Dialogo ecumenico e dialogo intraecclesiale - Riflessioni su di una svolta storica della Chiesa

 

Dialogo ecumenico e dialogo intraecclesiale

Riflessioni su di una svolta storica della Chiesa

L’evento del Concilio Vaticano II è stato per la Chiesa un parto doloroso, che, come ci narrano gli storici[1] ha comportato un drammatico travaglio interno, ma col risultato entusiasmante di portare alla luce e di offrire al mondo una maniera più evangelica di annunciare al mondo il Vangelo.

La Chiesa ha saputo mantenere la propria identità correggendo il suo stile pastorale, mostrandosi maggiormente madre e maestra al servizio dell’intera umanità ed accogliendo con discernimento ed occhio critico alla luce del Vangelo i valori del pensiero moderno.

Non tutti hanno capito il senso di questa svolta storica. Alcuni hanno creduto che la Chiesa avesse mutato la sua essenza[2] e si fosse mondanizzata. Altri, infetti di modernismo, hanno interpretato con gioia il volto nuovo che la Chiesa offriva di se stessa come compimento del loro disegno di una Chiesa finalmente in linea con la modernità[3].

Uno dei perni di questa svolta, uno dei temi di fondo, una questione o elemento cruciale che dette luogo al suddetto travaglio, oggetto di appassionate discussioni verificatesi tra i Padri stessi del Concilio, con somma preoccupazione e sofferenza di San Paolo VI, fu non solo e non tanto il tema del dialogo intraecclesiale, quanto piuttosto il dialogo col mondo, il dialogo ecumenico, interreligioso ed universalmente umano.

La Chiesa del Concilio, per iniziativa di molti Padri, sollecitati dall’impulso riformatore di San Giovanni XXIII, aggiungeva all’atteggiamento nei confronti dell’esterno da lei avuto fino ad allora, atteggiamento semplicemente didattico o di condanna degli errori, un atteggiamento certo rispondente alla sua missione, ma che adesso i Padri, che volevano la suddetta svolta storica, aggiungeva un atteggiamento critico verso se stessa, volto a riconoscere con rammarico certi comportamenti troppo severi o sbrigativi del passato. 

È qui che avvenne uno scontro fra gli stessi Padri, perché alcuni influenzati dal modernismo, tendevano a voler mutare dottrine e tradizioni già definite, mentre altri, attaccati a uno stile pastorale ormai superato, legati a un concetto troppo ristretto di dialogo, troppo diffidenti nei confronti della modernità, dell’ecumenismo e delle religioni non cristiane, temevano scandalizzati che i progressisti progettassero sotto il pretesto del dialogo un sovvertimento delle strutture essenziali e delle tradizioni della Chiesa e del contenuto dei dogmi.

Tanto l’istanza di conservare e tutelare le strutture essenziali della Chiesa, di mantenere la sua funzione di giudice del mondo e dei suoi errori, quanto quella di offrire al mondo moderno l’immagine di una Chiesa fraterna, accogliente, modesta, attraente, comprensiva, credibile e persuasiva, pur conservando la sua impareggiabile autorevolezza, erano istanze giuste, ma i Padri fecero un’enorme fatica a comprendersi e ad ascoltarsi fra di loro, per trovare una sintesi fra le esigenze della tradizione e i bisogni e prospettive validi del progresso e della modernità,  fra la fedeltà all’immutabilità del dogma e la necessità e il dovere  del progresso dogmatico.  

Ad alcuni tradizionalisti il progresso sembrava rottura, mentre altri, influenzati dal modernismo, scambiavano il progresso con la rottura. I tradizionalisti scambiavano l’immutabilità con l’immobilismo, i progressisti scambiavano il progresso con lo storicismo e l’evoluzionismo.

Ma alla fine delle discussioni – cosa meravigliosa! – i Padri concordarono nei documenti finali, che fanno testo e costituiscono dottrina infallibile, mentre il tormentoso susseguirsi e accavallarsi degli atti conciliari, con le loro contraddizioni e falsità, evidentemente non hanno alcun valore normativo o dogmatico e sarebbe errore gravissimo, come fanno Alberigo e De Mattei su fronti opposti a dare più importanza a quegli eventi preparatori e superati piuttosto che ai documenti finali.

Tuttavia, anche dopo la pubblicazione delle decisioni del Concilio, alcuni, capeggiati da Mons. Lefebvre, attaccati a una malintesa tradizione, nonostante tutte le spiegazioni ricevute da Santi Pontefici, come Paolo VI e Giovanni Paolo II, si sono ostinatamente rifiutati di capire il valore delle nuove dottrine conciliari col pretesto che non si trattava di dogmi solennemente definiti.

Mons. Viganò, per sua espressa dichiarazione, si pone su questa linea, anche se è vero che la disgrazia peggiore che ha fatto seguito al Concilio non sono i lefevriani, ma i rahneriani, i quali, dando un’interpretazione modernistica del Concilio hanno disgustato, scandalizzato e fuorviato molti cattolici, mentre altri li hanno ingannati facendo loro credere di essere cattolici ed invece facendoli cadere nell’eresia[4].

Che cosa la Chiesa conciliare intende per «dialogo»? Esso non esclude l’insegnamento e la correzione degli errori, ma aggiunge a questi compiti essenziali lo scambio di idee, l’arricchimento ed informazione reciproci, il perdono reciproco, la ricerca comune, il dibattito delle opinioni, il rispetto per l’opinione altrui, la modestia nel giudicare e proporre ciò di cui non si è certi,   l’ascolto reciproco, il saper argomentare, il non dar per certo quello che è opinabile.

Il dialogo non è fine a se stesso, ma è ordinato all’annuncio e all’evangelizzazione. Cristo non ha detto agli apostoli: «dialogate», ma «predicate». Esiste l’Ordine dei frati predicatori, ma non quello dei frati dialoganti.

Il dialogo serve a che tutti assieme, progredendo assieme, aiutandoci vicendevolmente, chi sa di più comunicando a chi sa di meno, chi è nell’errore lasciandosi correggere da chi è nella verità, chi è indietro seguendo chi è avanti, concordiamo nell’unica suprema, universale, immutabile e piena conoscenza della verità rivelata da Cristo per la nostra salvezza, dopo che tutti hanno superato errori, equivoci, fraintendimenti, ostacoli, lacune e insufficienze. 

Occorre distinguere il dialogo intraecclesiale tra le diverse correnti, tendenze, movimenti, scuole o spiritualità cattoliche dal dialogo extraecclesiale, ecumenico, interreligioso, con i non-credenti, con la cultura moderna. 

Dobbiamo osservare che mentre il dialogo ad extra va discretamente bene, il dialogo ad intra è in pessime condizioni. Ma anche il dialogo ad extra non deve fermarsi alla constatazione dei valori comuni, ma i fratelli separati devono aprirsi alla possibilità e al dovere di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.

Col Concilio la Chiesa ha voluto giustamente superare una pastorale eccessivamente preoccupata di delimitare con precisione i limiti del cattolicesimo dando troppo scarsa importanza ai valori esistenti nel mondo moderno al di là di quei confini, una Chiesa troppo preoccupata di preservare e proteggere i suoi figli dal contagio e dai pericoli  del mondo, una Chiesa che riteneva i suoi figli incapaci di difendersi dai pericoli del mondo e di rintracciare in esso dei valori, una Chiesa che scoraggiava i cattolici dal confrontarsi con i non-cattolici e col pensiero moderno.

È successo però che in molti casi non siamo riusciti a superare il dissidio fra lefevriani e rahneriani, fra passatisti e modernisti, una ferita, una lacerazione, una reciproca ostilità e incomprensione, una ostinata e spocchiosa chiusura reciproca, nata tra gli stessi Padri del Concilio, nonostante le sagge indicazioni del Concilio, atte di per sé a sanarla. E tuttavia essa sanguina ancora.

Gli odi e il disprezzo reciproci non sono spariti, ma continuano ad avvelenare e impedire i rapporti e manca la carità. È qui che occorre più che mai mettere in atto il dialogo insegnato dal Concilio. I rahneriani, che si vantano di essere i continuatori del Concilio, col loro disprezzo per i lefevriani (del resto da loro lautamente ripagati), non danno affatto prova di praticare il dialogo insegnato dal Concilio e danno quindi occasione ai lefevriani di inveire contro il Concilio.

Il caso Viganò[5] è un segno impressionante e drammatico che non siamo ancora riusciti a far la pace tra di noi. Lefevriani e rahneriani sono incapaci di conciliarsi fra di loro perché entrambi sono in conflitto col Papa, i primi apertamente, i secondi nascostamente.  

Noi cattolici normali, sinceramente e pienamente in comunione con la Chiesa e col Papa purtroppo abbiamo poca forza per farci sentire, perché i grandi mass-media sono in mano dei modernisti e dei massoni. Tuttavia possiamo essere mediatori di pace con l’esempio di un’integrale vita cattolica e se gli uomini non ci ascoltano, certamente ci ascolterà Dio.

Quelli che fanno più chiasso sono i lefevriani e i rahneriani, entrambi con la pretesa di essere modelli di cattolicesimo per tutta la Chiesa, i primi come araldi della tradizione, contro il Concilio; i secondi, falsi interpreti e quindi falsi apologeti del Concilio.

Occorre che tutti mettano tutte le forze nel congiungere tradizione e progresso, conservazione e novità, temporalità ed eternità, unitario e diversificato, passeggero e permanente, convenzionale e naturale, sostanziale ed accidentale, obbligatorio e facoltativo, contingenza e necessità, mutamento e immutabilità, identità e trasformazione.

Distinguendo i diversi piani, ambiti od orizzonti sui quali questi valori si pongono, ci saranno spazi per tutti, senza che nessuno venga escluso essendo tutti necessari alla vita della Chiesa e al sereno cammino della santificazione cristiana.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 22 giugno 2024 


Alla fine delle discussioni – cosa meravigliosa! – i Padri concordarono nei documenti finali, che fanno testo e costituiscono dottrina infallibile, mentre il tormentoso susseguirsi e accavallarsi degli atti conciliari, con le loro contraddizioni e falsità, evidentemente non hanno alcun valore normativo o dogmatico e sarebbe errore gravissimo, come fanno Alberigo e De Mattei su fronti opposti a dare più importanza a quegli eventi preparatori e superati piuttosto che ai documenti finali.

Tuttavia, anche dopo la pubblicazione delle decisioni del Concilio, alcuni, capeggiati da Mons. Lefebvre, attaccati a una malintesa tradizione, nonostante tutte le spiegazioni ricevute da Santi Pontefici, come Paolo VI e Giovanni Paolo II, si sono ostinatamente rifiutati di capire il valore delle nuove dottrine conciliari col pretesto che non si trattava di dogmi solennemente definiti.

Mons. Viganò, per sua espressa dichiarazione, si pone su questa linea.

Immagine da Internet: https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2024-06/account-x-di-vigano-annuncio-di-un-processo-per-scisma.html 


[1] Roberto De Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino 2010.

[2] Romano Amerio, Iota unum. Studio sulle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Lindau, Torino 2009.

[3]Hans Küng, Chiesa, Queriniana, Brescia 2021.

[4] Tipici storici della teologia postconciliare che classificano tra i cattolici, alcuni che cattolici non sono, sono Battista Mondin e Rosino Gibellini.

2 commenti:

  1. "Lefevriani e rahneriani sono incapaci di conciliarsi fra di loro perché entrambi sono in conflitto col Papa, i primi nascostamente, i secondi apertamente".

    Ma no... i primi apertamente, i secondi nascostamente.

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