Sulla differenza fra il corpo e lo spirito - Quarta Parte (4/6)

 

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito

Quarta Parte (4/6)

Seconda parte – I fondamenti filosofici

Fisica antica e fisica moderna

La fisica aristotelica, prendendo in considerazione l’ente mobile, sensibile e quantitativo, ossia l’ente materiale nella sua intellegibilità, ha consentito di costruire una psicologia che a sua volta aprendosi alla conoscenza dell’anima come forma sussistente o separata ossia immateriale (usìa coristè) e quindi come spirito, ha consentito l’edificazione della metafisica, che considera l’ente indifferente al fatto che sia materiale o spirituale. In tal modo la metafisica, con la sua considerazione dell’ente il cui atto è l’essere, pone le premesse per l’edificazione della teologia naturale, in quanto essa si interroga sulla causa dell’atto d’essere dell’ente.

Quanto a Platone, se nella considerazione del mondo materiale egli riuscì a fondare la matematica, ma non riuscì a fondare la scienza fisica, la psicologia e la biologia, come invece riuscì Aristotele, il quale si accorse che il sensibile è unito all’intellegibile nella medesima cosa materiale vivente o non vivente, per cui anch’esso entra nell’orizzonte dell’essenza, dell’essere e della sostanza. Da qui la possibilità di quelle scienze che Platone non era riuscito a fondare per la sua diffidenza nei riguardi del divenire fisico e dei moti delle passioni. 

Sul piano etico, peraltro, mentre l’etica aristotelica non ha difficoltà a regolare la passione con la ragione, nasce invece nel platonismo, dove manca il fattore razionale di equilibrio, una situazione potenzialmente contradditoria ed oscillante fra rigorismo ed edonismo.

Nasce infatti la conseguenza per l’etica platonica nei confronti del mondo delle emozioni, che, mancando del suddetto rapporto passione-ragione fissato da Aristotele, rapporto che sarà poi fatto proprio dalla Chiesa per la mediazione di San Tommaso, il platonismo non ha altra scelta che fra il rigorismo e il lassismo.

Da qui, per trovare una soluzione, la possibilità di confondere sensualità e spiritualità, pur essendo partiti dalla loro opposizione, uno sbocco paradossale eppur comprensibile, come dimostra la storia della spiritualità, soprattutto orientale [1]. La spiritualità del romanticismo tedesco e della mistica protestante si pongono su questa linea.

Quanto alla moderna  fisica quantistica, nella sua sempre più raffinata indagine sulla materia fisica, biologica e cosmica, essa, partendo dal metodo galileiano-cartesiano perfezionati dalla fisica einsteiniana, ha scoperto a livello microfisico una materia sottilissima, mobilissima eppur calcolabile, che sembra superare lo spaziotempo, apparentemente insignificante, eppur capace di sprigionare un’enorme energia, materia sfuggente eppur utilizzabile, raggiungibile tuttavia seppur indirettamente dai sensi, quella che gli Inglesi chiamano software,  diversa dalla hardware, la materia che cade sotto i nostri sensi quotidiani.

Abbiamo dunque scoperto oggi più che mai una forma di materia mobilissima, sottilissima, infinitesimale e potentissima, che assomiglia allo spirito, materia la cui potenza si avvicina a quella dello spirito più di quella che gli antichi appena conoscevano o sospettavano. Del resto, il termine stesso «spirito», come è noto, evoca l’imponderabile ed impalpabile realtà del vento, realtà materiale e sensibile, eppur misteriosa e sfuggente, che ben rappresenta l’immaterialità, la trascendenza e la libertà dello spirito.

La scoperta e l’utilizzazione tecnica di questa realtà e delle sue energie straordinariamente potenti ed efficaci, trasformatrici, distruttive e produttive è stata resa possibile dal progresso nell’efficacia degli strumenti tecnici di indagine microscopica e, nella accurata e precisa registrazione e catalogazione dei fenomeni della natura fisica e migliorata conoscenza delle sue leggi formulate in modo matematico.

La scienza fisica moderna da una parte, nella sua indagine sempre più raffinata della micromateria e delle sue energie, ha assottigliato la distinzione fra spirito e materia, perchè a livello subatomico la materia assomiglia allo spirito, mentre la psicologia sperimentale moderna, dal canto suo, ha scoperto quanto il nostro spirito è legato alla materia.

Il rischio di oggi è quello di perdere di vista la distinzione fra materia e spirito e la consapevolezza che lo spirito è immensamente più importante della materia, ma nel contempo occorre anche evitare la superbia degli idealisti, che pur non ignorando l’importanza dello spirito, col pretesto dell’autocoscienza, cominciando dallo spirito, finiscono nella carne e ci fanno precipitare nella tragedia di Icaro o di Narciso.

Il rischio oggi dei fisici quantistici è quello di un entusiasmo eccessivo per le scoperte delle neuroscienze e della fisica nucleare, che possono far loro credere di essere loro i veri scopritori dello spirito, inteso come Uno-Tutto, materia-spirito, materia che si fa spirito, Autocoscienza totale ed assoluta, Uno divino del quale le singole coscienze umane sarebbero apparizioni momentanee e fugaci.

Resta comunque il fatto che non si può e non si deve confondere l’invisibile ad occhio nudo o il non percepibile o non immaginabile con i sensi, ma percepibile indirettamente e quindi sempre fisico e materiale, con ciò che è assolutamente inimmaginabile e invisibile o non sensibile perché sovrasensibile o metafisico, ossia puramente intellegibile e quindi immateriale e spirituale, rappresentabile solo metaforicamente, matematicamente, simbolicamente e in forza dell’analogia dell’essere.

L’invisibile del quale parla il Simbolo della fede, distinto dal visibile, non è un invisibile perché, pur essendo qualcosa di materiale, non è percepibile ai nostri sensi perché, per esempio, troppo piccolo, come sarebbe un atomo o una molecola di una sostanza chimica, ma perché si tratta di un ente del tutto immateriale. Questo è l’invisibile (aòraton) del quale parla San Paolo, quando dice:

 

«Ciò che è noto di Dio è a loro manifesto; Dio infatti lo ha loro rivelato. Infatti dalla creazione del mondo le sue perfezioni invisibili (aòrata) possono essere contemplate (kathoàtai) con l’intelletto (noùmena)nelle opere da Lui compiute (tois poièmasin)» (Rm 1,20).

Qui San Paolo distingue chiaramente la spiritualità divina immateriale e in tal senso invisibile o non sensibile ma visibile all’intelletto dalla realtà materiale delle opere divine, come effetti di una causa, ossia le creature, le quali non sono solo visibili all’intelletto ma anche al senso, come quelle materiali.

I fondamenti metafisici della distinzione fra spirito e materia

L’ente è ciò che ha un’essenza in atto d’essere. Se l’ente è composto di essenza ed essere, atto e potenza, se è un’essenza che ha l’essere o in atto d’essere; se l’essere è limitato dall’essenza, è un ente che può non essere, così che si può concepire anche come semplice possibile o pensabile, privo del suo essere. Infatti, il suo essere non è l’essere. Questo è l’ente creato e contingente e quindi causato nel suo essere, ossia creato.

Bisogna tener presente che la distinzione fra atto d’essere (atto, energheia) e poter essere (potenza, dynamis) non coincide con quella tra possibilità e attualità. Questa di pone sul piano logico del pensiero o del pensabile e riguarda l’alternativa possibile-impossibile, nonché la realizzazione dell’ideato. Qui si dà il passaggio dal possibile al reale (attuazione di un’idea) o dal non-essere all’essere (creazione). Ma può essere anche passaggio dall’essere al non-essere (annullamento o corruzione).

La distinzione atto-potenza invece riguarda piano ontologico o del reale, l’essere e consiste nella soggezione dell’essenza all’essere e della materia alla forma. L’attuazione qui non può essere un venir meno (per esempio la morte) come nell’attuazione di un possibile, ma è sempre un perfezionamento ontologico perché l’atto d’essere fa essere e completa ontologicamente il soggetto, sia la materia o sia l’essenza.

Se invece l’ente è un’essenza coincidente col suo essere, essenza infinita, non limitata dal suo atto d’essere, sì che non si possa concepire se non come esistente, questo è Dio, l’ente che è puro essere, assolutamente necessario.

Per formare la nozione metafisica dell’essere non si deve astrarre da tutto o da ogni cosa, come credeva Hegel, altrimenti alla fine non rimane nulla e per forza si è tentati di identificare l’essere col nulla. Astrarre vuol dire cogliere un qualcosa di intellegibile, ossia un universale, una forma o un’essenza a prescindere da altro o separandolo da altro. L’astratto che così si ottiene è un reale, è l’essere reale, che prescinde benchè non totalmente dagli inferiori, gli enti particolari determinati, giacchè anche loro appartengono all’orizzonte dell’essere.

Indubbiamente dobbiamo fare attenzione a non reificare o ipostatizzare il semplice contenuto delle nostre idee e dei nostri concetti, quasi fosse la realtà e non sua rappresentazione. Infatti ciò che è concreto nella realtà è astratto nella nostra mente, perché per conoscere noi astraiamo la forma universale dal particolare materiale, ma dobbiamo fare attenzione che la forma è nella condizione di astrazione solo nella nostra mente e non nella realtà esterna.

Le idee sono astratte per loro stessa natura; prendersela con le idee astratte come fanno gli empiristi, vuol dire prendersela con le idee e quindi sostituire la sensazione al pensiero. Il nostro intelletto vive nell’astratto e si attua astraendo l’ente universale; non può farne a meno perché è in tal modo che esso funziona e ci dà la verità. L’importante è astrarre bene, in modo corretto e legittimo e sapere che ciò che è astratto nella nostra mente non necessariamente è astratto nella realtà (spirituale), ma può essere concreto nella realtà (materiale) e non confondere le nostre idee con la realtà.

L’ente può essere astratto in quattro modi: astratto nel senso di essere ente reale realmente separato dalla materia e questo è l’ente spirituale o metafisico, ente puramente intellegibile; oppure può essere ente immaginabile, astratto solo mentalmente, e questo è l’ente matematico, che è materiale, ma solo quantitativo e non sensibile; oppure può essere l’ente fisico, ossia l‘ente universale astratto dall’ente particolare sensibile concreto materiale.

L’ente può essere o pura forma o ente composto di materia e forma. L’ente pura forma può essere o un’essenza che ha l’essere e allora abbiamo l’ente che non ha l’essere da sé, ma da altro, ossia l’ente creato; oppure può essere un ente la cui essenza è quella di essere e allora abbiamo un ente che è l’essere, è essere sussistente, e questo ente è Dio.

La scienza dell’ente in quanto ente è la metafisica. Essa, partendo dalla conoscenza dell’ente fisico, apre il pensiero all’ente comune e, come osserva San Tommaso, dall’ente comune eleva il pensiero alla conoscenza dell’ente totalmente separato dalla materia. Essa è quindi la scienza delle sostanze puramente spirituali, gli angeli e la sostanza infinita, Dio, quella che il Concilio Vaticano I chiama «una singularis simplex omnino et incommutabilis substantia spiritualis» (Denz.3001).

Per questo – osserva Tommaso[2] -, la metafisica, poiché tratta delle cose che per la loro somma intellegibilità sono massimamente separate o astraggono dalla materia, ossia le realtà spirituali, le «forme separate», gli angeli e Dio, «si afferma come massimamente intellettuale e regina e signora delle altre scienze.  … Infatti le predette sostanze separate sono universali e prime cause dell’essere».

Tommaso non intende dire che gli angeli abbiano un potere creatore, ma si riferisce con espressione di forte vigore metafisico al fatto che nella visione cristiana gli angeli sono custodi dei giusti, ministri della provvidenza e del governo dell’universo, nonché sterminatori delle potenze demoniache.

L’ente ha due generi di proprietà: quelle trascendentali, che coprono tutta l’estensione dell’ente, alcune come tali: l’uno, il qualcosa, il reale; altri in quanto appaiono alla sostanza spirituale: all’intelletto e allora abbiamo il vero; alla volontà e abbiamo il buono, all’intelletto unito alla volontà e abbiamo il bello.

Le altre proprietà sono quelle categoriali, che dipendono dalla distinzione fra sostanza e accidenti, con riferimento alla sostanza materiale; la quantità, la qualità, l’azione, la passione, l’abito, la relazione, lo spazio, il tempo, il luogo, la posizione o situazione.

L’ente agisce ed è causa. È dotato di una potenza operativa che esso fa passare all’atto.  Agisce per un fine ed è causa dell’effetto. Occorre dunque distinguere il soggetto agente dalla azione od operazione. L’ente comprende dunque: il soggetto, la potenza attiva e passiva, l’azione e la passione, l’effetto od oggetto dell’azione e della passione.

L’ente sia come ente che come agente è in relazione con altri enti. La relazione si aggiunge all’ente già costituito come ente e lo completa. La relazione suppone un soggetto che abbia la relazione e comporta un termine della relazione.

Il soggetto quindi non si risolve nel suo relazionarsi, perché può anche non relazionarsi e non per questo non mantiene la sua soggettività. Questo vale soprattutto per la persona, che è libera di relazionasi o non relazionarsi con questo o quello. L’ente relativo dipende dall’ente assoluto.

L’ente assoluto, Dio, non ha bisogno di relazionarsi e non lo può, per la sua somma perfezione; non può relazionarsi con nessuno. La sostanza creata, soprattutto la persona, è un ente limitatamente assoluto riguardo alla sua essenza perché capace di sussistere in se stesso, ma sostanzialmente relativo a Dio nell’essere.

La sussistenza di una natura individuale completa è la sostanza[3]. Se questa è una natura spirituale, allora si ha la persona[4]. Una sostanza[H1]  può essere o materiale o spirituale. La sostanza è l’ente categoriale completo analogico sussistente o esistente in sé; esso è rivestito di accidenti, che sono enti inerenti alla sostanza. 

L’ente si distingue in sostanza ed accidenti. La sostanza è l’ente sussistente: l’accidente è l’ente inerente alla sostanza.  L’ente si distingue in ente in potenza ed ente in atto. L’essenza è una sostanza in potenza ad essere attuata dall’essere. La materia è la sostanza che può ricevere o è in potenza a ricevere una forma.

Il concetto più ampio, perché la sua ampiezza è illimitata, è il concetto dell’essere trascendentale come atto dell’ente. Ogni altro concetto è meno ampio fino a scendere al più limitato, che è il concetto specifico. Ora il concetto di sostanza è il sommo genere, ma è pur sempre meno vasto del concetto dell’essere, perché condivide l’essere con l’essere accidentale.

D’altra parte noi non possiamo concepire Dio se non come sostanza. Nel definire dunque la natura di Dio noi poniamo la sua essenza in un cerchio logico meno ampio del concetto dell’essere. Ricordiamoci però che se Dio è una sostanza singola è ancor più lo stesso essere sussistente, sicchè, se vogliamo ampliare al massimo il nostro sguardo, così da renderlo il meno indegno possibile di contemplare il divino Oggetto, al di là della sostanza dobbiamo guardare all’ipsum Esse.

L’ente è ad un tempo uno e molteplice, diversificato. L’ente è vario ed analogico e per questo non si dice solo in un solo modo, ma anche in molti modi. Non è solo univoco ma anche analogo o polivoco. Si concepisce con un concetto e un nome analogico. L’equivocità invece appartiene solo ai concetti e ai nomi, perché solo nei nomi e nei concetti ci può essere falsità, confusione e contraddizione, ma non nella realtà. Il pensiero si può contraddire, ma non il reale. Non esistono cose confuse ma solo idee confuse.

Esiste un’analogia fra l’ente materiale e quello spirituale; c’è un’analogia tra le forze e il piacere fisico o corporeo e quelli dell’anima o dello spirito; c’è un’analogia fra i beni terreni e quelli celesti; l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio; esiste una somiglianza fra il vedere fisico e la vista dell’intelletto; per analogia si passa dalla conoscenza degli enti causati o creati alla scoperta della loro causa creatrice.

Ogni ente ha una sua identità diversa da quella di ogni altro. Questo principio fonda la singolarità ed irripetibilità della persona. Gli individui di una specie sono uguali e identici dal punto di vista della specie, ma non come individui. Un ente può non essere, e allora abbiamo l’ente contingente; ma è impossibile che l’ente sia e non sia simultaneamente, per cui è proibito affermare e negare simultaneamente.

Semmai occorre dire che l’ente che può non essere, ossia il contingente o il divenire, dato che non esiste di necessità, eppure esiste, occorre che il suo esistere sia fondato su di un ente che esiste di necessità, che è Dio.

Ogni ente reale esistente è un singolo ente, un ente individuale, un qualcosa, un hoc aliquid, un questo, diverso, distinto e differente dagli altri, per cui Il Beato Duns Scoto pensava che, essendo ogni ente intellegibile, fosse anche concepibile e definibile, pensava che avesse una forma essenziale singola formalmente distinta da quella degli altri enti, per cui parlava di una distinctio formalis ex parte rei, ossia una distinzione non solo di ragione o concettuale, ma reale, benchè non come fra cosa e cosa, ma nella medesima cosa, in questo caso la natura umana (ex parte rei). E per questo pensò che il questo avesse un’essenza singola, una questità (haecceitas).

Questa concezione però portò come conseguenza l’idea che nell’uomo l’anima spirituale non sia l’unica forma sostanziale[5] come insegnava il Concilio di Vienne, ma concorresse sia pur in funzione egemonica per formare la natura e la persona umana insieme con le altre due forme o anime inferiori, quella sensitiva e quella vegetativa, oltre al fatto che appariva sconveniente che l’anima spirituale informasse direttamente la materia prima, per cui si sentiva la necessità di frapporre fra l’anima spirituale e il corpo una forma intermedia, la «forma corporis», per cui il corpo, prima di unirsi all’anima spirituale, doveva già avere una forma per conto suo[6], che era appunto questa forma corporis.

Ma questa concezione, che denota un residuo platonico di ripugnanza per la materia, evidentemente non consente di fondare l’unità sostanziale del composto umano e prepara invece la visione cartesiana della res cogitans e res extensa, le quali, peraltro non tengono affatto al riparo dal materialismo, come dimostrò la possibile interpretazione materialistica che i filosofi illuministi fecero dell’antropologia cartesiana. La stessa visione empirista di Berkeley, Locke e Hume deriva da Cartesio. Il ridurre il corpo a spirito comporta sempre la riduzione dello spirito a corpo.

Ora bisogna dire che nell’uomo e in generale spirito e materia sono realmente distinti, distinti secondo l’essere, ma nel contempo appartengono entrambi all’orizzonte dell’essere, del reale. Spirito e materia sono enti reali. L’ente o la sostanza può essere o spirituale o materiale. L’ente non s’identifica né con lo spirito come credono gli idealisti, né con la materia come credono i materialisti.

Il pensiero è distinto dall’essere, benchè anche il pensiero appartenga all’orizzonte dell’essere; ma si tratta appunto dell’essere spirituale. L’essere spirituale è reale; ma i suoi prodotti, il concetto, l’idea, l’essere di coscienza, l’essere intenzionale o di ragione non sono reali, ma sono immanenti allo spirito.

La forma cioè può essere pura, fatta per sussistere da sola senza materia, come natura completa da sé oppure può essere mista, fatta per dar forma alla materia, con la quale forma la natura è completa. La materia non può esistere da sola senza essere informata dalla forma, perché è pura potenza di essere, e l’ente esistente è solo l’ente in atto.

Come si è detto, l’ente può essere o pura forma o composto di materia e forma. L’ente pura forma è lo spirito o sostanza spirituale: l’angelo e Dio. L’ente composto di materia e forma è il corpo o sostanza materiale. Il corpo può essere animato vivente oppure inanimato non vivente. La forma del corpo vivente è l’anima. Il corpo vivente è composto di corpo e anima. L’anima può essere spirituale (uomo), sensitiva (animale) e vegetativa (pianta). L’anima umana contiene in sé virtualmente le due anime inferiori.

La psicologia di Aristotele

utile per interpretare la visione biblica dell’uomo

San Tommaso ha commentato il trattato aristotelico sull’anima perchè si è accorto della sua utilità per capire la dottrina biblica ed ecclesiale circa la natura umana e il rapporto dell’anima col corpo. Aristotele non presenta l’anima come spirito (pneuma). Questa è dottrina di San Paolo. Ma la presenta come forma (morfè) e atto (energheia) del corpo organico atto a riceverla.

Potenza dell’anima è l’intelletto (nus), che è una forma separata (usìa coristè), cioè, a differenza dell’anima degli animali, che è unita alla materia (yle), l’intelletto umano «viene dal di fuori» (thyrathen) della materia.

Ossia per Aristotele, mentre l’atto conoscitivo dell’animale è congiuntamente atto dell’anima e del corpo, per cui, benché compia un atto vitale e immanente al soggetto, conosce le cose mediante l’organo materiale di senso, l’intelletto umano, pur considerando mediante l’operazione astrattiva l’essenza delle cose sensibili sperimentate dai sensi, agisce da solo, per conto proprio, senza servirsi di un organo corporale, per cui il suo atto è del tutto immateriale.

Il che vuol dire che la potenza intellettiva, agente o passiva, il nus è immateriale e per conseguenza l’anima umana che ne è il soggetto è immateriale, come a dire che è spirituale. Aristotele non usa la parola «spirito», che usano Cristo, San Paolo e la Sacra Scrittura (pneuma, ruach), ma ne possiede perfettamente il concetto. Di ciò San Tommaso si è accorto e per questo ha capito che Aristotele sapeva bene dell’esistenza e della distinzione fra spirito e corpo insegnate dal Concilio Lateranense IV e dalla Bibbia.

Tommaso pertanto confuta l’interpretazione degli averroisti i quali sostenevano che l’intelletto agente (nus poietikòs) immortale di Aristotele era uno e unico per tutti i soggetti umani, trascendente a tutti, ognuno dei quali possedeva il solo intelletto passivo (nus pathetikòs) mortale.

Tommaso fece capire che un conto è dire che tutti gli uomini capiscono la stessa cosa conosciuta, il che è verissimo e un conto è dire che tutti capiscono con un intelletto solo, uno per tutti, negando che ognuno abbia un suo proprio intelletto personale, un intelletto per conto suo, il che è falso. Averroè confondeva l’universalità (unum in multis intenzionale) del sapere con un inesistente intelletto unico per tutti (unum in multis ontologico).

In fondo la concezione idealista del sapere per la quale gli io empirici non sono che fenomeni contingenti dell’Io o dello Spirito assoluto, non è che una riedizione della concezione averroistica del sapere, con la differenza che mentre per Averroè l’intelletto agente trascende gli individui, l’idealista considera l’io empirico come fenomeno o apparizione dell’Io assoluto.

Assiomatica della forma

Indubbiamente la Scrittura non definisce mai l’anima umana come forma del corpo. Essa parla estesamente e con somma sapienza delle attività e degli interessi dell’anima, del suo primato sul corpo, della sua salvezza, del suo destino eterno. Essa chiaramente è il principio della vita, la possiede tanto l’uomo che l’animale. 

È con l’anima che l’uomo può amare Dio e raggiungere la beatitudine. Essa è strettamente imparentata con lo spirito e col «cuore», che indica l’interiorità dell’uomo, la sua coscienza morale, l’intimo delle sue intenzioni e dei suoi sentimenti. Certamente è immortale ed è creata ad immagine e somiglianza di Dio.

La forma è la determinatezza o taleità dell’essenza. Dà all’essenza l’esser quale o l’esser questa. La forma della sostanza è la forma sostanziale e la forma dell’accidente è la forma accidentale.  L’ente ha quella data natura per il fatto di avere quella data forma.  La forma dà l’esser tale all’ente. La forma può essere o inerente o esemplare. Quella è intrinseca alla sostanza; questa oggetto di imitazione.

Dio, purissima ed assoluta forma spirituale, creando il mondo, si rende partecipe della sua infinita perfezione formale secondo diversi gradi di perfezione. Per questo, la forma è una perfezione ontologica gerarchica che si attua secondo quattro gradi partendo dal basso: forma inerente, composta, corruttibile, immanente alla materia (minerali, piante e animali); forma sussistente, semplice, incorruttibile e trascendente la materia come parte dell’essenza (anima umana); forma sussistente come essenza completa passibile di ricevere l’atto di essere (angelo): forma sussistente coincidente col suo atto d’essere (Dio).

Padre Tomas Tyn descrive bene[7] come si devono concepire questi gradi di formalità in rapporto alla materia. Si tratta di diversi gradi di indipendenza della forma dalla materia. Il grado più basso è quello dove la forma è unita alla materia così da costituire un’unica essenza, senza che la forma sia capace di sussistere da sé senza la materia, la quale è quindi necessaria al sussistere della forma. Qui l’essenza della sostanza non è completa senza la materia, ma anche la forma non è sussistente. Abbiamo qui i minerali, le piante e gli animali. 

Al grado superiore abbiamo ancora che l’essenza non è completa senza la materia, ma la forma, ossia l’anima, è capace di sussistere da sé senza la materia. È questa la forma umana. Salendo di grado abbiamo la forma angelica, ossia l’angelo. Qui la forma coincide con l’essenza, per cui la sostanza è del tutto immateriale, ma la forma coincidente con l’essenza sussiste solo perchè è perfezionata dall’essere, che è distinto dall’essenza.

Al grado supremo la forma, che è quella divina, non solo è esente dalla materia, non solo, come quella angelica, sussiste come essenza completa, ma coincide col suo stesso essere.

La forma che dà principio alla vita del vivente materiale è l’anima. Essa è la forma sostanziale del corpo animato e vivente. L’anima può essere o vegetativa o sensitiva o spirituale. La prima dà vita alle piante; la seconda, che contiene in sé la prima, dà vita agli animali; la terza, che contiene in sé le altre due, dà vita all’uomo. 

Le anime vegetativa e sensitiva sono generate insieme col corpo e sono mortali, ossia alla morte si risolvono nella materia corporea dalla quale sorgono, perché sono composte. L’anima spirituale dell’uomo, invece, che è forma semplice sussistente, è immediatamente creata da Dio, è da Lui infusa nello zigote al momento del concepimento ed è immortale perché forma semplice.

Aristotele col suo ilemorfismo corregge il dualismo platonico evitando il monismo materialista degli antichi naturalisti ed operando una sintesi fra senso e intelletto, volontà e passioni, corpo e anima, materia e spirito, sulla base della distinzione fra ente ed essenza, atto e potenza, materia e forma nell’unica sostanza e natura dell’uomo.

Così la sola forma per Aristotele non esaurisce, come credeva Platone, tutto il piano od orizzonte l’essere: al livello più basso, umile, debole e potenziale della realtà creata c’è la materia prima (prote yle), scoperta da Aristotele. Il quale si accorse contro i platonici che anche la materia fa parte della realtà, ma nel contempo non condivideva l’opinione dei materialisti che esistesse solo la materia ed ignoravano lo spirito.

Aristotele comprese che anche la materia appartiene alla realtà. Anch’essa è ente, benché solo ente in potenza o potenza di essere. Dunque anche per lei valgono le categorie dell’essenza e della sostanza. Il «questo qui» (tode ti), l’individuo sensibile materiale come individuo non è oggetto di scienza in quanto essa ha per oggetto l’universale. Ma ciò non toglie che sia una sostanza reale.

Dunque il vedere un corpo o il vedere lo spirito non contrastano a vicenda, ma al contrario si richiamano a vicenda. Piacere sensibile e piacere spirituale sono fatti l’uno per l’altro. Aristotele, senza conoscere la Bibbia, ma in base alla sola ragione restaura la gnoseologia edenica per la quale Adamo ed Eva «era nudi e non ne provavano vergogna» (Gen 2,25). Senza questa sana visione della corporeità umana il dogma della risurrezione del corpo è impensabile.

La materia è buona come buono è lo spirito, perchè entrambi sono ente e l’ente di per sé è buono. La materia pertanto non spinge al male ma al bene. La Bibbia conferma questa visione di Aristotele insegnando ai materialisti che esiste il primato dello spirito sulla materia, e ai platonici che anche la materia è buona perchè creata da Dio bontà infinita.

Aristotele quindi concordava con Platone nell’ammettere la spiritualità dell’anima umana e dell’intelletto, nonchè le sostanze separate (usìai coristai). Aristotele si accorse che Platone mancava di equilibrio nella considerazione della materia non riuscendo a conciliarla con la forma.

Infatti o ammetteva la forma e allora escludeva la materia (materia come «spazio» (cora) o come («vuoto»). O ammetteva la materia («non-essere», me on), ma allora perdeva di vista la forma («idea»). O l’intelletto funziona e allora deve ignorare la materia ed estinguere la passione (pathos). O l’intelletto considera la materia, ma allora viene accecato e sopraffatto dalla passione (manìa).

Anche Aristotele ammette che la materia come tale è inintellegibile, ma è scientificamente conoscibile in quanto formata con le sue qualità sensibili. Per questo egli è il fondatore della fisica filosofica e sperimentale.

Aristotele riuscì a superare il contrastante sentimento che Platone provava davanti alla materia, che egli sentiva ad un tempo come ripugnante al suo spirito e come affascinante seduttrice. Aristotele accettò la distinzione platonica fra l’intellegibile e il sensibile, ma non li contrappose fra di loro come fece Platone. Li distinse solo per unirli.

Aristotele nell’antica Grecia ha precorso, sia pure con i limiti e i difetti di un semplice filosofo pagano, la sapienza etica del Vangelo. E come nel mondo di Aristotele vediamo le due figure opposte dei platonici e degli epicurei, così similmente nel Vangelo appaiono le due figure dei farisei e dei sadducei e nella stessa storia del cristianesimo etica rigorista ed etica lassista si faranno guerra fino ai nostri giorni.

Ma in questo perenne contrasto sempre ha operato come fermento di equilibrio, di sintesi e di conciliazione l’esempio e la parola di Cristo, preparati dalla sapienza aristotelica sublimata da San Tommaso, Dottore comune della Chiesa.

Fine Quarta Parte 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 2 giugno 2024

La scienza fisica moderna da una parte, nella sua indagine sempre più raffinata della micromateria e delle sue energie, ha assottigliato la distinzione fra spirito e materia, perchè a livello subatomico la materia assomiglia allo spirito, mentre la psicologia sperimentale moderna, dal canto suo, ha scoperto quanto il nostro spirito è legato alla materia.

Il rischio di oggi è quello di perdere di vista la distinzione fra materia e spirito e la consapevolezza che lo spirito è immensamente più importante della materia, ma nel contempo occorre anche evitare la superbia degli idealisti, che pur non ignorando l’importanza dello spirito, col pretesto dell’autocoscienza, cominciando dallo spirito, finiscono nella carne e ci fanno precipitare nella tragedia di Icaro o di Narciso.

Il rischio oggi dei fisici quantistici è quello di un entusiasmo eccessivo per le scoperte delle neuroscienze e della fisica nucleare, che possono far loro credere di essere loro i veri scopritori dello spirito, inteso come Uno-Tutto, materia-spirito, materia che si fa spirito, Autocoscienza totale ed assoluta, Uno divino del quale le singole coscienze umane sarebbero apparizioni momentanee e fugaci.

San Tommaso ha commentato il trattato aristotelico sull’anima perchè si è accorto della sua utilità per capire la dottrina biblica ed ecclesiale circa la natura umana e il rapporto dell’anima col corpo. Aristotele non presenta l’anima come spirito (pneuma). Questa è dottrina di San Paolo. Ma la presenta come forma (morfè) e atto (energheia) del corpo organico atto a riceverla. Potenza dell’anima è l’intelletto (nus), che è una forma separata (usìa coristè), cioè, a differenza dell’anima degli animali, che è unita alla materia (yle), l’intelletto umano «viene dal di fuori» (thyrathen) della materia.

La materia è buona come buono è lo spirito, perchè entrambi sono ente e l’ente di per sé è buono. La materia pertanto non spinge al male ma al bene. La Bibbia conferma questa visione di Aristotele insegnando ai materialisti che esiste il primato dello spirito sulla materia, e ai platonici che anche la materia è buona perchè creata da Dio bontà infinita.

Immagine da Internet: Gerard van Kuijl, Narciso, 1645, John and Mable Ringling Museum of Art, Sarasota, Florida

[1] Esempi classici, quelli del catarismo e del manicheismo, entrambi originati in Oriente. Notevole fu il tragico caso Rasputin agli inizi del secolo scorso, personaggio scandalosissimo, eppure monaco stimato dalla stessa famiglia imperiale, messo a confronto con la spiritualità rigorista e antifemminista del Monte Athos. Mai un’avventura del genere, che è stata possibile in Russia, sarebbe possibile in Occidente.

[2] Proemio del Commento alla Metafisica di Aristotele.

[3] Un buon excursus storico-critico sulla questione filosofica della sostanza lo troviamo nell’opera di Marie-Dominique Philippe, L’Être. Recherche d’une philosophie première, Téqui, Paris 1972, vol.I. Una buona trattazione speculativa è invece reperibile nell’opera di Tomas Tyn, Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, Edizioni ESD, Bologna 1991, Parte II - Aspetto sistematico, pp.387-955.

[4] Vedi Umberto Degl’Innocenti, Il problema della persona nel pensiero in San Tommaso, Libreria Editrice della Pontificia Università Lateranense, Roma1967.

[5] Questo difficile problema cosmologico-metafisico nella discussione fattane dai medioevali è ampiamente trattato nel libro di Aimé Forest, La structure métaphysique du concret selon Saint Thomas d’Aquin,Vrin, Paris 1956.

[6] Ora è vero che Dio crea ed infonde l’anima nello zigote, rendendolo con ciò stesso persona umana, ma quando l’anima spirituale, dopo aver sostituito l’anima vegetativa dello zigote, dà forma al corpo, l’anima spirituale dà forma direttamente alla materia prima, senza aver bisogno di altre forme intermedie, sennò addio unità sostanziale della persona. 

[7] Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, Edizioni ESD, Bologna 1991, pp.460-461. L’unica osservazione che farei è che non sembra il caso di parlare, come fa Padre Tyn, della forma inferiore che «tende» a quella superiore. In realtà ogni forma si trova bene al livello in cui Dio l’ha posta senza «tendenze» a salire di livello.


 [H1]As

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