Per capire Papa Francesco
Un gesuita francescano
Un Papa diverso da tutti gli altri
Sono stato amico e corrispondente epistolare per alcuni anni del Padre Giandomenico Mucci, sapiente teologo, educatore di giovani e grande guida spirituale, redattore dal 1984 alla morte, avvenuta nel 2020, de La Civiltà Cattolica.
Padre Mucci conosceva personalmente il Papa ed ebbe con lui tantissimi incontri personali. Un giorno mi scrisse riferendomi che il Papa gli aveva detto: «Io sono un po’ furbo e un po’ ingenuo». Non trovo migliore ritratto del Papa di questo che egli ha fatto di se stesso.
Naturalmente questo giudizio non tocca la sua missione dottrinale, ma la sua figura morale. La furbizia può essere prudenza, ma può essere anche duplicità. L’ingenuità può essere semplicità, ma può essere anche dabbenaggine. Un Papa è infallibile nella dottrina, ma non è impeccabile nella condotta morale, nella pastorale e nel governo della Chiesa.
Francesco si riconosce peccatore e per questo ci chiede spesso che preghiamo per lui. Io che seguo quotidianamente sin dagli inizi gli atti del suo pontificato ho notato che da certi difetti si è corretto e un miglioramento nell’esercizio del suo ministero di Pastore universale della Chiesa. Di ciò sto parlando da anni nelle mie pubblicazioni a stampa o sui siti web o sul mio blog.
La spiritualità di questo Papa è del tutto inedita nella storia del Papato: il primo Papa gesuita, non solo, ma un Papa che ha operato una sintesi che parrebbe quasi impossibile fra la spiritualità ignaziana e quella francescana, notoriamente assai distanti: la prima, per l’esaltazione delle virtù umane, soprattutto la capacità di militare nella buona battaglia contro le forze sataniche e i nemici della Chiesa. E difatti nessun Papa come questo ci ha insegnato a sventare le insidie del demonio.
La seconda, per l’umile coscienza della propria povertà condivisa con i poveri nella diffidenza per le arti dell’umana dottrina, sapienza e potenza, paga della coscienza della propria figliolanza del Padre unita al cantico delle creature.
Infatti, quale maggior distanza fra la semplicità disarmante francescana e la studiatissima circospezione gesuitica? Quale maggior differenza fra un’attività evangelizzatrice che mira alla conquista dei ceti dirigenti e quella che vuol dar voce all’umile popolo di Dio? Quale maggior differenza tra una spiritualità che vuol sottomettere a Cristo tutte le scienze e le arti e quella che tiene fisso il pensiero: «scientia inflat, caritas autem aedficat»? Eppure, che cosa dice Cristo? «Semplici come le colombe, astuti come i serpenti». Le colombe francescane e i serpenti gesuiti lavorano assieme per la salvezza del mondo e la venuta del Regno di Dio.
Ecco allora Papa Francesco mettere assieme la fiducia filiale nel Padre di impronta francescana, la fraternità francescana, l’anelito francescano alla pace, l’amore francescano per la natura, la misericordia e la condivisione della povertà dei poveri con l’attitudine alla direzione spirituale, alla lotta contro il demonio, alla disinvoltura con la quale sa muoversi tra i potenti della terra, al discernimento pratico, al senso delle circostanze, all’affetto per Cristo, al culto dello Spirito Santo, allo slancio evangelizzatore, il decisionismo, il dinamismo e il progressismo propri della spiritualità ignaziana.
Papa Francesco ha operato questa sintesi sotto il segno del volontarismo, che è caratteristica comune al Francescano e al Gesuita. Il volontarismo non è il primato della carità sul sapere, perché questo è principio evangelico comune a tutti i discepoli di Cristo, ma consiste nella tendenza a concepire la verità non sotto il segno dell’intelletto, ma della volontà, come se l’intelletto avesse bisogno della volontà per compiere il suo ufficio[1].
Intellettualismo e volontarismo
Nel volontarismo il movimento dello spirito non parte dalla verità, per attuare la volontà, ma parte dalla volontà per produrre la verità, cioè in fin dei conti, per produrre l’essere. La verità non è ciò a cui il nostro intelletto si deve adeguare, ma ciò che decidiamo noi con la nostra libera volontà[2].
Ê la tendenza a vedere il bene morale non come pratica del vero e presupposto al bene, non come effetto dell’attività intellettuale, ma come valore in se stesso nel presupposto che esso contenga già il vero o sia produttore di verità. La libertà non è effetto e conseguenza della conoscenza della verità, ma il farsi stesso concreto della verità.
La volontà non è buona o cattiva perché sceglie il vero o il falso, ma perché disobbedisce a Dio. Dio non vuole qualcosa perchè è bene, ma qualcosa è bene perché Dio lo vuole. Vero e falso non si misurano sull’essere, ma sul bene: vero è ciò che è bene, il falso è ciò che è male.
Manca dunque il rispetto del detto del Signore: «la verità vi farà liberi», ma il rapporto è invertito: non è la libertà che dipende dalla verità, ma è la verità che dipende dalla libertà[3]. Ora c’è da notare che ogni istituto religioso nella Chiesa ha i suoi speciali carismi, ma anche difetti umani.
Naturalmente questo è un volontarismo irrazionale, che non troviamo né nel Francescano né nel Gesuita, e quindi neppure nel Santo Padre. È invece il volontarismo di Ockham; ma ho voluto accennare a questa forma estrema per dire che anche quella mitigata, se non moderata, può recare danno.
Per questo gli istituti religiosi devono completarsi a vicenda, ma anche correggersi ed equilibrarsi a vicenda nell’eliminazione dei loro difetti. Francescani e Gesuiti tendono a un volontarismo che rischia di soggettivizzare la verità; invece l’intellettualismo caratteristico di noi Domenicani è un costante richiamo alla Chiesa e al Papa ad essere fedele alla verità. Ma anche noi Domenicani col nostro intellettualismo, che in se stesso è un valore, non siamo sempre al riparo da tendenze all’astrattismo.
Per questo nel contempo, una certa esclusiva nostra attenzione di noi Domenicani alle verità immutabili ed astratte può isolarci dal contesto storico nel quale viviamo, può farci dimenticare che viviamo nella storia e che l’azione umana è sì applicazione della legge universale, ma in se stessa concretezza e singolarità.
La nostra antropologia, ispirata a San Tommaso e confermata dai dogmi antropologici del medioevo, è indubbiamente valida per tutta la Chiesa, ma questa conoscenza teorica dell’uomo non è sufficiente per raggiungere quella conoscenza delle singole anime e singoli ambienti umani e sociali, che occorre per l’esercizio della pastorale, della guida e del governo della Chiesa e il servizio delle anime nei diversi contesti storico-culturali e ambientali e nella molteplicità e varietà delle situazioni che si moltiplicano sempre nuove nello spazio e nel tempo.
È così avvenuto a partire dal sec. XIII per influsso dell’intellettualismo domenicano e tomista il realizzarsi dell’ufficio petrino secondo un modulo magisteriale, per il quale il Papa cominciò a intendere la sua responsabilità dottrinale come suo dovere primario al di sopra del dovere pastorale di ministro della grazia salvifica sacramentale e del dovere di essere testimone della carità di Cristo. L’affermazione dogmatica e la difesa della verità contro l’errore cominciò a prevalere sulla promozione della santità e l’esercizio della misericordia.
Dai Papi intellettuali ai Papi pastorali
Grande trionfo dell’intellettualismo tomista domenicano e scolastico si è avuto al Concilio di Trento e al Vaticano I. La redazione del Catechismo di Trento fu affidata a quattro teologi domenicani. Il Sant’Uffizio, presieduto da un Domenicano, divenne la più importante della Congregazioni Romane. Il Papa si valeva permanentemente della stretta collaborazione del cosiddetto «teologo dei sacri palazzi», un Domenicano.
Tuttavia avvenne che, per un’estrapolazione scolastica del tomismo e della predicazione domenicana, l’insegnamento dell’eterno, del dogma, dell’assoluto, dell’immutabile e dell’universale si separò dall’attenzione all’evolversi dei tempi e delle vicende storiche, agli sforzi e sofferenze degli uomini, delle culture e delle religioni nella conquista della verità e del bene.
Perché Ignazio non si è fatto domenicano? Perché egli interpretò l’impresa luterana sotto l’angolo della disobbedienza al Papa, Ignazio si rese conto che occorreva fondare un istituto che prendesse decisioni operative immediate ed efficaci agli ordini di quel Pontefice contro il quale Lutero si era ribellato trascinando con sé interi popoli fino ad allora soggetti al Papa.
In realtà Lutero, più che una questione di obbedienza al Papa, faceva una questione di verità, anche se poi partiva da una nozione volontaristica, occamista e soggettivistica della verità: qual è il vero Vangelo? Quello del Papa o il suo? Lutero credeva di aver riscoperto il vero, originario Vangelo ricoperto e adulterato dalla scolastica domenicana favorita dai Papi a fini di dominio sulla Chiesa.
I Domenicani, dal canto loro, avevano capito benissimo questa istanza di fondo della ribellione luterana, ma, speculativi come erano, , non erano in grado di far fronte efficacemente al dilagare dell’eresia ed alla dissoluzione della Chiesa. Ignazio capì che occorrevano uomini di azione. Ecco il pregio del volontarismo ignaziano.
Così il sorgere della Compagnia di Gesù nel sec. XVI segna l’inizio della svolta pastorale che raggiunge il culmine con Papa Francesco, il primo Papa gesuita, mentre noi Domenicani abbiamo avuto ben quattro Papi domenicani: il Beato Innocenzo V, Benedetto XI, San Pio V e Benedetto XIII.
I secoli dal XVII al XIX segnano una progressiva separazione del Papato e del suo influsso dalla maturazione progressiva del mondo moderno, il quale fa apparire nuovi valori sulla scena della storia nel campo del sapere e dei costumi morali, valori i quali però, nati fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica, sono dai suoi nemici utilizzati contro di essa. Sarebbe stata necessaria un’opera di assunzione critica di questi valori, pur scartando gli errori. Ma purtroppo fino alla fine del sec. XIX quest’opera urgente e importante di ammodernamento era ancora da fare.
La svolta epocale
È così che si giunse alla crisi modernista dei tempi di San Pio X. Da una parte tanti filosofi, teologi ed esegeti avvertivano in m modo indilazionabile la necessità di un confronto col mondo moderno. Dall’altra i tomisti domenicani influenti presso il Papa, davano al Papato, al ministero petrino l’impronta del loro intellettualismo, finchè non si è giunti a San Giovanni XXIII, con la svolta pastorale che egli dette al ministero di Pietro, per mezzo del Concilio, per la quale oggi il Papa mette la cura pastorale al di sopra del ministero dottrinale.
I Gesuiti e non i Domenicani, come era avvenuto nei precedenti Concili, dominarono al Vaticano II. I Domenicani, anziché seguire l’ottima ispirazione del Maritain, si lasciarono deviare dalla corrente di Schillebeeckx, che proponeva un’assunzione indiscriminata modernistica della modernità.
La crisi della Compagnia di Gesù
Quello che difficilmente si riesce a capire è come potuto accadere che nel corso dei lavori conciliari e subito dall’immediato postconcilio nella Compagnia abbia trionfato la corrente dei rahneriani, i quali hanno stravolto lo stile essenziale ed originario della Compagnia sostituendo il principio dell’obbedienza con quello della libertà, il principio cartesiano della coscienza al posto di quello biblico della verità, princìpi desunti dalla teologia luterana ed hegeliana.
Certo restiamo nel campo del volontarismo. Ma la sostituzione della libertà all’obbedienza e della coscienza alla verità è il segno di una concezione della morale e quindi dell’uomo non più soggetto a Dio, ma, come diceva Marx al seguito di Hegel, l’uomo che è Dio a se stesso. Qui il volontarismo arriva all’estremo della nicciana «volontà di potenza». Il Gesuita è ancora Gesuita?
Questo fenomeno esplose alla XXXII Congregazione della Compagnia nel 1974[4], quando sotto il generalato del Padre Pedro Arrupe si trattò di adeguare la legislazione della Compagnia alle decisioni del Concilio. In quell’occasione San Paolo VI, che da tempo si era accorto che la Compagnia stava deviando, fece un discorso di calda esortazione e paterno rimprovero, ma non se la sentì di dare ordini.
Così ì rahneriani, col pretesto che non avevano ricevuto ordini formali di correggersi dalle loro eresie, si ritennero dispensati dall’obbedire al Papa, ed anzi ebbero modo di rafforzare ulteriormente le loro posizioni, finchè si giunse al Pontificato di San Giovanni Paolo II.
Dopo il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I, che probabilmente aveva intenzione di sopprimere l’Ordine[5], il nuovo Pontefice raccolse questo proposito del suo Predecessore, per cui, appena giunto al soglio pontificio, aveva in animo di sopprimere la Compagnia, se non fosse stato distolto dal Cardinale Casaroli Segretario di Stato[6]. E comunque nel 1983 il Papa dovette risolversi a deporre Padre Arrupe sostituendo, al comando dell’Ordine col Padre Paolo Dezza.
Ma purtroppo a tutt’oggi la Compagnia è ancora sotto l’influsso dei rahneriani e, benché il Papa abbia fatto l’anno scorso un forte richiamo alla fedeltà a San Tommaso, a fatica si intravede uno spiraglio di luce.
Il Concilio di Trento.
Disciplina severa ma anche esempio di saggezza pastorale
Viceversa, appena finito il Concilio di Trento i Padri del Concilio ebbero la consapevolezza dell’urgenza pastorale di dare subito in mano ai parroci l’esposizione sana di quella dottrina che Lutero aveva corrotto. Per questo essi vollero l’immediata pubblicazione del Catechismo, così da consentire al popolo di Dio la conoscenza completa delle verità di fede, corrotte da Lutero.
E i Papi della riforma tridentina poterono lanciare i Gesuiti obbedientissimi a alla riconquista dei popoli traviati da Lutero e a porre freno alla diffusione delle eresie. Invece alla fine del Concilio Vaticano II purtroppo Paolo VI mancò di questa intuizione pastorale e tempestività che seppero avere i Padri di Trento. Fu così che i modernisti olandesi, sotto l’ispirazione di Schillebeeckx, pubblicarono il nefasto Catechismo Olandese, che Paolo VI divette purgare di numerose eresie.
Così, se il Catechismo di Trento fu redatto da quattro campioni Domenicani della fede, noi Domenicani in occasione del Vaticano II, se si eccettua Congar e pochi altri, non siamo stati all’altezza della nostra missione e abbiamo contribuito a diffondere il modernismo nella Chiesa, dando ad intendere che quella era l’interpretazione delle dottrine del Concilio.
Il Catechismo veramente del Concilio fu pubblicato 30 anni dopo il Concilio, quando ormai si era diffuso il Catechismo modernista olandese. Alcuni con amarezza hanno osservato che si è chiusa la stalla quando i buoi erano scappati. Adesso non è facile ottenere che questi fratelli scismatici o eretici rientrino in comunione con la Chiesa, perché si considerano l’ala più avanzata.
Fino al Vaticano II noi Domenicani abbiamo aiutato i Papi nell’aspetto dottrinale del loro ufficio apostolico, ma abbiamo favorito un’eccessiva severità e una pastoralità troppo polemica nei confronti della modernità. Il Concilio, grazie al contributo di Gesuiti e Francescani, ha aiutato il Papato ad acquisire una pastoralità più evangelica e più incarnata nel contesto storico nel quale stiamo vivendo.
Occorre che noi Domenicani torniamo ad offrire luce, certezze, chiarezza, ragioni, onestà intellettuale, motivazioni, apertura di mente, nobiltà di pensiero, attitudine alla speculazione, ampiezza di sguardo, prospettive trascendenti, senza per questo sminuire in nulla il contributo essenziale del volontarismo operoso francescano-gesuita, così da tornare da offrire ai Papi quel sostegno dottrinale del quale hanno bisogno per svolgere il loro ufficio di maestri della fede.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 30 giugno 2024
La spiritualità di questo Papa è del tutto inedita nella storia del Papato: il primo Papa gesuita, non solo, ma un Papa che ha operato una sintesi che parrebbe quasi impossibile fra la spiritualità ignaziana e quella francescana, notoriamente assai distanti: la prima, per l’esaltazione delle virtù umane, soprattutto la capacità di militare nella buona battaglia contro le forze sataniche e i nemici della Chiesa. E difatti nessun Papa come questo ci ha insegnato a sventare le insidie del demonio. La seconda, per l’umile coscienza della propria povertà condivisa con i poveri nella diffidenza per le arti dell’umana dottrina, sapienza e potenza, paga della coscienza della propria figliolanza del Padre unita al cantico delle creature.
Ma ecco che attualmente si fanno sentire gli effetti dissolventi di un pragmatismo o prassismo pastorale non illuminato sufficientemente da una visione teologica e che quindi rischia di risolversi in un’operosità secolaresca, la quale, anziché stimolare la santità e aprire le vie del regno di Dio, si adagia, si perde e si affanna nei meandri e nei labirinti di questo mondo.
Occorre che noi Domenicani torniamo ad offrire luce, certezze, chiarezza, ragioni, onestà intellettuale, motivazioni, apertura di mente, nobiltà di pensiero, attitudine alla speculazione, ampiezza di sguardo, prospettive trascendenti, senza per questo sminuire in nulla il contributo essenziale del volontarismo operoso francescano-gesuita, così da tornare da offrire ai Papi quel sostegno dottrinale del quale hanno bisogno per svolgere il loro ufficio di maestri della fede.
[1] Ê questa la gnoseologia di Blondel.
[2] Ê questo il senso profondo e ultimo del cogito cartesiano.
[3] Questa è la concezione cartesiana, schopenhaueriana, hegeliana, marxista, heideggeriana e nicciana della verità.
[4] Narra i fatti il Padre Gesuita Antonio Caruso, mio carissimo amico e collega d’Ufficio alla Segreteria di Stato negli anni n’80, nel suo libro Tra grandezze e squallori, Edizioni VivereIn, Monopoli (BA), 2008.
[5] Alcuni anni fa un sacerdote amico del Patriarca Luciani mi confidò che Luciani gli disse, prima di andare al Conclave dal quale sarebbe uscito Papa, che se lo avessero eletto avrebbe soppresso la Compagnia. La morte improvvisa ha impedito al venerato Pontefice di attuare il suo progetto poche settimane prima che sia riunisse la XXXIII Congregazione per la quale aveva preparato un severissimo discorso di richiamo.
[6] Vedi del Gesuita Malachi Martin, I Gesuiti. Il potere e la segreta missione della Compagnia di Gesù nel mondo in cui fede e politica si scontrano, SugarCo, Milano 1988. Questo libro me lo regalò Padre Caruso.
"Oggi si ricordano i Protomartiri romani. Anche noi viviamo in un tempo di martirio, ancor più dei primi secoli." Angelus, 30.06.2024
RispondiEliminaCaro Anonimo,
Eliminale parole del Santo Padre mi hanno colpito. Certamente si sarà riferito innanzitutto agli islamici e probabilmente ai regimi dittatoriali.
Anche noi, che vogliamo vivere in pienezza la nostra vita cattolica “senza piegare né a destra né a sinistra” dobbiamo portare pazienza. Magari non subiremo danni fisici, tuttavia dobbiamo essere pronti a subire derisioni, incomprensioni, ingiurie, ingiustizie ed emarginazione. Come dice il proverbio: ne ferisce più la lingua che la spada.
Anche chi vuole essere veramente fedele a Papa Francesco dev’essere pronto a subire offese sia da parte degli indietristi che da parte dei modernisti.
Tuttavia è molto bello soffrire insieme con Cristo e per amore di Cristo.
"Oggi si ricordano i Protomartiri romani. Anche noi viviamo in un tempo di martirio, ancor più dei primi secoli. In varie parti del mondo tanti nostri fratelli e sorelle subiscono discriminazione e persecuzione a causa della fede, fecondando così la Chiesa. Altri poi affrontano un martirio “coi guanti bianchi”. Sosteniamoli e lasciamoci ispirare dalla loro testimonianza di amore per Cristo." Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 30.06.2024
RispondiEliminaCaro Anonimo,
Eliminale parole del Santo Padre mi hanno colpito. Certamente si sarà riferito innanzitutto agli islamici e probabilmente ai regimi dittatoriali.
Anche noi, che vogliamo vivere in pienezza la nostra vita cattolica “senza piegare né a destra né a sinistra” dobbiamo portare pazienza. Magari non subiremo danni fisici, tuttavia dobbiamo essere pronti a subire derisioni, incomprensioni, ingiurie, ingiustizie ed emarginazione. Come dice il proverbio: ne ferisce più la lingua che la spada.
Anche chi vuole essere veramente fedele a Papa Francesco dev’essere pronto a subire offese sia da parte degli indietristi che da parte dei modernisti.
Tuttavia è molto bello soffrire insieme con Cristo e per amore di Cristo.
Caro padre Cavalcoli,
RispondiEliminasottopongo alla vostra sempre saggia considerazione, se me lo permettete, un mio scritto sulla fede, e in particolare sulla fede del Papa, argomento che mi preoccupa. Radico le mie idee in alcune intuizioni che ho raccolto da san John Henry Newman.
Una delle opere più importanti e profonde di John Henry Newman è "Saggio per contribuire ad una grammatica dell'assenso" (1870). È un lavoro complesso e impegnativo in cui sviluppa una teoria della conoscenza molto personale. Ciò che cerca di conoscere e definire è come avviene il processo sorprendente per cui gli uomini accettano le proposte e questo assenso finisce per essere performativo. Cioè, si tratta di diversi tipi di assenso che provocano effetti reali sulla persona che annuisce.
Newman distingue due tipi di assenso: il assenso nozionale e quello reale. L'assenso nozionale si riferisce all'accettazione di proposizioni astratte e universali. Questo tipo di assenso è più legato all'inferenza logica e alla teoria, e non ha la stessa forza pratica del vero assenso. È un tipo di assenso che si basa sulla comprensione intellettuale di concetti e nozioni, ma non necessariamente coinvolge un'esperienza personale o un impegno emotivo.
Il assenso reale, invece, si riferisce all'accettazione di proposte che sono direttamente legate all'esperienza concreta e personale. Questo tipo di assenso è più potente e significativo perché si basa su esperienze e realtà pratiche. Secondo Newman, il assenso reale ha un aspetto pratico che implica un forte impegno per la verità e una diretta influenza sul comportamento e sulla formazione personale. Questo tipo di assenso è essenziale per lo sviluppo delle competenze etiche e la maturazione degli approcci vitali di una persona.
Uno degli esempi più significativi che Newman usa per illustrare questi due tipi di assenso è la sua esperienza della conversione al cattolicesimo. Durante gli anni 1843-1845, Newman passò da avere una certezza nozionale sulla verità del Credo cattolico a prendere la decisione effettiva di unirsi alla Chiesa cattolica. Questo processo di conversione illustra come un assenso nozionale può trasformarsi in un assenso reale attraverso l'azione e l'impegno personale. Newman descrive come la sua convinzione intellettuale si trasformò in una decisione pratica e vitale, dimostrando il potere del vero assenso di influenzare la vita e il comportamento di una persona.
Nel mio caso, la comprensione più profonda del reale assenso l'ho ottenuta relazionandola, come fa Newman, con il verbo inglese "to realize", che è così difficile o impossibile da tradurre nella sua totalità in lingua italiana. È "farsi un'idea" ed è anche "realizzare", ma non come due nozioni distinte ma come una sola: è una conoscenza che si fa realtà. Realizzare, in lingua italiana, non è solo fare, anche se questo è il modo abituale in cui si usa, ma è un realizzare quello che prima era concepito nell'intelligenza. Non so cosa diranno gli studiosi della lingua su tutto questo, ma è il modo in cui io lo capisco e credo che lo capisse Newman.
Caro Ugo Fabio,
Eliminala ringrazio per la bella esposizione della gnoseologia di Sant’Henry Newman.
Il rapporto che Newman pone tra conoscenza nozionale e conoscenza reale si trova sula linea della tradizionale visione cristiana del sapere, che deve essere animato dall’amore. Un puro nozionismo senza amore danneggia soltanto i rapporti umano e non è gradito a Dio.
Il giudizio che lei dà sulle parole che il Card. Zuppi ha usato alla concezione della Murgia, relativa alla famiglia queer, è un giudizio che condivido in parte. Effettivamente è parsa anche a me cosa imprudente riprendere la parola queer usata dalla Murgia, la quale Murgia, come sappiamo, la usava anche nel caso delle coppie omosessuali. Tuttavia, se noi leggiamo il contesto delle parole di Zuppi, ci accorgiamo che il Cardinale in fin dei conti non ha fatto che elogiare quello che è l’istituto dell’adozione, nelle sue forme storiche già conosciute o in forme nuove.
Per quanto riguarda il Papa, sappiamo bene ormai come si esprime: quando parla come Papa in campo dottrinale, liturgico e morale, è molto chiaro; quando parla al di fuori del suo ufficio magisteriale, occorre non dare troppa importanza a quanto dice, perché non parla ex cathedra, ma semplicemente in una forma colloquiale e a volte anche scherzosa.
Per quanto riguarda l’applicazione della gnoseologia di Newman al Card. Zuppi e al Papa, le dico francamente che lei è troppo severo quando afferma: “Si tratta di due tipi di assensi: nozionale e reale. Si tratta, in fondo, di due tipi di fede. Oppure, meglio ancora, di fede cattolica e di assenza di essa, perché è stata sostituita da una nozione che rimane nel campo astratto della mente ma non si realizza.”
Infatti quello che lei viene a dire con queste parole è praticamente l’accusa fatta a Zuppi e al Papa di mancare di fede cattolica, cosa che evidentemente è inaccettabile.
Realizzare è per Newman un atto di conoscenza che implica la totalità di ciò che conosce, quindi è già un fare con tutto il cuore. Attribuire realtà a ciò che ha realtà, ma non solo nozionalmente e affettivamente, ma con la propria esistenza reale, con nozioni, affetti, parole e silenzio. Per questo, "to realize" è un atto di conoscenza eminentemente etico, è praxis, è attività interiore ed esteriore. Implica l'essere coinvolti nella totalità di sé stessi alla verità che si è conosciuta.
RispondiEliminaFacciamo un passo avanti. La fede è anche un assenso ad una proposta, e questo assenso può essere nozionale o reale. Così come stanno le cose nella Chiesa, ci troviamo in un problema serio, perché la domanda che subito viene a noi è circa il tipo di assenso che danno alle proposizioni della fede cattolica molti personaggi altolocati che tutti conosciamo. Certamente nessuno che non sia Dio, nemmeno gli angeli, può giudicare dall'interno di una persona. Noi, semplici umani, possiamo a malapena supporre la qualità della fede di qualcuno per le sue opere. Lo dice già l'apostolo Giacomo: "Mostrami la tua fede senza le tue opere, e io ti mostrerò la mia fede per le mie opere" (St. 2,18). Allora, se chiediamo al cardinale Matteo Zuppi, per esempio, della sua fede nell'insegnamento morale della Chiesa, sono pienamente sicuro che ci dirà di accontentarsi ma con quale tipo di assenso? Se afferma pubblicamente come ha appena fatto che "una famiglia queer non è altro che una di quelle varianti dell'amarsi gli uni gli altri" e che è essenzialmente una comunità, in cui non ci sono ruoli, disprezzati come maschere che rovinerebbero la «scelta dell'amore», non sembra che il suo sia un assenso reale.
Potremmo moltiplicare gli esempi all'infinito. Se chiediamo a papa Francesco se si attiene agli articoli del Credo e ai canoni dei primi sette concili ecumenici che hanno definito la nostra fede, dirà di sì. Tuttavia, quando firma la dichiarazione di Abu Dhabi e afferma che Dio vuole la molteplicità delle religioni per ciò che sono qualcosa di buono, è un segno evidente e irrefutabile che il suo assenso alla fede cattolica è meramente nozionale, nel migliore dei casi, ma non reale.
Caro Ugo Fabio,
Eliminala ringrazio per la bella esposizione della gnoseologia di Sant’Henry Newman.
Il rapporto che Newman pone tra conoscenza nozionale e conoscenza reale si trova sula linea della tradizionale visione cristiana del sapere, che deve essere animato dall’amore. Un puro nozionismo senza amore danneggia soltanto i rapporti umano e non è gradito a Dio.
Il giudizio che lei dà sulle parole che il Card. Zuppi ha usato alla concezione della Murgia, relativa alla famiglia queer, è un giudizio che condivido in parte. Effettivamente è parsa anche a me cosa imprudente riprendere la parola queer usata dalla Murgia, la quale Murgia, come sappiamo, la usava anche nel caso delle coppie omosessuali. Tuttavia, se noi leggiamo il contesto delle parole di Zuppi, ci accorgiamo che il Cardinale in fin dei conti non ha fatto che elogiare quello che è l’istituto dell’adozione, nelle sue forme storiche già conosciute o in forme nuove.
Per quanto riguarda il Papa, sappiamo bene ormai come si esprime: quando parla come Papa in campo dottrinale, liturgico e morale, è molto chiaro; quando parla al di fuori del suo ufficio magisteriale, occorre non dare troppa importanza a quanto dice, perché non parla ex cathedra, ma semplicemente in una forma colloquiale e a volte anche scherzosa.
Per quanto riguarda l’applicazione della gnoseologia di Newman al Card. Zuppi e al Papa, le dico francamente che lei è troppo severo quando afferma: “Si tratta di due tipi di assensi: nozionale e reale. Si tratta, in fondo, di due tipi di fede. Oppure, meglio ancora, di fede cattolica e di assenza di essa, perché è stata sostituita da una nozione che rimane nel campo astratto della mente ma non si realizza.”
Infatti quello che lei viene a dire con queste parole è praticamente l’accusa fatta a Zuppi e al Papa di mancare di fede cattolica, cosa che evidentemente è inaccettabile.
Ma scendiamo a questioni più quotidiane. Una percentuale sempre più minoritaria di cattolici si schiera con la proposta secondo cui Nostro Signore è presente nel Corpo, Sangue, Anima e Divinità nella Sacra Eucaristia. E difenderanno con fierezza questo assenso i cattolici più conservatori. Tuttavia, posso chiedermi con alcune ragioni circa il tipo di assenso con cui lo fanno. Chi ha assenso reale, cioè realizza che nell'Eucaristia è veramente presente il Redentore, può comunione in mano? Può sedersi sul pavimento a gambe incrociate mentre canta canzoni di pavone con la chitarra mentre il Signore è esposto in custodia? Potremmo moltiplicare gli esempi: hakunos ci sono in tutte le dimensioni del pianeta.
RispondiEliminaRicordo che un amico, che ora è sacerdote, mi disse molti anni fa qualcosa che mi rimase in testa e non ho dimenticato. Egli si opponeva all'esposizione frequente, o quotidiana! del Santissimo perché diceva: "Davanti a Lui, l'unica cosa che posso fare è stare in ginocchio". Mi sembrava un po' esagerato, ma avevo ragione: il mio amico aveva realizzato la verità della presenza reale. Oggi assistiamo ad una proliferazione dell'adorazione al Santissimo. Il mondo cattolico conservatore e non tanto, sembra che abbia riscoperto questa pratica di pietà, che era un evento più o meno straordinario fino a prima del Concilio, l'ha resa quotidiana e finita per vanificarla. Nessuno può dubitare che è molto bene adorare il Signore nell'Eucaristia, ma oggi è consuetudine entrare in una chiesa, e anche se il prete è un profano o anche solo dei gesuiti, non sarà raro trovare in qualche cappella laterale il Santissimo Sacramento esposto, e solo, perché non c'è nessuno che lo adora. Chi espone e toglie l'ostensorio con l'ostia consacrata è la sacrestia, con lo stesso atteggiamento con cui si mette o si toglie un vaso. Mi amico diceva che l'unica cosa che si poteva fare era stare in ginocchio...
Si tratta di due tipi di assensi: nozionale e reale. Si tratta, in fondo, di due tipi di fede. Oppure, meglio ancora, di fede cattolica e di assenza di essa, perché è stata sostituita da una nozione che rimane nel campo astratto della mente ma non si realizza.
Caro Ugo Fabio,
Eliminala ringrazio per la bella esposizione della gnoseologia di Sant’Henry Newman.
Il rapporto che Newman pone tra conoscenza nozionale e conoscenza reale si trova sula linea della tradizionale visione cristiana del sapere, che deve essere animato dall’amore. Un puro nozionismo senza amore danneggia soltanto i rapporti umano e non è gradito a Dio.
Il giudizio che lei dà sulle parole che il Card. Zuppi ha usato alla concezione della Murgia, relativa alla famiglia queer, è un giudizio che condivido in parte. Effettivamente è parsa anche a me cosa imprudente riprendere la parola queer usata dalla Murgia, la quale Murgia, come sappiamo, la usava anche nel caso delle coppie omosessuali. Tuttavia, se noi leggiamo il contesto delle parole di Zuppi, ci accorgiamo che il Cardinale in fin dei conti non ha fatto che elogiare quello che è l’istituto dell’adozione, nelle sue forme storiche già conosciute o in forme nuove.
Per quanto riguarda il Papa, sappiamo bene ormai come si esprime: quando parla come Papa in campo dottrinale, liturgico e morale, è molto chiaro; quando parla al di fuori del suo ufficio magisteriale, occorre non dare troppa importanza a quanto dice, perché non parla ex cathedra, ma semplicemente in una forma colloquiale e a volte anche scherzosa.
Per quanto riguarda l’applicazione della gnoseologia di Newman al Card. Zuppi e al Papa, le dico francamente che lei è troppo severo quando afferma: “Si tratta di due tipi di assensi: nozionale e reale. Si tratta, in fondo, di due tipi di fede. Oppure, meglio ancora, di fede cattolica e di assenza di essa, perché è stata sostituita da una nozione che rimane nel campo astratto della mente ma non si realizza.”
Infatti quello che lei viene a dire con queste parole è praticamente l’accusa fatta a Zuppi e al Papa di mancare di fede cattolica, cosa che evidentemente è inaccettabile.
Io sono lefebvrista.
RispondiEliminaNon capirò mai perché si può essere protestante, buddista, musulmano, ebreo, ortodosso, pachamamaista, lgbtista, ecc, ecc, e essere visti con favore da Francesco e compagnia (chiamatelo Tucho Fernández, James Martin, ecc), ma non si può essere lefebvriani.
Cioè, tutti sono sempre guardati le loro bontà e rispettati, ma quando si tratta di un lefevbrista non ci sono più tante considerazioni.
Alla fine sembra che tutto valga...
Tranne dire che non vale tutto, è chiaro.
Caro Anonimo,
Eliminail movimento suscitato da mons. Lefebvre è stato indubbiamente un richiamo alla sana dottrina e alla tradizione e si è accorto della rinascita del modernismo avvenuta dopo il Concilio Vaticano II.
Tuttavia, come è noto, mons. Lefebvre non ha capito che le dottrine del Concilio e la conseguente riforma liturgica alla quale esse hanno dato luogo, non sono affatto moderniste, liberali o protestanti.
Per questo purtroppo il suo movimento si è posto in uno stato scismatico nei confronti dei Papi del postconcilio, i quali ci hanno spiegato il vero senso del Concilio e il vero senso della Tradizione. Inoltre, voi lefevriani, vi permettete di accusare di eresia il Concilio e i Papi del postconcilio. Quindi non c’è da meravigliarsi se arrivino i richiami da parte del Sommo Pontefice e l’invito a rientrare nella Chiesa Cattolica accettando le nuove dottrine del Concilio, come ha affermato Papa Benedetto.
Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, il Concilio ribadisce il primato del cristianesimo al di sopra di tutte le altre religioni. Nello stesso tempo il Concilio ci fa presente l’esistenza di una religione naturale, nella quale tutti gli uomini convengono per il fatto stesso di essere soggetti ragionevoli e quindi capaci di cogliere i valori morali universali e l’esistenza di Dio.
Per quanto riguarda i modernisti, tenga presente che il Santo Padre, oltre ad avere ribadito i loro difetti già condannati da altri Papi, come per esempio l’idealismo e il soggettivismo, Papa Francesco ha aggiunto altre condanne contro il gender, lo gnosticismo e il neopelagianesimo.
Lei comprende che un conto è il rapporto del Sommo Pontefice con “protestanti, buddisti, musulmani, ebrei, ortodossi, pachamamaisti, lgbtisti”. Con loro non ha potere giuridico di scomunica o di scisma, ma tutt’al più può denunciare i loro errori mentre nel contempo non cessa di adoperarsi affinchè tutti gli uomini siano salvi. E un conto è il rapporto del Papa con voi lefevriani, che vi dite cattolici, e quindi sotto la giurisdizione del Papa.
È un grossolano errore parlare del cristianesimo come di una religione che ha il primato sulle altre. Il cristianesimo è l'unica religione rivelata e vera. Le altre religioni sono tentativi umani di avvicinarsi al trascendente.
RispondiEliminaCaro Anonimo,
Eliminaquando parlo del primato del cristianesimo sulle altre religioni, sono ben consapevole che il cristianesimo è l’unica religione rivelata, ma tenga presente che la religione rivelata suppone la religione naturale e in questo senso il Concilio ammette che nelle altre religioni esistono delle verità, sia pur miste ad errori, che convergono verso Cristo e derivano da Cristo, anche se la pienezza della verità è contenuta soltanto nella religione cristiana.
Inoltre il Concilio ci ricorda l’esistenza delle tre religioni monoteistiche, ebraica, cristiana e musulmana, le quali convergono tra di loro sul piano della religione naturale, anche se anche qui la pienezza della verità è soltanto nella religione cristiana, mentre le altre non sono esenti da errore.
La sua dichiarazione è insufficiente. Le altre religioni sono fondamentalmente false. Che abbiano elementi di verità non tolgono la loro falsità essenziale. "Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu".
EliminaCaro Anonimo,
Eliminal’assioma latino che lei cita necessita di una corretta interpretazione. Quando si parla di “defectum”, di difetto, questo vuol dire che, se in un insieme di elementi positivi ne manca qualcuno, questo insieme è difettoso. Ma lei deve notare che la stessa esistenza del male, inteso come difetto, suppone l’esistenza del bene, che viene diminuito, ma non soppresso del tutto dal difetto che si trova in quell’insieme.
Ora, come insegna il Concilio, le tre religioni monoteistiche costituiscono un insieme di verità salvifiche; riconoscono e adorano un solo Dio personale, sapiente, onnipotente, giusto, provvidente, misericordioso e creatore. Si tratta evidentemente qui di verità altissime, che sono comuni alle tre religioni monoteistiche.
Però, come già le ho detto, se nell’ebraismo e nell’islamismo sono presenti queste altissime verità, ciò non toglie che in essi siano presenti errori o lacune che invece sono assenti nel cristianesimo.
È vero che la Bibbia dice che gli dèi dei pagani sono demoni. Certamente l’idolatria e il politeismo si possono considerare come dottrine che celano un influsso diabolico. Tuttavia sappiamo bene come Dio vuole salvi tutti gli uomini, per cui consente a tutti di conoscerlo e dà ad essi la possibilità di obbedire alla sua Legge, anche se senza loro colpa non conoscono Cristo.
E come si liberano dal demonio? Allo stesso modo col quale ci liberiamo noi cristiani, ossia facendo attenzione alla volontà di Dio che ci parla nella nostra coscienza.
Tutto bene con la coscienza sbagliata e la buona fede, ma su questo non può fondarsi l'ordine sociale oggettivo. Io posso essere convinto in buona fede che un veleno è buono e deve diffondersi alla popolazione come medicina, ma lo Stato ha l'obbligo di impedirmi di farlo, per quanto sia buona la mia intenzione e per quanto invincibile sia il mio errore.
RispondiEliminaCaro Anonimo,
Eliminaindubbiamente lo Stato ha il dovere di proteggere e difendere il bene comune e la pubblica tranquillità da azioni che possono gravemente metterli in pericolo o danneggiarli indipendentemente dalla buona o dalla cattiva fede di soggetti criminali, che tentassero di compiere simili azioni.
Questo vuol dire che lo Stato è tenuto a rispettare la libertà di coscienza o di religione del cittadino nell’ambito di quelle dottrine o di quei comportamenti, la cui pratica non mette in pericolo il bene comune e la pubblica tranquillità.
Mi compiaccio, padre Cavalcoli, che faccia risiedere la libertà nella società nell'ordine oggettivo del bene e non nella coscienza, sia di buona o cattiva fede, come hanno fatto tutti gli ordinamenti dalla Rivoluzione Francese.
EliminaL'esercizio della falsa religione mette in pericolo il bene comune.
EliminaQuindi non si può pretendere che professa la vera religione, ma sì che non diffonda quella falsa.
Caro Anonimo,
Eliminale faccio presente che gli ordinamenti della Rivoluzione Francese devono essere distinti secondo due punti di vista diversi. C’è il punto di vista del card. Fernandez, il quale ha messo in luce i valori dei diritti umani e della libertà religiosa, e c’è il punto di vista illuministico-massonico, per il quale i diritti umani non sono fondati sulla legge divina, ma dipendono dalla semplice volontà umana.
Ora, mentre la prima interpretazione evidentemente ci dà dei veri valori, la seconda mette in luce un relativismo e liberalismo morale inaccettabili.
Per quanto riguarda il bene della società, ribadisco che lo Stato ha il potere e il dovere di promuovere il bene oggettivo, respingendo la concezione liberale della coscienza, mentre nel contempo deve concedere la libertà religiosa entro i limiti della salvaguardia del bene comune e della pubblica tranquillità.
Caro Anonimo,
Eliminaper falsa religione si deve intendere, secondo gli attuali insegnamenti della Chiesa, non una religione nella quale non ci sia niente di buono. Questo era un concetto in uso prima del Concilio, concetto che è stato dimostrato falso dal Concilio Vaticano II, per il fatto che occorre distinguere il peccato dal peccatore e corrispettivamente in una religione bisogna distinguere il positivo dal negativo.
Quindi, falsa religione, che cosa vuol dire? Semplicemente una religione difettosa, ma dire difettosa suppone che ha un aspetto di bontà, perché il male è una privazione di bene in un soggetto in sé buono. In tal modo il Concilio ha reso possibile il dialogo interreligioso, grazie al quale ci si accorge di condividere alcuni valori religiosi, anche se noi cattolici sappiamo che nelle altre religioni ci sono degli errori, ma oggi la Chiesa ci dice che dobbiamo guardarci bene dal rifiutare i loro valori sotto pretesto che ci sono degli errori.
Sbagliano i modernisti a ignorare gli errori; sbagliano gli indietristi ad ignorare i valori. Il dovere del buon cattolico è di apprezzare il valore e correggere l’errore.
Ciò che il Vaticano II dice sulle altre religioni non ha maggior valore magisteriale o dottrinale. Nostra Aetate è un'analisi sociologica, molto discutibile, delle altre religioni, sulle quali la Chiesa non ha magistero. Particolarmente deplorevole è il trattamento del buddismo, per non dire dell'islamismo. L'Islam è una religione che ha anche al suo centro un'idolatria, o cos'è se non la pietra nera della Kaaba della Mecca ma un idolo? Che cos'è Allah se non una divinità preislamica delle tribù arabe?
EliminaScopri quali sono le famose Suras Sataniche... L'Islam è pieno di idolatria e barbarie, è una religione infetta che ha distrutto metà della cristianità.
Non c'è nulla in questa questione che si riferisce alla Rivelazione. La questione se sia lo stesso Dio è una questione filosofica, non teologica.
EliminaÈ una constatazione che il Dio d'Israele è il Dio trinitario anche se loro non lo conoscevano ancora così. Il Dio di cui parla Maometto è il Dio d'Israele... In realtà non c'è nella Rivelazione alcuna affermazione al riguardo, poiché l'Islam non esisteva quando la Rivelazione si chiuse con la morte dell'ultimo degli apostoli.
Cristo non ha dato a Pietro le chiavi per insegnare sull'Islam, è chiaro che ciò che il Concilio o il Papa possono dire su un'altra religione, soprattutto sui suoi contenuti fattuali, sfugge al Magistero. In realtà, Nostra Aetate fa un'imitazione pessima e mal focalizzata sul buddismo. E sull'Islam, naturalmente.
EliminaCaro Nicolò,
Eliminatenga presente che il magistero della Chiesa è infallibile non soltanto riguardo alle verità cattoliche, ma in generale nel campo teologico, per cui ha da Cristo il dono dell’infallibilità nel discernere, valutare e giudicare anche circa i contenuti delle altre religioni, i quali, come dice il Concilio, sono anch’essi verità salvifiche, benchè parziali, provenienti da Cristo e che conducono a Cristo.
Quindi i giudizi, che il Concilio esprime su queste religioni, non hanno niente a che vedere con le valutazioni discutibili che potrebbero essere espresse da uno storico delle religioni e neppure hanno niente a che vedere con quella che potrebbe essere una analisi sociologica.
È vero comunque che il Concilio si è limitato ad evidenziare i valori e quindi manca il giudizio sugli errori. Papa Benedetto provvide a colmare questa lacuna ricordando che nell’islamismo esiste una impostazione volontaristica e irrazionalistica che giustifica la menzogna e favorisce la violenza sia in campo religioso che in campo politico.
Per quanto riguarda la teologia islamica non sono contrario ad ammettere la presenza di elementi idolatrici e forse anche satanistici. Il Concilio di proposito ignora questi elementi. Resta vero comunque che occorre riconoscerli ed evitarli. Ma al Concilio Vaticano II, che si propone di mettere in pratica il principio di San Giovanni XXIII “cerchiamo ciò che ci unisce”, preme soprattutto evidenziare i lati positivi della teologia islamica.
Caro Nicola,
Eliminache la questione dell’esistenza e della natura di Dio sia una questione filosofica sono d’accordo. Tuttavia le ricordo che l’insegnamento della Nostra Aetate non è un insegnamento filosofico, ma è l’insegnamento del magistero infallibile della Chiesa, concernente il dato rivelato circa l’esistenza e la natura di Dio. Quindi è materia di rivelazione e non di filosofia.
Certamente per noi cristiani il Dio d’Israele è il Dio Trinitario, anche se gli ebrei tuttora non lo sanno, perché come dice San Paolo “un velo è steso sul loro cuore” (2 Cor 3,15), ma questo velo sarà tolto alla Venuta del Signore.
È vero che il Dio islamico è il Dio d’Israele ed è altrettanto vero che nella rivelazione cristiana non si accenna al Dio di Maometto, dato che Maometto è comparso sette secoli dopo la redazione del Vangelo.
Ma ciò, come ci insegna il Concilio, non toglie che il Dio di Maometto sia effettivamente il Dio d’Israele, con la differenza che Maometto non riconosce la Legge di Mosè.
Caro Nicolò,
EliminaDio ha dato a Pietro la facoltà di insegnare quella divina rivelazione che serve per la salvezza dell’umanità. Ora, la religione islamica si propone un fine di salvezza per tutta l’umanità, ma, a differenza della rivelazione cristiana, non gode della infallibilità dottrinale, perché Maometto era un semplice uomo.
Invece i Successori di Pietro e i Concili della Chiesa Cattolica, assistiti dallo Spirito Santo, dispongono della pienezza della verità salvifica e quindi sono in grado di giudicare i contenuti di tutte le altre religioni che si propongono come salvezza dell’umanità.
Per questo l’insegnamento del Concilio sull’Islam, essendo dato con l’assistenza divina, è ancora più certo di quanto lo stesso Maometto fosse certo di quello che diceva.
Questo significa che la Chiesa Cattolica assume le verità delle altre religioni e dà ad esse un valore soprannaturale superiore a quello stesso che gli stessi fondatori hanno dato ad esse.
La descrizione che fa Nostra Aetate è fenomenica, non c'è magistero in esso. È come lei stesso dice, parziale e molto mala. Il Magistero è insegnare sulla fede cattolica, non opinare -male- sulle false religioni.
EliminaCaro Nicolò,
Eliminacome le ho già detto, la Chiesa Cattolica, in possesso della rivelazione divina, è qualificata a giudicare e a valutare le altre religioni, le quali contengono delle dottrine filosofiche, che possono essere vere o false, e che sono incluse nell’orizzonte della divina rivelazione.
Ora, un documento conciliare come Nostra Aetate è espressione del magistero della Chiesa, proprio per il fatto che esprime un giudizio sulle altre religioni. Per questo, per noi cattolici, questo documento si pone sul livello dogmatico e quindi è da giudicare infallibile, anche se non troviamo delle vere e proprio formule definitorie, che la Chiesa usa solo raramente in occasioni di particolare urgenza o solennità.
Una religione è un tutto accidentale o morale. Come tale, ha un'essenza, specificata dal suo fine. Nel caso dell'Islam, per esempio, il fondamento è la presunta rivelazione fatta a Maometto da parte di Dio. Ergo, tutta la religione è falsa. Avrà elementi positivi, anche la massoneria e il satanismo li hanno, ma è fondamentalmente falsa. Applicare la stessa cosa a tutte le false religioni, per esempio l'attuale giudaismo si basa sul fatto che il Messia non è venuto e che Cristo era un falsario.
RispondiEliminaLe verità che possono contenere sono casuali e per accidens. Questo è Summa contra Gentes base, mi sorprende che un domenicano non abbia questo chiaro.
Caro Anonimo,
Eliminaper quanto riguarda Maometto, indubbiamente ha ricevuto delle false ispirazioni, come per esempio la pretesa che l’angelo Gabriele gli abbia rivelato che Gesù non è Dio. Tuttavia il documento conciliare Nostra Aetate, come le ho detto, fa presente il fatto che nelle altre due religioni monoteistiche il concetto di Dio è sostanzialmente giusto.
Le faccio inoltre presente che la percezione della verità religiosa presso qualunque uomo e in qualunque religione non è un fatto accidentale o casuale, ma è l’effetto preziosissimo della divina Provvidenza che illumina la ragione umana, perché vuole che tutti gli uomini siano salvi.
Per questo devo dirle francamente che la sua citazione di San Tommaso è sbagliata. Infatti San Tommaso ammette la possibilità, da parte della semplice ragione, di sapere che Dio esiste ed è remuneratore della condotta umana.
Inoltre le faccio presente che la virtù di religione, che è comune alle tre religioni monoteistiche e che caratterizza la religione naturale, che può essere determinata dalla semplice ragione naturale comune ad ogni uomo, non è per nulla un fatto accidentale, ma appartiene alla sostanza della vita morale.
Per quanto riguarda il giudaismo, il rifiuto di ammettere la divinità di Cristo non toglie in esso, come riconosce il Concilio, il valore della fede in Abramo e in Mosè, e quindi la percezione del valore della legge divina.
Caro padre Cavalcoli, ho l'impressione che lei confonda la religione naturale con le false religioni presumibilmente rivelate . La religione naturale è la conoscenza che la ragione umana può avere su Dio. Le religioni presumibilmente rivelate sono racconti falsi, spesso pieni di stronzate e invenzioni francamente demoniache. Non per niente il salmista ci ricorda che tutti gli dei dei pagani sono demoni.
EliminaDall'altra parte, lo noto, forse influenzato dalla descrizione anche abbastanza buonista del Concilio, un po' ingenuo con le religioni falsamente rivelate, che sono estremamente nocive. Per esempio, l'Islam ha come principio basilare la violenza, che è la forma di diffusione della sua dottrina; crede in un Dio vendicativo e volontarista; rifiuta la libertà umana, sostiene il prolungamento orgiastico dei piaceri carnali nell'aldilà; confonde il potere secolare con quello religioso; sottomette servilmente la donna, ecc. Gli elementi positivi sono il sapore che può contenere un veleno. Non illudetevi, il dio dei musulmani non è Dio, è un idolo inventato dall'infelice Maometto.
Padre Cavalcoli: Capisco che le sue parole portano a una confusione ingannevole.
EliminaIl valore della fede in Abramo e Mosè esiste solo nella misura in cui si accetta che entrambi profetizzarono la venuta di NSJC. Credere in Abramo o Mosè e non credere che a Betlemme sia nato il figlio di Dio per parto verginale da una fanciulla chiamata Maria è lo stesso che credere nei marziani...
Caro Anonimo,
Eliminaio distinguo la religione naturale, che è una conclusione della ragion partica ed è una virtù umana, dalla religione soprannaturale istituita da Nostro Signore Gesù Cristo, i cui contenuti sono verità di fede e i cui precetti sono la messa in pratica di queste verità di fede.
Per quanto riguarda la religione musulmana, non ho difficoltà ad ammettere che Maometto abbia subito qualche influsso diabolico, che si trova all’origine delle dottrine erronee della sua religione. Però, detto questo, noi da buoni cattolici dobbiamo ascoltare quello che ci insegna il Concilio nel decreto Nostra Aetate, dove è detto che anche Maometto ha adorato l’unico vero Dio, creatore del cielo e della terra, anche se non ha conosciuto o ha disprezzato il mistero della Santissima Trinità.
Purtroppo questa cecità colpisce i suoi seguaci ormai da 14 secoli. La speranza che ci infonde il Concilio è che noi cristiani, con la preghiera, con il buon esempio e con la persuasione, convinciamo questi nostri fratelli a correggersi dal loro errore e ad accettare la verità.
Caro Anonimo,
Eliminail Concilio ci ricorda Abramo come il padre delle tre religioni monoteistiche. Noi cristiani sappiamo che Cristo deriva da Abramo. I nostri fratelli ebrei e musulmani non sono illuminati dalla verità, secondo cui Cristo è il Figlio di Dio.
Come mai, nonostante le tante testimonianze cristiane lungo i secoli, questi fratelli fanno ancora resistenza? Bisogna dire che noi cristiani non sempre abbiamo dato il buon esempio. Comunque affidiamoli a Dio, preghiamo per loro e continuiamo ad operare per la loro salvezza, perché Cristo è morto anche per loro.
Eppure l'obiezione rimane senza risposta. Non c'è alcun valore nel credere in Abramo o Mosè se non si crede in NSJC. Tutto ciò che ci circonda non è altro che un mezzo per raggiungere LUI, per il quale tutte le cose sono state fatte...da Lui, con Lui e in Lui.
EliminaCaro Anonimo,
Eliminaè verissimo che se non si crede in Gesù Cristo è inutile credere in Abramo e in Mosè. Il Concilio, quando sottolinea l’importanza della nostra comune fede ad Abramo insieme con ebrei e musulmani, non intende assolutamente dire che per loro sia sufficiente credere in Abramo.
D’altra parte, come lei sa bene, tanti di questi nostri fratelli possono ignorare Cristo in buona fede. Nel contempo Dio dà a tutti i mezzi per salvarsi. Nello stesso tempo è impossibile salvarsi senza Cristo. Vorrà dire allora, come già insegnò Pio IX, che chi ignora Cristo senza colpa ne ha una fede implicita, per cui si salva grazie a Cristo, ma soltanto in base a questa fede implicita. Un riferimento evangelico può essere Matteo, cap. 25, dove Cristo ammette in paradiso coloro che hanno compiuto opere di misericordia, senza sapere che servendo i bisognosi hanno servito Cristo.
Ma è anche detto: "Anche se distribuissi tutti i miei beni per sfamare i poveri e consegnassi il mio corpo alle fiamme, se non avessi la carità, di nulla mi servirebbe".
EliminaContinua a cercare la quinta zampa
Padre, la zuppa può essere deliziosa, ma una sola goccia di veleno la rende molto pericolosa.
EliminaCaro Anonimo, le faccio presente che lei cita qui un passo di San Paolo a sproposito. Infatti i misericordiosi, che vengono glorificati da Cristo al giudizio universale, sono coloro che hanno agito in nome della carità ossia per l’amore di Cristo, pur senza esserne stati consapevoli. Hanno cioè riconosciuto la dignità della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio e redenta da Cristo.
EliminaCaro Anonimo, il magistero della Chiesa è come un buon cuoco che conosce una zuppa avvelenata e, per rendercela digeribile, ne toglie il veleno.
EliminaCosì la Chiesa prende in considerazione le varie religioni, toglie ad esse gli errori e le rende principi di salvezza, i quali però di per sé non sono sufficienti, per cui la Chiesa aggiunge quelli che mancano.
Tuttavia coloro che non possono venire a conoscenza di queste integrazioni operate dalla Chiesa, se sono in buona fede e seguono la retta coscienza, possono ugualmente salvarsi, anche se non sono in possesso di tutto il patrimonio di fede della Chiesa Cattolica.
È impossibile togliere il veleno dalla zuppa. Lei oltre che cattivo teologo è cattivo cuoco.
EliminaCaro Nicolò,
Eliminacapisco che non sia facile, ma non è cosa impossibile. Le faccio un esempio. Se per caso nella minestra c’è un calabrone, non è difficile togliere il calabrone.
D’altra parte le faccio notare che il suo esempio della zuppa avvelenata non è calzante, perché se è veramente avvelenata è da gettare. Ma tutto ciò vuol dire che lei fa un esempio sbagliato, perché in realtà nelle religioni gli errori sono separabili dalla verità.
Ad ogni modo, a parte il paragone, che capisco che non calzi proprio del tutto, speravo che lei capisse il significato del paragone, che in fondo non è una cosa così difficile. Tutti noi ogni giorno dobbiamo fare un lavoro di discernimento. Pensi per esempio al paragone evangelico del pescatore che separa i pesci buoni dai pesci cattivi.
Così è per le religioni. Esse sono un complesso di elementi spirituali, i quali, esclusa la religione cristiana che è opera divina, sono il prodotto di grandi personalità dotate di una eccezionale capacità di influire su enormi masse di persone nei secoli e nei millenni. Tuttavia si tratta di persone fallibili.
Chi potrà mai giudicare queste grandi produzioni dello spirito? Soltanto la Chiesa Cattolica, dotata da Dio di una capacità di giudizio infallibile. Possedendo essa la pienezza della verità, sa riconoscere nelle altre religioni gli elementi mancanti, mentre con grande misericordia accoglie benevolmente gli elementi positivi.
Ciò che lei dice può essere applicato alle filosofie, non alle religioni. Le religioni, in quanto sono racconti inventati, sono intrinsecamente false. Mi dà l'impressione che lei non discerni bene. Un tutto morale o accidentale, metafisicamente si specifica per il suo fine. Se il suo fine è deviato, tutto è. Una religione falsamente rivelata è totalmente deviata.
Elimina"...hanno agito in nome della carità ossia per l’amore di Cristo, pur senza esserne stati consapevoli. Hanno cioè riconosciuto la dignità della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio e redenta da Cristo".
EliminaPadre, quello che dice non è vero.
La carità implica l'amore di Dio, e lei pretendi che si può avere la carità senza sapere che si sta amando Dio.
Nessuno può amare ciò che non conosce. Prima deve agire l'intelligenza conoscendo ciò che poi per volontà si vuole.
Nessuno può volere (o amare) ciò che non conosce. E l'amore di Cristo sotto nessun punto di vista può essere ridotto a riconoscere la dignità della persona umana (sic), senza altro. Non c'è dignità nella persona umana se non per la grazia di Cristo.
La dignità pretenduta dal "magistero" conciliare è una novità modernista. Non c'è dignità simpliciter, ma la dignità si dà secundum quid, nella misura in cui la grazia santificante ci dignifica.
L'unica cosa che meritiamo senza la grazia è l'inferno eterno, per quanto li dispiaccia...
Mostra sempre più il suo volto, padre Cavalcoli.
Caro Nicolò,
Eliminacertamente la religione in generale si colloca nell’orizzonte della filosofia, perché essa è la conclusione pratica della dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, che costituisce l’oggetto della teologia naturale, la quale a sua volta, essendo opera della ragione umana, entra nell’orizzonte della filosofia, che è appunto effetto della ragione umana.
È vero che in ogni religione c’è una mitologia, però tenga presente che questa mitologia serve ad illuminare le mente dei semplici circa verità metafisiche e morali, che costituiscono l’orizzonte della religione naturale.
Le ripeto che le religioni sono dei grandi sistemi di pensiero elaborati da grandi personalità e riguardanti il modo di condurre l’umanità alla salvezza. Certamente in questi sistemi ci sono degli errori e delle lacune, che dipendono dalla fallibilità dei fondatori, ma, come riconosce il Concilio con il suo infallibile discernimento basato sul fatto che si tratta di magistero della Chiesa - glielo ripeto per l’ultima volta -, in queste religioni si trovano anche degli alti valori, che dipendono dalla grandezza della personalità dei fondatori, valori che la Chiesa Cattolica volentieri apprezza, perché anch’essi derivanti da Cristo e conducenti a Cristo, valori che quindi costituiscono la base del dialogo interreligioso e che impegna noi cattolici ad aiutare questi nostri fratelli non cristiani a completare e correggere la loro conoscenza di Dio, secondo la rivelazione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Caro Anonimo,
Eliminaal cap. 25 di Matteo bisogna ammettere che coloro che sono premiati da Cristo posseggano la carità. E come la posseggono? Non grazie ad una fede esplicita in Cristo, perché quando Cristo li ringrazia si meravigliano. Ma posseggono la carità in forza di una fede implicita, come insegna già il Beato Pio IX.
È chiaro che la carità è innanzitutto l’amore di Dio. Ma dal fatto che Cristo li ringrazia, noi deduciamo che queste persone avessero la carità, perché Cristo non può premiare nessuno che non abbia la carità. Possedevano la carità, senza averne consapevolezza, perché quando facevano del bene non si accorgevano di farlo implicitamente a Cristo.
Ora, sempre stando all’insegnamento di Pio IX, anche una persona che non conosce Cristo, ma si dedica al bene del prossimo, implicitamente serve Cristo, per cui questa persona è a lui gradita e riceve quella grazia, che è alla base della carità.
È verissimo che noi non possiamo amare ciò che non conosciamo, ma da Matteo 25 Cristo fa capire che quei misericordiosi lo amavano senza averne consapevolezza.
Per quanto riguarda la dignità umana, essa certo da sola non basta alla salvezza, anche se è necessaria l’obbedienza all’etica naturale. Ma quello che io sto dicendo è appunto che quei misericordiosi vengono salvati perché possedevano, senza averne consapevolezza, la grazia, la fede e la carità, che sono virtù infuse e soprannaturali.
Le faccio presente che la dignità umana riconosciuta dal Concilio ha, secondo il Concilio, la sua pienezza nella vita di grazia e di carità. Accusando il Concilio di modernismo ovvero di pelagianesimo, è come se lei accusasse il Concilio di eresia. Ma chi osa fare un’accusa di questo genere è a sua volta eretico, perché le dottrine dei Concili sono infallibili, anche se non contengono definizioni solenni di nuovi dogmi.
Sono d’accordo che l’unica cosa che meritiamo senza la grazia è l’inferno. Però si ricordi che chiunque di noi in buona fede segue la retta coscienza e si dedica alle opere buone, come insegna Matteo 25, è premiato col paradiso, perché riceve la grazia di una fede implicita, che gli procura la carità necessaria alla salvezza.
È un peccato che una persona intelligente come lei sia colpita da questo tipo di relativismo, che gli impedisce di fare un giudizio sulle realtà umane. Il famoso mantra di "guardare ciò che ci unisce, non ciò che ci separa" (Giovanni XXIII), fa polvere al ragionamento, dal momento che ciò che ci separa tra i generi è, in termini logici e metafisici, la differenza specifica, cioè la quiditá della cosa. È l'errore capitale dei buonisti conciliari, che hanno castrato il pensiero, perché scommettere su ciò che unisce, sul genere, non su ciò che separa, sulla differenza specifica, è scommettere sulla perdita di identità della cosa, che si definisce proprio per la differenza. Molto triste il relativismo, così è la Chiesa oggi.
RispondiEliminaCaro Nicolò, il famoso detto di Papa Giovanni XXIII non misconosce affatto le differenze e anche i contrasti. Solo che comporta la saggezza e la carità di saper riconoscere anche nei nostri nemici, negli erranti e negli eretici, dei lati buoni, che ci accomunano con loro e possono costituire una base di dialogo e di accordo sulla quale noi possiamo edificare un accordo ancora migliore, che sorge dalla nostra capacità di persuadere e di correggere questi fratelli, sempre supponendo che questi fratelli abbiano l’umiltà di ascoltarci.
EliminaLa posizione di Giovanni XXIII non ha quindi nulla a che vedere con il buonismo, perché non si tratta affatto di una affermazione di genere che ignora la differenza, ma si tratta della messa in luce di ciò che rimane di unità anche nelle situazioni più conflittuali.
È questa coscienza comune delle verità, che uniscono, che consente la correzione degli errori e la riconciliazione dei fratelli in discordia tra di loro.
E smettere di ingannare se stessi e ingannare gli altri, il Dio cristiano non è Allah, che è vendicativo e violento e "non ha figli", secondo il Corano. È una divinità pre-islamica, per questo nel Corano ci sono rudimenti dell'antica idolatria nei "versi satanici" . Con lo stesso criterio, abbiamo lo stesso Dio di quelli che adorano Moloch.
RispondiEliminaCaro Nicolò,
Eliminaper capire ed apprezzare ciò che insegna la Nostra Aetate circa il fatto che noi cristiani, ebrei e musulmani, adoriamo lo stesso Dio, bisogna fare una distinzione tra ciò che Dio è in sé stesso, quindi uno, creatore, onnipotente, giusto e misericordioso, e Dio come lo conosciamo noi cristiani e i nostri fratelli non cristiani.
Le faccio un esempio molto semplice: quello della luna. Ora, se noi facciamo il confronto tra come conosciamo la luna oggi e come la conoscevano nel Medioevo, noi potremmo dire che la luna di oggi non è più quella del Medioevo, ma questo non significa che la luna non sia sempre la stessa per noi e per i medievali.
Da questo punto di vista possiamo dire che il Dio cristiano non è il Dio degli altri. Ma il Concilio ci insegna che, anche a prescindere da queste differenze, in base alla religione naturale tutti sappiamo che esiste Dio, Dio uno, creatore, onnipotente, giusto e misericordioso.
Peraltro la consapevolezza di questa comune conoscenza dell’esistenza di Dio non deve portare noi cristiani ad adagiarci in un pigro e comodo irenismo, che dimentica che quei fratelli, se da una parte riconoscono Dio, però dall’altra non ne hanno un concetto del tutto giusto e soprattutto ignorano il mistero trinitario. Da qui il nostro adoperarci per condurli, con l’aiuto di Dio, all’accettazione del Dio cristiano.
Quello che stanno cercando di fargli capire (lei sei duro di testa) è che le descrizioni fenomeniche non hanno un maggiore valore magisteriale. Quando card. Bea descrive le religioni non sta insegnando nulla, sta descrivendo.
RispondiEliminaCaro Anonimo,
Eliminale ripeto per l’ultima volta che la dottrina del decreto Nastra Aetate non è un’analisi sociologica e non è una descrizione fenomenica, ma è dottrina del magistero infallibile della Chiesa Cattolica.
L’avverto che, se lei insiste, respingerò il suo messaggio.
Caro padre Cavalcoli, non voglio mancare di rispetto, ma in tema di dialogo interreligioso e in quello della libertà religiosa, mi sembra che in certi atteggiamenti della Chiesa, o di alcuni pastori della Chiesa, ci si inganna e, mi dispiace dirlo, ma lo dico con tutto il rispetto, mi sembra di cogliere questo stesso inganno nelle sue affermazioni, per giustificare l'ingiustificabile.
RispondiEliminaIo considero la Chiesa cattolica una Chiesa docente, il suo carisma è di maestra, con autorità su tutto l'orbe. Non è una Chiesa "dialogante" come lei e i modernisti del Vaticano secondo hanno voluto imporre. Cristo non è venuto a dialogare nel senso da lei proposto. Egli venne per insegnare la Sua dottrina, che contiene assolutamente tutto il bene, vero e bello che può contenere. Le false religioni non possono apportare nulla alla religione cattolica, poiché essendo una dottrina perfetta, non manca niente, non ha bisogno di migliorare nulla. A meno che lei non pensi che non sia perfetta.
Quando si mescolano la verità con l'errore, quella che perde è la verità.
Infine, lo stesso Yves Congar, uno dei grandi artefici delle novità conciliari, ammette che secondo gli esegeti non c'è nulla di esplicitamente detto nel Vangelo sul diritto alla libertà religiosa.
Ma oltre a questo, il suo tentativo di salvare l'insalvabile è condannato al fallimento, "per i suoi frutti li conoscerete"
Caro Massimo,
Eliminariconosco che oggi è diffusa una pratica del dialogo ecumenico e interreligioso col quale si prende bensì atto dei valori comuni, ma spesso succede che noi cattolici ci fermiamo a questo livello, come se non ci fosse da fare altro.
Invece i documenti del Concilio, Nostra Aetate e Unitatis Redintegratio, prescrivono che noi cattolici, sulla base di questo accordo preliminare, aiutiamo i nostri fratelli separati a raggiungere quella piena comunione con la Chiesa che a loro tuttora manca, abbandonando i loro errori.
Sono circa quarant’anni che io nelle mie pubblicazioni ho fatto queste precisazioni sul vero dialogo promosso dal Concilio. Per questo io non ho niente a che vedere con la concezione modernista del dialogo, che si limita ad un semplice confronto di idee, scambiando l’eresia per una semplice idea diversa che il fratello separato ha tutto il diritto di mantenere, una pratica del dialogo che pertanto ha come risultato non l’avvicinamento dei non cattolici a Roma, quanto piuttosto il fenomeno increscioso di cattolici, che continuano a chiamarsi tali, ma non lo sono più, perché hanno assunto idee non cattoliche che non sono state confutare e che tutto sommato sembrano più comode e più gradevoli, perché non possiamo nasconderci che tra le dottrine etiche delle varie religioni, l’etica cristiana è la più austera e la più esigente perché si propone la conquista dei valori più alti.
Per questo l’impostazione relativistica del dialogo data dai modernisti ha come risultato la conversione dei cattolici alle altre religioni, per il fatto che l’etica di queste religioni è meno impegnativa e scende a compromessi col mondo.
Ancora per quanto riguarda il dialogo bisogna distinguere una religione in sé stessa dal fedele di quella data religione. È chiaro, come dice il Concilio, che la religione cattolica contiene la pienezza della verità, mentre le altre hanno delle lacune di più o meno grave entità.
Per quanto riguarda i fedeli delle singole religioni, può capitare che un cattolico, non avendo ricevuto un’istruzione sufficiente, si trova ad avere delle lacune, magari inconsapevolmente, per cui in un dialogo con un non cattolico può benissimo colmare queste lacune grazie ad un non cattolico, che lo può illuminare.
Quindi è chiaro che il cattolicesimo come tale non ha nulla da imparare da nessun’altra religione. Invece è possibilissimo che un cattolico non ben formato si trovi ad imparare da un fratello non cattolico una verità cristiana, che lui non conosceva,