli Stati abbiano la possibilità e il dovere di abolire la guerra, è una utopia buonista russoiana o una pia illusione, che ignora appunto l’inevitabile ed insopprimibile tendenza al peccato propria della presente vita mortale. Solo in paradiso non ci saranno più guerre perché solo là ci saremo totalmente liberati dalle conseguenze del peccato originale.
Noi possiamo avere per conto nostro un animo pacifico, ma se tale stato d’animo, tale intenzione di evitare lo scontro non l’hanno anche gli altri, che ci giova? Forse che ci risparmia la guerra? Forse che dovremo rinunciare a difenderci per conservare la pace?
Infatti, non possiamo evitare prima o poi, in un modo o nell’altro, di trovarci in circostanze nelle quali, risultando inutili le trattative, appare necessario ed efficace far valere il nostro o l’altrui buon diritto col ricorso all’uso della forza. Occorre ricordare il famoso comando evangelico relativo allo «schiaffo nella guancia»? Ma qui Cristo non intende negare il diritto alla legittima difesa, ma semplicemente richiama al dovere della mitezza, della pazienza e della disponibilità. Gesù infatti all’occasione parla esplicitamente della guerra senza problemi come cosa normale (cf Lc 14,31; Gv 18,36). E del resto non è Lui il Cavaliere dell’Apocalisse?
L’azione bellica è regolata da una severa disciplina, mancando alla quale il militare viene severamente punito. Il militare è tenuto all’obbedienza ai comandi dei superiori che si suppongono giusti. L’eroico compimento del dovere viene giustamente lodato e premiato. La guerra non è in sé stessa un crimine, ma con tutto ciò esistono i crimini di guerra, che possono essere mancanze al dovere o per eccesso: la crudeltà o la rappresaglia o per difetto: la viltà e la diserzione.
L’amore evangelico per il nemico vale anche nell’uso delle armi o nell’azione bellica. Il soldato infatti uccide il nemico non perché lo odia ma perchè lo ama. Ciò sembra un paradosso, ma è così. Che cosa infatti significa questa affermazione? Amare è volere il bene dell’amato e odiare il suo male. Il soldato che uccide il nemico non odia il nemico come persona umana, ma odia l’azione nemica e ingiusta del nemico. Il soldato sopprime pertanto questa azione ingiusta che è il male dello stesso nemico.
Ciò accidentalmente e preterintenzionalmente comporta o richiede la morte del nemico che compie quell’azione. Il soldato tuttavia non vuole sopprimere il nemico ma la sua azione. Egli al contrario mostra di volere il suo bene impedendogli di compiere quell’azione che sarebbe il suo male.
Lo scopo della guerra è la pace ottenuta mediante quell’attuazione della giustizia che consiste nella rivendicazione di un diritto conculcato: o la difesa della patria invasa od oppressa dallo straniero o la riconquista di territori patri perduti o la liberazione di una nazione amica o di cittadini oppressi in paese straniero.
L’antico detto romano si vis pacem, para bellum, per quanto possa apparire strano, è in realtà dettato da saggezza. Non esclude che possano bastare in certi casi mezzi pacifici per ottenere la pace, ma in certi casi, come dimostra l’esperienza, quando il nemico non ragiona, l’unico modo per indurlo a compiere il suo dovere o un atto ragionevole o a impedire che rechi danno è la coercizione o l’uso della forza, che non va confusa con la violenza, perché questa, in quanto costrizione che offende il diritto, è un atto di ingiustizia e dev’essere evitata, mentre qui al contrario si tratta di far giustizia o di difendere il diritto, per cui si tratta di un atto doveroso di giustizia.
Per il cristiano la pace non è tanto una conquista, quanto piuttosto un dono di Dio. Essa è effetto della riconciliazione dell’uomo con sé stesso, con Dio e col prossimo, operata da Cristo. È la quiete dello spirito conseguente all’unione con Dio, dopo il travaglio e le inquietudini della vita presente.
L’essere pacifico del quale parla il Vangelo non è il pacione. Non è lo stato psicologico comodino di chi se ne sta tranquillo per conto proprio perché tanto lui ha la pancia piena, succeda quel che succeda. Questo è semplicemente un egoista. Il pacifico del Vangelo è sì un uomo in pace con sé stesso, ma anche inscindibilmente è un costruttore di pace: pacem-facio, uno che ottiene la pace, che opera, e combatte e soffre per la pace. Non si dà pace finchè anche gli altri non siano in pace.
Infatti la vera pace non è una semplice esperienza personale, ma è un’esperienza comunitaria. In tal senso, perché nella società ci sia pace non basta che sia in pace io: lo devono essere anche gli altri. Io posso benissimo per conto mio essere in pace; ma se l’altro vuole la guerra, anche se non sono personalmente attaccato, io non posso esimermi dal combattere per ricostituire la pace nella giustizia. Devo avvertire come mio interesse la pace degli altri.
Aggiungiamo che la guerra cessa quando il più forte che si suppone abbia agito motivato da buone ragioni, ha ottenuto la vittoria sul nemico. A questo punto, però, si pone oggi un problema ben noto che non esisteva nel passato: oggi le massime potenze posseggono armi atomiche di tale potere distruttivo che il ricorso ad esse sortirebbe l’effetto di distruggere l’intera umanità senza che i due belligeranti abbiano la possibilità di difendersi dall’avversario.
Rinunciare all’uso delle armi da fuoco per timore che un’escalation conduca all’uso delle armi atomiche? Sciogliamo le forze armate degli Stati e il contingente militare dell’ONU? Disarmiamo i Carabinieri, la Polizia, la Guardia di finanza, le guardie giurate e i vigili urbani? È chiaro che se dobbiamo assolutamente escludere la liceità di una guerra nucleare, ciò non giustifica la condanna di ogni guerra come tale anche di quella condotta con armi da fuoco o missili a breve gittata per il timore che essa degeneri in una guerra nucleare.
La nostra Costituzione dice che rifiuta la guerra come mezzo per la risoluzione delle divergenze fra gli Stati, Va bene. Ma se un altro Stato ci aggredisce, che facciamo? E il fornire armi a Zelensky è conforme alla nostra Costituzione? E per qual motivo manteniamo un Ministero della difesa? E perché facciamo parte della NATO?
Certo la guerra è una cosa odiosa, che tutti vorremmo che non ci fosse. Tuttavia quando parliamo di «guerra», bisogna che c’intendiamo: è chiaro che se la definiamo come atto peccaminoso, non si può parlare di peccato giusto: la guerra è sempre e comunque da rifiutare o disapprovare.
Ma se per guerra intendiamo azione militare ordinata per autorità dello Stato per la difesa degli interessi dello Stato, come ci suggerisce il vocabolario, ecco la possibilità di una guerra giusta, ed anzi la guerra, presentata in questi termini. diventa un atto di giustizia, che giustifica il parlare di virtù militari, di codice e di diritti di guerra. Diventa ingiusta dunque non in quanto si tratta di un semplice uso delle armi, ma perché se ne fa un uso ingiusto.
Può sembrare paradossale, ma la promozione della pace non si ottiene con una condanna assoluta della guerra, ma proprio mediante un motivato, ragionato, moderato e prudente uso della forza militare. Il buonismo e il rifiuto assoluto dell’uso della forza militare giudicato sempre come ingiusto è proprio il modo per favorire l’ingiustizia della guerra, per ingigantire ed aggravare la guerra e per avviarla verso il baratro della catastrofe nucleare.
È interessante al riguardo come questo buonismo ci ha fatti cadere in una trappola dalla quale non riusciamo più ad uscire. Testimone di questa situazione angosciante può essere il quotidiano Avvenire che ogni giorno in modo monotono e rassegnato dà due serie di notizie apparentemente opposte: da una parte il ripetersi degli appelli e delle manifestazioni per la pace e dall’altra l’allucinante susseguirsi dei bombardamenti, delle stragi, delle distruzioni.
Ora non serve a nulla ripetere fino alla nausea la parola «pace», se non chiariamo e non ci mettiamo d’accordo su ciò che significa questa parola. Su cos’è la pace, su quale è la sua origine e il suo valore, su come difenderla e conservarla, su quelle che sono le condizioni della pace, su come la si raggiunge quando manca, su come la si rafforza contro le forze che la impediscono, su cos’è che toglie e impedisce la pace.
Invece delle chiacchiere sulla pace, perchè Avvenire, che si qualifica come giornale cattolico, non dedica piuttosto ogni giorno a presentare il ricchissimo patrimonio culturale, storico e teologico sul tema della pace che noi cattolici possediamo negli insegnamenti della sana filosofia, della Scrittura, della Tradizione, della dottrina sociale della Chiesa, dei Padri, dei Dottori e dei Santi? Perché non ci racconta quanto hanno fatto i grandi edificatori, costruttori e restauratori di pace, che hanno dipanato situazioni intricatissime, suscitando negli animi un sincero bisogno di pace?
Perché non presenta esempi e figure di coloro che nella storia sono stati i grandi fautori di pace riuscendo con la loro saggia parola, dissipando equivoci e malintesi, ricordando il giudizio divino, eccitando nei cuori l’umiltà, il pentimento, l’amore e il perdono, a placare guerre terribili, a mettere d’accordo avversari irriducibili, ad impedire crudeltà, stragi, ferocia, vendette e distruzioni, ad estinguere odii radicati ed implacabili, a risolvere problemi che apparivano insolubili?
Chi è che non dice di volere la pace? Chi è che dice di amare la guerra? Anche Hitler e Stalin dicevano che volevano la pace. Non se ne accorge Avvenire che nonostante la sua quotidiana retorica sulla pace, la guerra infuria ogni giorno più che mai?
Come mai? Forse che i soldati che si combattono non vogliono la pace? Si divertono ad ammazzarsi gli uni gli altri? Sono tali mostri che provano un gusto sadico nel distruggere scuole, fabbriche, ospedali, ad ammazzare vecchi, malati e bambini? Hanno una gran voglia di sprecare la propria giovane vita per niente, per far piacere ai capi o perchè da loro costretti o sedotti?
Così sembrerebbe pensarla Avvenire da come presenta le cose. Diciamo piuttosto che la cosa chiara è che non c’è l’accordo degli animi su che cosa è la pace e qual è il valore incomparabile della pace. E il cattolico non ha niente da dire o da suggerire su questo gravissimo tema se non il gridare «sì alla pace e no alla guerra»?
Invece di ospitare quasi ogni giorno l’apologia di autori anticattolici, non farebbe meglio a dedicare un servizio a qualche grande figura di cattolici fautori di pace? I massoni e i protestanti hanno già la loro stampa: che bisogno c’è che Avvenire vi si accodi? Coloro che la pensano come loro vadano a scrivere sui loro fogli e lascino ai cattolici di scrivere sul quotidiano cattolico.
Guerra e pace sembrano due cose che si respingono in modo assoluto e totale l’un l’altra, come il bene il male, ma in realtà non è così: al di là della loro chiara opposizione, sono collegate l’una all’altra. Un semplice astratto auspicio di pace, salvo che non sia un’invocazione a Dio, cosa assolutamente doverosa e fruttuosa, anche ripetuta un infinito numero di volte, senza chiarire, spiegare o cercare di spiegare in che cosa la pace dovrebbe consistere e come la si potrebbe raggiungere, non serve assolutamente a niente ed anzi, come sta avvenendo sotto i nostri occhi, genera il progressivo aggravarsi della guerra.
Il nostro Parlamento in particolare soffre drammaticamente di questa situazione esasperante senza uscita e le spaccature si trovano sia nei partiti di governo che di opposizione: dare o non dare armi a Zelensky? Se gliele dai sei per la guerra. Se non gliele dai, sei ancora per la guerra, perché la guerra continua per l’invasione e gli attacchi dei Russi. Come si esce da questa trappola?
L’origine della guerra in Ucraina[1]
Prima dell’invasione del territorio ucraino del Donbas il 22 febbraio 2022, Putin dichiarò il senso, il perché, l’obbiettivo, i limiti e lo scopo dell’operazione militare che si accingeva: eliminare dal Donbas formazioni armate antirusse, che opprimevano la popolazione russa di quel territorio, assicurando che l’operazione sarebbe durata pochi mesi a patto che queste formazioni non fossero aiutate dall’esercito regolare ucraino o da forze extraucraine, altrimenti l’operazione di sarebbe prolungata per la necessità di far fronte a forze superiori a quelle previste. Invece l’esercito ucraino non solo intervenne a soccorso di quelle formazioni, ma nel corso di questi ultimi due anni, il governo ucraino ha chiesto ed ottenuto rinforzi militari dalla NATO.
Per questo, quel confitto che avrebbe dovuto durare pochi mesi, non solo è ancora in atto, ma si sta aggravando, perché è aumentato il potenziale militare mandato in soccorso a Zelensky.
D’altra parte, bisogna pur dire che i Russi in questo tempo, al fine di colpire in Ucraina basi di appoggio delle formazioni incriminate, sono andati molto al di là del giusto, ed hanno finito col compiere atti bellici del tutto al di fuori delle regole, e hanno attuato interventi in altre città e centri dell’Ucraina, che hanno distrutto anche strutture civili e prodotto un numero immenso di morti tra i civili, a cominciare da Kiev, cosa che ha provocato un giusto sdegno nel mondo e all’ONU e una forte e ripetuta condanna da parte del Papa, mentre in modo stupefacente e scandaloso il Patriarca di Mosca Cirillo lodava Putin come uomo di Dio e la sua impresa come «guerra santa contro la corruzione morale dell’Occidente».
Il presidente Putin è un cristiano ortodosso praticante in fatto di culto divino, ma ci si potrebbe chiedere se, come capo di governo, si sta comportando da buon cristiano. La domanda angosciata e sdegnata che molti si pongono nel mondo è quanta responsabilità egli abbia nelle crudeltà, distruzioni di città e uccisione di civili, azioni evidentemente nel più stridente contrasto con i doveri del buon governante, sia pur impegnato nella conduzione di una guerra.
Non occorre essere cristiani, ma basta essere uomini amanti della giustizia per capire che il comportamento di Putin sotto questo profilo è inaccettabile e possiamo dire senz’altro criminoso. Come spiegarlo? Come rimediare? Come giudicare Putin?[2]
Hanno ragione Navalny a presentarlo come un dittatore assetato di potere a capo di un’oligarchia di uomini corrotti e ricchissimi, o Avvenire, che tutte le volte che ne parla lo presenta come responsabile di distruzioni, massacri e crimini di guerra? Ha ragione Elena Kostiukovitch, la quale lo accusa di essere una mente infida e malvagia?[3]
Dice la verità il Patriarca Cirillo che lo presenta come «uomo di Dio», per cui egli ringrazia il Signore per averlo donato alla Russia?» C’è da credere allo stesso Putin quando dice che il popolo russo e quello ucraino sono un unico popolo nato col battesimo del principe San Vladimiro nel sec. IX?[4].
Fine Prima Parte (1/2)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 30 settembre 2024
Il cristiano rifiuta la guerra se essa comporta odio, violenza, prepotenza, aggressività, distruzione, crudeltà. Accetta la guerra se essa significa lotta, combattimento, battaglia contro il peccato, il demonio, la carne, il mondo. Qui o si vince o si è vinti. Ed è a proposito di questa guerra che Gesù usa le parole: «Sono venuto a portare una spada» (Mt 10,34).
Per il cristiano la pace non è tanto una conquista, quanto piuttosto un dono di Dio. Essa è effetto della riconciliazione dell’uomo con sé stesso, con Dio e col prossimo, operata da Cristo. È la quiete dello spirito conseguente all’unione con Dio, dopo il travaglio e le inquietudini della vita presente.
Il pacifico del Vangelo è sì un uomo in pace con sé stesso, ma anche inscindibilmente è un costruttore di pace: pacem-facio, uno che ottiene la pace, che opera, e combatte e soffre per la pace. Non si dà pace finchè anche gli altri non siano in pace.
Putin si pone nella linea della ben nota tradizione bizantino-ortodossa e dell’autocrate rappresentante di Cristo Pantokrator, protettore della Chiesa, mentre il Patriarca è il sommo Liturgo, protetto dall’Imperatore-Zar. La visione, pertanto, non è una realtà autenticamente evangelica, ma risente della tradizione del dispotismo orientale, per cui succede che a Cesare va quello che è di Dio col pretesto che Cesare protegge il sacerdote. Ma al sacerdote è tolto il primato sull’imperatore, e gli resta solo il campo della liturgia. La Terza Roma di Cirillo, nome altisonante, che sembra volerla mettere al di sopra della prima, è in realtà, per un Patriarca, ben misera ed umiliante cosa, che lo riduce ad essere, come si è espresso il Papa, il «chierichetto» di Putin.
Immagine da Internet
[1] Ho già trattato della guerra in Ucraina nel mio libro Dona a noi la pace. Il significato della presente guerra, Chora Books, Hong Kong 2002.
[2] Studi seri su Putin che ci possono aiutare sono quelli di Giovanni Codevilla, profondo conoscitore del realtà russa, per esempio: La nuova Russia, Jaca Book, Milano 2016, vol.IV di Storia della Russia; Da Lenin a Putin, Jaca Book Milano 2024.
[3][3] Nella mente di Vladimir Putin, La nave di Teseo Editore, Milano 2022
[4] La stessa cosa afferma S.Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Euntes in mundum in occasione del millennio del battesimo della Rus’ di Kiev del 25 gennaio 1988.
Per fare la pace bisogna essere in due, per iniziare una guerra uno solo.Purtroppo !
RispondiEliminaCaro Anonimo,
Eliminala sua osservazione è molto vera e ci dice che fare la guerra è facile e fare la pace è difficile.
Tuttavia in alcuni casi, come ho spiegato nel mio articolo, può essere lecito muover guerra ad un altro Stato o per tornare in possesso di un territorio nazionale occupato ingiustamente o per onorare un precedente patto difensivo contratto con una Nazione amica aggredita ingiustamente.
È vero comunque che capita che le guerre di espansione o imperialistiche sono mosse dalle potenze che si basano su questa condotta, per cui certamente succede che queste potenze muovono guerra di loro iniziativa ad altre Nazioni pacifiche con dei falsi pretesti.
Quanto al fare la pace è cosa più difficile per il fatto che purtroppo i popoli sono portati a far guerra tra di loro. Purtroppo questo cattivo istinto lo sentiamo fin da bambini. Allora, che cosa bisogna fare?
Bisogna che tutti assieme - ecco la fratellanza universale, ecco la sinodalità - potenziamo una tendenza opposta, che è ancora più radicale, perché è naturale e creata da Dio, che è la tendenza a volersi bene e a collaborare assieme per il progresso umano, tutti assieme come dice Papa Francesco, mentre la tendenza a peccare è sopraggiunta e quindi tutto sommato è contingente e quindi eliminabile.
Tuttavia bisogna ricordare, come ci insegna la fede, che sia la promozione del bene che la eliminazione del male sono impossibili senza il soccorso della grazia divina.