La persona come sostanza e la persona come relazione - L’equivoco della cosiddetta «ontologia trinitaria»

 

 

La persona come sostanza e la persona come relazione

L’equivoco della cosiddetta «ontologia trinitaria»

 

Consubstantialem Patri

Exaltavit humiles

Nel numero uno di quest’anno del periodico PATH della Pontificia Accademia Teologica è apparso un articolo di Giulio Maspero Dall’ontologia di Nicea all’ontologia trinitaria, la cui tesi, intento e compito da lui proposto è presentato nelle ultime parole dell’articolo:

 

«Affrontare le sfide poste dalla post-modernità a partire dall’ontologia di Nicea e dal cammino teologico che ha portato a riconoscere la compenetrazione di relazioni e sostanza nel Dio unitrino può davvero permettere di dare risposta alla dimensione aporetica della metafisica classica e agli sforzi che la modernità ha implementato per superarla» (p.70).

Osservo innanzitutto che  la chiarificazione postnicena del mistero trinitario non è stata effetto di un «cammino teologico», ma di un progresso dogmatico, per il quale al Concilio di Firenze la Chiesa non ha insegnato nessuna «compenetrazione di relazioni e sostanza nel Dio unitrino», ma al contrario ha ben distinto la sostanza o natura divina, dove «omnia sunt unum» (Denz.1330), ossia tutti gli attributi divini si identificano tra di loro nell’infinita semplicità della natura o essenza divina dalla persona divina («relationis»).

Certamente Dio, l’unica e medesima sostanza divina, è Padre, Figlio e Spirito Santo, è tre persone; ma ciò non autorizza a confondere il concetto di Dio o di natura divina, che è, come dirà il Concilio Vaticano I, «una singularis, simplex omnino et incommutabilis substantia» (Denz.3001), col concetto di persona divina, che non è sostanza ma che è relazione sussistente («relationis oppositio», Denz.1330).

Questo fatto fa sì che esista una differenza essenziale fra il nostro essere persona e la persona divina in rapporto alla categoria della relazione. In noi la relazione con l’altro è un accidente, per cui io ho una relazione con qualcuno. Invece in Dio la relazione non si aggiunge alla paternità come se fosse un accidente, ma è sussistente, cioè a dire che il Padre non ha una relazione col Figlio, quasi fosse una sostanza come la nostra persona, ma è relazione al Figlio. Tutta l’essenza del Padre sta nell’essere. Egli non è come uno di noi che prima non è padre e poi lo diventa, ma è Padre per essenza e ab aeterno.

In secondo luogo la metafisica moderna nel suo aspetto valido, ossia non quella idealista hegeliana di origine cartesiana, ma quella realista aristotelica sviluppata dal tomismo moderno, non supera né risolve per nulla una supposta «dimensione aporetica della metafisica classica», se con questa espressione s’intende la metafisica aristotelica, nella quale, checché ne dica Severino e sembra dire lo stesso Maspero, non esiste alcuna contraddizione, alcun nichilismo o alcun dualismo, ma al contrario conferma quella metafisica perché su di essa si fonda, da essa parte ed essa perfeziona servendosi degli apporti validi della modernità e dello stesso idealismo tedesco.

Al contrario è la metafisica moderna nata da Cartesio ad essere aporetica, con la sua identificazione del pensiero con l’essere, giunta alle estreme conseguenze in Hegel, ad aver corrotto la metafisica classica così da creare una situazione teoretica insostenibile, responsabile nel secolo scorso del crollo dei valor morali, causa a sua volta delle due guerre mondiali.

La posizione metafisica di Maspero assomiglia a quella d Gustavo Bontadini: entrambi vedono nella metafisica «moderna», evidente riferimento alla linea Cartesio-Hegel, il superamento conciliativo ed unificatore dell’«aporia» della metafisica classica, cioè realistica, aristotelica utilizzata a Nicea. Certo, nessuno dei due rinnega il realismo in modo assoluto, sapendo bene, come cattolici, che è la gnoseologia approvata dalla Chiesa raccomandando la dottrina di S.Tommaso.

La differenza sta nel fatto che mentre Maspero propone una metafisica dell’essere come relazione della coscienza alla coscienza, Bontadini propone una metafisica dell’«unità dell’esperienza dell’essere» come essere fenomenologico correlato di coscienza, ispirato a Parmenide e chiama questa metafisica «neoclassica», trovando in Parmenide l’origine prima dell’idealismo come identità di pensiero ed essere,  che comunque Bontadini ritiene «inconfutabile», perché per lui il pensiero è «intrascendibile».

Bontadini non ha un’ontologia trinitaria perché sa come cattolico che la Trinità delle persone divine è oggetto di fede e quindi della teologia dogmatica  e non dell’ontologia. Maspero invece cade sotto l’orbita di Hegel, sebbene il suo progetto fosse stato già tentato nel sec.XIX da teologi cattolici come Günther, Hermes e Frohschammer, ma fu sconfessato dal Beato Pio IX. Oggetto dell’ontologia è l’ente, che è principalmente sostanza e non relazione, che è un accidente della sostanza. E se la metafisica arriva a sapere che esiste Dio, non si tratta certo del Dio trinitario, ma solo di quel Dio che è scoperto dalla ragione.

La metafisica non sa nulla del fatto che la relazione possa essere elevata al rango di sussistente, quasi fosse una sostanza e quindi non può assolutamente dimostrarlo. Ma Dio, che abbassa i superbi ed innalza gli umili, si è compiaciuto di servirsi del più basso di tutti gli enti, cioè la relazione, per rappresentare addirittura la Persona divina, la quale in Dio non è una sostanza, perchè sostanza è solo la natura divina, ma è relazione sussistente. Dunque l’ente trinitario certamente esiste, ma ciò lo sappiamo solo dalla fede, per cui è oggetto di fede e non può essere oggetto di ragione ossia della metafisica.

Se si può parlare della presenza di una triade nell’ente metafisico, questa è la composizione di soggetto, essenza ed essere, per cui diciamo che l’ente è ciò che ha un’essenza in atto d’essere.

L’ente trinitario non è l’ente come tale, ma l‘ente divino! È Dio e non l’ente simpliciter proprio della metafisica, ma è l’ente sommo e supremo, che è una natura, non una natura qualunque, ma la natura divina, che è una in tre persone.

Certo l’ente è analogico, ossia uno e molteplice. Ma ciò non vuol assolutamente dire uno di essenza e trino di persone. L’unità nella molteplicità propria dell’ente metafisico e trascendentale, rimanda al fatto che come dice Aristotele, «l’ente si dice in molti modi». È diversificato, differenziato. Ha più significati simili o dissimili fra loro, secondo diverse proporzioni, gradi e modalità d’essere, e tutte variamente convergenti verso un unico significato, di imperfetta non univoca unità, fino ad un ente sommo analogato al vertice di una pluralità di analogati inferiori.

In conclusione ha senso parlare di una teologia trinitaria, di un’antropologia e di un’etica trinitaria, perché qui abbiamo soggetti che hanno relazione con la Trinità: o in quanto Dio è certamente le tre Persone divine, o l’uomo realizza la volontà divina, che egli sia ed agisca come figlio del Padre, immagine del Figlio e mosso dallo Spirito Santo.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 11 ottobre 2024


La metafisica non sa nulla del fatto che la relazione possa essere elevata al rango di sussistente, quasi fosse una sostanza e quindi non può assolutamente dimostrarlo. Ma Dio, che abbassa i superbi ed innalza gli umili, si è compiaciuto di servirsi del più basso di tutti gli enti, cioè la relazione, per rappresentare addirittura la Persona divina, la quale in Dio non è una sostanza, perchè sostanza è solo la natura divina, ma è relazione sussistente. Dunque l’ente trinitario certamente esiste, ma ciò lo sappiamo solo dalla fede, per cui è oggetto di fede e non può essere oggetto di ragione ossia della metafisica.

Se si può parlare della presenza di una triade nell’ente metafisico, questa è la composizione di soggetto, essenza ed essere, per cui diciamo che l’ente è ciò che ha un’essenza in atto d’essere.

L’ente trinitario non è l’ente come tale, ma l‘ente divino! È Dio e non l’ente simpliciter proprio della metafisica, ma è l’ente sommo e supremo, che è una natura, non una natura qualunque, ma la natura divina, che è una in tre persone. 

Certo l’ente è analogico, ossia uno e molteplice. Ma ciò non vuol assolutamente dire uno di essenza e trino di persone.

Immagine da internet

2 commenti:

  1. Rimango stupito, come semplice lettore, di quanto alto possa essere il pensiero teologico. Tempo fa, lessi per caso un testo dell'allora Cardinale Ratzinger, dove appresi per la prima volta che la definizione di 'persona' è ancora oggetto di discussione in teologia, o almeno così credo di aver capito.

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    1. Caro Alessandro, la nozione di persona è stata formulata per la prima volta da Boezio, il quale l’ha definita così: “La sussistenza individuale di una natura razionale”.
      Quando è nata la questione di definire le persone divine, e questo è avvenuto già con Sant’Agostino, i teologi cominciarono a chiedersi come si poteva definire la persona divina. Il Concilio di Calcedonia aveva già definito che Cristo è una persona divina in due nature. Si cominciò col chiedersi se la persona divina si poteva considerare una sostanza. Ma il Concilio di Nicea lo proibiva, perché esso chiamò sostanza non la persona divina, ma la natura divina.
      Allora, quale categoria usare per definire la persona divina? Sant’Agostino ebbe la geniale idea di definirla una relazione sussistente. E questa definizione fu accettata dal Concilio di Firenze del 1442.

      Oggi è in atto una grande discussione per il fatto che si è tornati a discutere su quella che è la dignità della persona umana. Alcuni ritengono che, siccome la persona divina è una relazione, allora anche la persona umana dovrebbe essere una relazione.
      Questa idea a tutta prima sembra molto bella, perché sottolinea quello che dovrebbe essere l’impegno sociale della persona. Tuttavia resta il fatto che la persona umana in sé stessa è una sostanza, così come l’ha definita Boezio, in qualche modo ripreso dal Concilio di Viennes del 1312, il quale definisce l’anima umana “forma sostanziale del corpo”.

      Allora, su che cosa possiamo discutere oggi? Potremmo prendere ad esempio la questione degli omosessuali. A questo proposito la Chiesa tiene a distinguere la persona del peccatore dai peccati che essa commette. Ciò suppone la distinzione tra la persona e le sue relazioni, perché, mentre la persona è creata da Dio con una altissima dignità, la persona ha la facoltà di avere con gli altri relazioni sane o peccaminose, o di relazionarsi o non relazionarsi.
      Da ciò noi comprendiamo che il risolvere la persona nella relazione è cosa sbagliata, perché comporta il rischio di risolvere la persona nella relazione o nel peccato che commette, e questa è cosa ingiusta perché porta ad ignorare i lati buoni della persona.
      La discussione allora è con coloro che si ostinano a negare questa distinzione e quindi si oppongono ai documenti pastorali della Chiesa, che invece sono basati su questa distinzione.

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