Sulla differenza fra il corpo e lo spirito - Seconda Parte (2/6)

 

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito

Seconda Parte (2/6)

 La missione educatrice e sapienziale del Magistero della Chiesa

Oggi il Magistero della Chiesa continua a presentare la concezione cristiana dell’uomo ma a mio avviso lo fa con una difesa insufficiente dell’antropologia razionale e filosofica, le cui tesi fondamentali essa ha pur elevato a dogmi di fede.

Essa non si preoccupa sufficientemente di segnalare e confutare i numerosi errori ed eresie che oggi, sotto apparenze scientifiche o di esegesi biblica o in nome di una falsa mistica, sono in circolazione e vanificano le ragioni di credibilità alla predicazione ecclesiale, facendola apparire mitologica, superata, non biblica, contraria alla scienza e in contrasto con la filosofia moderna.

La Chiesa dovrebbe dire con chiarezza che la Sacra Scrittura non è legata alla mentalità semitica ma suppone la verità razionale o filosofica scoperta dalla filosofia greca, la quale non è una filosofia tra le altre, ma quella dalla quale a preferenza di altre meno perfette ha tratto alcune nozioni che essa ha utilizzato per la formulazione dei dogmi.

Ogni popolo ha i suoi talenti, valori universali, che esso mette in comune con l’umanità. Gli Ebrei si distinguono per il loro radicalismo, i popoli nordici per il loro spirito di avventura, i Tedeschi per l loro sentimento, i Latini per il senso del diritto, gi Indiani per la mistica, gli Africani per il senso della famiglia e così via.

Ogni popolo ha da donare all’umanità un valore universale da lui vissuto e nel quale eccelle. Così i Greci hanno donato all’umanità la filosofia, la scienza della ragione. Ciò non vuol dire che non esistano diverse filosofie. Ma la migliore di tutte è quella greca, purificata ed assunta dalla dogmatica e dalla teologia cristiana.

Per questo la Chiesa, testimone ed interprete dell’universalità del messaggio biblico, per spiegare nei suoi dogmi la dottrina biblica dell’uomo, non ha scelto la mentalità semitica, ma ha scelto alcune categorie della filosofia di Aristotele purificate ed elevate da San Tommaso, un insieme di nozioni filosofiche che è da considerarsi come patrimonio dell’intera umanità.

La Chiesa non è legata a una particolare cultura o filosofia, discutibile, nazionale, raffinata o popolare, volgare o esoterica, localizzata, caduca, mutevole ed eventualmente oggi superata, non è legata alla cultura occidentale od europea, piuttosto che a quella americana o asiatica o africana, non è legata alla mentalità semitica o slava o anglosassone o tedesca o latina o greca, ma al contrario le nozioni che la Chiesa non esprimono una peculiarità della filosofia greca, ma sono nozioni proprie della mente umana, quindi non soggette a deperimento, sono nozioni comuni,  prodotte dalla ragione umana come tale, greca o non greca che sia.

La Chiesa, madre e maestra dell’umanità, custode della divina rivelazione e quindi custode di ciò che è universale e dei valori teoretici e morali assoluti, sa riconoscere e proporre a tutti e sempre l’universale e perenne, ciò che vale sempre per tutti, è condivisibile da tutti ed è lo stesso per tutti, sicchè tutti accomuna e affratella nella condivisione della medesima verità divina, dei medesimi dogmi.

L’universalità del messaggio di Cristo proposto dalla Chiesa cattolica ossia universale, fatta per tutti, non può che presupporre un pensiero universale, convinzioni universali, nozioni universali, uguali per tutti, generatrici di un accordo universale: una sola verità, una sola fede per tutti.

Se la Chiesa non sbaglia nel presentarci l’universalità del messaggio di Cristo non può sbagliarsi neppure nella scelta delle nozioni filosofiche o di ciò che nel pensiero umano possiede un’universalità adatta a conciliarsi con l’universalità del messaggio cristiano e ne rendono l’accoglienza ragionevolmente possibile.

Per questo la Chiesa si è sempre preferenzialmente dichiarata e si dichiara per la filosofia aristotelico-tomista, per cui ha scelto alcune nozioni di origine aristotelica per la formulazione dei dogmi. Queste nozioni non sono una particolare proprietà della mentalità greca di Aristotele, ma egli, con il formarle non ha fatto altro che mettere in luce quelle nozioni per farne dono all’umanità, così come l’America del Nord, per il fatto di essere stata scoperta da Cristoforo Colombo non fu sua proprietà, ma divenne patrimonio dell’umanità.

Non si tratta di nozioni caduche o relative a realtà corruttibili così che logore per il tempo necessitino di esserne abbandonate e sostituite da altre, ma di nozioni immutabili sempre vive perché relative a valori e realtà immutabili, nozioni perfezionabili che, mantenendo lo stesso senso, assicurano una conoscenza sempre migliore di quelle medesime realtà.

La distinzione fra corpo e spirito è un dato della ragione e della fede

La distinzione fra la realtà materiale o corporea, che cade sotto i sensi, e quella spirituale, che comprendiamo con la sola ragione o l’intelletto, è comprensibile da chiunque ed è presente in tutte le culture. Tutti capiscono che un pensiero o un desiderio o un concetto o un’intenzione o un proposito o un’idea o una volontà o un’intelligenza non si vede con i sensi, non si ode con l’orecchio, non ha un odore, non si gusta col palato, non si misura col metro, non si pesa con la bilancia, non ha una data di scadenza come lo yogurt. Eppure, quanto sono importanti nella nostra vita! È proprio perché si tratta di cose realissime che io posso, grazie ad esse, apprezzare il valore delle cose materiali. Come potrei parlare di queste cose, come potrei concepirle, se non in forza del fatto che io ho uno spirito?

Così avvertiamo istintivamente che le tesi di certi filosofi come un Gentile che vorrebbe convincerci che tutto è pensiero e che oggetto del pensiero è il pensiero o quella di un Berkeley che vorrebbe convincerci che la materia non esiste o all’opposto la tesi di Marx che la realtà è materia sono tesi assurde. E non sarebbe difficile, come vedremo in questo saggio, capire che si rovesciano l’una nell’altra, sicchè l’idealista che dissolve la materia nelle idee, finisce poi col materializzare il pensiero, mentre il materialista che si vanta di affermare la materia, in realtà la risolve in astrazioni e soffoca lo spirito.

Nel contempo sentiamo ripugnanza anche per coloro che in nome dell’unità o della totalità o del reale o della natura o dell’essere o della persona umana confondono il materiale con lo spirituale o viceversa; li mettono in contrasto come fossero nemici. Sentiamo che sbagliano sia coloro che disprezzano la materia, sia coloro che le danno più importanza che allo spirito.

Tutti sappiamo bene che cosa è un corpo, benché il concetto di materia non sia facile. Teniamo però presente che il termine «materia» viene dal latino mater e dal greco meter, che è la madre. Questa etimologia ci può aiutare a capire il mistero della materia. Pensiamo alla madre terra. Siamo fatti di terra. Chi è che non sa che cosa è la terra?

Resta comunque la difficoltà di concepire l’aristotelica eppur innegabile materia prima (prote yle). Infatti la materia prima è priva di qualunque quantità o qualità o proprietà. Per cui per noi è inintellegibile e non sperimentabile in se stessa e lo è solo indirettamente per mezzo della forma e delle qualità sensibili che la informano.

Essa è intellegibile solo a Dio che l’ha ideata e creata[1]. La materia prima non ha un’essenza, ma è solo una potenza di essenza. Non è un ente, ma solo un ente potenziale. Il suo essere le è dato dalla forma. Per questo non si può definire che cosa essa è se non come un quid o ciò che ha una forma o ciò di cui è fatta una cosa. Abbiamo solo questo misterioso «ciò» e dobbiamo accontentarci di questo.

Come è noto, Aristotele formò il concetto di materia prima per spiegare le trasformazioni sostanziali. Se il legno bruciando diventa cenere, bisogna ammettere che il soggetto (ypokèimenon) che prima aveva la forma del legno, poi assume la forma della cenere.

La materia prima, dunque, è un soggetto non quantificato e non qualificato, che può assumere qualunque forma. La forma e gli accidenti della sostanza materiale dipendono dalla forma e non dalla materia. La materia prima è totalmente indeterminata è può diventare qualunque cosa. Essa è semplicemente poter-essere.

Tuttavia in natura, agli occhi del fisico, non ogni materia può assumere qualunque forma. Il legno, secondo le leggi della fisica o della chimica, non può diventare marmo. Ciò vuol dire che fra la materia prima (informe) e quella formata (seconda) occorre ammettere una terza materia intermedia, indirettamente sperimentabile attraverso la forma, che consenta il passaggio dalla prima alla seconda nei casi specifici. Così si differenziano le trasformazioni chimiche da quelle fisiche da quelle biologiche. Aristotele non ne parla, perché ai suoi tempi non esisteva la chimica, ma evidentemente la suppone.

Noi possiamo chiamarla materia adatta o specificata. Essa serve a spiegare perché quella data cosa con quella data essenza o specie può diventare determinatamente quell’altra e non un’altra qualunque. La materia del legno è adatta a diventare la materia della cenere e non quella del marmo o dell’aria perché è adatta a diventare quella cosa e non un’altra.

Le leggi della fisica e della chimica stabiliscono che le forme delle cose nelle trasformazioni si danno il cambio sulla base della materia adatta e non della semplice materia prima. Chimica e fisica studiano la materia formata o la materia adatta, che è oggetto rispettivamente diretto e indiretto dell’esperienza. La materia prima invece è oggetto puramente razionale della metafisica perché riguarda il poter essere dell’ente.

La materia prima è una sola ed è comune a tutte le cose materiali. Le materie adatte sono tante quante sono le cose delle quali esse possono essere la materia. In linea di principio da un punto di vista metafisico ogni cosa, per avere in comune la materia prima, può essere trasformata in un’altra. Ma questo potere trasformatore sull’essere compete solo a Dio. Solo lui può operare sulla materia prima dandole la forma che vuole, perché qui è implicato l’essere (atto e potenza) e solo Dio, causa dell’essere, può operare sull’essere.

Noi possiamo operare delle trasformazioni sostanziali indirettamente operando sugli accidenti solo conoscendo le leggi fisiche del divenire e sul presupposto della materia specificata e così possiamo ottenere la cenere bruciando il legno, o l’acqua unendo idrogeno ad ossigeno, ma perché sappiamo che la materia del legno può diventare quella della cenere o l’unione di due elementi chimici ne può dare un terzo. Ma non possiamo ottenere l’oro lavorando sui metalli, perchè qui è in gioco la materia prima sulla quale solo Dio può operare. Questo era il sogno magico dell’alchimia.

La materia fa ben sentire la sua efficace esistenza reale – checché ne pensasse Berkeley – attraverso la sua esistenza insopprimibile e indipendente da noi, i suoi moti, i suoi effetti benèfici o malèfici, le sue dimensioni misurabili e le sue qualità sensibili.

Per noi la materia ha un’intellegibilità troppo bassa, così come lo spirito ci è pure misterioso perché ha un livello di intellegibilità troppo alto. Solo per grazia il nostro intelletto può essere elevato da Dio alla visione dell’essenza divina, senza peraltro che la nostra comprensione cessi di essere limitata.

Più difficile della conoscenza delle cose materiali è sapere che cosa è l’anima, che cosa è il pensiero, che cosa è la coscienza o la conoscenza, che cosa è la verità o la libertà, che cosa è lo spirito. Si può sapere chi è Dio se non sappiamo che cosa è lo spirito e non lo distinguiamo dalla materia? O forse che Dio è materiale?

Dobbiamo comunque riconoscere che per noi sia lo spirito che la materia ci presentano un aspetto di oscurità o misteriosità per noi impenetrabile. L’idea che ci facciamo dello spirito e della materia è un’idea vera, ma non è chiara. Per questo possiamo avere l’impressione, siamo berkeleyani o siamo marxisti, di usare delle parole alle quali nulla corrisponde. Eppure, se osserviamo attentamente quanto ci danno i sensi congiuntamente all’intelletto con l’aiuto delle analisi condotte dalla filosofia aristotelico-tomista[2], ci accorgiamo dell’utilità ed anzi della necessità di quelle nozioni e di altre connesse per comprendere a fondo la realtà. Se ci fermiamo alle idee «chiare e distinte» di Cartesio potremo capire la matematica, ma ci sarà preclusa la comprensione del reale nei gradi superiori ed inferiori della sua esistenza.

Come giustificare le suddette percezioni e intuizioni spontanee del buon senso o del sapere comune, per quanto possano essere confuse, che tuttavia sono contestate da spiriti che sembrano intelligenti? Vediamo nel presente saggio quali ragioni possiamo addurre o quali considerazioni possiamo fare in questa non facile ma importante materia.

Diciamo subito che i Simboli della fede, già dai primissimi secoli del cristianesimo presentano Dio come creatore delle cose visibili e di quelle invisibili. Il Concilio Lateranense IV del 1215 definisce la creazione dei corpi e degli spiriti come dogma di fede:

 

«Firmiter credimus et simpliciter confitemur  quod unus solus est verus Deus, unum universorum principium, creator omnium visibilium et invisbilium, spiritualium et corporalium, qui sua omnipotenti virtute simul ab initio temporis utramque de nihilo condidit creaturam, spiritualem et corpoream, angelicam videlicet et mundanam; ac deinde humanam, quasi communem ex spiritu et corpore constitutam» (Denz.800).

Questa distinzione è stata illustrata da Aristotele. La fisica moderna, tuttavia ha scoperto una realtà materiale invisibile od occhio nudo, sensibile solo in modo mediato, e mediante deduzioni e calcoli matematici, partendo da fatti empirici, realtà materiale e corpuscolare, infinitesima, statica e dinamica, motrice ed irraggiante, attiva e passiva, composta di materia e forma, sostanza e accidenti, della quale gli antichi non avevano conoscenza.

Il dogma del Concilio Lateranense IV distingue il corpo dallo spirito, ma non parla della vita, che pure è un valore fondamentale filosofico e cristiano. La vita è il prodotto dell’anima e dello spirito, è l’effetto proprio della loro attività. Non si tratta di un’attività fisica che va verso l’esterno nello spazio e nel tempo, ma un’attività immateriale immanente al soggetto stesso vivente. Esso vivendo perfeziona e muove se stesso, arricchendosi di ciò di cui si nutre e di ciò a cui si unisce nella conoscenza e nell’amore.

C’è una vita mortale e una vita immortale. La prima, una vita fisica, sorge per generazione, si accresce, giunge a un culmine e poi declina e si spegne. La forza dell’anima qui è limitata nel tempo o perché, pur essendo in se stessa immortale, la sua forza vivificante gradualmente e irreversibilmente le viene meno.

Oppure perché è l’anima stessa che è mortale perché, sebbene imiti lo spirito, resta nel mondo della materia, materia sublimata, ma sempre materia, sicchè resta sempre invalicabile il confine tra corpo e spirito. Non esiste una realtà intermedia fra corpo e spirito.

Per questo, l’anima vegetativa e quella sensitiva (animale e uomo), per quanto abbiano un’azione immanente, questa immanenza resta sempre legata allo spazio di parti fuori delle parti, per cui la riflessione non è un ritorno perfetto e completo dell’io su se stesso, ma resta sempre una separazione fra il soggetto e l’oggetto. Anzi possiamo dire che l’animale non ha neppure la percezione del proprio io, ma, come dice Aristotele, «sente solo di sentire» e ciò gli serve per imparare i contatti con la realtà e distinguere il nocivo dal vantaggioso.  

Quindi l’anima infraumana non è pura forma inestesa ma ha un’estensione, perché non trascende la quantità, non è una forma semplice, oltre la quantità, ma è un’energia della materia, così che l’anima, benché svolga un’azione interiore ed immanente di autoperfezionamento del soggetto, questa immanenza comporta sempre una vivibilità e una molteplicità disposta a disgregarsi o a dissolversi. Questa è l’anima degli animali e delle piante.

La vita immortale, invece, ossia quella dell’anima spirituale, dell’angelo e di Dio, possiede per essenza una tale forza che non viene mai meno, perché, essendo del tutto immateriale, non è composta di parti così da potersi disintegrare o dissolvere.

Secondo la fede cattolica, dunque, l’uomo è un composto di spirito e corpo. Naturalmente non è la congiunzione di due sostanze o res, come crederà Cartesio, ma un’unica sostanza (o due sostanze parziali), come lascerà intendere il Concilio di Vienne del 1312 definendo l’anima come forma del corpo e quindi supponendo il concetto aristotelico del «sinolo» di materia e forma.

Il che vuol dire che la nostra felicità ci è data dalla fruizione di beni materiali e di beni spirituali, dove quelli sono ordinati a questi: sul piano materiale il dominio di sé e della natura e l’unione uomo-donna; sul superiore piano spirituale l’esercizio della virtù, l’unione con Dio e la comunione con il prossimo e con gli angeli.

Possiamo notare inoltre che la distinzione tra materia e forma come componenti di una sostanza corporea sia naturale che artificiale è chiaramente presupposta nel dogma della transustanziazione, laddove il Concilio di Trento[3] non parla di trasformazione, il che lascerebbe pensare al permanere della materia che perde la forma del pane e assume quella del corpo di Cristo, ma di conversione di tutta la sostanza del pane, dove tutta la sostanza significa materia e forma.

Ciò che permane nella transustanziazione non sono né la materia né la forma del pane, ossia non è la sostanza, ma sono gli accidenti o le specie del pane. Quanto alla sostanza del corpo di Cristo, c’è la sua materia e la sua forma, che è la stessa anima di Cristo, ma mancano gli accidenti, che sono invece nel corpo di Cristo glorioso in cielo. Per questo nell’Eucaristia l’umanità di Cristo è realmente presente, tuttavia non come sostanza ma a modo di sostanza.

Il dogma della transustanziazione suppone anche che le qualità sensibili appartengano realmente alla sostanza e non siano modificazioni del senziente, come crede erroneamente Cartesio. Il Concilio di Trento usa la parola «species» (Denz.1639-1642) per accidente. Il termine significa chiaramente un aspetto reale della cosa. Il sapore del pane che sentiamo quando facciamo la Comunione è vero sapore del pane, ma sotto queste specie c’è il corpo del Signore, mentre le specie sono fatte sussistere da Dio.

Seconda Parte

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 2 giugno 2024

Se la Chiesa non sbaglia nel presentarci l’universalità del messaggio di Cristo non può sbagliarsi neppure nella scelta delle nozioni filosofiche o di ciò che nel pensiero umano possiede un’universalità adatta a conciliarsi con l’universalità del messaggio cristiano e ne rendono l’accoglienza ragionevolmente possibile.

La distinzione fra la realtà materiale o corporea, che cade sotto i sensi, e quella spirituale, che comprendiamo con la sola ragione o l’intelletto, è comprensibile da chiunque ed è presente in tutte le culture. Tutti capiscono che un pensiero o un desiderio o un concetto o un’intenzione o un proposito o un’idea o una volontà o un’intelligenza non si vede con i sensi, non si ode con l’orecchio, non ha un odore, non si gusta col palato, non si misura col metro, non si pesa con la bilancia, non ha una data di scadenza come lo yogurt. Eppure, quanto sono importanti nella nostra vita! È proprio perché si tratta di cose realissime che io posso, grazie ad esse, apprezzare il valore delle cose materiali. Come potrei parlare di queste cose, come potrei concepirle, se non in forza del fatto che io ho uno spirito?

La materia prima è una sola ed è comune a tutte le cose materiali. Le materie adatte sono tante quante sono le cose delle quali esse possono essere la materia. In linea di principio da un punto di vista metafisico ogni cosa, per avere in comune la materia prima, può essere trasformata in un’altra. Ma questo potere trasformatore sull’essere compete solo a Dio. Solo lui può operare sulla materia prima dandole la forma che vuole, perché qui è implicato l’essere (atto e potenza) e solo Dio, causa dell’essere, può operare sull’essere.

Per noi la materia ha un’intellegibilità troppo bassa, così come lo spirito ci è pure misterioso perché ha un livello di intellegibilità troppo alto. Solo per grazia il nostro intelletto può essere elevato da Dio alla visione dell’essenza divina, senza peraltro che la nostra comprensione cessi di essere limitata.

Immagine da Internet: Primo moto, Raffaello, Stanza della Segnatura



[1] Per questo il Salmo dice «Per te le tenebre sono come la luce» (Sal 138,12).

[2] Vedi la sintesi di queste analisi nell’opera magistrale di Joseph Gredt Elementa philosophiae aristotelico-thomisticae, Edizioni Herder, Friburgo 1937, 2 voll.

[3] Denz.1642.

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