Chi è il tradizionalista?

 

Chi è il tradizionalista?

Custodisci il deposito

I Tm 6,20

Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto

I Cor 15,3

 Chiarire il significato di un termine

 Sentiamo di frequente l’uso di questo appellativo «tradizionalista» o in bocca a certi cattolici che tengono a qualificarsi come tradizionalisti e se ne vantano o in bocca di altri che qualificano questi cattolici con questo appellativo intendendolo in senso spregiativo o come nota di biasimo. Questi altri, di orientamento modernista, si offenderebbero a sentirsi chiamare con quel nome. Si tratta di una situazione anormale, spiacevole, incresciosa, segno di una reciproca incomprensione, alla quale occorre rimediare e per la quale tutta la Chiesa soffre.

Come mai questa situazione? Da che cosa è nata? Come sono esattamente i suoi termini? Come rimediarvi? Vediamo qui cosa possiamo fare perché tra questi nostri fratelli sorga la pace in una serena collaborazione reciproca, ciascuno mettendo a frutto i propri talenti e i doni ricevuti.

C’è in gioco evidentemente la questione della natura e del valore della sacra Tradizione, divinamente istituita, immarcescibile, inviolabile, immutabile, nonché il valore relativo delle tradizioni umane, mutevoli e discutibili, per quanto preziose, che nascono, fioriscono per un certo tempo, a volte lunghissimo, ma poi o per trascuratezza o perchè rivelatesi inutili, superate o dannose, decadono, si spengono e muoiono. È molto importante e non sempre facile saper distinguere queste da quelle[1].

In generale la tradizione, espressione eminente dell’intelligenza umana e della capacità e necessità che ha ognuno di noi, per i bisogni della propria vita, di comunicare ai suoi simili nel linguaggio e nel comportamento il contenuto dei suoi pensieri, convinzioni. conoscenze ed intenzioni, è una prassi vitale universale del tutto spontanea, normale, fisiologica ed indispensabile al sussistere della vita sociale, all’opera educativa, alla vita civile, politica e religiosa di qualunque comunità o civiltà umana che appena appena si sia sollevata dallo stato bestiale degli animali o degli ominidi senza ragione alla dignità della condotta umana aperta alla vita dello spirito.

L’atteggiamento verso la tradizione dev’esser regolato con prudenza e non è sempre quello giusto. Una tradizione umana, come tale fallibile ed estinguibile, non va assunta meccanicamente in blocco acriticamente, avanzando puramente e semplicemente il motivo che si è sempre fatto così, ma va sorvegliata e sottoposta a verifiche periodiche per controllare se essa sa rispondere alle nuove attese e sfide o alle nuove prospettive dei tempi.  

La sana tradizione normalmente presenta dei valori ancora attuali o sempre attuali che emergono dal passato, un’eredità lasciataci dai padri, da conservare e mantenere con cura e fedeltà senza cambiarli o deformarli, ma esiste anche un attaccamento eccessivo alla tradizione, che frena il progresso e favorisce l’arretratezza. Alcune promuovono il progresso, ma altre lo frenano. Occorre di tanto in tanto fare una verifica alla luce di una sana modernità per vedere quali mantenere e quali abbandonare.

L’attaccamento a tradizioni superate può essere dettato da pigrizia, interessi egoistici, insensibilità ai segni dei tempi, paura delle novità. Ma anche il dispregio della tradizione può essere segno di presunzione, poca intelligenza e di superbia. L’attaccamento a tradizioni superate si riscontra negli anziani per la difficoltà che hanno a cambiare abitudini soprattutto riguardo all’evolversi della tecnologia o alle disposizioni contingenti dell’autorità sociale.

Ribellione alla tradizione si riscontrano di frequente nei giovani indocili agli insegnamenti degli anziani e alle tradizioni delle quali gli anziani sono testimoni. Questa ribellione dipende da mancanza di fede nell’insegnamento dei maestri, eredi di un’antica tradizione culturale, ampiamente e lungamente collaudata e comprovata dai buoni risultati che essa ha prodotto e che provengono dal passato. Questo atteggiamento che è anche una forma di immaturità psicologica, è evidente in Cartesio.

Circa il rispetto della tradizione e del tradizionale, l’anzianità comporta un vantaggio spirituale e uno svantaggio psicologico: vantaggio spirituale grazie alla lunga esperienza di vita, si suppone, un lungo esercizio nella virtù; svantaggio psicologico in quanto la psiche dell’anziano è deteriorata, per cui provoca disturbi cognitivi, vuoti di memoria, disadattamento alla realtà, rigidità funzionale e fatica ad obbedire ai comandi della volontà.

Che cosa è in generale la tradizione

La tradizione è l’atto col quale si trasmette o si consegna ad altra persona fidata col compito di custodire intatto un lascito prezioso, che a nostra volta si è ricevuto, ed è anche il contenuto di ciò che viene trasmesso.

La tradizione è la trasmissione fedele e coscienziosa a persone degne di un dato che è tradizionale, cioè un deposito prezioso di perenne valore o quanto meno continuativo, che si è ricevuto dai padri, si è conservato e custodito con cura senza alterarlo o mutarlo, e che per la sua preziosità merita di essere conservato e trasmesso alle future generazioni.

Il dato tradizionale può e deve per la ricchezza e profondità del suo contenuto, esser conosciuto sempre meglio. Esso in se stesso rimane sempre lo stesso: quello che cambia è la conoscenza sempre migliore che si acquista studiandolo con attenzione. Non può essere aumentato in se stesso, ma deve esser meglio conosciuto, cioè dev’essere aumentata la conoscenza che se ne ha.

Il dato tradizionale è un patrimonio sorto nel passato, che quindi proviene dal passato, bisogna andare a cercarlo nel passato, anche se è possibile nel presente dar nascita ad una tradizione.

La tradizione proviene dal passato, ma supposto che essa riguardi valori perenni, occorre fare attenzione a non credere che essa riguardi solo il passato e non anche il presente e il futuro, così che sia lecito abbandonrlta come cosa passata e non più attuale, non più all’altezza dei tempi, non più adatta al nostro tempo, quasi negasse le novità e i progressi del nostro tempo o fosse superata dal nostro tempo. Ciò che è perenne come i valori dello spirito non può mai essere superato perchè è indipendente dal tempo e al di sopra del tempo. Per questo va bene sempre e in tutti i tempi.

Tuttavia si suppone che la conoscenza del dato tradizionale che si ha oggi è migliore di quella del passato, anche se può capitare che sia peggiore a causa di una cattiva conoscenza del dato perché ci si è dimenticati del contenuto autentico del dato tradizionale. Esistono infatti tradizioni spurie e tradizioni autentiche anche a prescindere dal loro contenuto valido o non valido. Tradizione spuria è una tradizione recente che è data come antica.  Tradizione autentica è quella che presentata come antica è effettivamente antica.

Per accogliere la dottrina o il dato della tradizione occorre aver fiducia nel testimone della tradizione, occorre che egli sia credibile, perché egli ci comunica cose del passato o cose di fede che non possono essere oggetto di verifica sperimentale da parte nostra o di dimostrazione razionale, ossia dei dati storici –fatti o dottrine – che egli stesso non ha conosciuto di persona o mediante dimostrazione razionale, ma ha accolto per fede nel maestro che lo ha istruito.

Occorre segnalare peraltro come il progresso degli studi storici, che lavorano sui documenti del passato, svolge al riguardo un prezioso servizio, per cui grazie ad essi conosciamo sempre meglio e con maggiore certezza i veri dati e contenuti delle tradizioni e di conseguenza abbiamo la possibilità di una migliore e più progredita conoscenza di quegli stessi contenuti.

A tal riguardo dobbiamo riconoscere quanto ha di meritorio la critica storica degli illuministi del sec. XVIII nel purificare o correggere i dati delle tradizioni, anche se, animati da uno spirito irreligioso o di incredulità, si sono  mostrati prevenuti, miopi o faziosi misconoscendo i dati autentici della tradizione cristiana.

La tradizione apostolica come fonte della rivelazione cristiana

Cristo ha insegnato oralmente agli Apostoli ed ha predicato alle folle un corpo di dottrine riguardanti il mistero di Dio e il suo piano di misericordia nei confronti dell’uomo. Ha costituito gli apostoli con a capo Pietro come maestri e guide dei fedeli nella conoscenza e nella predicazione della sua dottrina.

Dopo la morte e ascesa al cielo del Signore gli apostoli o i loro immediati successori, avendo ritenuto bene che fossero messe per iscritto le parole del Signore, hanno favorito e approvato l’iniziativa o dato essi stessi l’incarico ad alcuni fedeli particolarmente preparati, di fare questo lavoro: sono stati gli evangelisti, i quali hanno messo per iscritto quello che gli apostoli narravano o insegnavano oralmente, cioè i contenuti della tradizione apostolica, che gli apostoli avevano cominciato a trasmettere  ai loro successori.

Agli evangelisti hanno fatto seguito San Paolo, mentre alcuni degli stessi apostoli, Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda hanno pensato bene di contribuire con le loro lettere a questo scopo di diffondere il Vangelo nel mondo.

Aveva così inizio la successione apostolica, ossia il succedersi nel tempo di un apostolo – il vescovo – al precedente, strettamente collegata con la trasmissione del Vangelo, di generazione in generazione di vescovi, successori degli apostoli, fino alla fine del mondo.

Il Nuovo Testamento non mette per iscritto tutti i contenuti della tradizione orale, per cui esso non è l’unica fonte di conoscenza della rivelazione cristiana, ma restarono fuori altri contenuti i quali furono poi comunque messi per iscritto dai Santi Padri. E questa è la tradizione patristica.

Dunque la tradizione orale fu messa per iscritto non solo nel Nuovo Testamento, ma anche dai Padri. C’è però una differenza di autorità: che quella del Nuovo Testamento è dottrina già confermata da Pietro e dai successori di Pietro come Parola di Dio o interpretazione infallibile della Parola di Dio, come vera e propria verità di fede, mentre la dottrina dei Padri riflette il dato tradizionale in modo certamente autorevole, ma bisognoso di conferma pontificia: solo a questo punto diventa verità di fede divina.

Per esempio, la credenza nell’immacolatezza e assunzione al cielo di Maria è un dato della tradizione patristica, come tale oggetto di fede nell’autorità dei Padri, ma solo molti secoli dopo queste verità non contenute nella Scrittura, ma solo nella Tradizione sarebbero diventate dogmi definiti.

I dati della rivelazione non sono dunque solo quelli della Scrittura, ma anche quelli della sacra Tradizione, anche se non basta la tradizione patristica a costituire quella divina, ma occorre che questa tradizione sia confermata dal Papa, perchè nella tradizione patristica ci sono credenze che si sono rivelate erronee, come per esempio quella sul primato dell’uomo sulla donna o quella nel limbo o quella millenaristica.

Cristo ha comandato di predicare, non di scrivere. La tradizione è innanzitutto predicazione. L’idea del mettere per iscritto è stata ottima, ma l’annuncio è anzitutto orale, è parola vivente e udibile di apostolo presente, parola del predicatore, e il credere è innanzitutto ascolto prima che essere lettura. Quanti analfabeti nella storia sono stati più pii di dottissimi letterati!

Per questo, se per tradizione intendiamo la trasmissione di bocca in bocca della parola di Dio, la verità evangelica si chiarisce nella parola più che ricorrendo allo scritto. È nel colloquio franco e fraterno che la Chiesa ha sempre risolto le controversie sull’interpretazione della Parola di Dio, più che facendo appello allo scritto, benché anche il far appello alla tradizione scritta contro le posizioni dei vescovi o del Papa non appaia efficace, dato che sono loro ad essere gl’interpreti della tradizione. Il dato della tradizione è norma di fede non in base al semplice giudizio del fedele, ma solo quello riconosciuto tale dalla Chiesa, dato che così diventa dogma di fede.

Il Vangelo non è originariamente uno scritto, ma è una parola messa per iscritto. Se quindi sorge un dubbio di interpretazione, non basta far capo allo scritto, ma bisogna consultare l’autore o chi per lui, cioè i successori degli apostoli.

Meraviglia che Lutero, che tanto ce l’aveva con i Romani e si professava con tanto ardore discepolo di San Paolo, col suo unilaterale attaccamento alla Scrittura pare facesse capo più al burocratico verba volant, scripta manent, che non al paolino «la lettera uccide, lo Spirito vivifica».

Chi è dunque il tradizionalista? Credo che si possa intendere questo attributo sia in senso positivo che in senso negativo. Potremmo chiamare benevolmente tradizionalista il cattolico che nel pieno rispetto di tutte le verità di fede, in comunione col Papa e partecipe dell’attuale cammino della Chiesa nell’attuazione del Concilio Varcano II, si sente tuttavia particolarmente attratto dai valori tradizionali, sia per una sua propensione soggettiva e sia per la necessità che sente di un recupero di valori tradizionali dimenticati, denigrati, disprezzati.

Abbiamo qui l’esempio del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, sul quale ho scritto un libro che appunto s’intitola: «Padre Tomas Tyn. Un tradizionalista postconciliare»[2]. Uno si potrebbe domandare: come è possibile? Come essere tradizionalisti dopo il Concilio? Bisogna essere progressisti! Certo non è possibile essere tradizionalista alla Lefebvre. Ma questo è l’essere tradizionalista in un senso biasimevole.

Esser fedeli alla Tradizione non chiede il rifiuto delle nuove dottrine del Concilio quasi fossero deviazioni liberali, luterane, massoniche o moderniste. Al contrario, il tradizionalista alla Padre Tyn è quello che si è accorto che non esiste alcun contrasto fra le dottrine del Concilio e quelle della Tradizione, salvo che non si tratti di usi, idee o comportamenti, che la Chiesa stessa ha abbandonato.

Ciò di cui il tradizionalista postconciliare si accorge è che nelle dottrine del Concilio i dati della tradizione non solo sono confermati, ma meglio conosciuti e principio di una vita cristiana migliore e più santa.

Il tradizionalista tyniano, a differenza del lefevriano per il quale progresso e modernità sono sinonimi di modernismo, mantiene la condanna del modernismo, ma lo distingue da un sano amore per il progresso e da una sana modernità. Che cos’è infatti lo spirito cristiano se non quello spirito che rinnova la faccia della terra, lo spirito dell’uomo nuovo che ha mortificato quello vecchio, quell’uomo nuovo che «ha tolto il lievito vecchio per essere pasta nuova» (cf I Cor 5,7)?

La pace nella Chiesa sarà raggiunta quando quelle due forze si renderanno conto che tradizione e progresso, conservazione e rinnovamento sono fatti  gli uni per gli altri, quando quelle due forze capiranno che hanno bisogno l’una  dell’altra e che si integrano a vicenda come i due moti vitali essenziali del buon funzionamento della Chiesa, come del resto di qualsiasi società: la forza che mantiene e difende l’identità del soggetto e la forza che corrobora, sviluppa ed espande l’attività del soggetto.

Le due forze sono in sé normali e fisiologiche: bisogna che non assolutizzino se stesse demonizzando l’avversario, nel quale invece devono vedere il necessario complemento. Tutto sta a che queste due forze, invece di star fuori dalla sana dottrina, giochino all’interno del suo recinto, così come due agnellini possono bene azzuffarsi, purchè lo facciano all’interno dell’ovile protetti dalle insidie dei lupi che stanno fuori.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 ottobre 2024


Se per tradizione intendiamo la trasmissione di bocca in bocca della parola di Dio, la verità evangelica si chiarisce nella parola più che ricorrendo allo scritto. È nel colloquio franco e fraterno che la Chiesa ha sempre risolto le controversie sull’interpretazione della Parola di Dio, più che facendo appello allo scritto, benché anche il far appello alla tradizione scritta contro le posizioni dei vescovi o del Papa non appaia efficace, dato che sono loro ad essere gl’interpreti della tradizione. Il dato della tradizione è norma di fede non in base al semplice giudizio del fedele, ma solo quello riconosciuto tale dalla Chiesa, dato che così diventa dogma di fede.

Il Vangelo non è originariamente uno scritto, ma è una parola messa per iscritto. Se quindi sorge un dubbio di interpretazione, non basta far capo allo scritto, ma bisogna consultare l’autore o chi per lui, cioè i successori degli apostoli.

Esser fedeli alla Tradizione non chiede il rifiuto delle nuove dottrine del Concilio quasi fossero deviazioni liberali, luterane, massoniche o moderniste. Al contrario, il tradizionalista alla Padre Tyn è quello che si è accorto che non esiste alcun contrasto fra le dottrine del Concilio e quelle della Tradizione, salvo che non si tratti di usi, idee o comportamenti, che la Chiesa stessa ha abbandonato.

Ciò di cui il tradizionalista postconciliare si accorge è che nelle dottrine del Concilio i dati della tradizione non solo sono confermati, ma meglio conosciuti e principio di una vita cristiana migliore e più santa.

Immagine da Internet

[1] Vedi per esempio Yves Congar, La tradizione le tradizioni, Edizioni Paoline, Roma 1965.

[2] Edizioni Fede&Cultura, Verona 2007.

24 commenti:

  1. Eccellente padre: e' con un sentimento misto di tristezza e solo parziale sorpresa che mi permetto di intervenire qui a seguito della Sua presa d'atto che esiste un problema ( ? ) di tradizione : traduzione : semmai fosse, il problema non e' la tradizione, e' la moda, anzi: LE mode! Anche Lei ci casca? Ecco il motivo della mia tristezza; (il divisore ...); poi, partendo dal colmo: inginocchiarsi in fronte alla Santa Eucarestia e aprile la bocca mangiandone il Corpo di Cristo e' tradizione oppure e' Fede ? il demonio abilmente confonde, caro padre !!! Ho citato la piu' perfida strategia perpetrata da satana dentro la liturgia dei moderni delle mode alla novus ordo (lasciamo perdere chitarrette e balli e mascherine e palchi da teatro o anche le omelie laico-pagane ai funerali): pagheremo, pagheremo, pagheremo, anche per questo nostro NON VOLER VEDERE, non voler AGGIUSTARE: perche' Dio esiste indeterminatamente, infinitamente, immanentemente, esiste nella misericordia (dopo la conversione pero', che modernamente non e' mai, dicasi mai, citata come contrappeso, guarda "caso" ...), esiste nella Eucarestia; ma non esiste nel peccato dell'INCURIA!!! LJC.

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    1. Caro Fedele,
      bisogna che lei distingua, nelle pratiche della nostra vita cattolica, quello che dipende dalla fede da quello che dipende dalla disciplina liturgico-ecclesiastica.
      Quello che dipende dalla fede è oggetto anche della Sacra Tradizione, la quale, insieme con la Scrittura, è la sorgente della divina Rivelazione, che ci viene comunicata dal Magistero della Chiesa, interprete sia della Tradizione che della Scrittura.
      La Comunione in bocca e l’inginocchiarsi al momento della Comunione è una pratica certamente lodevole, ma che non discende dalla fede. Essa invece è stata stabilita dalla autorità pastorale della Chiesa in campo liturgico.
      Oggi come oggi, come lei dovrebbe sapere bene, la Chiesa stessa preferisce la Comunione sulla mano e non chiede ai fedeli di inginocchiarsi.
      Lei si chiede: come mai questo cambiamento? Perché si tratta di una materia, che non è come la materia di fede, che è immutabile, ma si tratta di una pratica cerimoniale dove la Chiesa ha avuto da Cristo il potere di conservare o mutare a sua discrezione.
      Comprendo molto bene la sua indignazione nei confronti degli abusi liturgici e delle Messe moderniste. Però stia attento a non confondere questi disordini con la regolare e devota celebrazione del Novus Ordo, che oggi Papa Francesco chiede a tutti i cattolici, soprattutto nei giorni festivi.
      Su questo punto della Comunione, i fedeli che desiderano la Comunione in bocca e vogliono inginocchiarsi sono liberi di farlo. È invece molto importante non accusare di eresia i fedeli che ricevono la Comunione sulla mano e stando in piedi.
      Noi Domenicani, del Santuario della Madonna di Fontanellato, accogliamo volentieri anche i fedeli che desiderano ricevere la Comunione in bocca e si inginocchiano.

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  2. Era meglio se tacevo, la Sua risposta in merito al Corpo di Cristo e' altamente dannosa per i cattolici che qui si sentono rincuorati nel leggere che si puo' prendere con le zampe la Particola anche in assenza di validi motivi, come fanno in tv con le patatine snack della nota marca. Che disastro, ancora Gesu' preso a sassate, quando la smetteremo?

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    1. Caro Fedele,
      trovo che sia molto offensivo usare il termine “zampe” per indicare il valore delle mani umane. Esse, come lei dovrebbe saper bene, sono uno dei simboli della nostra razionalità e quindi della dignità della persona, perché con la mano noi esprimiamo valori molto importanti.
      Oltre alla sua funzione nella vita biologica, la mano rappresenta l’attività lavorativa e artistica, l’attività di relazione e di cura col prossimo, e anche il culto liturgico. Certamente la mano del sacerdote rappresenta un ministero peculiare a servizio del Popolo di Dio, ma anche voi laici, come sapete bene dal Concilio Vaticano II, fruite del sacerdozio universale dei fedeli.
      La Comunione in bocca è certamente altamente significativa, perché esprime con chiarezza il fatto che noi riceviamo un Cibo, che non è frutto delle nostre mani, ma scende dal cielo.
      La Comunione nella mano ha anch’essa un significato sacro, formativo ed educativo. Ricorda l’Ultima Cena, che è oggetto della memoria liturgica, che noi celebriamo nella Messa. Io credo che sia stata introdotta dalla Chiesa per un motivo ecumenico, perché lei saprà che Lutero ha conservato la memoria dell’Ultima Cena, anche se purtroppo ha perso il valore dell’Eucarestia.
      Stando così le cose, lei non ha nessun motivo per inveire contro la Comunione nella mano, perché è ovvio che essa suppone sempre il mistero della transustanziazione. Se è vero che la patena e il calice ospitano il Corpo e il Sangue di Cristo, a maggior ragione la mano dell’uomo, creato ad immagine di Dio, potrà essere degno luogo della presenza dell’Ostia Consacrata.

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  3. Gesù non ha lasciato per iscritto nemmeno una parola. Il suo messaggio non è stato scritto su delle pergamene, o su delle rocce, ma ha preferito scriverlo nelle menti e nei cuori dei suoi discepoli, un atto di massima fiducia verso l' umanità. Sembra strano, quasi assurdo, incredibile. E' possibile?

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    1. Caro Anonimo,
      quello che ha fatto Gesù, lo hanno fatto anche grandi maestri dell’umanità, come Socrate e il Budda.
      Certamente questo modo di comportarsi può farci problema, perché noi abbiamo presente il famoso motto romano “scripta manent, verba volant”. Eppure qui si manifesta la consapevolezza della potenza dello spirito, di come esso è capace di dominare e regolare la materia. Infatti lo scritto, tutto sommato, è un effetto della volontà e quindi dello spirito, per cui il criterio di verità non è tanto lo scritto, quanto la parola che è stata scritta.
      Infatti, quando noi non riusciamo a capire un testo, ci rivolgiamo all’autore, se è ancora vivo, o altrimenti ci rivolgiamo ai suoi interpreti ufficialmente da lui autorizzati. Questo è il motivo per il quale, per noi cattolici, per capire il senso della Scrittura, ci rivolgiamo al Magistero della Chiesa.
      E questo è il motivo per il quale Lutero si sbagliò nella pretesa di rifarsi direttamente alla Scrittura contro il Magistero della Chesa, come se la Bibbia l’avesse scritta lui e non gli fosse stata piuttosto consegnata dalla Tradizione Apostolica, che risale a Gesù Cristo.
      Certamente può capitare, nella fallibilità della nostra tradizione umana, che nel trasmettersi l’un l’altro una notizia si verifichino malintesi o svisamenti del contenuto di quella notizia. In questo caso, se il maestro si rifà a uno scritto, possiamo avere la possibilità di correggere il maestro andando a guardare allo scritto. Tuttavia, nel caso della Sacra Tradizione della Chiesa Cattolica, noi cattolici ci fidiamo dell’autorità del Magistero, perché sappiamo che Cristo ha incaricato Pietro di trasmettere ai posteri le sue parole assicurandogli di assisterlo sino alla fine dei secoli, considerando soprattutto che il messaggio da trasmettere ha un contenuto sovraumano, per conservare il quale la semplice diligenza umana non sarebbe stata sufficiente, considerata la fallibilità con la quale ci trasmettiamo anche i semplici contenuti delle tradizioni umane.

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  4. Caro padre Giovanni Cavalcoli,
    in relazione al grande tema del tradizionalismo cattolico, vorrei porvi un problema teologico (o comunque teologico-morale, nel senso della morale pastorale e ecumenica), che potrebbe essere una questione seriamente contestata a livello popolare cattolico nei prossimi tempi, una "quaestio disputata".
    Le pongo questo tema perché la figura paradigmatica del Servo di Dio, padre Tomas Tyn, imitabile sotto tutti gli aspetti come autentico tradizionalista cattolico, o tradizionalista progressista come potremmo anche chiamarlo, non deve farci dimenticare una situazione purtroppo attuale: il tradizionalismo cattolico maggioritario (con i suoi chiaroscuri, i suoi più e meno, le sue virtù e i suoi difetti) è purtroppo in stretta relazione con il tradizionalismo scismatico, al punto di guardarsi in esso quasi come in uno specchio, copiando i suoi atteggiamenti scismatici e le sue dichiarazioni sospette di eresia o a volte chiaramente eretiche.
    Senza ulteriori indugi, vengo ora al punto.
    Credo che la quaestio disputata potrebbe essere brevemente posta nei seguenti termini:

    Può il Romano Pontefice emettere Lettere Apostoliche permettendo la consacrazione episcopale di candidati in formale situazione di scisma e di evidente o chiaro sospetto di eresia?

    Non c'è bisogno di ricordarle che le Lettere Apostoliche sono un documento ufficiale del Pontefice della Chiesa Cattolica, emesso nel caso in cui un sacerdote sia ordinato vescovo, e, secondo la legge della Chiesa, in questo documento il Pontefice: 1. permette l'ordinazione del vescovo fuori di Roma, purché siano osservate le leggi liturgiche; 2. esige che il vescovo faccia la professione di fede e il giuramento di fedeltà; 3. incoraggia il clero e il popolo della diocesi a ricevere il vescovo con gioia; 4. esorta il vescovo affinché i fedeli che gli sono affidati crescano nella fede, nella speranza e nella carità.
    Ne consegue che tali propositi delle Lettere Apostoliche non sarebbero adempiuti nel caso in cui il candidato a Vescovo fosse, come ho già detto nella questione, in formale stato di scisma e sotto chiaro sospetto di eresia.
    La presente questione teologico-pastorale, suppone, naturalmente uno status quaestiones riferito a situazioni e fatti attuali (e ad altri fatti imminenti), che chiariranno più chiaramente, per la loro concretezza, a cosa mi riferisco nella questione posta.
    Se il tema è di vostro interesse, me lo fate sapere, e in un nuovo commento potrei dettagliarvi dettagli e informazioni di attualità, che visualizzano in modo più concreto e reale la questione da risolvere.
    Grato fin d'ora per la vostra attenzione e il vostro tempo. Uniti nella preghiera.

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    1. Caro Ross,
      mi fermo innanzitutto sulla questione di principio.
      Può capitare che il Papa venga male informato circa i requisiti del candidato oppure può capitare che un vescovo criptolefevriano ordini un sacerdote a sua volta filolefevriano. Che cosa succede? Che in questo caso l’ordinazione è valida, però c’è il forte rischio che il sacerdote ordinato venga a trovarsi in una situazione scismatica.
      Se poi lei ha qualche caso da sottoporre alla mia attenzione o ritiene che io possa darle un parere utile, mi faccia sapere qualcosa.
      Per quanto riguarda il tradizionalismo di P. Tomas, lo so che è stato presentato come un tradizionalista filolefevriano, ma questo non corrisponde a verità.

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  5. Caro padre Giovanni,
    Della santità, e del vero tradizionalismo cattolico del Servo di Dio, padre Tomas Tyn, non ho dubbi.
    La mia proposta sulla questione presentata, esclude a priori ogni caso di filo-lefebvrismo o cripto-lefebvrismo, perché io he parlato proprio di un caso di candidato all'episcopato in stato di scisma formale e chiare dottrine eretiche.
    Ripeto la mia domanda:

    Può il Romano Pontefice emettere Lettere Apostoliche permettendo la consacrazione episcopale di candidati in formale situazione di scisma e di evidente o chiaro sospetto di eresia?

    Al riguardo, presento due casi, uno storico e l'altro attualissimo.

    1. Il caso storico:

    Negli anni 1987/1988, nel contesto delle trattative per il ritorno del vescovo Lefebvre e dei sacerdoti da lui ordinati, e dei suoi fedeli laici, all'unità della Chiesa, la FSSPX chiedeva a Roma il permesso per l'ordinazione di uno o due vescovi. Papa san Giovanni Paolo II era sul punto di concedere tale permesso; ma alla fine non ne ebbe bisogno, perché il Vescovo, che era già sospeso a divinis, decise da solo, senza contare le Lettere Apostoliche, di consacrare quattro Vescovi (Tissier de Mallerais, Fellay, Williamson, e De Galarreta). Dopo di loro, tutti sono caduti in scomunica e la situazione è diventata di scisma formale (come ha ricordato Benedetto XVI in diverse occasioni, e papa Francesco nel 2021, in occasione della pubblicazione de Traditionis custodes).
    Ora, nonostante che in questo caso le Lettere Apostoliche non esistessero, tuttavia san Giovanni Paolo II stava per concederle a candidati che, pur non essendo in scisma formale, erano invece sospettati di eresia. Infatti, san Paolo VI aveva già esortato Lefebvre a convertirti dai suoi "errori contro la fede", e si sa che tutti i seguaci di Lefebvre seguono a piedi fino ad oggi tutti i postulati del suo fondatore. Quindi la domanda è simile: che senso avrebbe avuto quel permesso che san Giovanni Paolo II avrebbe potuto dare a candidati eretici?...

    2. Il caso attuale:

    Da mesi si sentono voci dalla FSSPX che stanno "preparando" li sui parrocchiani per un'eventuale consacrazione di vescovi e, quindi, per una prossima rinnovata scomunica di vescovi, sacerdoti e fedeli della FSSPX. Oggi i dati sono più espliciti e concreti.
    Giorni fa, nel Priorato di Mendoza (in Argentina) della FSSPX, il superiore del distretto dell'America del Sud della FSSPX, padre Joaquín Cortés, ha fatto annunci sulle future consacrazioni episcopali nella FSSPX. Ha espresso, tra l'altro, quanto segue: "Quello che è appena successo: che Dio abbia chiamato monsignor Tissier, già accelera un po' le cose [...] Quanti vescovi saranno? Quattro o cinque [...] Di che età? Tra i 35 e i 50 anni [...] Quando? La grande domanda è questa... non prendetelo come ufficiale... 2026 circa [...] Bisogna chiedere il permesso a Roma? Sì, bisogna chiedere il permesso a Roma [...]".
    Fonte: video su Youtube dal minuto 1:10:37: https://www.youtube.com/watch?v=5H50Xw6vFFw
    Ora, non mi interessa giudicare la palese ipocrisia di questi dirigenti della FSSPX che, nonostante tacciano continuamente di modernisti (eretici) il Concilio Vaticano II e i Papi del postconcilio (gli esempi e le fonti abbondano), non hanno però alcun risentimento nel volere "rassicurare" li sui parrocchiani, anticipando che si attengano a non so quale "legalità", chiedendo il permesso a Roma per le consacrazioni episcopali.
    Ripeto: non mi interessa l'atteggiamento di questi fratelli cristiani separati, se non per continuare a pregare per loro.
    Quello che mi preoccupa è l'atteggiamento che potrebbe prendere Roma, con un -mi permetta, padre Giovanni- un anziano Papa, in qualche modo imprevedibile nei suoi atti...
    Ecco perché mi chiedo:
    Può il Romano Pontefice emettere Lettere Apostoliche permettendo la consacrazione episcopale di candidati in formale situazione di scisma e di evidente o chiaro sospetto di eresia?

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    1. Caro Ross,
      apprezzo il desiderio dei lefevriani che il Papa possa approvare una richiesta di ordinazione episcopale proveniente dalla loro Fraternità.
      Tuttavia, considerando il fatto che la Fraternita tuttora non accetta le dottrine del Concilio Vaticano II, questa Comunità, come già le disse Benedetto XVI, non è in piena comunione con la Chiesa e con il Papa.
      D’altra parte dobbiamo ricordare il recente avvertimento di Papa Francesco, che chi non accetta il Concilio Vaticano II è fuori della Chiesa. A questo punto Papa Francesco, tenendo presente l’avvertimento che ha fatto, molto probabilmente si rifiuterà.
      Tuttavia io credo che potrebbe concedere il permesso, a condizione che questo vescovo accolga le dottrine nuove del Concilio e si riconcili con il Papa e con la Chiesa.

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    2. Caro padre Giovanni,
      apprezzo sinceramente, anche in questa occasione, la sua benevolenza, volendo vedere il valore, il merito, la buona intenzione da parte dei lefebvriani nel chiedere al Papa l'approvazione delle sue future consacrazioni episcopali.
      Apprezzo anche la chiarezza e la fermezza con cui lei ricorda che, non accettando ancora questa Fraternità (anche dopo sessant'anni) le dottrine del Concilio Vaticano II, tale Fraternità non si trova in piena comunione con la Chiesa e con il Papa (espressione che si usa attualmente per significare che questa Fraternità è in scisma formale).
      Importante e opportuno è anche che lei mi ricordi il recente avvertimento di papa Francesco che chi non accetta il Concilio Vaticano II è fuori dalla Chiesa.
      Riconosco che la risposta del Papa alla richiesta della FSSPX rimane nell'ambito di ciò che è pastorale. Questo vuol dire che la decisione del Papa al riguardo è soggetta alla sua prudenza pastorale. Quindi, probabilmente rifiuterà (per le ragioni esposte), o, anche probabilmente potrebbe concedere il permesso, come lei argomenta, a condizione che i nuovi vescovi accettino le nuove dottrine del Concilio e si riconciliino con il Papa e con la Chiesa.
      Ora, dato che questo "condizionato" è altamente improbabile, data la nota storia di duplicitá della FSSPX, allora l'eventuale risposta favorevole del Papa, sarà soggetta al dissenso del Popolo di Dio, trattandosi di una discutibile decisione di governo-pastorale.
      Al riguardo, mi sembra utile ricordare che una misura pastorale-disciplinare-governativa, come quella di Benedetto XVI nel 2009, di sollevare la scomunica ai quattro vescovi consacrati nel 1988, è stata manipolata dalla FSSPX per divulgare l'interpretazione errata che la FSSPX era rimasta senza problemi, in pace, in comunione con la Chiesa. Malinteso che ha costretto Benedetto a fare i chiarimenti (riguardo alla dottrina, e allo scisma) che lei mi ha giustamente ricordato.
      Pertanto, temo che, similmente, un'eventuale decisione favorevole del Papa alla richiesta lefebvriana, genererà di nuovo simili confusioni.
      Ed infine, non meno importante, una domanda generale: come giudicare -cristianamente- l'ipocrisia del mio prossimo? Devo sempre pensare benevolmente a lui?... Il Papa, di fronte a una richiesta come quella che sembra disposto a fare la FSSPX, per fede e carità cristiana, deve sempre giocarla come in retta intenzione?
      A questo proposito, non credo sia necessario ricordare le innumerevoli occasioni in cui le accuse (anche recenti e continue) della FSSPX contro il Concilio e contro il Papa, di essere modernisti, eretici, apostati, ecc., ecc. Al riguardo vi ricordo un articolo, che sicuramente Lei conosce, del CESNUR, nel 2011, firmato da Massimo Introvigne, quando in plene trattative con la Santa Sede, la FSSPX, in un libro firmato dal recentemente defunto vescovo Tissier di Mallerais, gridava offese gravissime contro la Chiesa, il Papa e il Concilio. Indubitable duplicitá!
      (Il articolo di Introvigne: https://www.cesnur.org/2011/mi-cpx.html )
      Ogni uomo può convertirsi, ma... fino a che punto la dovuta misericordia e benevolenza diventa ingenuità?

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    3. Caro Ross,
      il fatto che tu mi abbia informato della forte critica fatta dal vescovo Tissier di Mallerais a Benedetto XVI, mi porta a pensare che il Santo Padre, alla richiesta fatta dai lefevriani, opporrà un rifiuto.
      L’unica cosa che si può ipotizzare è che questi giovani, che desiderano diventare vescovi con l’approvazione del Papa, abbiano rinunciato a seguire il vescovo Tissier di Mallerais nella critica a Benedetto XVI. In questo caso è chiaro che il Papa potrà essere disposto ad accondiscendere alla richiesta. Tuttavia, per quanto ne so, resta ancora la grave difficoltà dell’opposizione alle dottrine nuove del Concilio. Per questo motivo, se le cose stanno così, giudico estremamente improbabile che il Papa li possa accontentare.
      A meno che Papa Francesco, proprio in nome della misericordia e dell’apertura della Chiesa a tutti, non abbia speranza che, con questo suo gesto generoso, seppur accompagnato da un chiaro richiamo, i lefevriani si convertano ed inizino un cammino di piena comunione con il Papa e quindi con la Chiesa.
      Questo fatto potrebbe incoraggiare i fedeli della Fraternita a seguire e ad accogliere sempre più il Santo Padre, in modo da maturare la piena e reale comunione con Roma.
      Nello stesso tempo bisogna che noi teologi di adoperiamo con molto impegno a persuadere i lefevriani che le nuove dottrine del Concilio Vaticano II non sono moderniste, ma realizzano un autentico rinnovamento della Chiesa, come ripete continuamente Papa Francesco.

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    4. Caro padre Giovanni,
      li ringrazio per l'attenzione e il tempo che ha dedicato al tema che le ho proposto, non così legato al tema proprio dell'articolo che lei ha pubblicato.
      Le vostre opinioni mi hanno aiutato a raggiungere un atteggiamento più equilibrato e sereno sulla questione.
      Come le ho detto, ciò che mi preoccupa è che, qualunque sia la risposta di papa Francesco all'eventuale richiesta delle Lettere Apostoliche per la consacrazione di un Vescovo per i lefebvriani, sorgeranno probabili confusioni.
      Tuttavia, la mia opinione è che le confusioni saranno minori, se il Papa si rifiutasse, e nel migliore dei casi! coglierà l'occasione per esplicitare al Popolo di Dio qual è il vero tradizionalista, e la situazione di scisma ed eresie in cui si trovano gli indietristi lefebvriani.

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    5. La Fraternità Sacerdotale San Pio X ha ritirato il video in cui il Superiore del Distretto dell'America del Sud annunciava le future consacrazioni di Vescovi.
      Sembra che... l'annuncio sia stato fatto dopo diversi bicchieri di buon Malbec mendocino..., ma anche così, l'annuncio è stato vero, e molto di più con questo ritiro dalla circolazione.

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  6. Certamente caro Ross, certo che puo' , il Papa puo' tutto.

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    1. Caro Franco,
      queste sue parole mi sembrano molto superficiali e anche imprudenti, per non dire offensive nei confronti del Santo Padre.
      Lei dovrebbe saper bene infatti che i poteri del Sommo Pontefice, per quanto ampli, sono ben definiti dal Diritto Canonico. Quindi l’espressione “può tutto” è inaccettabile e sa quasi di ironia o di derisione nei confronti dell’Autorità pontificia.

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  7. Non ha un potete assoluto, ma puo' tutto, sottile differenza, anzi, sottilissima.

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    1. Caro Franco,
      questa questione dei limiti della autorità pontificia e dei poteri del Papa è molto interessante e molto importante.
      Tuttavia quello che lei dice mi sembra poco chiaro, perché dire che “non ha un potere assoluto, ma può tutto” è una contraddizione, perché lei dovrebbe sapere che l’assolutismo governativo tipico delle dittature è un potere che si permette di tutto. Allora, come fa dire che “non ha un potere assoluto”?
      In secondo luogo, lei che cosa intende dire dicendo che “può tutto”? Certamente lei non intenderà dire che è onnipotente, giacchè solo Dio è onnipotente. Allora, “può tutto” in che cosa? In quale campo? Oppure, con “può tutto”, lei intende dire che potrebbe avere dei poteri soprannaturali, che vanno al di là del Diritto Canonico?
      D’altra parte mi sembra che lei ammetta che i suoi poteri sono limitati dal Diritto Canonico, però nello stesso tempo mi pare che lei si contraddica citando quelli che lei chiama “accanimenti già successi e futuri”. A quali accadimenti si riferisce? O forse lei intende dire che il Papa si è preso gioco del Diritto Canonico?

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  8. Un conto e' il diritto canonico, un'altro sono gli accadimenti , gia' successi e futuri. Forza dai.

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    1. Caro Franco,
      questa questione dei limiti della autorità pontificia e dei poteri del Papa è molto interessante e molto importante.
      Tuttavia quello che lei dice mi sembra poco chiaro, perché dire che “non ha un potere assoluto, ma può tutto” è una contraddizione, perché lei dovrebbe sapere che l’assolutismo governativo tipico delle dittature è un potere che si permette di tutto. Allora, come fa dire che “non ha un potere assoluto”?
      In secondo luogo, lei che cosa intende dire dicendo che “può tutto”? Certamente lei non intenderà dire che è onnipotente, giacchè solo Dio è onnipotente. Allora, “può tutto” in che cosa? In quale campo? Oppure, con “può tutto”, lei intende dire che potrebbe avere dei poteri soprannaturali, che vanno al di là del Diritto Canonico?
      D’altra parte mi sembra che lei ammetta che i suoi poteri sono limitati dal Diritto Canonico, però nello stesso tempo mi pare che lei si contraddica citando quelli che lei chiama “accanimenti già successi e futuri”. A quali accadimenti si riferisce? O forse lei intende dire che il Papa si è preso gioco del Diritto Canonico?

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  9. La questione sollevata mi sembra tanto semplice quanto priva di senso.
    Che senso ha che una chiesa cristiana non cattolica chieda al Papa il permesso di ordinare un vescovo?
    Nessun senso, tranne qualche nascosto (vale a dire il senso dell'ipocrisia).
    Che senso può avere che il patriarca di Istanbul chieda al Papa il permesso di ordinare un vescovo? Nessuno.
    Che senso ha che una comunità anglicana chieda al Papa il permesso di ordinare un vescovo? Nessuno.
    Data l'assurdità della questione, Papa Francesco, quanto è inclinato a scherzi di ogni genere, può addirittura prendere in giro la richiesta dei lefebvriani, e dargli il permesso!

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    1. Caro Remo,
      capisco il suo stato d’animo nei confronti di questa richiesta dei lefevriani. Anche a me sembra un atteggiamento ipocrita. Infatti resta pur sempre la loro opposizione alle dottrine del Concilio, in particolare la Unitatis Redintegratio, la Nostra Aetate e la Dignitatis Humanae. Ora, questi documenti mettono in gioco la dottrina.
      Quindi effettivamente non si riesca a capire come fanno a pretendere da Papa Francesco che conceda loro una autorizzazione così importante come una consacrazione episcopale, dopo che lo stesso Papa di recente ha dichiarato che sono fuori della Chiesa coloro che non accettano il Concilio.
      A meno che tale richiesta da parte dei lefevriani non sia accompagnata dalla promessa di accettare le dottrine nuove del Concilio.

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  10. Preghiamo per questo Papa, che' , pur non avendo il potere assoluto, puo' fare quello che vuole lo stesso (ne ha gia' combinate tante...) Non si tratta dell'omni potenza Divina, ovvio; si tratta della sua (umana) potenza, dentro la Chiesa: indisturbato elefante libero di potere tutto dentro la cristalliera cattolica; e chi tace, acconsente; e chi nega, tradisce. Forza padre Cavalcoli.

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    1. Caro Franco,
      in questa materia del governo pontificio è molto difficile poter dare dei giudizi sicuri, perché si tratta sempre di una materia molto complessa, dove per poter giudicare dovremmo poter fruire di quella visione dall’alto, che soltanto il Papa possiede.
      Questo non vuol dire che un Papa non possa abusare della sua autorità. Ed effettivamente in alcune occasioni il Santo Padre ci ha dato questa impressione. Tuttavia, come ci insegna la storia, per poter dare un giudizio definitivo, occorre che passi un certo tempo durante il quale avviene una discussione, la quale normalmente, quando avviene, riesce a risolvere le questioni discusse.
      Esistono al riguardo questioni ancora aperte, circa il comportamento di Papi avvenuto secoli fa. Figuriamoci il problema di giudicare quello che un Papa fa oggi. Quello che io noto è che è troppo diffusa l’abitudine di valutare gli atti del Papa come se fosse il comportamento del parroco o del sindaco.
      Io penso che il primo dovere di un buon cattolico sia quello di giudicare le cose che riguardano l’ambiente nel quale egli agisce, dando l’esempio del buon cristiano.

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