I gradi di autorità del magistero pontificio

 

I gradi di autorità del magistero pontificio

L’autorità dottrinale e pastorale del Papa

Cristo ha incaricato Pietro di confermare i suoi fratelli nella fede in quanto Egli aveva insegnato. In tal modo Pietro, assistito da Cristo, vicario di Cristo e in nome di Cristo è stato da Cristo costituito dottore e maestro della dottrina di Cristo.

Pertanto, quando siede su questa cattedra («ex cathedra Petri»), cioè quando insegna alla Chiesa ciò che Cristo ha insegnato per la nostra  salvezza e ci propone a credere, fruisce di uno speciale dono, esclusivamente appartenente al Papa, per il quale egli, secondo diversi gradi di autorità esposti nel Codice di diritto canonico (cann.749-752) in materia di fede e di costumi, è sempre veridico cioè insegna sempre ed infallibilmente la verità del Vangelo, non sbaglia mai, non si inganna e non inganna, non può cambiare o ritrattarsi, né possono farlo i suoi Successori; non può mutare o riformare o rivedere o reinterpretare o correggere quanto ha detto, ma solo divulgarlo, ripeterlo, approfondirlo, svilupparlo, chiarirlo e spiegarlo, sicchè i suoi insegnamenti non sono falsificabili né al presente né al futuro fino alla fine del secoli.

In tal modo il Papa, peccatore come tutti noi, può peccare  contro tutte le virtù, e la storia lo dimostra, ma, e la storia dimostra anche questo, quando insegna alla Chiesa dalla cattedra di Pietro, ossia come Papa, come maestro e interprete della verità di fede, della Scrittura o della Tradizione, illumina, chiarisce, spiega e conferma, ma non pecca mai, non può mentire, non può tradire Cristo o il Vangelo, non può ingannarsi, non può falsificare, fraintendere o deformare la Parola di Dio, non può cambiare il dogma, non può guidare fuori strada, non può cadere nell’eresia e men che meno perdere la fede.

 L’autorità del Papa come nostra guida istituita da Cristo per condurci alla salvezza comporta un aspetto dottrinale e un aspetto pastorale. L’aspetto dottrinale è il magistero pontificio vero e proprio e riguarda due ordini di verità di fede («de fide et moribus»): verità speculative o teoriche o teoretiche, attinenti al mistero di Dio, a quanto  Dio ci ha detto di Se stesso per mezzo di Cristo, cose (gli attributi divini) che sono semplicemente da sapere, contemplare, amare e gustare e che conosceremo svelatamente e godremo pienamente in cielo nella visione beatifica, e verità morali, comandamenti, norme, leggi divini, oggetti di fede  da mettere in pratica adesso per prepararci alla visione beatifica.

L’aspetto pastorale si potrebbe chiamare magistero pastorale, che concerne però non tanto il suo sapere, quanto piuttosto la volontà del Papa come Pastore della Chiesa.

Si tratta di quello che il Papa comanda o proibisce di fare nei contesti storici e nelle situazioni particolari e contingenti, per imparare efficacemente la Parola di Dio e metterla in pratica fruttuosamente nella nostra vita di tutti giorni.

Si tratta di direttive, disposizioni, decisioni, indicazioni circostanziate, norme giuridiche, disciplinari o liturgiche (per esempio i motu proprio) di diritto positivo, che il Papa a suo giudizio, come ritiene meglio, opportuno o necessario, emana o si riserva di mantenere o mutare, istituire ex novo o abrogare anche nei confronti di ciò che ha fatto un suo Predecessore, secondo la sua prudenza, a seconda dei casi e delle circostanze.

È, questo, l’esercizio del cosiddetto «potere delle chiavi», che non riguarda la dottrina, ma la direzione concreta della condotta del fedele. Si tratta del potere giurisdizionale o di governo, ossia dell’organizzazione gerarchica e giuridica delle attività della Chiesa, si tratta dell’ufficio del Papa come giudice supremo incaricato da Cristo di far giustizia; si tratta del suo ufficio e potere, come sommo sacerdote, di santificare le anime per mezzo dei sacramenti, di sommo moderatore del culto divino.

In tutti questi uffici e servizi il Papa non è infallibile, non è impeccabile, per cui  può mancare di giustizia e d prudenza, di mitezza o di pazienza, può essere irascibile o dispotico, pauroso od opportunista,  poco leale e poco onesto; a volte troppo esigente o severo, a volte troppo largo e indulgente.

Mentre dunque non avrebbe senso pretendere di correggere il Papa nel campo della dottrina, come pretesero di fare Michele Cerulario e Lutero, ed oggi vorrebbero fare modernisti e lefevriani, può essere opportuno ed utile per la Chiesa, correggerlo in questo campo della sua azione pastorale o di governo o nella sua stessa condotta morale, come ce ne danno l’esempio grandi Santi riformatori, come San Pier Damiani, San Domenico, San Francesco,  Santa Caterina da Siena, il Savonarola  o il Beato Rosmini.

I tre gradi di autorità dottrinale

Perché il Diritto canonico presenta tre gradi di autorità dottrinale? Qual è il motivo e il criterio di questa molteplicità? Su che cosa si basa?

Perché San Giovanni Paolo II con la Lettera Apostolica Ad tuendam fidem del 1998* ha fatto aggiungere un secondo comma nel can.750, ossia un terzo grado di autorità dottrinale del Papa, un grado intermedio fra i due (can.749-750, primo comma) del precedente testo canonico?

Perchè si era accorto di un sotterfugio al quale ricorrevano i lefevriani, i quali, col pretesto che il Concilio Vaticano I dichiarava come dogma che il Papa insegna infallibilmente quando solennemente  «ex cathedra» definisce un nuovo dogma, Ora, siccome né il Concilio Vaticano II né i Papi del postconcilio si sono valsi di questo potere eccezionale del Magistero dottrinale, ossia non hanno definito solennemente nuovi dogmi, i lefevriani ritenevano di avere la porta aperta  per poter accusare il Concilio e i Papi postconciliari di eresia o quanto meno di ritenerli fallibili per il fatto che non hanno mai usufruito del potere pontificio dogmatizzato dal Concilio,

San Giovanni Paolo II col suddetto intervento blocca quell’operazione disonesta precisando che il Papa è infallibile non solo nel magistero straordinario come quello contemplato dal Vaticano I, ma anche in quello ordinario, anche quando propone nuove dottrine, perché anche in questo caso insegna come maestro della fede, in materia di fede, dalla cattedra di Pietro, ossia come Successore di Pietro («ex cathedra»).

In tal modo dal Diritto Canonico così perfezionato dal Papa risulta che il pronunciamento papale del quale parla il Vaticano I è solo il primo e più alto grado di un’autorità dottrinale che non è infallibile, ossia assolutamente veridica, ossia sempre vera e mai falsificabile, solo a quel grado, ma lo è anche negli altri due che ha sotto di sé: il secondo (Can.750, secondo comma, grado medio) e il terzo ed infimo grado (Can.752).

Gradi della fede e gradi del dogma

In base a quanto detto sui gradi di autorità dottrinale del Papa, è chiaro che a ciascuno di questi gradi corrisponde un grado di credibilità della materia di fede trattata a quel grado ed oggetto del corrispondente grado di autorità del Papa, mentre nel fedele esisterà il grado di fede corrispondente al grado di credibilità della materia di fede e al grado di autorità secondo il quale il Papa la insegna.

Occorre allora vedere adesso il rapporto autorità-materia di fede (dogma)-fede in ciascuno dei tre gradi. Premetto che il supremo contenuto di fede, dopo la stessa Parola di Dio e di Cristo contenuta nella Scrittura e nella Tradizione, è il Simbolo della fede; sono cioè i singoli articoli di fede contenuti nel Credo. Questi contenuti sono i cosiddetti «dogmi». Il dogma in generale è una proposizione elaborata dalla Chiesa come interpretazione e spiegazione della Parola di Dio.

Il riferimento al dogma è contenuto in tutti e tre i gradi di dottrina che siamo venuti esaminando, perché si tratta sempre di verità di fede. Al dogma nel senso più forte si riferisce il primo grado citato dal primo comma del Can.750. Esso usa queste parole: «tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne, sia con magistero ordinario e universale propone a credere come divinamente rivelato». Qui abbiamo il dogma formalmente ed esplicitamente definito come dogma.

Nel secondo comma abbiamo il dogma riferito al secondo grado di autorità: «tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede». È chiaro che questo «esporre» sottintende lo sviluppo o progresso dottrinale nella continuità.

Al terzo grado a cui si riferisce il Can.752 il dogma appare solo ad un livello embrionale ed implicito e non dichiarato; appare come semplice dottrina di fede del magistero ordinario priva di qualunque solennizzazione e riconoscimento come dogma e tuttavia è anch’essa suscettibile, se la Chiesa lo riterrà opportuno, di essere solennemente ed esplicitamente dogmatizzata salendo al secondo grado e da questo al primo.

Così qui è chiamato il dato di fede: «dottrina circa la fede e i costumi enunciata dal Sommo Pontefice e dal Collegio dei Vescovi». Queste dottrine potranno eventualmente un giorno passare al primo grado. Così è accaduto, per esempio, alla dottrina della creazione o degli angeli, elevata a dogma nel 1215, alla dottrina dei dannati dell’inferno elevata a dogma dal Concilio di Quierzy dell’856, alla dottrina della visione beatifica, elevata a dogma nel 1336 o dell’immortalità dell’anima elevata a dogma nel 1513, alla dottrina dell’Immacolata, elevata a dogma solo nel 1854, alla dottrina della dimostrabilità dell’esistenza di Dio, elevata a dogma dal Concilio Vaticano I, tutte dottrine inizialmente di terzo grado elevate poi al primo.

Una dottrina oggi a stento di terzo grado, dato che è piuttosto discussa, è quella della Corredentrice. Ma supponendo che una buona mariologia riesca a togliere ogni sospetto di massimalismo mariano, si potrebbe auspicare l’elevazione al secondo grado. E supponendo un progresso nel dialogo ecumenico con i protestanti, tale da fugare in loro ogni preoccupazione, il Papa potrebbe festeggiare questo successo col dogmatizzare il titolo al primo grado. Sarebbe un trionfo stupendo di Maria Madre di tutti i cristiani, Regina di pace e di riconciliazione.

Che cosa è che induce la Chiesa ad elevare di grado una dottrina rivelata o di fede? Possono essere due motivi: un motivo pastorale: la Chiesa in un dato momento storico giudica che occorra evidenziare una data verità con particolare forza, oppure un motivo di difesa della fede: rispondere agli attacchi degli eretici. Per esempio, ciò che il Concilio di Trento ha insegnato contro Lutero: il numero dei sacramenti, la Messa come sacrificio, la transustanziazione, il sacerdozio.

Per quanto riguarda l’atto di fede che accoglie le verità di fede a questi tre gradi, diciamo: l’atto di fede col quale il fedele accoglie il dogma definito di primo grado, è «l’atto di fede divina e cattolica» (Can. 750, comma primo). L’atto di fede col quale accoglie la dottrina di secondo grado, ossia il dogma prossimamente definibile, è la «fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero (dottrine de fide tenenda)» (Nota Dottrinale, n.8).

Per quanto riguarda l’assenso alle dottrine del terzo grado, siccome trattano ancora di materia di fede, è ancora un assenso di fede nell’autorità della Chiesa, atto che viene designato dal Codice come «religioso ossequio dell’intelligenza e della volontà» (Can.752). Mai dunque è giustificato il dissenso perché anche qui la Chiesa insegna una verità divina che non muta, sapendo di non sbagliare ma di guidare gli uomini alla salvezza[1].

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 ottobre 2024


San Giovanni Paolo II col suddetto intervento precisa che il Papa è infallibile non solo nel magistero straordinario come quello contemplato dal Vaticano I, ma anche in quello ordinario, anche quando propone nuove dottrine, perché anche in questo caso insegna come maestro della fede, in materia di fede, dalla cattedra di Pietro, ossia come Successore di Pietro («ex cathedra»).

Da Internet:
- https://www.basilicasanpietro.va/it/san-pietro/la-cattedra-di-san-pietro.html

 * https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/motu_proprio/documents/hf_jp-ii_motu-proprio_30061998_ad-tuendam-fidem.html

https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html 

[1] Per ulteriori ragguagli consiglio di consultare il libro ancora attuale del Padre Sisto Cartechini S.J., Dall’opinione al domma. Valore delle note teologiche, Edizioni della Civiltà Cattolica, Roma 1953.

50 commenti:

  1. Gentile Padre,

    Lei fa riferimento alla "dottrina dei dannati dell’inferno elevata a dogma dal Concilio di Quierzy dell’856". Ora, so che lei sostiene che questa dottrina, sancita qui da un concilio provinciale sia stata poi fatta propria dal magistero universale (lo ha già precisato altrove), ma purtroppo, come sa, chi vorrebbe svuotare l'inferno si appella al fatto che il concilio di Quierzy ha appunto un carattere locale e che i suoi decreti non possono avere portata universale. Potrebbe giustificare il fatto che lei parla qui di una dottrina "elevata a dogma" da un sinodo provinciale? Può un'assise locale elevare a "dogma" una dottrina?

    Cordialemente Suo in Cristo,

    Pietro

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    1. Caro Pietro,
      bisogna tenere presente che il Concilio di Quierzy è stato un Concilio di carattere dottrinale. Ora, l’importanza dottrinale dei Concili non è data necessariamente dal fatto che siano universali, perché possono benissimo anche essere locali. Ma la loro importanza dogmatica dipende dal fatto che la dottrina della quale trattano è universale, ossia è materia di fede e di morale.
      Ora, è evidente che, essendo il Papa il supremo custode della dottrina, se si riunisce un Concilio locale, è chiaro che questo Concilio, per avere valore universale, deve avere l’approvazione del Papa.
      Io non so come esattamente sono andate le cose, ma una cosa è certa, che, se questo Concilio ha emanato dei canoni – e i canoni hanno un valore dogmatico – certamente il Papa li ha approvati e quindi diventa dottrina del ministero pontificio.
      Come grado dottrinale certamente non è il primo, ma potrebbe essere o il secondo o il terzo. Con l’espressione “elevata a dogma” intendevo riferirmi al fatto che certamente i Padri del Concilio hanno assunto una dottrina teologica precedente e l’hanno dogmatizzata.
      Il Concilio di Quierzy è riportato nel Denzinger n. 623.

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  2. Non sono teologo, né lefebvriano, ma è la prima volta che sento questa interpretazione dei gradi di autorità del Magistero... mi sembra delirante che sia infallibile tutto quello che dice il Papa, anche se è sulla fede e morale... tutto?...

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    1. Caro Fabrizio,
      bisogna che precisiamo che cosa la Chiesa intende dire quando dice che il Papa, dalla cattedra di Pietro (ex cathedra Petri), è infallibile, ovvero veridico, in materia di fede e di morale.
      Essa non dice altro che egli svolge quel compito di confermare i fratelli nella fede, che Cristo ha affidato a Pietro, compito che permane nei Successori di Pietro, per il fatto che Gesù ha promesso a loro che sarà con loro fino alla fine del mondo.
      E’ chiaro che al di fuori di queste occasioni nelle quali il Papa svolge il suo ufficio petrino, è una persona fallibile come tutti noi, per cui non possiede quel carisma di infallibilità del quale fruisce nei momenti in cui svolge il suo compito di Maestro della Fede per tutta la Chiesa.

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  3. Caro padre Cavalcoli,
    Lo seguo di solito, non solo qui sul suo blog, ma anche sulla sua pagina Facebook, dove le sue risposte sono spesso molto istruttive. Lì su Facebook, uno dei suoi lettori ha fatto l'accusa di eresia contro Radcliffe, e lei gli ha chiesto con quale preparazione si permetteva di giudicare con tanta sicurezza...
    Mi sorprende padre... a volte ho sentito il desiderio che censurasse per lo stesso (grave accusa di eresia e scisma) dei commentatori del blog... ma ho rinunciato, perché pensavo che non avrei ricevuto bene la mia richiesta... Attenzione con il doppio bastone perché è pericoloso.
    Sono in disaccordo con lei riguardo al titolo abilitante in quanto ciò che rende possibile il giudizio teologico competente è l'abitudine della scienza teologica acquisita non il mero titolo sebbene oggi sia necessario anche il titolo più per una questione istituzionale che per un'altra cosa. Credo che si abbia bisogno anche della missio canonica per poter insegnare. Se la scienza teologica è accompagnata da una conoscenza mistica di Dio molto migliore e più vera delle conoscenze del teologo in questione.
    D'altra parte, che piaccia o no a me e a lei il P. Radcliffe si avvicina pericolosamente all'eresia: c'è un articolo di un teologo domenicano fra Nelson Medina che lo avverte dolorosamente. è triste ma è la realtà.
    Infine, il teologo potrà diagnosticare o esaminare se una persona è caduta o no in eresia, ma l'essenziale per l'atto di eresia non è la diagnosi teologica ma la proposizione di qualcosa contrario alla fede con l'intento di negare ciò che crede la Chiesa. In Cristo.

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    1. Caro Anonimo,
      io non posso che ribadire quel che ho detto. Le ho fatto anche un paragone con la professione del medico. Mi riferivo ai casi nei quali c’è un sospetto di eresia, ma non è così sicuro che il soggetto sia eretico. Mentre nei casi nei quali si tratta di eresie già condannate dalla Chiesa, se uno sostiene tale eresia e si è sicuri che lo abbia fatto, in questo caso il giudizio è abbastanza facile e non occorrono particolari competenze.
      Ma nel caso di un cardinale appena nominato, che tutto sommato ha una buona fama, le confesso che il sentirlo accusare di eresia con tale sicurezza non mi convince. Sentirei il bisogno di una attenta verifica, anche se devo dirle con tutta franchezza che molti anni ebbi con lui una corrispondenza epistolare, nella quale egli difendeva Schillebeeckx. In questi ultimi anni, io non l’ho più seguito e quindi è possibile, anzi probabile, che si sia corretto.
      Credo di avere già risposto a queste sue parole, a quanto ho già detto sopra.
      Non conosco questo mio confratello Nelson Medina. Eventualmente avrei piacere l’articolo dal quale lei ha attinto.
      Le faccio osservare che in alcuni casi occorre una indagine condotta da competenti, mentre in altri casi l’eresia è evidente e la può riconoscere anche un comune fedele.

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  4. Caro padre Giovanni Cavalcoli,
    mi preoccupa da tempo la questione dell'infallibilità del Papa, soprattutto perché continua a essere discussa più volte, per quanto siano tanti i chiarimenti che negli ultimi decenni ha dato Roma, tra cui la lettera Ad tuendam fidem, del 1998.
    Indagando su questo argomento ho dato per la prima volta con il suo blog, e con questo articolo.
    Il papa è infallibile? A questa domanda si risponde affermativamente, e di valore dogmatico. Il Concilio Vaticano I ha definito il 18 luglio 1870, con la Costituzione Dogmatica Pastor Aeternus, che il Successore di Pietro sulla Cattedra Romana, gode del privilegio dell'infallibilità quando stabilisce che una verità è un dogma di fede cattolica e dichiara che è sua volontà pronunciarsi in questi termini.
    Si tratta di un magistero straordinario, che non si esercita che in rare occasioni. C'è un antecedente alla decisione del suddetto Concilio. Papa Pio IX, nel 1854, con la Bolla Ineffabilis Deus, definì il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, che destinata ad essere la Madre del Verbo Incarnato, fu preservata dalla macchia del peccato originale. Ricordiamo che quattro anni dopo, nel 1858, la Beata Maria apparve a Lourdes alla bambina Bernadette Soubirous e dichiarò: "Io sono l'Immacolata Concezione".
    La storia registra poi un solo caso di definizione dogmatica: Pio XII, il 1 novembre 1950, mediante la Costituzione apostolica Munificentissimus Deus, dichiarò che è una verità di fede cattolica che la Vergine Maria, terminato il corso della sua vita terrena, è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste. Questa dichiarazione fu fatta da Pio XII davanti a una folla che si riempiva in piazza San Pietro e si estendeva lungo la via della Conciliazione fino al Tevere.
    Questo è ciò che vedo con la certezza della mia fede cattolica.

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    1. Caro Pierangelo,
      l’infallibilità pontificia, come risulta evidente dalla Nota dell’Ad Tuendam Fidem (https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html) non è quella infallibilità della quale parla il Concilio Vaticano I. Esso si riferisce solo a momenti rari e straordinari, nei quali il Papa tiene in modo speciale ad affermare la sua autorità, a sottolineare l’importanza della dottrina e a difenderla contro gli errori.
      Queste definizioni dogmatiche aumentano e consolidano una certezza che esisteva già, tuttavia in mezzo a dubbi e contestazioni. Tuttavia questa infallibilità non è propria soltanto di queste definizioni solenni, a proposito delle quali il Papa dichiara che vuole definire.
      Dalla Ad Tuendam Fidem si evince che il Papa è infallibile, cioè dice la verità ossia non si inganna e non può ingannare, anche a livelli inferiori di autorità, anche se non dichiara di definire, purché egli insegni come dottore, maestro e pastore della Chiesa Universale in materia di fede o necessariamente connessa con la fede.
      Detto questo, è chiaro che ci sono molti casi dove il Papa, almeno in linea di principio, è fallibile, cioè si può sbagliare o può cambiare opinione o direttiva. Di quali materie si tratta? Si tratta di materie giuridiche, disciplinari, liturgiche, amministrative, culturali e pastorali. Perché qui può sbagliare? Perché qui si tratta di calcolare con prudenza tutte le circostanze, e può capitare che un Papa, per i suoi limiti umani, intervenga con poca prudenza.

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    2. Caro padre Giovanni Cavalcoli,
      sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla rapidità con cui mi ha risposto. Ringrazio.
      Credo di capire quello che mi dice, anche se ho ancora qualche dubbio. Comprendo perfettamente l'indubbia infallibilità papale nelle definizioni dogmatiche, cioè nel Magistero straordinario. Ma... l'insegnamento papale si esprime abitualmente attraverso il suo Magistero Ordinario: encicliche, messaggi, discorsi, ecc. Allora, capisco che non si devono confondere questi due ordini di insegnamento ed estendere la stessa infallibilità a tutto ciò che il Pontefice insegna, per quanto sia importante.
      Purtroppo, la mancata conoscenza di queste realtà teologiche, di queste distinzioni, ha portato a volte ad una sorta di "papismo" che considera infallibile in ogni circostanza quello che il Successore di Pietro dichiara. L'obbedienza di fede di un cristiano corrisponde in modo diverso a diversi modi di esprimersi del Papa, e comprende, sì, diciamo in senso ampio, le espressioni del magistero ordinario; ma bisogna tener presente che in esse può esserci errore.

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    3. Caro Pierangelo,
      la differenza tra il magistero straordinario e quello ordinario non è data dal fatto che nel primo caso il Papa è infallibile, cioè dice la verità, mentre nel secondo caso si può sbagliare.
      Supponendo che in entrambi i casi il Papa parli come Successore di Pietro (ex cathedra Petri), come Dottore e Pastore Universale della Chiesa in materia di fede o connessa con la fede, non è ammissibile credere che nel secondo caso il Papa si possa sbagliare, perché verrebbe meno a quel compito che Cristo gli ha affidato di confermare i suoi fratelli. E se Cristo ci assicura che Egli è con il Papa fino alla fine del mondo, forse che Cristo si è sbagliato?
      Ciò comporta che il Papa ha da Cristo in tutta la Chiesa una particolarissima assistenza, data solo a lui, che gli garantisce di non peccare mai contro la fede, sia nel magistero straordinario che in quello ordinario, cioè di non cadere nell’eresia, mentre può peccare in tutte le altre virtù, come tutti noi.
      La differenza tra i tre gradi di autorità non sta nel fatto che il Papa è infallibile solo al 1° grado, quando definisce solennemente un nuovo dogma, ma consiste in tre gradi di contenuto e di modalità espositiva, la cosiddetta esplicitazione del dogma.
      Per quanto riguarda il contenuto del 1° grado si tratta di dottrine immediatamente e puramente di fede, come per esempio l’Incarnazione e la Santissima Trinità. Queste verità sono talmente al di sopra della ragione che, se non fossero state rivelate da Cristo, mai si sarebbero potuto conoscere.
      Negli altri due gradi invece si tratta sempre di dottrine di fede, che però sono mediate dalla ragione, in modo tale che se questa mediazione non ci fosse le verità di fede verrebbero negate. Si riferiscono a dottrine non sempre immediatamente di fede, ma che sono necessariamente connesse alla fede in modo diretto o in modo indiretto. Se per esempio fosse impossibile dimostrare che Cristo è esistito, è chiaro che crolla tutta la fede.
      Un altro esempio, la proibizione dell'aborto o della pedofilia o della sodomia sono verità di etica naturale, ma il Papa le insegna non come farebbe un docente di morale, ma come Papa e quindi infallibilmente. Qui siamo al 2° grado.
      Se invece si tratta di verità dedotte razionalmente da verità di ragione a sua volta connesse con la fede, allora siamo al 3° grado, ma anche qui il Papa non sbaglia. Per esempio: Chi usa l'anticoncezionale corrompe il processo generativo (3° grado); ma chi corrompe il processo generativo pecca contro la generazione (2°grado); ma chi pecca contro la generazione pecca contro il VI Comandamento (1° grado).
      In secondo luogo questa graduatoria riguarda il metodo espositivo, per cui il Papa può innalzare di grado una verità precedentemente di grado inferiore. Per esempio, che Maria sia Immacolata è sempre stato creduto dai fedeli. Allora, che cosa è successo col dogma dell’Immacolata? Che questa verità, inizialmente al 3° grado è passata al 1° grado. Naturalmente non è che sia cambiato il contenuto. Che cos’è cambiato, allora? La particolare importanza che il Papa, per ragioni pastorali, dà a quella data verità che promuove di grado.

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    4. Caro Padre, ho letto e riletto la sua ampia risposta, che ancora una volta ringrazio. Mi sorprende, ma mi convince assolutamente, anche se, a dire il vero è la prima volta che mi spiegano l'infallibilità pontificia in questo modo.
      Comunque, e soprattutto pensando a questo pontificato di Francesco, ho l'impressione che sia difficilmente evitabile ogni errore se il Papa parla tanto e davanti ad ascoltatori molto diversi: pellegrini, visitatori circostanziali in udienze personali, dichiarazioni giornalistiche, per esempio.
      Ritengo che queste situazioni non costituiscano magistero; perché l'esercizio del magistero ordinario include l'intenzione di insegnare, di comunicare la verità della fede o dell'ordine naturale.

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    5. Caro Pierangelo,
      effettivamente io ho l’impressione che i Papi, a cominciare con Paolo VI e in un continuo crescendo, parlino troppo, perché nel troppo parlare facilmente ci si sbaglia.
      Il criterio da tenere presente è quello che ho già detto: il Papa è infallibile tutte le volte che come Successore di Pietro, Maestro e Pastore Universale della Chiesa insegna alla Chiesa intera in materia di fede o connessa con la fede, come per esempio i Documenti Ufficiali Personali o della Curia Romana oppure le Omelie, le Udienze Generali o anche l’occasione di Viaggi Apostolici.
      L’abbondanza dei contatti può servire a rendere accessibile a tutti la figura del Papa, così da metterli a proprio agio dando al Papa la possibilità di dire una buona parola, anche a non credenti o a fedeli di altre religioni, così da stabilire una base di intesa sulla quale un domani queste persone potranno essere illuminate dalla fede.

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    6. Caro Padre, sono completamente d'accordo con le sue idee.
      Tuttavia, avverto che gli errori manifestati da Francesco provengono dal suo disgusto per la Tradizione, che lo porta a maltrattare i tradizionalisti, a perseguitare vescovi e sacerdoti, ad cancellare alcuni. Una procedura abituale è quella di intervenire indirettamente nelle diocesi nominando dei progressisti coadiutori dei rispettivi vescovi. In numerosi casi si manifesta critico dei presbiteri, che sembra disprezzare, definendoli "indietristi" perché amano e seguono la Tradizione. Questo disprezzo contrasta con l'amore per i sacerdoti manifestato dai Papi precedenti, san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Non credi lo stesso?

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    7. Caro Pierangelo,
      ciò in cui non mi trovo del tutto d’accordo con Papa Francesco è il suo modo di impostare il progresso e il rinnovamento avviati dal Concilio, che sembra avvicinarsi troppo a posizioni rahneriane.
      Per quanto riguarda la Tradizione ricordiamoci che essa è una fonte della divina Rivelazione insieme con la Sacra Scrittura. Quindi non è pensabile che un Papa vada contro la Tradizione.
      Forse potrebbe essere più comprensivo nei confronti di certe tradizioni ecclesiali, come per il VO, per cui francamente io sarei più favorevole alla posizione che su questo punto aveva assunto Papa Benedetto XVI.
      Anch’io ho l’impressione che il Papa sia un po’ troppo indulgente verso i modernisti e un po’ troppo severo verso i filolefevriani. Per ottenere un accordo tra i due partiti occorrerebbe che egli fosse veramente super partes, come si conviene al Padre comune, che deve ottenere la concordia tra i suoi figli. Preghiamo il Signore per questa intenzione.
      Per quanto riguarda il progressismo, non darei a questo termine un significato negativo, perché il progresso è pur necessario nella Chiesa. Semmai è meglio parlare di modernismo. Quelli che il apa chiama indietristi, non sono i fedeli della Tradizione, perché, come ho detto, è impossibile che un Papa perseguiti la Tradizione, ma sono coloro che intendono in un modo sbagliato la Tradizione opponendola ai progressi realizzati dal Concilio Vaticano II. Quindi, chi sono gli indietristi? Lo dice la parola: quelli che invece di avanzare tornano indietro a posizioni preconciliari superate, il che non significa che a tutt’oggi non esistano dei valori che erano in vigore nel passato e che devono essere recuperati, come per esempio la teologia scolastica, alcuni temi dottrinali come per esempio quello riguardante l’inferno, la predestinazione e il valore dei meriti o alcune pratiche liturgiche come le rogazioni.

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    8. Caro Padre Giovanni Cavalcoli,
      ringrazio per i chiarimenti che mi dà sui concetti di Tradizione, progresismo e modernismo.
      Credo di essere d'accordo con la sua visione critica su Papa Francesco, nei punti che lei ha menzionato.
      Ricorderei anche quella volta che si pose il tema di Maria Corredentrice, dove mi sembra che si evidenziò che la sua mariologia è carente: quando gli fu chiesto di proclamare la Corredentrice, rifiutò con un pessimo argomento, sostenendo che non poteva essere chiamata Corredentora "perché non è divina". Si nota che non capisce il mistero della partecipazione di Maria all'opera della redenzione.
      In un altro ordine di cose, lo stile di Francisco è populista, che gli viene dalla sua simpatia politica con il fenomeno argentino del peronismo, movimento a cui aderì da giovane nel settore conosciuto come 'Guardia de Hierro', secondo quanto ho cercato di informarmi.
      La questione dell'infallibilità non si pone; egli infatti svolge la sua attività avvalendosi dell'autorità pontificia con tutta naturalezza. Egli è ben consapevole di essere il Papa e come tale lo considerano i fedeli, salvo che molti non approvano le sue scelte politiche, e riconoscono molto bene che questa dimensione politica è estranea alla funzione di Successore di Pietro.

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    9. Caro Pierangelo,
      il Papa ha una preoccupazione, forse eccessiva, di non urtare la sensibilità del Luterani e nello stesso tempo disapprova certe forme esagerate di devozione mariana, delle quali la Madonna stessa non sarebbe contenta.
      Ora la questione si riferisce essenzialmente a che cosa possiamo intendere col termine corredentrice. Effettivamente, a tutta prima, sembrerebbe voler dire che la Madonna redime l’umanità insieme con suo Figlio e alla pari di suo Figlio. Ma mi sembra uno scrupolo eccessivo, perché quel “con” che precede la “redentrice” è qualcosa di simile a quando parliamo di “collaboratore” di qualcuno, che evidentemente non è alla pari di lui, ma è solo un suo aiutante. C’è da tenere presente inoltre che questo titolo di Maria nella Chiesa Cattolica è antico di sei secoli ed ha avuto l’approvazione anche di alcuni Papi.
      Non possiamo dubitare circa la teologia mariana del Santo Padre. La sua è una preoccupazione ecumenica, anche se a mio avviso è eccessiva. Basterebbe spiegare che cosa veramente il titolo significa, che è esattamente quello che ha detto lei e cioè partecipazione impareggiabile dell’opera redentrice di Gesù Cristo.
      Ora, come lei saprà dalla metafisica, ci sono diversi gradi di partecipazione ad una perfezione, in tal caso l’opera della redenzione. Qui Maria occupa il grado massimo, ma in quanto siamo tutti figli di Dio potremmo dire che in un certo modo siamo tutti corredentori, ossia in Cristo ci salviamo gli uni gli altri.

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    10. Ringrazio Dio per aver conosciuto questo luogo su internet, e ringrazio lei, padre Giovanni, per la sua generosità nel rispondere alle mie domande.
      Ho riflettuto sulla sua ultima risposta, e devo anche riconoscere che i suoi argomenti sono convincenti per spiegare la posizione del Papa su Maria corredentrice. Ma capisco che potremmo fare una distinzione tra fede e teologia e, in questo caso, tra la fede in Maria, e la teologia su Maria.
      Ora, io non ho dubbi sulla fede indefettibile del Papa in Maria, come Papa; ma non sarebbe corretto dire che il Papa può non mettere magistero quando adotta una determinata spiegazione teologica su uno dei misteri cristiani, in questo caso il mistero di Maria?

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    11. Inoltre, capisco che lei non abbia voluto commentare la seconda parte del mio intervento precedente, quando le ho parlato dello stile di papa Francesco, che lo vedo eccessivamente populista, ciò che io interpreto è dovuto alle precedenti scelte politiche che egli ha fatto nella sua vita, e che sembrano trascinarsi in questo suo pontificato.
      Capisco che lei non abbia voluto parlarne, perché alla fine entrerebbe nell'ambito delle sue opinioni private e non nel suo Magistero pontificio. Non è vero?
      Per questo ho detto prima che in questo ambito non si pone la questione dell'infallibilità; ma in qualche modo, come ho detto anche, la sua autorità pontificia può permeare anche queste sue espressioni politiche che sono opinabili, ma che non tutto il Popolo di Dio può distinguere i due ambiti, uno vincolante e l'altro no...

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    12. Infine, caro padre Cavalcoli, non mi resta che ringraziar nuovamente per la sua generosità nel rispondere alle mie modeste proposte.
      Per concludere, vorrei fare solo una mia valutazione personale, che è un po' critica, e ammetto che può essere sbagliata, ma non riesco a trovare sfumature che la moderino.
      Ed esprimo semplicemente la mia valutazione: credo che l'attuale pontificato sia impegnato nell'agenda globalista e nel dialogo interreligioso; e per questo ritengo che non possa adempiere all'incarico di diffondere la conoscenza e l'amore di Gesù Cristo.
      Tuttavia, il mandato apostolico rimane lo stesso: "Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo a tutte le nazioni; chi crede e si battezza sarà salvato, chi non crede sarà condannato" (Mc 16,16). E vale anche per questo mondo, che attende il recupero del Successore di Pietro.
      Grazie.

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    13. Caro Pierangelo,
      effettivamente quando Papa Francesco ha mostrato la sua disapprovazione per il titolo di Corredentrice non ha esercitato il suo magistero, ma semplicemente ha espresso una sua opinione teologica, peraltro condivisa oggi da molti. Infatti l’uso di questo titolo lo troviamo anche in San Giovanni Paolo II, per cui anche in questo caso non si tratta di magistero ma di devozione personale del Papa verso la Madonna.
      Ad ogni modo, dato che questo titolo ha una lunga storia illustre, non si potrebbe escludere che un domani i mariologi della Corredentrice promuovano la sua elevazione a dogma, come avvenne negli anni ’80 nei quali 13 Cardinali chiesero al Papa la proclamazione a dogma del titolo.

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    14. Caro Pierangelo,
      questo Papa è facile all’uso di slogan, allo scherzo o alla battuta di spirito o all’uso di frasi che possono colpire la gente comune. Alcuni sono di grande valore e hanno avuto una grande efficacia, come per esempio quando ha parlato di “Chiesa in uscita” o che il “Pastore deve sentire l’odore delle pecore”. Sa utilizzare molto bene il linguaggio dei politici e a volte può dare l’impressione di essere troppo immerso nella politica.
      Viceversa altri slogan sono stati meno felici e purtroppo hanno provocato grossi equivoci, come per esempio il famoso “chi sono io per giudicare?” o quando ha detto che “la Madonna non è nata santa” o che “il Padre ha reso Cristo peccato per la nostra salvezza”. È chiaro che qui il magistero non c’entra nulla e semmai il lavoro da fare è quello di spiegare queste espressioni e di ricondurle al dato dottrinale, anche confrontando i suoi interventi in altre occasioni, soprattutto solenni o liturgiche.
      Altre volte ha espressioni che lasciano perplessi, come quando disse che “non c’è spiegazione per la sofferenza”, ma in un secondo tempo chiarì precisando che cosa intendeva dire.

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    15. Caro Pierangelo,
      lo so che si discute molto sul problema se il Papa debba o non debba nominare Cristo in discorsi che fa a non cristiani. È molto difficile per noi comuni fedeli, che non abbiamo la percezione delle circostanze concrete, potere esprimere un giudizio sicuro. Io credo che in linea di massima ci dobbiamo fidare delle scelte del Papa.
      Nel mio piccolo di Frate Predicatore da cinquant’anni ho sperimentato diverse volte questa incertezza se parlare o non parlare di Cristo. Infatti ogni volta bisogna che il predicatore sappia chi ha davanti e sappia prevedere la reazione possibile al suo annunzio evangelico.
      Cristo stesso ci dice di non dare le cose sante ai cani. È quello che si chiama l’esoterismo cristiano, ma d’altra parte ci ordina di gridare sui tetti quello che abbiamo udito in segreto. Ciò non vuol dire che non dobbiamo essere pronti a ricevere opposizioni e a subire sofferenze a causa del nome di Cristo, ma dobbiamo stare attenti a non provocare l’avversario.
      D’altra parte i consensi che il Papa incontra nei suoi discorsi a non cristiani, hanno una grande importanza e costituiscono per loro l’occasione per essere introdotti alla conoscenza di Cristo.

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  5. Caro Padre, ho un dubbio su ciò che è stato espresso dal Concilio Vaticano I. Leo in Denzinger 1792:

    "Per fede divina e cattolica deve essere creduto tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata per tradizione, e che la Chiesa, sia con solenne sentenza, sia con il magistero ordinario e universale, ci propone di credere come rivelato da Dio".

    Se non ho capito male, qui è compreso sia il magistero straordinario ("solenne sentenza") che il "magistero ordinario". Quindi anche il Concilio Vaticano I insegna che la Chiesa dice la verità sia in uno che nell'altro magistero.

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    1. Caro Enrico,
      Sono pienamente d’accordo con la sua conclusione.

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    2. Caro Enrico,
      prendo atto della posizione dei filolefevriani, i quali pubblicizzando il libri del Cartechini si danno la zappa sui piedi.
      Per quanto riguarda il libro del Cartechini io ho una edizione in lingua italiana; non mi risulta che ci sia un testo latino.

      Le faccio presente che parlando del magistero straordinario e ordinario, ha ripetuto due volte straordinario: “afferma chiaramente che il Magistero della Chiesa è infallibile sia in modo straordinario che straordinario”.

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    3. Enrico: interessante la sua osservazione. Già nel Concilio Vaticano I è chiaro che il Papa è infallibile sia nel magistero ordinario che in quello straordinario.
      Perciò, mi chiedo perché prima del Concilio Vaticano II e ancora per molto tempo i teologi, importanti teologi, hanno insegnato che il Vaticano I quando parla di infallibilità si riferisce solo al magistero straordinario? Non ve ne siete accorti? Cosa è successo?

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    4. Caro Enrico,
      la ringrazio per la segnalazione del testo latino del libro di Cartechini.

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    5. Caro Anonimo,
      quando si tratta della dottrina della Chiesa, prima di consultare l’interpretazione dei teologi è meglio andare a leggere personalmente i testi della Chiesa, salvo che non ci sia qualche teologo che ci aiuta a chiarirli.
      Ma evidentemente lei ha incontrato dei teologi che non si sono attenuti all’insegnamento del Concilio, cosa che oggi purtroppo capita spesso. Il fatto che siano famosi non significa nulla. Il valore di un teologo non è dato dal numero dei suoi seguaci, ma dall’aderenza alla dottrina della Chiesa.
      Se posso esprimerle un’ipotesi per spiegare questo fatto, di cui lei mi riferisce, ho il sospetto che si tratti di teologi, i quali, volendo sottrarsi all’obbedienza dovuta al Papa in campo dottrinale, restringono in modo esagerato lo spazio della sua autorità. C’è chi arriva a dire che dopo la definizione del 1950, relativa all’Assunzione di Maria al cielo, gli insegnamenti pontifici non hanno più avuto il carattere dell’infallibilità.

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    6. Perché qui si fa riferimento al testo di Denzinger 1792?
      No, non capiscono quello che dice il testo. Certo che bisogna credere con fede cattolica le verità che la Chiesa propone come divinamente rivelate. Questo non lo contesta nessuno ortodosso. Per esempio, la malvagità della contraccezione o dell'omosessualità. Che sia definito nel Magistero ordinario o straordinario non cambia la cosa. Ciò che è decisivo è che essa si proponga come questione definitiva, divinamente rivelata, da insegnare come verità cattolica ai fedeli. Questo è in tutti gli autori ortodossi, nessuno sostiene che tutto ciò che dice un Papa o un Concilo sia infallibile, questo è un nonsenso sostenuto da alcuni ultramontani al Vaticano I e contestato dal cardinale Newman e il vescovo Dupanloup. Ci sono migliaia di esempi.

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    7. Caro Davide,
      se lei legge attentamente i miei articoli, vedrà che io non sostengo assolutamente che “tutto ciò che dice un Papa o un Concilio sia infallibile. Queste cose non le ho mai dette, ma negli insegnamenti della Chiesa ho sempre distinto gli insegnamenti dottrinali o dogmatici, che toccano materia di fede o prossimi alla fede, dagli insegnamenti pastorali, che riguardano materie giuridiche, disciplinari o liturgiche. Ho sempre detto che l’infallibilità riguarda solo il primo tipo di insegnamento e non il secondo.

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    8. Vi faccio diversi esempi, antichi e moderni. Giovanni XXII insegnò nelle sue omelie un grave errore. Che nessuno dica che lo ha affermato come dottore privato, lo ha insegnato nientemeno che nella sua cappella papale. Solo che non ha dichiarato che era una dottrina definitiva, divinamente rivelata, che doveva essere tenuta dalla Chiesa universale. Ergo non è una dottrina infallibile. Il Concilio di Florecia ha rilevato che l'ordinazione dei vescovi si realizzava con la consegna del calice nella consacrazione, cosa che fu contestata da Pio XII. Non succede nulla, non è stato insegnando come dottrina definitiva.
      Due esempi moderni, Giovanni Xxiii e Benedetto XVI sostengono in entrambe le encicliche l'opportunità di un'autorità universale o governo mondiale. Ebbene ogni fedele può dissentire, non è dottrina divinamente rivelata né i Papi dicono che deve essere presa come decisione definitiva dalla Chiesa Universale.
      Un altro esempio, la Summorum Pontificum oltre a disposizioni prudenziali ha dichiarazioni dottrinali, contrarie alle dichiarazioni dottrinali della Traditionis Custodium. ma come nessuna pretende insegnare verità divinamente rivelate né essere ritenute definitive, sub iudicium lis est.
      Ultimo esempio, Giovanni XXIII ha dichiarato il suo sostegno ai sussidi all'agricoltura europea nella sua enciclica. Nefasta dottrina, ha causato grandi calamità agli agricoltori del terzo mondo che non hanno potuto piazzare i loro prodotti in Europa. Ma a nessun folle è venuto in mente che fosse dottrina infallibile, per quanto enciclica o per quanto magistero sembrasse.
      La verità non cessa di stupirmi in questo blog il fondamentalismo che c'è nelle dichiarazioni papali, quando il suo autore non esita a dire che la bibbia, per esempio quando dice che Dio parlò con Abramo, è sbagliata, che Abramo lo credette.

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    9. Caro Davide, i casi che lei mi propone non infirmano i criteri di giudizio che io le ho fornito per distinguere quando un Papa è infallibile e quando è fallibile.
      Per quanto riguarda l’infallibilità pontificio, ribadisco che dall’Ad Tuendam Fidem si evince che l’infallibilità dottrinale del Papa risulta non soltanto al I° grado, al quale il Papa intende definire, ma si ricava dalla considerazione della materia di fede o prossima alla fede, che è oggetto del suo insegnamento alla Chiesa, come Successore di Pietro. Può consultare:
      https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html
      L’accusa che lei mi fa di considerare infallibili certi insegnamenti pontifici, che non lo sono, è del tutto falsa e indimostrata. I casi che lei mi cita non hanno niente a che vedere con quanto io le ho detto circa i criteri di distinzione.
      Per quanto riguarda il commento al sacrificio di Abramo, non dico assolutamente che la Bibbia sbaglia – Dio me guardi! – ma mi sono fermato a lungo e a più riprese sia nel mio articolo e sia nella discussione con i miei Lettori, a dimostrare che l’uso della moderna esegesi storico-critica porta a concludere che Abramo si sia sbagliato in buona fede nel credere che Dio volesse l’uccisione di suo figlio, tanto è vero che Dio manifesta ad Abramo la sua vera volontà per mezzo dell’angelo, proibendogli di compiere un sacrificio umano, cosa che del resto la stessa Bibbia proibisce severamente.
      Preciso pertanto che l’errore di Abramo non ha nulla a che vedere con la rivelazione biblica, ma si tratta semplicemente di un fatto connesso con la mentalità dei tempi di Abramo e con la mentalità dell’agiografo.
      Le ricordo inoltre la funzione importantissima svolta nella Scrittura dai santi angeli, in quanto ministri di Dio, nel far conoscere la sua vera volontà disingannando anche santi uomini, che sbagliano in buona fede.

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  6. Io non vedo che in Denzinger 1792 se intenda che il Papa è infallibile anche nel suo magistero ordinario.
    "Per fede divina e cattolica deve essere creduto tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata per tradizione, e che la Chiesa, sia con solenne sentenza, sia con il magistero ordinario e universale, ci propone di credere come rivelato da Dio".
    Dove lo dice?

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    1. Caro Alessandro,
      ormai da tempo nei miei scritto ho spiegato molte volte che cosa significa l’attributo “infallibile” quando la Chiesa parla di infallibilità pontifica. Infallibile vuol dire che non può sbagliare cioè che dice una verità che non passa e non può essere mutata.
      Allora, il criterio dell’infallibilità in questo senso non è dato soltanto dal I° grado, del quale parla il Vaticano I, dove il termine “infallibile” ricorre espressamente, ma il criterio dell’infallibilità ossia della veridicità o veracità è dato semplicemente, come ho detto molte volte, dalla considerazione della materia trattata, che dev’essere materia di fede o connessa o prossima alla fede, ossia una verità di ragione senza la quale la fede sarebbe impossibile.
      Il numero del Denzinger dove si trova la definizione della infallibilità pontificia è il 3074.
      Il numero 3011 (1792) riporta il testo indicato da lei, che si trova nella Costituzione Dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano I, del 24 aprile 1870, capitolo III, La fede: “Quindi si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio, scritta o trasmessa per tradizione, e che vengono proposte dalla Chiesa, o con solenne definizione, o con il magistero ordinario e universale, come divinamente ispirate, e pertanto da credersi.”
      https://www.vatican.va/archive/hist_councils/i-vatican-council/documents/vat-i_const_18700424_dei-filius_it.html

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  7. A proposito... Caro padre Giovanni, non so se lei conosce la lingua spagnola, ma c'è un eccellente discorso del cardinale Kurt Koch al momento di ricevere recentemente l'Honoris Causa all'Università di Valencia. Nel suo discorso, il cardinale prefetto del Dicastero per l'unità dei cristiani ha trattato il Concilio Vaticano II, le sue interpretazioni e gli errori tradizionalisti e modernisti riguardo al Concilio, un tema di cui lei è un esperto.

    Link con un riassunto della manifestazione: https://www.ucv.es/actualidad/todas-las-noticias/artmid/5804/articleid/10650/Cardenal-Koch-Es-necesario-buscar-un-tercer-camino-en-la-fe-catolica-mas-alla-del-conformismo-secularista-y-del-fundamentalismo-separatista

    Link al discorso: https://www.ucv.es/DesktopModules/EasyDNNNews/DocumentDownload.ashx?portalid=0&moduleid=5804&articleid=10650&documentid=3604

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    1. Caro Dino,
      la ringrazio per questo discorso del Card. Koch, che ho molto apprezzato, perché mi sembra molto equilibrato e dice cose molto opportune ed utili per capire che cosa è stato veramente il Concilio e come risolvere i conflitti interni attualmente esistenti nella Chiesa.

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  8. Se mi permette, caro padre Giovanni, vorrei farle un modesto suggerimento, come da qualcuno che non si perde quotidianamente di visitare la sua pagina, e imparare dai suoi insegnamenti, ammirando la sua pazienza per dare risposta alle obiezioni, e ripetere le cose ancora e ancora ai suoi lettori, anche se le ha già spiegate mille volte.
    Il mio suggerimento si riferisce proprio a questo punto di dottrina, cioè al tema dell'infallibilità pontificia.
    Osservando che, oltre ai testi del Concilio Vaticano I, a cui lei fa riferimento, lo fa anche in modo fondamentale e ripetuto, alla Lettera apostolica Ad tuendam fidem di papa san Giovanni Paolo II, il mio umile suggerimento è che dedichi una particolare riflessione, a proposito di questo documento e della sua Nota allegata, del Dicastero della Fede.
    Il mio suggerimento è basato sul fatto che, riflettendo su tutti i commenti che ricevete al riguardo, non pochi lettori hanno difficoltà a comprendere il valore magisteriale di Ad tuendam Fidem e in particolare della Nota illustrativa allegata, che non considerano nemmeno documento pontificio.
    In altre parole, credo che dato il ruolo fondamentale che hanno questi due documenti nella loro argomentazione circa l'infallibilità pontificia, ritengo estremamente utile che lei pubblichi un articolo spiegando il suo valore dogmatico, il suo carattere vincolante per i fedeli cattolici e per il teologo, e la portata dottrinale di ciò che vi viene insegnato.
    Da parte mia, da un teologo argentino che ha studiato negli anni '90 all'Università Gregoriana, nelle classi di padre Karl Josef Becker (creato cardinale prima della sua morte nel 2015), sto cercando di ottenere appunti delle sue lezioni, o qualche sussidio da esse, so che teneva lezioni anche su Ad tuendam Fidem. Non so se posso ottenere qualcosa su di esso, ma se lo faccio, vi farò sapere.
    Grazie.

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    1. Caro Don Vincenzo,
      la sua richiesta è molto interessante, cioè è quella di sapere se la Nota dottrinale all’Ad Tuendam Fidem ha un valore di infallibilità. Lei propone che io scriva un articolo su questo argomento, ma la risposta si può dare anche con poche parole. Tutt’al più potrei fare una Nota per i miei Lettori. Ad ogni modo qui potrei risponderle dicendo che l’insegnamento della Nota della CDF è certamente infallibile, perché tratta di materia di fede, nel senso che precisa quei tre gradi di autorità delle dottrine pontificie, secondo i quali il Papa esercita il dono dell’infallibilità dottrinale.
      Se poi qualcuno obiettasse che la Nota non è Magistero Pontificio, per negarne l’infallibilità, si risponde all’obiezione dicendo che occorre invece ammettere questa infallibilità in forza della materia trattata, come ho detto sopra, e del fatto che la Nota in questo caso rappresenta l’autorità del Papa.

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    2. Caro Padre, grazie per la sua risposta chiarissima, convincente e comprensibile.
      Naturalmente, non era mia intenzione indicarvi ciò che dovreste scrivere nei vostri articoli. Mi era stato permesso solo di suggerire un tema che potrebbe essere di grande interesse per molti lettori, e inoltre un richiamo o appello a coloro che relativizzano il valore autorevole dei documenti pontifici alla minima opportunità che credono di contrar.

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    3. Caro Don Silvano,
      apprezzo i suoi ottimi intenti e vedrò di fare del mio meglio per andarvi incontro.

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    4. Temo molto che un tale articolo sulla Nota dottrinale illustrativa all'Ad tuendam fidem non potrà essere scritto, perché c'è un ostacolo insormontabile, come dimostrano le seguenti parole del Cardinale Joseph Ratzinger:

      "È vero che questo testo, nel suo insieme, è stato elaborato dalla Congregazione, proposto nelle sue varie fasi in presenza del Cardinale e da lui approvato. Ha ricevuto anche l'approvazione del Santo Padre. Ma si è convenuto che questo testo non dovesse avere una propria condizione vincolante, ma sarebbe offerto solo come un aiuto per l'interpretazione e, quindi, non dovrebbe essere pubblicato sotto forma di un documento con autorità propria (...). Nessuno si sentirà costretto autoritariamente da questo testo" (Cardinale Ratzinger, risposta a Ladislav Orsy, s.j).

      Il testo completo qui:
      https://www.churchauthority.org/resources2/ratzing1.asp

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    5. Davide: ho letto i suoi interventi sul blog di padre Cavalcoli negli ultimi mesi. Mi sembra per lo meno suggestivo, che un indietrista come lei, disposto a rifiutare qualsiasi documento pontificio di Papa Francesco, sia esso una enciclica, una lettera apostolica, un motu proprio, ecc., si aggrappi ad una mera conversazione personale dell'allora prefetto della Fede, Ratzinger, con un canonista, per poter sostenere i suoi sofismi sull'infallibilità pontificia ridotta a definizioni solenni e straordinarie.

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    6. Caro Davide,
      le confesso che parole del Card. Ratzinger, se sono autentiche, mi lasciano piuttosto perplesso, perché denotano un atteggiamento relativistico, che non incoraggia l’obbedienza al Magistero. Si nota uno scrupolo eccesivo di evitare la severità per favorire la libera discussione e una libera adesione alla fede.
      È vero che la Nota della CDF è piuttosto farraginosa e accumula molti dati senza una vera chiarezza. Io ho studiato il Documento a lungo e sono riuscito a mettere in luce elementi assolutamente vincolanti, che sono quelli che ho più volte esposto nei miei scritti. Si tratta dei tre gradi di autorità, in ognuno dei quali il Papa dice la verità e non può sbagliare.
      Per quanto riguarda l’autorità di questa Nota, come ho già detto, dato che tratta del criterio stesso per riconoscere l’autorità dottrinale del Papa è impensabile che vi siano degli errori, per cui è chiaro che è un Documento vincolante dal punto di vista dottrinale.
      È infatti un principio di logica che il criterio di giudizio sia infallibile. Ci si può sbagliare nell’uso del criterio, ma se il criterio fosse sbagliato sarebbe impossibile distinguere il vero dal falso. Questo principio, che vale a livello filosofico, vale evidentemente di più quando si tratta di discernere negli insegnamenti del Papa ciò che è di fede e ciò che non è di fede.

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    7. Caro Dino,
      vedo che lei ha compreso molto bene il senso della mia discussione con Davide.
      Approfitto dell’occasione per esprimere un mio modesto parere. Data l’importanza dell’argomento trattato dalla Nota, che è nientedimeno che la dottrina dell’infallibilità pontificia, una materia così importante andava trattata in un Documento di più alto livello, se non addirittura dal Papa stesso.

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  9. Caro Padre Cavalcoli, come dicevo... non dobbiamo aspettare troppo a lungo perché emergano obiezioni alla Nota dottrinale illustrativa. Ma mi chiedo: con quale intenzione gli oppositori? L'intenzione di negare l'infallibilità del Papa nei due gradi inferiori? Questa questione è già stata risolta dal Concilio Vaticano I, quindi...
    Tuttavia, in risposta alle osservazioni del signor Davide, vorrei sottolineare due cose:
    1. Nel brano da lui riportato mancano altre parole importanti di Ratzinger: «Per mostrare però che la Nota illustrativa non è opera privata del prefetto e del segretario della Congregazione, ma un autorevole sussidio alla comprensione dei testi, è stata scelta per la sua pubblicazione una modalità specifica (straordinaria)». Penso quindi che "aiuto autorizzato" debba significare qualcosa. E capisco che questo è un "aiuto autorizzato" perché è sancito dall'autorità del Papa.
    2. In ogni caso si tratta di un semplice colloquio tra l'allora Prefetto Ratzinger e un canonista, per quanto competente possa essere. E ancora: questa fonte (il link citato) è del tutto affidabile?

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    1. Caro Don Silvano,
      ho letto con molto interesse le sue due note.
      È chiaro che nella prima c’è un richiamo all’autorità del Papa, anche se si vuole evidenziare l’intento della Nota di fornire un semplice sussidio per l’interpretazione dei testi.
      Per quanto riguarda la seconda nota, condivido in pieno la sua osservazione che la lettera di Ratzinger diretta ad un teologo ha un carattere privato, per cui nulla impedisce che essa possa in un certo modo mancare di prudenza.
      Viceversa è chiaro che l’autorità della Nota, firmata da Ratzinger in quanto Prefetto della CDF, è assolutamente vincolante.

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    2. Credo che se il Prefetto della CDF chiarisce il carattere della nota dottrinale, siamo di fronte ad un'interpretazione autentica. Ma se si pretende di sapere più di Ratzinger circa le portata di un testo che egli stesso ha redatto, caro Silvano, non c'è altro da dire.

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    3. Caro Davide, faccio presente che Ratzinger, nella sua risposta ad Orsy, non parla come Prefetto della CDF, dove è chiaro che esprime una dottrina infallibile, ma parla a titolo personale con tono pastorale e, a mio modesto giudizio, con poca prudenza, in quanto come si suol dire si dà la zappa sui piedi per un eccessivo scrupolo di non presentare la Nota come una disposizione legislativa sanzionata dal Diritto Penale.
      Quindi io non mi metto al posto di Ratzinger nell’interpretare la Nota, perché essa nella sua chiarezza dottrinale non ha bisogno di commenti, ma è lui che in questa occasione mette da parte il suo ruolo ufficiale per assumere in modo discutibile la parte di un consigliere che non incoraggia certamente ad obbedire al Papa, principale responsabile della Santa Sede, anche se non si tratta di documenti pontifici.

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  10. Caro padre Cavalcoli,
    Ho seguito con attenzione questo breve dialogo che avete avuto circa l'Ad tuendam fidem e la Nota illustrativa.
    Le dirò che a me non è sorpreso di aver saputo delle parole di Ratzinger ad Orsy (supponendo che la trascrizione di quel dialogo sia vera). Il tema di questa ambivalenza nel pensiero di Ratzinger (non nel periodo del suo pontificato, ma prima e dopo essere stato papa) è un tema che mi interessa.
    Lei sa del mio interesse per la liturgia, e in altre occasioni le ho già richiamato l'attenzione su alcune espressioni di Ratzinger, prima di essere papa, che mostrano la sua inclinazione pre-conciliare al vecchio rito della Messa, che dimostravano in lui una inclinazione indietrista, contraddittoria con la riforma liturgica proposta dal Concilio, ambivalenza nella sua personalità che mi sembra possa essere anche annoverata tra le radici dalle quali è sorto il Summorum pontificum, che a mio avviso è un documento interessato da aporie non solo pastorali, ma anche teologiche. So che non siamo d'accordo su questo, ma per esporre le nostre opinioni c'è la possibilità della sana dialettica, nel campo di ciò che è di libera opinione.
    Mi sembra che, quando papa Benedetto ha iniziato a pubblicare la sua cristologia, e altri saggi, con la sua preoccupazione di chiarire che non si trattava di Magistero, ma di teologia personale, come mero medico privato, sarebbe anche rivelando un auto-coscienza, per la quale lo stesso Ratzinger riconosceva le sue debolezze intellettuali e i suoi pregiudizi, che lo portavano ad essere molto cauto verso ciò che trasmetteva al Popolo di Dio.
    Inoltre, abbiamo già parlato delle espressioni che, dopo le dimissioni da papa, ha avuto sul sacrificio redentore di Cristo sulla croce, espressioni con cui ha nuovamente preoccupato posizioni non ortodosse accettabili. Ma non era più papa.
    Forse qualche biografo di Ratzinger-Benedetto, scriverà un giorno qualcosa di tutto questo, e potrà spiegarlo...
    Grazie

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    1. Caro Ross,
      le considerazioni che lei fa a proposito di Ratzinger sono una controprova della differenza che c’è tra un Cardinale, che non è Papa, e un cardinale che è stato fatto Papa.
      Nella storia del pensiero di Ratzinger si nota questa evoluzione. Da giovane era amico di Rahner e assunse una certa tendenza di carattere idealistico. Mi riferisco alla concezione della persona come relazione a Dio. Successivamente Ratzinger si allontanò da Rahner, perché si accorse della tendenza panteistica di Rahner.
      Durante il suo ufficio alla CDF, sostenuto da San Giovanni Paolo II, emanò una serie di documenti sia contro l’idealismo che contro il materialismo. Una volta fatto Papa naturalmente ricevette il dono dell’infallibilità, per cui è invano che alcuni suoi critici acidi vorrebbero trovare in lui delle eresie.
      Dopo aver lasciato l’ufficio petrino chiaramente perdette il dono dell’infallibilità. E di fatti si nota la fallibilità del suo pensiero teologico in alcune occasioni, come per esempio quando insieme con il Card. Sarah sostenne un supposto valore assoluto del celibato sacerdotale, quando dovrebbe essere chiaro che in realtà la Chiesa ha sempre precisato che il celibato non entra nell’essenza del sacerdozio, ma è soltanto un clima conveniente del suo esercizio.

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