Chi è il tradizionalista?

 

Chi è il tradizionalista?

Custodisci il deposito

I Tm 6,20

Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto

I Cor 15,3

 Chiarire il significato di un termine

 Sentiamo di frequente l’uso di questo appellativo «tradizionalista» o in bocca a certi cattolici che tengono a qualificarsi come tradizionalisti e se ne vantano o in bocca di altri che qualificano questi cattolici con questo appellativo intendendolo in senso spregiativo o come nota di biasimo. Questi altri, di orientamento modernista, si offenderebbero a sentirsi chiamare con quel nome. Si tratta di una situazione anormale, spiacevole, incresciosa, segno di una reciproca incomprensione, alla quale occorre rimediare e per la quale tutta la Chiesa soffre.

Come mai questa situazione? Da che cosa è nata? Come sono esattamente i suoi termini? Come rimediarvi? Vediamo qui cosa possiamo fare perché tra questi nostri fratelli sorga la pace in una serena collaborazione reciproca, ciascuno mettendo a frutto i propri talenti e i doni ricevuti.

C’è in gioco evidentemente la questione della natura e del valore della sacra Tradizione, divinamente istituita, immarcescibile, inviolabile, immutabile, nonché il valore relativo delle tradizioni umane, mutevoli e discutibili, per quanto preziose, che nascono, fioriscono per un certo tempo, a volte lunghissimo, ma poi o per trascuratezza o perchè rivelatesi inutili, superate o dannose, decadono, si spengono e muoiono. È molto importante e non sempre facile saper distinguere queste da quelle[1].

In generale la tradizione, espressione eminente dell’intelligenza umana e della capacità e necessità che ha ognuno di noi, per i bisogni della propria vita, di comunicare ai suoi simili nel linguaggio e nel comportamento il contenuto dei suoi pensieri, convinzioni. conoscenze ed intenzioni, è una prassi vitale universale del tutto spontanea, normale, fisiologica ed indispensabile al sussistere della vita sociale, all’opera educativa, alla vita civile, politica e religiosa di qualunque comunità o civiltà umana che appena appena si sia sollevata dallo stato bestiale degli animali o degli ominidi senza ragione alla dignità della condotta umana aperta alla vita dello spirito.

L’atteggiamento verso la tradizione dev’esser regolato con prudenza e non è sempre quello giusto. Una tradizione umana, come tale fallibile ed estinguibile, non va assunta meccanicamente in blocco acriticamente, avanzando puramente e semplicemente il motivo che si è sempre fatto così, ma va sorvegliata e sottoposta a verifiche periodiche per controllare se essa sa rispondere alle nuove attese e sfide o alle nuove prospettive dei tempi.  

La sana tradizione normalmente presenta dei valori ancora attuali o sempre attuali che emergono dal passato, un’eredità lasciataci dai padri, da conservare e mantenere con cura e fedeltà senza cambiarli o deformarli, ma esiste anche un attaccamento eccessivo alla tradizione, che frena il progresso e favorisce l’arretratezza. Alcune promuovono il progresso, ma altre lo frenano. Occorre di tanto in tanto fare una verifica alla luce di una sana modernità per vedere quali mantenere e quali abbandonare.

L’attaccamento a tradizioni superate può essere dettato da pigrizia, interessi egoistici, insensibilità ai segni dei tempi, paura delle novità. Ma anche il dispregio della tradizione può essere segno di presunzione, poca intelligenza e di superbia. L’attaccamento a tradizioni superate si riscontra negli anziani per la difficoltà che hanno a cambiare abitudini soprattutto riguardo all’evolversi della tecnologia o alle disposizioni contingenti dell’autorità sociale.

Ribellione alla tradizione si riscontrano di frequente nei giovani indocili agli insegnamenti degli anziani e alle tradizioni delle quali gli anziani sono testimoni. Questa ribellione dipende da mancanza di fede nell’insegnamento dei maestri, eredi di un’antica tradizione culturale, ampiamente e lungamente collaudata e comprovata dai buoni risultati che essa ha prodotto e che provengono dal passato. Questo atteggiamento che è anche una forma di immaturità psicologica, è evidente in Cartesio.

Circa il rispetto della tradizione e del tradizionale, l’anzianità comporta un vantaggio spirituale e uno svantaggio psicologico: vantaggio spirituale grazie alla lunga esperienza di vita, si suppone, un lungo esercizio nella virtù; svantaggio psicologico in quanto la psiche dell’anziano è deteriorata, per cui provoca disturbi cognitivi, vuoti di memoria, disadattamento alla realtà, rigidità funzionale e fatica ad obbedire ai comandi della volontà.

Che cosa è in generale la tradizione

La tradizione è l’atto col quale si trasmette o si consegna ad altra persona fidata col compito di custodire intatto un lascito prezioso, che a nostra volta si è ricevuto, ed è anche il contenuto di ciò che viene trasmesso.

La tradizione è la trasmissione fedele e coscienziosa a persone degne di un dato che è tradizionale, cioè un deposito prezioso di perenne valore o quanto meno continuativo, che si è ricevuto dai padri, si è conservato e custodito con cura senza alterarlo o mutarlo, e che per la sua preziosità merita di essere conservato e trasmesso alle future generazioni.

Il dato tradizionale può e deve per la ricchezza e profondità del suo contenuto, esser conosciuto sempre meglio. Esso in se stesso rimane sempre lo stesso: quello che cambia è la conoscenza sempre migliore che si acquista studiandolo con attenzione. Non può essere aumentato in se stesso, ma deve esser meglio conosciuto, cioè dev’essere aumentata la conoscenza che se ne ha.

Il dato tradizionale è un patrimonio sorto nel passato, che quindi proviene dal passato, bisogna andare a cercarlo nel passato, anche se è possibile nel presente dar nascita ad una tradizione.

La tradizione proviene dal passato, ma supposto che essa riguardi valori perenni, occorre fare attenzione a non credere che essa riguardi solo il passato e non anche il presente e il futuro, così che sia lecito abbandonrlta come cosa passata e non più attuale, non più all’altezza dei tempi, non più adatta al nostro tempo, quasi negasse le novità e i progressi del nostro tempo o fosse superata dal nostro tempo. Ciò che è perenne come i valori dello spirito non può mai essere superato perchè è indipendente dal tempo e al di sopra del tempo. Per questo va bene sempre e in tutti i tempi.

Tuttavia si suppone che la conoscenza del dato tradizionale che si ha oggi è migliore di quella del passato, anche se può capitare che sia peggiore a causa di una cattiva conoscenza del dato perché ci si è dimenticati del contenuto autentico del dato tradizionale. Esistono infatti tradizioni spurie e tradizioni autentiche anche a prescindere dal loro contenuto valido o non valido. Tradizione spuria è una tradizione recente che è data come antica.  Tradizione autentica è quella che presentata come antica è effettivamente antica.

Per accogliere la dottrina o il dato della tradizione occorre aver fiducia nel testimone della tradizione, occorre che egli sia credibile, perché egli ci comunica cose del passato o cose di fede che non possono essere oggetto di verifica sperimentale da parte nostra o di dimostrazione razionale, ossia dei dati storici –fatti o dottrine – che egli stesso non ha conosciuto di persona o mediante dimostrazione razionale, ma ha accolto per fede nel maestro che lo ha istruito.

Occorre segnalare peraltro come il progresso degli studi storici, che lavorano sui documenti del passato, svolge al riguardo un prezioso servizio, per cui grazie ad essi conosciamo sempre meglio e con maggiore certezza i veri dati e contenuti delle tradizioni e di conseguenza abbiamo la possibilità di una migliore e più progredita conoscenza di quegli stessi contenuti.

A tal riguardo dobbiamo riconoscere quanto ha di meritorio la critica storica degli illuministi del sec. XVIII nel purificare o correggere i dati delle tradizioni, anche se, animati da uno spirito irreligioso o di incredulità, si sono  mostrati prevenuti, miopi o faziosi misconoscendo i dati autentici della tradizione cristiana.

La tradizione apostolica come fonte della rivelazione cristiana

Cristo ha insegnato oralmente agli Apostoli ed ha predicato alle folle un corpo di dottrine riguardanti il mistero di Dio e il suo piano di misericordia nei confronti dell’uomo. Ha costituito gli apostoli con a capo Pietro come maestri e guide dei fedeli nella conoscenza e nella predicazione della sua dottrina.

Dopo la morte e ascesa al cielo del Signore gli apostoli o i loro immediati successori, avendo ritenuto bene che fossero messe per iscritto le parole del Signore, hanno favorito e approvato l’iniziativa o dato essi stessi l’incarico ad alcuni fedeli particolarmente preparati, di fare questo lavoro: sono stati gli evangelisti, i quali hanno messo per iscritto quello che gli apostoli narravano o insegnavano oralmente, cioè i contenuti della tradizione apostolica, che gli apostoli avevano cominciato a trasmettere  ai loro successori.

Agli evangelisti hanno fatto seguito San Paolo, mentre alcuni degli stessi apostoli, Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda hanno pensato bene di contribuire con le loro lettere a questo scopo di diffondere il Vangelo nel mondo.

Aveva così inizio la successione apostolica, ossia il succedersi nel tempo di un apostolo – il vescovo – al precedente, strettamente collegata con la trasmissione del Vangelo, di generazione in generazione di vescovi, successori degli apostoli, fino alla fine del mondo.

Il Nuovo Testamento non mette per iscritto tutti i contenuti della tradizione orale, per cui esso non è l’unica fonte di conoscenza della rivelazione cristiana, ma restarono fuori altri contenuti i quali furono poi comunque messi per iscritto dai Santi Padri. E questa è la tradizione patristica.

Dunque la tradizione orale fu messa per iscritto non solo nel Nuovo Testamento, ma anche dai Padri. C’è però una differenza di autorità: che quella del Nuovo Testamento è dottrina già confermata da Pietro e dai successori di Pietro come Parola di Dio o interpretazione infallibile della Parola di Dio, come vera e propria verità di fede, mentre la dottrina dei Padri riflette il dato tradizionale in modo certamente autorevole, ma bisognoso di conferma pontificia: solo a questo punto diventa verità di fede divina.

Per esempio, la credenza nell’immacolatezza e assunzione al cielo di Maria è un dato della tradizione patristica, come tale oggetto di fede nell’autorità dei Padri, ma solo molti secoli dopo queste verità non contenute nella Scrittura, ma solo nella Tradizione sarebbero diventate dogmi definiti.

I dati della rivelazione non sono dunque solo quelli della Scrittura, ma anche quelli della sacra Tradizione, anche se non basta la tradizione patristica a costituire quella divina, ma occorre che questa tradizione sia confermata dal Papa, perchè nella tradizione patristica ci sono credenze che si sono rivelate erronee, come per esempio quella sul primato dell’uomo sulla donna o quella nel limbo o quella millenaristica.

Cristo ha comandato di predicare, non di scrivere. La tradizione è innanzitutto predicazione. L’idea del mettere per iscritto è stata ottima, ma l’annuncio è anzitutto orale, è parola vivente e udibile di apostolo presente, parola del predicatore, e il credere è innanzitutto ascolto prima che essere lettura. Quanti analfabeti nella storia sono stati più pii di dottissimi letterati!

Per questo, se per tradizione intendiamo la trasmissione di bocca in bocca della parola di Dio, la verità evangelica si chiarisce nella parola più che ricorrendo allo scritto. È nel colloquio franco e fraterno che la Chiesa ha sempre risolto le controversie sull’interpretazione della Parola di Dio, più che facendo appello allo scritto, benché anche il far appello alla tradizione scritta contro le posizioni dei vescovi o del Papa non appaia efficace, dato che sono loro ad essere gl’interpreti della tradizione. Il dato della tradizione è norma di fede non in base al semplice giudizio del fedele, ma solo quello riconosciuto tale dalla Chiesa, dato che così diventa dogma di fede.

Il Vangelo non è originariamente uno scritto, ma è una parola messa per iscritto. Se quindi sorge un dubbio di interpretazione, non basta far capo allo scritto, ma bisogna consultare l’autore o chi per lui, cioè i successori degli apostoli.

Meraviglia che Lutero, che tanto ce l’aveva con i Romani e si professava con tanto ardore discepolo di San Paolo, col suo unilaterale attaccamento alla Scrittura pare facesse capo più al burocratico verba volant, scripta manent, che non al paolino «la lettera uccide, lo Spirito vivifica».

Chi è dunque il tradizionalista? Credo che si possa intendere questo attributo sia in senso positivo che in senso negativo. Potremmo chiamare benevolmente tradizionalista il cattolico che nel pieno rispetto di tutte le verità di fede, in comunione col Papa e partecipe dell’attuale cammino della Chiesa nell’attuazione del Concilio Varcano II, si sente tuttavia particolarmente attratto dai valori tradizionali, sia per una sua propensione soggettiva e sia per la necessità che sente di un recupero di valori tradizionali dimenticati, denigrati, disprezzati.

Abbiamo qui l’esempio del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, sul quale ho scritto un libro che appunto s’intitola: «Padre Tomas Tyn. Un tradizionalista postconciliare»[2]. Uno si potrebbe domandare: come è possibile? Come essere tradizionalisti dopo il Concilio? Bisogna essere progressisti! Certo non è possibile essere tradizionalista alla Lefebvre. Ma questo è l’essere tradizionalista in un senso biasimevole.

Esser fedeli alla Tradizione non chiede il rifiuto delle nuove dottrine del Concilio quasi fossero deviazioni liberali, luterane, massoniche o moderniste. Al contrario, il tradizionalista alla Padre Tyn è quello che si è accorto che non esiste alcun contrasto fra le dottrine del Concilio e quelle della Tradizione, salvo che non si tratti di usi, idee o comportamenti, che la Chiesa stessa ha abbandonato.

Ciò di cui il tradizionalista postconciliare si accorge è che nelle dottrine del Concilio i dati della tradizione non solo sono confermati, ma meglio conosciuti e principio di una vita cristiana migliore e più santa.

Il tradizionalista tyniano, a differenza del lefevriano per il quale progresso e modernità sono sinonimi di modernismo, mantiene la condanna del modernismo, ma lo distingue da un sano amore per il progresso e da una sana modernità. Che cos’è infatti lo spirito cristiano se non quello spirito che rinnova la faccia della terra, lo spirito dell’uomo nuovo che ha mortificato quello vecchio, quell’uomo nuovo che «ha tolto il lievito vecchio per essere pasta nuova» (cf I Cor 5,7)?

La pace nella Chiesa sarà raggiunta quando quelle due forze si renderanno conto che tradizione e progresso, conservazione e rinnovamento sono fatti  gli uni per gli altri, quando quelle due forze capiranno che hanno bisogno l’una  dell’altra e che si integrano a vicenda come i due moti vitali essenziali del buon funzionamento della Chiesa, come del resto di qualsiasi società: la forza che mantiene e difende l’identità del soggetto e la forza che corrobora, sviluppa ed espande l’attività del soggetto.

Le due forze sono in sé normali e fisiologiche: bisogna che non assolutizzino se stesse demonizzando l’avversario, nel quale invece devono vedere il necessario complemento. Tutto sta a che queste due forze, invece di star fuori dalla sana dottrina, giochino all’interno del suo recinto, così come due agnellini possono bene azzuffarsi, purchè lo facciano all’interno dell’ovile protetti dalle insidie dei lupi che stanno fuori.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 ottobre 2024


Se per tradizione intendiamo la trasmissione di bocca in bocca della parola di Dio, la verità evangelica si chiarisce nella parola più che ricorrendo allo scritto. È nel colloquio franco e fraterno che la Chiesa ha sempre risolto le controversie sull’interpretazione della Parola di Dio, più che facendo appello allo scritto, benché anche il far appello alla tradizione scritta contro le posizioni dei vescovi o del Papa non appaia efficace, dato che sono loro ad essere gl’interpreti della tradizione. Il dato della tradizione è norma di fede non in base al semplice giudizio del fedele, ma solo quello riconosciuto tale dalla Chiesa, dato che così diventa dogma di fede.

Il Vangelo non è originariamente uno scritto, ma è una parola messa per iscritto. Se quindi sorge un dubbio di interpretazione, non basta far capo allo scritto, ma bisogna consultare l’autore o chi per lui, cioè i successori degli apostoli.

Esser fedeli alla Tradizione non chiede il rifiuto delle nuove dottrine del Concilio quasi fossero deviazioni liberali, luterane, massoniche o moderniste. Al contrario, il tradizionalista alla Padre Tyn è quello che si è accorto che non esiste alcun contrasto fra le dottrine del Concilio e quelle della Tradizione, salvo che non si tratti di usi, idee o comportamenti, che la Chiesa stessa ha abbandonato.

Ciò di cui il tradizionalista postconciliare si accorge è che nelle dottrine del Concilio i dati della tradizione non solo sono confermati, ma meglio conosciuti e principio di una vita cristiana migliore e più santa.

Immagine da Internet

[1] Vedi per esempio Yves Congar, La tradizione le tradizioni, Edizioni Paoline, Roma 1965.

[2] Edizioni Fede&Cultura, Verona 2007.

4 commenti:

  1. Eccellente padre: e' con un sentimento misto di tristezza e solo parziale sorpresa che mi permetto di intervenire qui a seguito della Sua presa d'atto che esiste un problema ( ? ) di tradizione : traduzione : semmai fosse, il problema non e' la tradizione, e' la moda, anzi: LE mode! Anche Lei ci casca? Ecco il motivo della mia tristezza; (il divisore ...); poi, partendo dal colmo: inginocchiarsi in fronte alla Santa Eucarestia e aprile la bocca mangiandone il Corpo di Cristo e' tradizione oppure e' Fede ? il demonio abilmente confonde, caro padre !!! Ho citato la piu' perfida strategia perpetrata da satana dentro la liturgia dei moderni delle mode alla novus ordo (lasciamo perdere chitarrette e balli e mascherine e palchi da teatro o anche le omelie laico-pagane ai funerali): pagheremo, pagheremo, pagheremo, anche per questo nostro NON VOLER VEDERE, non voler AGGIUSTARE: perche' Dio esiste indeterminatamente, infinitamente, immanentemente, esiste nella misericordia (dopo la conversione pero', che modernamente non e' mai, dicasi mai, citata come contrappeso, guarda "caso" ...), esiste nella Eucarestia; ma non esiste nel peccato dell'INCURIA!!! LJC.

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    1. Caro Fedele,
      bisogna che lei distingua, nelle pratiche della nostra vita cattolica, quello che dipende dalla fede da quello che dipende dalla disciplina liturgico-ecclesiastica.
      Quello che dipende dalla fede è oggetto anche della Sacra Tradizione, la quale, insieme con la Scrittura, è la sorgente della divina Rivelazione, che ci viene comunicata dal Magistero della Chiesa, interprete sia della Tradizione che della Scrittura.
      La Comunione in bocca e l’inginocchiarsi al momento della Comunione è una pratica certamente lodevole, ma che non discende dalla fede. Essa invece è stata stabilita dalla autorità pastorale della Chiesa in campo liturgico.
      Oggi come oggi, come lei dovrebbe sapere bene, la Chiesa stessa preferisce la Comunione sulla mano e non chiede ai fedeli di inginocchiarsi.
      Lei si chiede: come mai questo cambiamento? Perché si tratta di una materia, che non è come la materia di fede, che è immutabile, ma si tratta di una pratica cerimoniale dove la Chiesa ha avuto da Cristo il potere di conservare o mutare a sua discrezione.
      Comprendo molto bene la sua indignazione nei confronti degli abusi liturgici e delle Messe moderniste. Però stia attento a non confondere questi disordini con la regolare e devota celebrazione del Novus Ordo, che oggi Papa Francesco chiede a tutti i cattolici, soprattutto nei giorni festivi.
      Su questo punto della Comunione, i fedeli che desiderano la Comunione in bocca e vogliono inginocchiarsi sono liberi di farlo. È invece molto importante non accusare di eresia i fedeli che ricevono la Comunione sulla mano e stando in piedi.
      Noi Domenicani, del Santuario della Madonna di Fontanellato, accogliamo volentieri anche i fedeli che desiderano ricevere la Comunione in bocca e si inginocchiano.

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  2. Era meglio se tacevo, la Sua risposta in merito al Corpo di Cristo e' altamente dannosa per i cattolici che qui si sentono rincuorati nel leggere che si puo' prendere con le zampe la Particola anche in assenza di validi motivi, come fanno in tv con le patatine snack della nota marca. Che disastro, ancora Gesu' preso a sassate, quando la smetteremo?

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    1. Caro Fedele,
      trovo che sia molto offensivo usare il termine “zampe” per indicare il valore delle mani umane. Esse, come lei dovrebbe saper bene, sono uno dei simboli della nostra razionalità e quindi della dignità della persona, perché con la mano noi esprimiamo valori molto importanti.
      Oltre alla sua funzione nella vita biologica, la mano rappresenta l’attività lavorativa e artistica, l’attività di relazione e di cura col prossimo, e anche il culto liturgico. Certamente la mano del sacerdote rappresenta un ministero peculiare a servizio del Popolo di Dio, ma anche voi laici, come sapete bene dal Concilio Vaticano II, fruite del sacerdozio universale dei fedeli.
      La Comunione in bocca è certamente altamente significativa, perché esprime con chiarezza il fatto che noi riceviamo un Cibo, che non è frutto delle nostre mani, ma scende dal cielo.
      La Comunione nella mano ha anch’essa un significato sacro, formativo ed educativo. Ricorda l’Ultima Cena, che è oggetto della memoria liturgica, che noi celebriamo nella Messa. Io credo che sia stata introdotta dalla Chiesa per un motivo ecumenico, perché lei saprà che Lutero ha conservato la memoria dell’Ultima Cena, anche se purtroppo ha perso il valore dell’Eucarestia.
      Stando così le cose, lei non ha nessun motivo per inveire contro la Comunione nella mano, perché è ovvio che essa suppone sempre il mistero della transustanziazione. Se è vero che la patena e il calice ospitano il Corpo e il Sangue di Cristo, a maggior ragione la mano dell’uomo, creato ad immagine di Dio, potrà essere degno luogo della presenza dell’Ostia Consacrata.

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