Gerarchia apostolica e fratellanza cristiana

 

Gerarchia apostolica e fratellanza cristiana

Pasci i miei agnelli

Gv21,15

 

Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli

Mt 23,8

Nel corso della storia del cristianesimo è accaduto più volte che gruppi di cristiani o addirittura intere comunità ecclesiali si siano ribellati o abbiano rotto la comunione col Papa, alcuni negando addirittura il fondamento evangelico della sua autorità, prendendo a pretesto il suo malgoverno o addirittura il supposto fatto di essere caduto nell’eresia o che una migliore esegesi dei testi evangelici avrebbe dimostrato che il primato petrino non sarebbe stato voluto da Cristo ma era stato un’ invenzione medioevale per giustificare la pretesa della Chiesa Romana di comandare su tutte le altre Chiese.

Questo ripudio dell’autorità del Papa è sempre stato giustificato con l’accusa fatta al Papa di tradire la dottrina di Cristo espressa o nella Scrittura o nella Tradizione o nel Magistero pontificio precedente. Da qui la tesi di tutti questi eretici e scismatici secondo la quale la Chiesa non è guidata dalla mediazione del Papa, ma direttamente da Cristo e dallo Spirito Santo.

Alcune Chiese hanno mantenuto l’episcopato e quindi tutti i sacramenti, per cui hanno conservato la gerarchia, nonchè la tradizione e successione apostoliche fino al momento della rottura.

Altre comunità, col pretesto che i cristiani sono alla pari tutti fratelli e solo Cristo è l’unico maestro, hanno rinnegato anche questi valori, per cui della Chiesa è rimasto solo l’elemento laicale e carismatico e i pastori delle comunità sono eletti dalle medesime comunità operando a nome della comunità come in un normale regime democratico.

Il Concilio Vaticano II col decreto Unitatis redintegratio, considerando il desiderio di molti fratelli separati di quell’unione e comunione di carità reciproca che Cristo ha voluto sotto un solo pastore, ha promosso l’attività ecumenica finalizzata alla ricostituzione della comunione col Papa di quelle Chiese o gruppi di fedeli che in passato si sono separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica e quindi ha dato direttive ai cattolici per operare al fine di aiutare quei fratelli separati che lo desiderano a superare gli ostacoli che si frappongono alla loro piena comunione col Vicario di Cristo in terra e a raggiungere la detta piena comunione.

Il metodo adottato dalla Chiesa sulle orme delle indicazioni e dell’ecclesiologia del Concilio consiste nella messa in luce delle verità di fede e valorizzazione dei sacramenti che sono stati conservati dai fratelli separati, nella promozione del reciproco riconoscimento, pentimento e riparazione di errori e colpe commessi da ambo le parti nel passato, nella promozione di una collaborazione reciproca in attività caritative, assistenziali, missionarie, politiche, sociali, educative, culturali e religiose.

Il Concilio ha segnato una svolta storica, per iniziativa di San Giovanni XXIII, nel rapporto della Chiesa con le religioni e culture non-cattoliche. Invece nei secoli posteriori alla riforma tridentina i Papi erano preoccupati di impedire l’ingresso nella Chiesa degli errori dei fratelli separati e in generale delle culture non cristiane, lasciando la Chiesa isolata dai valori culturali e religiosi che maturavano al di fuori.

Il rimedio apposto da Giovanni XXIII con la promozione del Concilio Vaticano II ha indubbiamente avuto l’effetto positivo di consentire l’ingresso nella Chiesa dei valori prima ignorati o guardati con sospetto o diffidenza, ma il Papato si è trovato davanti ad un rinnovato modernismo, che non aveva previsto e al quale non è stato in grado di opporre un freno.

È così che San Giovanni Paolo II ha sentito il bisogno nell’enciclica Ut unum sint di auspicare che un apposito organismo ecclesiale prendesse in esame di proporre al Papa una nuova modalità di esercizio del primato petrino adatta all’attuale  situazione ecumenica, che senza in nulla detrarre alle conquiste dell’ecumenismo, potesse essere riformulato così da conservare al primato, nella nuova situazione storica venutasi a creare sia coi progressi dell’ecumenismo che col ritorno del modernismo, una sufficiente autorevolezza ed efficacia pastorale in ordine al suo compito assegnatogli da Cristo di custodire e pascere il suo gregge con ottime pasture, di riportare all’ovile le pecore smarrite, di guarire le malate, di difendere il gregge dai lupi.

L’autorità apostolica ha la sua suprema pienezza e manifestazione nel Papa ed è indubbiamente soggetta ad una serie di gradi discendenti di sempre minor partecipazione: il Papa rende partecipi della sua autorità i gradi inferiori secondo una scala discendente, per cui la partecipazione alla sua autorità degrada mano a mano che si scende dai più alti ai più bassi, mentre il Papa ha suprema e piena autorità diretta e immediata su tutti i fedeli, che esercita quando vuole. Così il Papa è a capo dei Cardinali; questi, se Cardinali di Curia, sono i superiori dei Vescovi diocesani; questi a loro volta guidano i loro presbiteri, questi guidano i diaconi, questi guidano i laici. Tuttavia questi ultimi nello Spirito Santo offrono aiuto e integrazione e, all’occorrenza, anche consiglio, istruzione e correzione fraterna all’opera dei Pastori.

Il Papa attuale ha utilizzato a tal fine i temi conciliari della collegialità episcopale, fruente cum Petro e sub Petro della suprema e piena autorità sui fedeli, depositario dei doni gerarchici dello Spirito Santo, della sinodalità della Chiesa popolo di Dio sacerdotale, infallibile nel credere e animato dai doni carismatici dello Spirito Santo.

Il documento[1] appena pubblicato su questo tema dal Dicastero per l’unità dei cristiani suggerisce al Papa alcune linee di pensiero e di azione che riprendono questi temi con la autorevolezza propria di questo organismo della Santa Sede, del quale il Papa si serve come aiuto nel suo ministero di Pastore universale della Chiesa.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 14 giugno 2024

 

Il Concilio Vaticano II col decreto Unitatis redintegratio, considerando il desiderio di molti fratelli separati di quell’unione e comunione di carità reciproca che Cristo ha voluto sotto un solo pastore, ha promosso l’attività ecumenica finalizzata alla ricostituzione della comunione col Papa di quelle Chiese o gruppi di fedeli che in passato si sono separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica 

 

Il Papa attuale ha utilizzato a tal fine i temi conciliari della collegialità episcopale, fruente cum Petro e sub Petro della suprema e piena autorità sui fedeli, depositario dei doni gerarchici dello Spirito Santo, della sinodalità della Chiesa popolo di Dio sacerdotale, infallibile nel credere e animato dai doni carismatici dello Spirito Santo.

 

5 commenti:

  1. Caro Padre,
    In questo articolo lei sorvola molti temi di importanza, e oggi anche scottanti, di fronte alle notizie che ci giungono di processi canonici per scisma ed eresia.
    Al riguardo, lei indica correttamente che le direttive del decreto Unitatis redintegratio, indicano ai cattolici il modo di agire per aiutare gli scismatici e gli eretici (o per dirla in termini oggi più pastorali, alle comunità separate dalla piena comunione ecclesiale e dalla piena verità, che si trova solo nella Chiesa cattolica) a ritornare alla Chiesa Una e alla verità piena. Il concetto di "piena comunione" e di "parziale comunione" di tali non cattolici si ripete opportunamente nella brevità del loro articolo.
    Ora, vorrei qui fare riferimento a questo tema, ad un passaggio, credo molto luminoso, del suo libro "Progresso nella continuità", quasi alla fine del suo quarto capitolo:

    "Le altre religioni hanno elementi di verità, ma la pienezza della verità è solo nella Chiesa cattolica. I non cattolici in buona fede sono in parziale comunione con la Chiesa cattolica; ma il Concilio non esclude l’esistenza dello scisma e dell’eresia che esclude totalmente dall’appartenenza alla Chiesa."

    Attenendomi allora alla lettera di quel brano del suo libro, comprendo che l'abituale affermazione che tale o quale comunità separata dalla Chiesa cattolica sia "in parziale comunione con la Chiesa" non è così semplice né facile da fare, ma dovremmo parlare di condizionamenti. O forse mi sbaglio?
    Perché capisco che lei, in quel brano del suo libro (e il Concilio in Unitatis redintegratio) condiziona la "parziale comunione" al fatto che il non cattolico si trovi "in buona fede", vale a dire che, pur essendo oggettivamente scismatico o eretico, non lo sia soggettivamente. E questo proprio perché lei (e il Concilio) afferma che lo scisma e l'eresia (coscienti, cioè la malafede) "escludono totalmente dall'appartenenza alla Chiesa".
    Sto interpretando correttamente ciò che intende nel suo libro?

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    1. Caro Silvano,
      la questione che lei pone è molto interessante e merita che ci fermiamo su di essa con molta attenzione.
      Il problema essenziale è quello della appartenenza alla Chiesa, che va soggetta a diversi gradi, fino a quello della piena appartenenza, accanto al problema della esclusione o inclusione nella Chiesa.
      Quando nel mio libro ho detto che la scomunica pone lo scomunicato totalmente al di fuori della Chiesa, forse avrei dovuto fare una distinzione: io pensavo all’aspetto giuridico, mentre avrei potuto considerare anche l’aspetto spirituale. Lo scomunicato è fuori della Chiesa nel caso che si tratti del ministro del culto (can. 1331 del CIC). Invece, dal punto di vista spirituale bisogna distinguere due cose: la volontà dello scomunicato e la conoscenza di fede che ha circa la natura della Chiesa.
      Nel caso di una scomunica ingiusta, lo scomunicato continua ad appartenere pienamente alla Chiesa, tuttavia, secondo San Tommaso, fa bene ad attenersi alle disposizioni dell’autorità ecclesiastica.
      Se lo scomunicato possiede una cattiva volontà nei confronti del Papa, io ritengo che lo si possa considerare al di fuori della Chiesa. Tuttavia lo scomunicato può conservare la conoscenza di tutte le verità di fede. Gli manca la carità nei confronti della Chiesa. Credo si possa dire con tutto ciò che comunque, per quanto riguarda la sua preparazione dottrinale, continua ad appartenere almeno parzialmente alla Chiesa.
      A questo punto possiamo collegare quanto ho detto con la dottrina della Unitatis redintegratio, la quale parla, riguardo ai Fratelli separati, di una parziale comunione con la Chiesa. Da notare che questi Fratelli possono essere in buona fede, per cui essi, magari senza saperlo, appartengono pienamente alla Chiesa davanti a Dio.
      Che differenza c’è tra uno scomunicato e un fratello separato? Che lo scomunicato è escluso dalla Chiesa secondo il can. 1331, mentre il fratello separato, dato che non cade sotto la giurisdizione della Chiesa Cattolica, il Concilio lo considera come oggettivamente in una comunione parziale con la Chiesa Cattolica.

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  2. Caro padre Cavalcoli,
    Poiché il recente documento del Dicastero per la promozione dell'unità dei cristiani sul rinnovamento nell'esercizio del Ministero del Vescovo di Roma, non è un'enciclica né una dichiarazione, né un documento pontificio, ma un documento di studio, richiesto a titolo di consultazione dal Papa, ritengo che sia libero di esprimere un parere sui suoi valori e disvalori.
    In primo luogo, per quanto riguarda al problema del primato di giurisdizione papale, ritengo sbagliato considerare l’accettazione del primato di giurisdizione papale cattolico romano da parte di altri cristiani come un criterio per la sua validità e legittimità e comprendere o esercitare il papato di conseguenza (in modo nuovo, diverso) rispetto a prima. Non si può parlare di declassare l’ufficio di Pietro finché non diventi accettabile per il maggior numero possibile di cristiani separati, ma non sia più ciò che Cristo vuole che sia. Il criterio è quindi se esso nella sua forma attuale corrisponde a questa volontà e alla verità del Vangelo. Qui il fattore decisivo deve essere la verità o la volontà di Dio, non il consenso con i fratelli separati. La questione è di carattere fondamentale. Tocca le radici del cattolicesimo romano.
    Per la Chiesa si tratta di una questione di essere e non essere, una questione ecclesiologica fondamentale, ossia il dove o il luogo dell’unica, vera e visibile forma piena della Chiesa di Cristo. In breve: dov’è (esiste) l’unica, vera e visibile Chiesa di Cristo? Conosciamo la risposta cattolica: la Chiesa cattolica romana. A nostro avviso, anche dopo il Concilio Vaticano II, non ce n’è e non ce ne sarà un’altra. Ma le altre “chiese” certamente non saranno mai d’accordo. Per questo motivo, sono visibilmente separate da noi – almeno in termini di giurisdizione.
    Lo sviluppo del ministero della Chiesa dai giorni degli apostoli deve essere considerato come un continuum ispirato e guidato dallo Spirito Santo, fino alle massime dichiarazioni sul ministero petrino del Concilio Vaticano I. La Chiesa non può certo tornare al periodo della Riforma, al primo millennio o addirittura all’epoca apostolica, relativizzando le affermazioni dogmatiche dei Papi e dei Concili nel corso dei secoli.

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  3. In secondo luogo, penso che dovrebbero essere criticati le posizioni di chi considera il Papato un ministero dell’unità, ma sinodale, cioè capace di conquistare una maggioranza e vincolante solo se la maggioranza degli interessati (cioè tutti i cristiani) ha deciso in tal senso. Il Papa come moderatore e guida del sinodo, niente di più, al massimo come testimone credibile, che ovviamente viene anche contraddetto.
    A questo approccio si aggiunge la reintroduzione del titolo di Patriarca d’Occidente, come attributo del Romano Pontefice dopo che Benedetto XVI lo aveva abbandonato. È un guadagno?. Personalmente, penso che sia un passo indietro e un discutibile autoannullamento dello sviluppo dottrinale cattolico romano riguardo all’ufficio petrino, che è sempre stato un pomo della discordia nella nostra questione, non solo a causa del fallimento morale dei papi, ma molto più fondamentalmente e teologicamente o in termini di politica ecclesiastica. Affermare nuovamente che il papato è di diritto divino e umano, per poter relativizzare storicamente e criticamente il suo esercizio giurisdizionale attraverso quest’ultima aggiunta, significa per me non credere nella Chiesa come istituzione divina. Ancora una volta: “Credo nello Spirito Santo, nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”. Mettere in discussione questo significa, secondo la concezione cattolica romana dello sviluppo del dogma, mettere in discussione l’infallibilità della Chiesa di Cristo in generale e del Papa in particolare.

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  4. In terzo luogo, si potrebbe anche parlare di riunificazione, ma tale riunione dovrebbe avvenire nella verità, e non come una forma di primato d’onore del Romano Pontefice per imbiancare una cristianità che rimane visibilmente separata di fatto e non riesce a raggiungere un consenso su questioni ecclesiologiche e dogmatiche essenziali.
    Deve essere risolta la questione coscienziosamente. Così come Gesù annunciò pessimisticamente o realisticamente che ci saranno sempre guerre, il dissenso nella cristianità su questioni come il ministero petrino e altre rimarrà purtroppo una realtà. Restiamo peccatori, e la nuova proposta o la nuova base di discussione non è altro che un debole tentativo di coesione, ma non di unità nella verità indivisibile che vale per tutti. Per noi questa verità è chiaramente quella cattolica romana, o volete forse sostenere che la Chiesa cattolica romana si è allontanata dalla verità di Cristo e dalla Sua volontà nel XIX secolo, in occasione del Vaticano I, con la dogmatizzazione del primato universale di giurisdizione del Papa (ex sese non ex consensu)? Eppure si trattava proprio dell’infallibilità!”
    No, il percorso proposto dal nuovo documento è per me un “miraggio” sui generis, che porta al caos o che calpesta l’esistente.

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