Giovanni il Teologo
Il discepolo che Gesù amava
(Gv 21,7.20)
Dio è libero di prediligere chi vuole
Un buon maestro ama tutti i suoi discepoli, ma tra questi ama maggiormente coloro che maggiormente lo ascoltano, capiscono, apprezzano e approfondiscono la sua dottrina e lo amano più degli altri. Così ha fatto Gesù: ha dotato Giovanni figlio di Zebedeo di un eminente dono di intelligenza e di amore, che gli ha consentito di comprendere ed apprezzare i segreti più reconditi della dottrina del Maestro, i dati più sublimi della Rivelazione, le esigenze più alte del Vangelo, l’aspetto più profondo della personalità di Cristo.
Nel suo Vangelo, nelle Lettere e nell’Apocalisse ha preso nota di insegnamenti del Maestro che agli altri Evangelisti erano sfuggiti o apparsi incomprensibili o comunque non degni di speciale interesse, un po’ come capita per tanti, anche persone buone ed amanti di Dio, i quali però non si sentono attratti da scienze come la filosofia, la metafisica o la teologia, non sentono il bisogno o non hanno la capacità di salire a quel difficile ed astratto livello speculativo, perché per loro sono sufficienti nozioni morali e religiose più comuni, ordinarie, elementari e di base e più alla loro portata.
Giovanni nel suo Vangelo non si presenta in prima persona col suo nome, ma parla di sé e nomina sé stesso (uno dei «figli di Zebedeo») in terza persona, qualificandosi come il «discepolo che Gesù amava». Alcuni hanno pensato che questo discepolo fosse Lazzaro, per il fatto che quando Gesù giunge al suo sepolcro, si mette a piangere, per cui alcuni esclamano: «vedi come lo amava!» (Gv 11,36). Ora dobbiamo chiederci che cosa significa «il discepolo che Gesù amava». È chiaro che Gesù amava tutti, per cui dovrebbe essere altrettanto chiaro che quell’espressione significa amava in modo speciale, cioè prediligeva.
Con tutto il rispetto di Lazzaro appare del tutto inverosimile che Gesù amasse Lazzaro più di Giovanni, colui che ci rivela i più intimi segreti di Cristo, mentre di Lazzaro non risulta se non che era un amico del Signore. Giovanni è Apostolo ed Evangelista; Lazzaro è certamente una buona persona, ma non è altro che un comune discepolo di Cristo.
Segni della predilezione che Gesù aveva per Giovanni sono il fatto che insieme con Giacomo e Pietro Gesù lo presceglie tra gli altri apostoli per assistere alla sua trasfigurazione sul monte Tabor, ed anche il fatto che Giovanni, insieme con Giacomo e Pietro assistono Gesù nel Getsemani (Mc 24,32).
Famosissimo è il momento in cui Giovanni, all’ultima Cena, appoggiandosi sul petto di Gesù, Gli chiede chi è che lo tradirà.
A Giovanni Gesù morente sulla croce affida sua Madre affinchè ne abbia cura dopo la sua morte e Giovanni la accoglie nella sua abitazione. Con le parole rivolte a Giovanni «ecco tua Madre» Gesù intende costituire Giovanni come simbolo, modello e rappresentante di tutti i devoti della Madonna.
Dopo la risurrezione di Gesù, Giovanni, giunto al sepolcro prima di Pietro, lo lascia entrare per primo per rispetto, ma una volta entrato e vedendo le bende piegate da una parte, capisce che Gesù è risorto, mentre Pietro non ha capito.
Giovanni e i
Sinottici
I Sinottici confermano e completano la narrazione giovannea con i dati basilari ed elementari della Rivelazione, accessibili ad ogni fedele. Giovanni aggiunge una conoscenza più profonda e sublime del mistero di Cristo, che non è obbligatoria per tutti, ma solo per coloro che nella Chiesa devono essere maestri, dottori e pastori e ancor più per quei pochi che sono chiamati alla vita mistica, come i monaci e i contemplativi.
Solo la cristologia paolina è all’altezza di quella giovannea per la ricchezza e profondità dei temi trattati. La mistica cristiana trova fondamento non nei Sinottici ma nelle cristologie di Giovanni e Paolo che si completano a vicenda. È solo qui che troviamo la dottrina mistica dell’unione del cristiano e della Chiesa con Cristo nello Spirito.
In Giovanni troviamo esplicitamente il culmine di quella conoscenza salvifica essenziale e necessaria, comune e sufficiente del mistero di Cristo già presente implicitamente nei Sinottici, fatta per i fedeli che non posseggono speciali doni mistici o non si sentono interessati alla teologia speculativa e neppure capaci di penetrare o indagare così a fondo il mistero di Cristo, sentendosi soddisfatti di quanto riescono a recepire e a gustare. Così similmente si può avere il cibo quotidiano ad una tavola calda senza che occorra accedere a un ristorante di prima classe.
Importante è evitare l’errore di coloro che danno la preferenza ai Sinottici credendo che essi abbiano un carattere più storico e interessante dal punto vista pratico, mentre considerano il Vangelo di Giovanni come una serie di elucubrazioni personali di Giovanni, eventualmente inficiate di gnosticismo, sulla base di astratti princìpi a priori o idee metafisiche greche. Niente di più falso. Gii esegeti più seri hanno mostrato come la speculazione giovannea parte dall’ esperienza del contatto fisico con Cristo e col suo ambiente umano storico e concreto.
Notiamo altresì che tra tutti gli Evangelisti Giovanni è quello che maggiormente insiste sul carattere agapico dell’etica cristiana. Dobbiamo amarci non solo come fratelli, ma sull’esempio di Cristo che ha dato la sua vita per noi, dobbiamo dare la nostra vita gli uni per gli altri. Tutti i comandamenti si riassumono nella legge dell’amore. Amare è conoscere e conoscere è amare. Giovanni elabora alla scuola di Cristo un’etica della verità e una teologia dell’amore.
A differenza del suo Vangelo, dove, pur parlando molto di sé stesso e facendo il proprio nome in terza persona, Giovanni non si presenta mai in prima persona col suo nome, Giovanni si presenta e nomina sé stesso nell’Apocalisse. Perchè questa differenza? Probabilmente perché nel Vangelo vuol narrare i benefìci spirituali eminenti ricevuti da Cristo e quindi apparire un semplice discepolo e testimone; non vuol mettersi in mostra col nominare sé stesso.
Invece nell’Apocalisse egli ha ormai l’autorità dell’Apostolo ed Evangelista che ha patito per Cristo l’esilio, per cui ritiene opportuno ed anzi doveroso nominare se stesso come fa qualunque autorità costituita nei confronti dei sudditi, avendo ormai acquistato un prestigio che rende credibile la sua testimonianza e vincolante in coscienza presso i fedeli il messaggio divino che trasmette.
Teniamo infatti presente che il contenuto dell’Apocalisse non è di genere storico-narrativo circa la vita, la dottrina e le opere di Cristo come lo sono i Vangeli, ma è sostanziante ciò che Cristo stesso in Persona, che gli è apparso e gli parla, rivela a Giovanni col comando di trasmetterlo alla Chiesa, come avviene nelle rivelazioni profetiche.
Ciò non toglie che il contenuto dell’Apocalisse sia nel contempo una sintesi della storia sacra ed un approfondimento operato da Giovanni stesso della sua conoscenza del mistero di Cristo, una visione ultima e definitiva, che Cristo stesso concede a Giovanni da comunicare alla Chiesa. Stiamo attenti pertanto a non considerare questa teologia di Giovanni come la semplice opera di un teologo scolastico che ricava deduttivamente delle conclusioni a suo rischio e pericolo dalle premesse di fede in suo possesso.
Le cose non stanno così. Giovanni semplicemente ci riferisce ciò che ha visto, udito e capito, anche se è vero che riveste le sue visioni teologiche di un ricco apparato immaginario e simbolico, tratto dalla sua personale creatività o cultura, apparato che a volte può sembrare strano, incomprensibile o addirittura fastidioso.
Ma ciò non è altro che la parte umana che l’agiografo per forza di cose utilizza e congiunge, come sua mediazione, dell’espressione concettuale del messaggio divino. L’importante è capire i concetti di fede e nessuno c’impedisce di considerare antipatiche o inaccettabili la simbologia, le metafore, le figure o le immagini usate da Giovanni, perché esse non hanno nulla a che vedere con la Parola di Dio.
Ciò vuol dire che Giovanni, più che un teologo, è un veggente, un profeta e un mistico. Se vogliamo, è anche poeta nell’esprimere con immagini fantastiche o figure paradossali la Parola di Dio. Così egli non narra come nel suo Vangelo ciò che Cristo ha fatto e insegnato nel mondo davanti a tutti, ma racconta ciò che è successo a lui: Cristo gli è apparso e gli ha parlato. Qualcosa di simile sul piano delle rivelazioni private avviene nelle apparizioni mariane.
Bisogna fare attenzione che Giovanni nell’Apocalisse mette in parte al futuro ciò che è passato (per esempio la battaglia fra gli angeli alle origini del mondo: c.12, 7-9) e al passato ciò che è futuro (la vittoria di Cristo su Satana: c.17). Questo per significare che per Giovanni la storia sacra non è un semplice succedersi di fatti contingenti nel tempo, ma la visione di questi fatti nella luce dell’Eterno e nel loro rapporto con l’Eterno, dove passato e futuro non si succedono ma stanno assieme e addirittura, per motivi speculativi, possono essere scambiati.
Peculiarità della cristologia giovannea
rispetto ai Sinottici
In Giovanni troviamo gli attributi più elevati del mistero cristiano di Cristo e del cristianesimo, che non troviamo negli altri evangelisti, mentre solo Paolo, con una tematica diversa, si pone all’altezza di Giovanni.
Soltanto Giovanni ha la dottrina del Logos, il Verbo del Padre, facendoci capire il rapporto del Padre col Figlio: come la mente concepisce una cosa, così il Padre genera il Figlio. Il generare del Padre, dunque, non ha nulla a che vedere con un atto sessuale, come avviene nelle divinità pagane, ma è un atto spirituale simile a quello col quale noi produciamo nella nostra mente il pensiero o il progetto di qualcosa.
Solo Giovanni ha la dottrina dell’Incarnazione: o Logos sarx eghèneto, espressione che può essere fraintesa, perché sembra comportare un divenire in Dio. Per questo essa può essere capita solo col confronto con San Paolo, il quale chiarisce col dire che Cristo «assume la condizione di servo» (Fil 2,7), sicchè essa prepara quello che sarà il dogma niceno della divinità di Cristo e quello calcedonese delle due nature nell’unità della Persona del Figlio.
Solo Giovanni ha la dottrina dell’«Io Sono», per cui Cristo attribuisce a Se stesso quel nome che Dio attribuisce a Sé nel rivelarsi a Mosè (Es 3.14), nome che San Tommaso spiega dicendo che Dio è l’ipsum Esse per se subsistens.
Solo il Cristo giovanneo asserisce di essere la Verità (Gv 24,6), supponendo l’idea di una verità sussistente, fatta persona, che non può che essere Dio, per cui, attribuendo a sé questo essere la verità, Cristo per conseguenza asserisce di essere Dio.
A questa percezione vivissima che Giovanni ha dell’importanza della verità corrisponde un’opposizione fortissima al pericolo dell’errore. Davanti alla questione della verità non si può fare il doppio gioco; bisogna pronunciarsi: o sì, e allora si scegliere Cristo, il «Verace» (Ap 3,7) o no e allora si va col demonio, il mentitore e il bugiardo per eccellenza. Questo è il significato del «sì, sì, no, no» che ci prescrive Cristo. A questa opposizione tra verità ed eresia corrisponde in Giovanni l’opposizione fra i «figli di Dio» e i «figli del diavolo». Così pure Cristo il cavaliere apocalittico (Ap 19, 12-16) combatte contro l’anticristo, collaboratore di Satana.
D’altra parte Giovanni, a differenza dei Sinottici che danno molta importanza agli ossessi e non invece all’influsso di Satana nelle eresie, a somiglianza di San Paolo, sa che il pericolo dell’azione demoniaca, più che essere quello delle possessioni, è l’astuzia con la quale il demonio fa deviare le menti anche dei dotti dalla verità (II Gv 7).
Solo il Gesù giovanneo dichiara di essere uscito dal Padre, di essere una cosa sola col Padre, di essere venuto al mondo e di tornare al Padre (Gv 16,28) e che chi vede Lui vede il Padre (Gv 14,9).
Solo il Cristo giovanneo annuncia che per avere la vita eterna occorre mangiare la sua carne e bere il suo sangue.
Solo il Gesù giovanneo dichiara di essere il Messia (Gv 4,29).
Solo Giovanni riferisce che Gesù si faceva uguale a Dio (Gv 5,29).
Solo il Cristo giovanneo presenta il sacrificio della croce come gloria di Cristo e dono d’amore che il Padre ha fatto al mondo per la sua salvezza.
Solo il Cristo giovanneo dice che la vita eterna consiste nella conoscenza del Padre e di Colui Che il Padre ha mandato (Gv 17, 3).
Solo il Cristo giovanneo dice di possedere una gloria precedente alla fondazione del mondo (Gv 17,5).
Solo Giovanni annuncia che noi in Cristo siamo figli di Dio destinati in cielo a vedere Dio così com’È (I Gv 3,1-2).
Solo a Giovanni Cristo rivela in dettaglio la sua vittoria alla fine del mondo in una battaglia contro tutte le potenze del male (Ap 19, 12-21; 20, 7-10).
Giovanni fra gli Evangelisti è quello che maggiormente si eleva più in alto, ma nel contempo è quello più attento alla concretezza della temporalità, del dettaglio e dei particolari, testimonianza nella sua spiritualità di quanto aveva assorbito nella sua vita il mistero dell’Incarnazione che congiunge l’infinitamente grande con l’immensamente piccolo, il cielo con la terra, lo spirito con la materia, l’uomo con Dio.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 6 ottobre 2024
Solo Giovanni annuncia che noi in Cristo siamo figli di Dio destinati in cielo a vedere Dio così com’È (I Gv 3,1-2).
Giovanni fra gli Evangelisti è quello che maggiormente si eleva più in alto, ma nel contempo è quello più attento alla concretezza della temporalità, del dettaglio e dei particolari, testimonianza nella sua spiritualità di quanto aveva assorbito nella sua vita il mistero dell’Incarnazione che congiunge l’infinitamente grande con l’immensamente piccolo, il cielo con la terra, lo spirito con la materia, l’uomo con Dio.
Immagine da Internet:
- San Giovanni Evangelista, Vladimir Lukič Borovikovskij
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