È bene che esista il male - Il mistero della bontà divina


 È bene che esista il male

Il mistero della bontà divina

 

Vedrai il castigo degli empi

Sal 91,8

Se ne andranno, questi, al supplizio eterno

Mt 25,46

Le decisioni divine sono insondabili

Riflettendo sulla bontà divina, saremmo portati a credere che Dio nella sua onnipotenza un giorno eliminerà ogni male e che quindi non esisteranno per nessuno delle pene eterne. Era questa l’opinione di Origene, che però fu condannata dalla Chiesa. Ciò infatti non corrisponde a quanto Cristo ci dice, cosa che però non deve mettere in crisi il nostro concetto di un Dio buono, onnipotente, giusto e misericordioso. Dio è veramente così. Il problema è quello di chiarire come è così.

Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto creare sin dall’inizio un mondo felice secondo quelle stesse condizioni finali del piano divino della provvidenza rivelatoci da Cristo, ossia un’umanità pienamente perfetta fruente della beata visione di Dio. In tal modo Dio ci avrebbe risparmiato il seguito ininterrotto, straziante, spaventoso, interminabile di ingiustizie, delitti, peccati, cattiverie, miserie, dolori, sciagure e sventure che hanno segnato e segnano la storia infelice della nostra vita sulla terra, né alcuna creatura umana o angelica sarebbe finita nell’inferno.

Perché non lo ha fatto? Non lo sappiamo. Tuttavia dobbiamo credere fermamente che anche questa decisione divina è dipesa dalla sua infinita bontà, è manifestazione della sua infinita bontà. Se considerando questo dato della rivelazione cristiana noi sentiamo un moto di repulsione o di rifiuto o ci viene voglia di cancellare o ignorare le parole di Cristo al riguardo, è segno che non abbiamo un concetto della bontà divina così come ci è rivelato dalla Sacra Scrittura e confermato dal costante insegnamento della Chiesa. Vuol dire che dobbiamo riformare il nostro concetto di bontà divina per renderlo conforme a come ce la rivela la divina rivelazione.

Chiediamoci innanzitutto: che cosa sono il bene e il male? Il bene è lo stesso ente, è l’essere, oggetto della volontà divina che lo crea. Il bene è per sua essenza attraente, amabile e piacevole.

Il male è privazione di bene nel bene. Mentre il bene sussiste in sé stesso e può essere libero dal male, il male esiste solo soggettato nel bene. Esiste quindi un bene sano e un bene malato. Il bene sano è libero dal male; il malato è diminuito dal male.

Occorre notare altresì che mentre può esistere un bene infinito, come per esempio Dio, non può esistere un male infinito perchè il male suppone sempre un soggetto. Per questo il male termina quando ha distrutto il soggetto. Un malato di cancro è afflitto da un male che ha un termine: cioè il fatto che il cancro lo uccide. A questo punto il male finisce, ma solo perchè il malato è morto.

Un’altra considerazione importante è che mentre il bene quando è infinito è invincibile, il male può essere vinto e nello stesso tempo non esiste un male di tale potenza che possa vincere un bene infinito. Il male può vincere un bene finito. Tuttavia la potenza del male è sempre finita, come abbiamo visto nell’esempio del malato, dove il male finisce perché distrugge il suo soggetto.

Possiamo osservare inoltre che mentre il giusto vince con le opere della giustizia il male di colpa magari subendo un male, il peccatore impenitente è vinto dal male di colpa, oltre ad essere soggetto alla pena, che si è tirato addosso con la sua colpa.

In che modo Dio vince il male? Non annullando il male di pena, ma consentendo al suo Cristo crocifisso e risorto di assoggettare i suoi nemici. In tal modo la vittoria sul peccato, comporta anche la liberazione dalla sofferenza.

La creatura spirituale, angelo o uomo, è come tutti gli enti creati, inclinata da Dio suo creatore al bene, ad amarlo, a farlo, a possederlo, a goderne, mentre naturalmente il male le ripugna, è portata ad odiarlo e a fuggirlo. Ma la creatura intellettuale è dotata di libero arbitrio, per il quale essa stessa può considerare e fare come suo bene ciò che non è per lei veramente bene.

Questo è il peccato, un atto che, essendo per sua natura contrario al vero bene dell’agente, causa in lui un male di pena, la sofferenza e il castigo. Si dice sofferenza il male subìto a seguito del peccato. Si dice castigo la pena inferta dal giudice e dalla natura stessa al peccatore per giustizia come sanzione del peccato.

Grande opera della divina misericordia è la trasformazione della sofferenza e del castigo in principio e causa di redenzione e di salvezza mediante la croce di Cristo. Così la sofferenza diventa amabile non certo in sé stessa, ma perché assunta da Cristo per amor nostro per liberarci dal peccato e dalla sofferenza. È questo un fatto apparentemente paradossale proprio del cristianesimo: la sofferenza che libera dalla sofferenza!

Ricordiamo altresì che Dio, a seguito del peccato originale, avrebbe potuto lasciare l’umanità nella miseria nella quale per sua colpa era caduta. Invece ha avuto pietà di noi e mediante Cristo ci ha posti in una condizione di vita superiore, quella dei figli di Dio, che non era contemplata nello stato edenico.

Cosa importante da ritenere è che Dio non vuole il male di colpa, il peccato, ma può volere il male di pena, il castigo, perchè il giusto castigo è atto di giustizia. E notiamo che questa volontà è cosa buona. In tal senso possiamo dire che è bene che esista il male, ossia il male di pena. Invece il male nel senso assoluto, il peccato o quanto meno l’aumento del peccato, Dio un giorno lo cancellerà totalmente. I dannati uomini e demòni resteranno in eterno in uno stato di colpa conseguente ai peccati commessi. Ma non commetteranno più nuovi peccati. In questo senso Dio cancellerà il peccato come atto, anche non come colpa.

Tuttavia Dio ha voluto non impedire il peccato, mentre, come ho detto, se avesse voluto, avrebbe potuto farlo. Ma dobbiamo ripetere che il motivo per il quale Dio ha voluto ciò ci è impenetrabile, e per questo Cristo non ce lo ha svelato. Cristo ci ha rivelato molte cose sul male: quale ne è la natura, le origini, le cause e i rimedi. Ma il perchè ultimo del male è nascosto nell’impenetrabile volontà di Dio.

Sappiamo che il Padre ha permesso l’ingresso del male nel mondo perché voleva riservarci un destino, quello dei figli di Dio, superiore allo stato edenico, e che non ci sarebbe stato se il peccato non ci fosse stato. Egli ha dunque ricavato dal male un bene maggiore. Eppure, anche senza permettere il peccato, se avesse voluto, avrebbe potuto costituirci subito figli di Dio nella beatitudine.

Cosa inoltre da notare è che Dio permette che nella vita presente alcuni innocenti soffrano o siano ingiustamente puniti, mentre che certi astuti malfattori facciano fortuna e restino impuniti. Ma la fede ci dice che vi sarà per tutti alla conclusione della storia terrena un giorno fissato da Dio in cui ci sarà la resa dei conti: chi innocente ha pazientemente patito ingiustizia verrà risarcito e premiato con la vita eterna; chi è sfuggito alla giustizia umana senza rinunciare al peccato sarà raggiunto dalla giustizia divina e mandato all’inferno.

La fede ci dice anche che al giudizio universale cesseranno le azioni meritorie, ossia non sarà più possibile acquistare nuovi meriti né nel bene né nel male. Dunque resteranno le colpe commesse, ma Dio impedirà ogni nuovo male di colpa, perché nessuno potrà più commettere nuovi peccati, neppure i dannati dell’inferno.

E tuttavia costoro subiranno una pena eterna. Ecco qui allora il problema che oggi turba molti e che risolvono in maniera sbagliata semplicemente negando l’esistenza dei dannati dell’inferno. In che senso anche l’inferno manifesta la bontà divina? Perché è bene che esista il male di pena? Perché è bene che ci siano dei dannati? Che piacere può procurarci sapere che ci sono dei dannati? Esser contenti della sofferenza altrui? Non dovremmo avere compassione anche per loro?  Che vantaggio ci procura? Non sarebbe meglio che non ci fossero? Dio avrebbe potuto essere più buono di quanto effettivamente è attuando il piano rivelato da Cristo? Le domande si affollano, forse affannose. Ma ad esse possiamo rispondere andando all’essenziale.

Non era meglio se Dio salvava tutti?

Possono venirci sostanzialmente in mente questi pensieri: perché Dio piuttosto non salva tutti? Non sarebbe stato meglio? Sorge allora questa tentazione: dobbiamo rimproverare Dio di non essere stato più buono o abbastanza buono? Ci viene questo pensiero, che in realtà è ispirato dal diavolo: se fosse dipeso da noi, noi, mossi da compassione, avremmo salvato tutti. Ammettiamo pure un castigo; ma renderlo eterno non è un po’ troppo? Possiamo essere contenti di vedere nostri fratelli, magari amici e familiari, penare terribilmente per l’eternità? Potremmo essere ugualmente beati in paradiso in queste condizioni psicologiche?

Occorre tuttavia notare che, se ci vengono in mente questi pensieri, dobbiamo renderci conto che in essi c’è qualcosa che non va. Possiamo rimproverare Dio di non essere stato abbastanza buono? Possiamo dirGli che noi avremmo fatto meglio? Che saremmo stati più misericordiosi? Evidentemente no.

San Tommaso fa notare che il piacere di vedere i dannati dell’inferno non è dettato dal piacere di vedere gli altri soffrire: questo sarebbe sadismo e crudeltà, ma è il piacere di vedere realizzata la giustizia divina. Si tratta di nostri congiunti? Ma la visione beatifica non basta a renderci beati? È pensabile qualcosa che possa incrinare la gioia del paradiso? Dio stesso provvederà a risolvere il problema. Ma non possiamo pensare di essere più buoni di Dio.  

Come allora dobbiamo ragionare per non cadere in simili bestemmie? Dobbiamo ritenere che è bene che esista il male, s’intende il male di pena, il castigo. Infatti che esista il peccato non è bene in nessun senso e per questo Dio alla Parusia lo eliminerà per sempre, nel senso che non saranno più commessi nuovi peccati nè dai reprobi nè dai demòni. Certo essi sono in stato di colpa, ma essa non può più aumentare con nuovi peccati.

Dio non ha voluto togliere ogni male e in particolare non ha voluto togliere ogni male di pena, ma ha voluto mostrare la sua potenza contro il male, la sua vittoria sul male trasformando in Cristo il castigo in redenzione, cancellando i peccati col perdono, dissipando le trame dei malvagi e sconfiggendoli nella battaglia finale descritta dall’Apocalisse. Dio non toglie ogni male, ma lo vince cacciando i malvagi nell’inferno.  

Naturalmente occorre ricordare che sono essi stessi a voler andare all’inferno non nel senso che desiderino la pena eterna, perché questa ripugna a tutti, ma in quanto l’inferno è il luogo dove stanno coloro che odiano Dio ed appunto il meritevole dell’inferno è l’odiatore di Dio che si rifiuta di assoggettarsi alla sua legge e respinge l’amore salvifico col quale Dio lo ha amato, ed è pronto a subìre una pena eterna pur di non stare con Dio in paradiso. Il paradiso come luogo di delizie attira tutti. E lo stesso malvagio andrebbe volentieri in paradiso. Ma ciò che lo tiene lontano è il fatto che lì c’è Dio, che egli non vuole assolutamente vedere. 

Coloro che credono che tutti si salvano non si rendono conto che ad alcuni la visione di Dio (nel che sta la salvezza) non interessa assolutamente niente, ed anzi fa schifo. Lo schifo per la metafisica, l’antipatia e il disgusto per le cose dello spirito, la sfrenata sensualità, la brama dei beni materiali, l’individualismo, l’egoismo, il solipsismo e l’egocentrismo esasperati, oggi purtroppo diffusi, sono i segni che non interessano l’ente supremo, la causa prima, il motore immobile, il fine ultimo e il sommo bene. Per questo è più cristiano il Dio di Aristotele di quello di certi teologastri che vorrebbero interpretare il Dio biblico non come ipsum Esse, ma secondo la categoria del Dasein di Heidegger.

Ad alcuni Dio non interessa

Lenin parla con ribrezzo del «flirt col buon Dio». L’ateo e l’empio accetterebbero il paradiso solo se lì non ci fosse Dio; ma, se la pena infernale è il prezzo da pagare per star lontano da Dio, ebbene, dice l’empio, ben venga il fuoco dell’inferno, purchè io possa star lontano da Dio. Nietzsche non diceva forse che bisogna danzare nell’inferno?

Del resto, a leggere gli sproloqui heideggeriani o hegeliani di certi teologi di oggi, senza capo né coda, tormentati e tormentatori, in mezzo tra il sì e il no, in contraddizione con sé stessi, frustrati e frustranti, brancolanti nel buio, non abbiamo la precisa sensazione che ci facciano sentire come si sta all’inferno?

Per questo, nel piano divino rivelatoci da Cristo il futuro ci riserva la coesistenza eterna di due mondi opposti fra di loro, ma che non sono in contraddizione fra loro: il paradiso e l’inferno, entrambi oggetto del governo della Provvidenza. E non solo i beati, ma anche i dannati sono oggetto dell’amore divino. Infatti Dio si cura di mantenerli in esistenza e, benché li abbia assoggettati ad una pena severa, mitiga questa pena con la sua misericordia. L’oggetto della nostra speranza, se vuol essere realistico e conforme al piano che Cristo ci ha rivelato, non è, come credono alcuni, che si salvino tutti, ma che si realizzi il piano divino.

Patire il male è odioso per tutti. Fare il male invece piace solo ai malvagi. Patire il male può essere bello per scontare i nostri peccati e per amore di Cristo. Ma per una persona buona commettere il peccato è un male assoluto da evitare assolutamente ad ogni costo e a prezzo di qualunque sofferenza. Viceversa, al malvagio interessa assolutamente evitare solo la sofferenza e lo fa anche a costo di peccare. Da qui per esempio la pratica dell’eutanasia.

In conclusione, dobbiamo affermare che, secondo la rivelazione cristiana, la bontà divina non si mostra solo con la misericordia che perdona coloro che si pentono, ai quali toglie colpe e pene, ma si manifesta anche con la giustizia che castiga altri con la pena eterna dell’inferno, ossia coloro che non vogliono vedere Dio, lo odiano e disobbediscono alla sua legge.

Ora, se è bene ed amabile l’opera della misericordia che salva, è un bene ed è amabile anche l’opera della giustizia che castiga il peccatore impenitente. Ora, il castigo è un male di pena. Quindi in tal senso è bene e motivo di compiacimento per noi che abbiamo voluto essere buoni obbedendo a Dio, che esista il male di pena non in noi stessi, ché non lo meritiamo, ma in coloro che Gli hanno disobbedito e quindi se lo sono meritato.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 luglio 2024 

Grande opera della divina misericordia è la trasformazione della sofferenza e del castigo in principio e causa di redenzione e di salvezza mediante la croce di Cristo. Così la sofferenza diventa amabile non certo in sé stessa, ma perché assunta da Cristo per amor nostro per liberarci dal peccato e dalla sofferenza. È questo un fatto apparentemente paradossale proprio del cristianesimo: la sofferenza che libera dalla sofferenza!

Ricordiamo altresì che Dio, a seguito del peccato originale, avrebbe potuto lasciare l’umanità nella miseria nella quale per sua colpa era caduta. Invece ha avuto pietà di noi e mediante Cristo ci ha posti in una condizione di vita superiore, quella dei figli di Dio, che non era contemplata nello stato edenico.

Cosa importante da ritenere è che Dio non vuole il male di colpa, il peccato, ma può volere il male di pena, il castigo, perchè il giusto castigo è atto di giustizia. 


Immagine da Internet:
- Adamo ed Eva, Tiziano

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