Il cuore e il cervello
In margine all’enciclica del Papa sul Sacro Cuore di Gesù
Dolce cuor del mio Gesù
fa che io t’ami sempre più,
dolce cuore di Maria
siate la salvezza dell’anima mia.
Un cuore umano e divino
Come tutti sanno, il Papa ha recentemente pubblicato un’enciclica la Dilexit nos indirizzata al mondo intero tormentato dalle guerre, con la quale Egli ci spiega l’amore col quale Cristo ci ha amati e ci ama e l’amore col quale noi dobbiamo corrispondere a tale amore al fine di collaborare assieme fraternamente per l’edificazione della pace. Il cuore di Cristo è il cuore di un Dio che ci ama divinamente in un cuore e per mezzo di un cuore umano.
L’enciclica di Papa Francesco si può mettere in relazione con l’enciclica Haurietis aquas di Pio XII del 1956, dove il venerato Pontefice sviluppa piuttosto il tema della devozione liturgica al Sacro Cuore di Gesù ricordando le prerogative di questo cuore umano-divino, grazie all’unione ipostatica della natura umana di Cristo alla persona divina e la sua opera riparatrice ed redentrice per la nostra salvezza.
Il Papa ci dice che in fin dei conti la nostra vita dev’essere sotto il dominio del cuore, nell’imitazione del Cuore di Gesù e lasciandoci da esso amare, intendendo con ciò l’esercizio della carità, che si attua nelle varie virtù della saggezza, della pietà religiosa, della misericordia, della prudenza, della giustizia, della mitezza, del coraggio, della pazienza, della tenerezza.
Il cuore è visto biblicamente, ma anche secondo una diffusissima e intuitiva metafora popolare, come centro della persona dal quale emanano unitariamente e coordinatamente come da principio animatore e propulsare tutte le attività, tutte le nostre potenzialità ed energie vitali fisiche, psichiche e spirituali. Chiaramente il cuore è simbolo dell’anima immortale spirituale, forma sostanziale del corpo umano, come dice il dogma cattolico.
Dal punto di vista bioneuropsichico le funzioni del cuore si accompagnano a quelle del cervello e si sostengono a vicenda. Cuore e cervello, animati dall’anima, si vitalizzano a loro volta reciprocamente: il cuore manda il sangue al cervello, questi provoca i battiti del cuore.
Quale forza delle due, contribuisce maggiormente a mantenere in vita il soggetto? Da quale dipende maggiormente la vita? Certamente dal cuore. Il cervello può deteriorarsi; ma se il cuore funziona, il soggetto vive, magari di sola vita vegetativa.
Ma se il cuore cede, è chiaro che il soggetto è perduto. Ciò, come è noto, può avvenire o per la corruzione del cuore, come per esempio nei casi di infarto o per crisi cerebrale, per cui il cervello non manda più i comandi al cuore.
Come è noto, il cervello è la sede delle funzioni vitali superiori psichiche ed intellettuali, i sensi esterni ed interni, la ragione, la coscienza, la volontà, il libero arbitrio; ma anche il cuore gioca la sua parte, benché di riflesso, nei sentimenti, nel dinamismo degli affetti, delle passioni, delle emozioni.
Non per nulla chiamiamo «coraggio» quella virtù che regola e modera la passione dell’ira, virtù della temperanza. Chiamiamo «cordialità» quella virtù con la quale ci mostriamo aperti, socievoli ed accoglienti, «miseri-cordia», «cuore per il misero», quella virtù che pratica la compassione per il sofferente, l’indulgenza per il peccatore, la tenerezza per il piccolo, la condiscendenza per il fragile, la tolleranza per il debole, il perdono per il penitente, la clemenza per lo sconfitto, il soccorso per lo sventurato, la soddisfazione al bisognoso, la consolazione per l’afflitto, la beneficenza per il povero, la liberazione dell’oppresso.
La Bibbia distingue il cuore tenero, saggio, pietoso, «di carne» dal cuore indurito, «di pietra», insensibile, crudele. Il cuore dunque è una potenza spirituale che dipende dalla volontà, che può essere buona o cattiva.
Il Papa sottolinea come in definiva la verità sul nostro bene è conosciuta dal cuore, più che dalla ragione e dall’intelletto, perchè quando si tratta di giudicare della direzione della condotta umana in ordine al suo fine celeste e soprannaturale, è impossibile cogliere e praticare la verità, se il giudizio non viene dal cuore, cioè non è mosso, motivato, illuminato, guidato e finalizzato dall’amore col quale Cristo ci ha amati.
Non c’è dubbio che l’attività raziocinatrice, l’ideazione, la concettualizzazione, l’atto del giudizio, la meditazione, la riflessione, l’intuizione intellettuale, la decisione morale, l’esercizio della libertà hanno come referente fisico immediato il cervello. Noi stessi, quando esercitiamo questi atti, sentiamo fisicamente che il cervello lavora. Se invece si tratta delle passioni ed emozioni, degli impulsi psicofisici al parlare, all’azione e al movimento degli arti o del corpo, sentiamo fisicamente la loro origine dal petto, il che vuol dire dal cuore.
Il cervello e il cuore hanno rapporto con la mascolinità e con la femminilità. L’uomo, più portato ad una maggior produzione di contenuti mentali astratti, ad un’elaborazione ed organizzazione complessa ed articolata della concettualità, è più portato ad attivare i centri cerebrali e nell’esercizio del pensiero e dell’azione a tener maggior conto o a far maggior riferimento alle attività cerebrali o agli stimoli cerebrali.
La donna invece, ovviamente anch’essa facendo ricorso alla razionalità, è più portata alla percezione del concreto e di ciò che è personale, a giudicare in base all’emozione, all’inconscio, al sentimento, all’istinto o alla sensibilità, potremmo dire al «cuore», per cui fa maggiormente riferimento agli impulsi affettivi, passionali ed emotivi connessi con l’attività cardiaca.
Il maschio sa essere più fermo nella giustizia: la donna si lascia più facilmente commuovere. Lo sanno bene i bambini, i quali, per mitigare la severità del papà ricorrono alla mamma. Preferiscono il cuore al cervello.
Il Papa accenna alla famosa polemica di Pascal contro Cartesio in nome delle «ragioni del cuore» e dà ragione a Pascal contro il volontarismo razionalista cartesiano, benché il concetto pascaliano del «sentire la verità morale» non metta al riparo l’etica pascaliana dal sentimentalismo e non faccia comprendere le motivazioni razionali della condotta morale, mentre in teologia traluce il fideismo giansenista laddove si affidano solo al «cuore» le ragioni di credere e non paiono riconosciuti i diritti e i doveri della ragione nel vagliare i motivi di credibilità, che preparano e introducono all’atto di fede.
Il Papa ci mette in guardia tanto dal razionalismo cartesiano basato su di una ragione matematica, gelida e spietata, quanto da un sentimentalismo romantico, basato sull’emozione, alla Schleiermacher, sdolcinato e misericordista, entrambi privi di obbiettività per motivi opposti e ci stimola al giudizio ben fondato, sereno, sapiente, imparziale, dove l’emozione è presente ma è ragionevole, dove la giustizia incontra la misericordia, dove l’amore motiva la conoscenza e la conoscenza è finalizzata all’amore.
Un conto infatti è il giudizio puramente razionale, scientifico o speculativo, e un conto è il giudizio affettivo, attinente alla prassi o alla vita morale. San Tommaso, al seguito di alcuni suggerimenti di Platone e di Aristotele, chiama questo modo di giudicare intuitivo e spontaneo, che coinvolge la volontà e l’emotività, giudizio per connaturalità o per inclinazione[1] e, nel campo dell’agire cristiano, lo considera come effetto dei sette doni dello Spirito Santo, soprattutto come effetto della carità, potremmo dire del «cuore».
Infine il Papa si ferma a spiegarci il significato e il valore della sacra immagine del Cristo misericordioso contemplata da Santa Margherita Maria e da San Faustina. Gesù appare con uno sguardo dolcissimo, tenerissimo e compassionevole. Chiediamoci però: a chi interessa esser guardati così da Gesù? Evidentemente a noi che lo amiamo e gli chiediamo perdono e misericordia.
Ma allora come mai San Giovanni nell’Apocalisse vede un Gesù i cui «occhi sono come una fiamma di fuoco» (Ap 19,22)? Chi sono coloro che Egli guarda così? Evidentemente non sono coloro che lo amano, ma coloro che lo odiano: non sono i salvi ma i perduti, non i giusti ma i reprobi.
Sono questi coloro che si vedono guardati da Cristo in tal modo terribile. Ma essi nella loro superbia non si sentono affatto intimoriti o afflitti, ma continuano a guardare Cristo in tono di sfida soddisfatti di aver fatto ciò che hanno voluto: disobbedire a Dio. A loro esser compassionati da Cristo non interessa niente, perché ritengono di aver agito bene e di non aver bisogno di alcun perdono e di alcuna misericordia. Vanno all’inferno? Ben venga l’inferno, pur di star lontano da Dio e continuare ad odiarlo per l’eternità.
Dunque che cosa tutto da ciò vuol dire? Che Cristo ha uno sguardo misericordioso per gli umili, i penitenti, gli obbedienti e gli innocenti, ma ha uno sguardo severo per i ribelli, gli spavaldi, gli empi e i superbi.
Il Cuore di Gesù è giusto e misericordioso
Il sacro Cuore di Gesù ama tutti ed offre a tutti il suo amore, ma non tutti lo accettano, come dicono coloro che avevano ricevuto le dieci mine: «Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi» (Lc 19,14). Gesù non costringe nessuno a seguirlo.
Il Cuore di Gesù è giusto e misericordioso: misericordioso con coloro che lo amano, giusto con coloro che lo odiano, come dice di Lui l’Apocalisse. Egli è
«il Fedele e il Verace che giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le nazioni. … Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19,5-16).
Quando Cristo Giudice alla sua futura Venuta dirà a coloro che non sono stati misericordiosi: «via, lontano da me, maledetti!» (Mt 25,41), sarà ancora il suo Cuore a parlare; sarà anche questo un gesto della sua carità; sarà anche questa un’espressione del suo Cuore amantissimo e misericordioso.
Dio giustifica il peccatore, ma non il peccato. Rende giusto il peccatore, non il peccato. Conserva il peccatore, ma toglie il peccato. È qui che Lutero ha sbagliato. Fa diventar buono il peccatore, ma non fà diventar bene il male. Dio tollera la tendenza a peccare, quaggiù ineliminabile, ma non tollera il peccato. Non bisogna confondere la bontà col buonismo, né la giustizia con la crudeltà. Tanto la giustizia quanto la misericordia sono espressioni del Cuore amantissimo di Cristo.
Il Cuore di Cristo muta la volontà del peccatore da cattiva a buona; muta questa perché Egli lo vuole; non muta quella perchè è lei che non lo vuole. Infonde nel cuore del peccatore il pentimento; ma lo sa che il giusto pecca sette volte al giorno (Sal 119,164) e lo accetta perchè anche il giusto non riesce ad evitare del tutto il peccato. Lo evita singolarmente, ma non nell’insieme.
Gesù non farà a costoro misericordia, e non saranno misericordiati non perché Egli non offra anche a loro misericordia, ma perché essi stessi, nella loro superbia, non la vogliono, sono convinti di non averne bisogno e quindi non la desiderano e non la chiedono. O se la chiedono, lo fanno in modo insincero, perché non sono pentiti e perché vorrebbero godere del peccato senza subìre le sue conseguenze penali.
La cosa che ci sorprende enormemente e ci spinge a interrogarci con apprensione è questo duplice aspetto del mistero del sacro Cuore, che San Giovanni, come nessun altro, mette in luce in modo vivissimo, così che sembra creare un abisso fra i due aspetti: questa apparente contrapposizione fra un Cristo amantissimo, tenerissimo e misericordiosissimo così come appare dal Vangelo e dalle Lettere di Giovanni e un Cristo vendicatore terribile, adirato, spaventoso, giustiziere e distruttore di folle sterminate di nemici così come appare dall’Apocalisse.
Molti di coloro che credono in Dio oggi provano ripugnanza o fanno un’enorme fatica a conciliare questi due aspetti del Cuore di Gesù. Puntando sul concetto che Dio è bontà infinita, sono tentati di prendere solo i passi evangelici di Cristo misericordioso beatificante e lasciano cadere quelli si Cristo giudice punitore. Ma non è questa la soluzione, perchè in realtà tra i due aspetti del Cuore di Cristo, tra misericordia e giustizia divine non vi è contraddizione, ma reciprocità, come ho spiegato nelle mie pubblicazioni in questi ultimi dieci anni.
Alcune annotazioni
Desidero adesso fare alcune annotazioni circa punti che possono fare problema. Il primo riguarda una citazione da Dostojevsky, dove si esclude che l’uomo possa essere interiore a sé con lo spirito, cosa certamente falsa, dato che l’esistenza dell’autocoscienza, oltre ad esser supposta nella dottrina paolina dell’«uomo interiore», è nota fin dai tempi di Platone.
Del tutto ammissibile è che il cuore rifletta su se stesso, ma proprio in quanto esso coincide con lo spirito. Infatti tutti i filosofi sanno che questa totale riflessione su di sé è proprio una caratteristica dello spirito da San Tommaso ad Hegel, da Aristotele a Cartesio. Dostojevsky qui non fa bella figura.
Benchè tali parole si trovino materialmente nell’enciclica, non possiamo certamente dire che il Papa le abbia fatte sue. A meno che Dostojevsky col termine spirito intenda riferirsi non al concetto realista ma a quello idealista di spirito. Ecco la citazione.
«12. Interiore a sé l’uomo può esserlo soltanto col cuore, non con lo spirito. Essere interiore a sé con lo spirito non è in potere dell’uomo. Ora, se il cuore non vive, l’uomo rimane estraneo a sé stesso».
Altre parole dell’enciclica che fanno difficoltà sono un brano di Heidegger:
«16. Per Heidegger, secondo l’interpretazione che ne dà un pensatore contemporaneo, la filosofia non inizia con un concetto puro o con una certezza, ma con una scossa emotiva: “Il pensare dev’essere stato scosso emotivamente prima di lavorare con i concetti o mentre li lavora. Senza un’emozione profonda il pensare non può iniziare.
La prima immagine mentale sarebbe la pelle d’oca. La prima cosa che fa pensare e interrogare è l’emozione profonda. La filosofia avviene sempre in uno stato d’animo fondamentale (Stimmung)”. E qui compare il cuore, che ”ospita gli stati d’animo”, lavora come “custode dello stato d’animo”. E qui compare il cuore, che «ospita gli stati d’animo, lavora come “custode dello stato d’animo”. Il “cuore” ascolta in modo non metaforico “la silenziosa voce” dell’essere, lasciandosi temperare e determinare da essa».
Stimmung des Gemüts significa «disposizione d’animo». Il Gemüt è un termine tedesco difficilmente traducibile, di origine medievale, legato alla mistica[2]. Congiunge intelletto, volontà sentimento, gusto, intuizione, senso e immaginazione. Ricompare nel romanticismo tedesco ed è presente persino nella fenomenologia husserliana.
Aristotele all’inizio della sua Metafisica osserva come l’inizio del filosofare è sì connesso con un’emozione, ma questa è la meraviglia. Sono sessant’anni che coltivo la filosofia e ho letto moltissimi autori, ma non aveva mai visto descrivere a questo modo la loro esperienza filosofica. L’immagine della pelle d’oca ci stupisce perchè estranea allo stile consueto di Heidegger, che ci ha abituati a una grande serietà nel trattare dei profondi problemi dello spirito.
Di solito sono i ragazzi che provano la pelle d’oca allo spettacolo di un film americano sui dischi volanti. Probabilmente a Papa Francesco è piaciuto quel paragone fanciullesco quasi a trattare con lo stesso Heidegger con una punta di ironia quella seriosa filosofia che sa ascoltare la voce dell’essere, ma non quella del Cuore di Gesù.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 26 ottobre 2024
La cosa che ci sorprende enormemente e ci spinge a interrogarci con apprensione è questo duplice aspetto del mistero del sacro Cuore, che San Giovanni, come nessun altro, mette in luce in modo vivissimo, così che sembra creare un abisso fra i due aspetti:
questa apparente contrapposizione
fra un Cristo amantissimo, tenerissimo e misericordiosissimo così come appare
dal Vangelo e dalle Lettere di Giovanni e un
Cristo vendicatore terribile, adirato, spaventoso, giustiziere e
distruttore di folle sterminate di nemici così come appare dall’Apocalisse.
Molti di coloro che credono in Dio oggi provano ripugnanza o fanno un’enorme fatica a conciliare questi due aspetti del Cuore di Gesù. Puntando sul concetto che Dio è bontà infinita, sono tentati di prendere solo i passi evangelici di Cristo misericordioso beatificante e lasciano cadere quelli si Cristo giudice punitore.
Immagini da Internet
[1] Rafael-Tomas Caldera, Le jugement par inclination chez Saint Thomas d’Aquin, Vrin, Paris 1980; Marco D’Avenia, La conoscenza per connaturalità in San Tommaso d’Aquino, Edizioni ESD, Bologna 1992.
[2] Giuseppe Faggin, Meister Eckhart e la mistica tedesca preprotestante, Fratelli Bocca Editori, Milano 1946, pp.298-306.
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