Come rivolgerci a Dio
Deconda Parte (2/2)
Al Padre
Al Padre dobbiamo chiedere che si realizzi e di poter realizzare il suo piano originario, protologico ed escatologico sul creato, sul rapporto dell’uomo con Dio, con gli angeli e con la natura, sul dominio dello spirito sul corpo, sul rapporto dell’individuo con la società, sull’unione dell’uomo con la donna, sul dominio dell’uomo sulla natura.
Dobbiamo chiederGli che si realizzi in noi il suo piano di salvezza in Cristo e nella Chiesa, in modo da essere liberati dal peccato e dalla morte, e poter realizzare in Cristo la sua volontà di recupero dell’innocenza edenica e di attuazione del suo Regno escatologico.
Possiamo e dobbiamo chiedere al Padre per il tramite dello Spirito Santo, che è lo Spirito della perfezione e della santità, che ci manifesti la sua volontà e il suo piano nella nostra vita, qual è il cammino o la strada che dobbiamo percorrere, qual è la meta da raggiungere, quali sono le prospettive e le speranze, qual è l’incarico che ci affida, qual è la nostra vocazione, quale la nostra missione, quali i doni particolari ci ha dato, siano ordinari o siano straordinari, siano naturali o siano soprannaturali, quali gli ostacoli da superare, quali i sacrifici da fare, i mali da sopportare, i pericoli da evitare, i nemici da sconfiggere.
Cristo ci dice che, dato che Egli ha interceduto per noi presso il Padre, possiamo rivolgerci al Padre direttamente. Infatti Cristo col suo sacrificio redentore ci ha riconciliati col Padre, ci ha resi capaci di accostarci a Lui con fiducia, ci ha resi graditi a Lui. Ci ha resi addirittura suoi figli eredi di una vita eterna che è partecipazione alla stessa natura divina nei cieli.
Per questo Cristo ci ha insegnato il Padre Nostro. Tuttavia nella liturgia, che è la memoria e riattuazione dell’opera mediatrice del Figlio, la Chiesa invoca il Padre per il tramite di Cristo in unione con lo Spirito Santo.
È bene non chiedere al Padre cose diverse da quelle che Cristo ci ha insegnato a chiedere, anche perché esse riassumono tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Non c’è da aggiungere altro e non c’è da scendere in dettagli, perché questi non sta a noi, ma al Padre fissarli.
Non è quindi il caso di chiedere al Padre grazie particolari. Questo possiamo invece farlo con la Madonna o con i Santi, sempre sottomessi a ciò che il Padre vorrà decidere.
Per regolarci nei nostri rapporti col Padre, è bene prendere spunto ed esempio da come si comporta il Figlio, escludendo però gli atti che Cristo compie come Dio Figlio. Come figli del Padre, possiamo però rivolgerci a Dio come a nostro Padre, sull’esempio di Cristo uomo e Figlio, per quanto ciò possa essere compatibile col nostro essere creaturale.
L’ateo, l’empio, l’idolatra, il superbo, l’ipocrita, l’egoista, il panteista non chiedono aiuto e protezione a Dio, ma al demonio, perchè vogliono essere soggetti a lui e non a Dio. Il demonio, per dirla con Cristo, è il loro «padre» (Gv 8,44). Col peccato originale, nonostante le conseguenze disastrose di quel peccato, sono rimasti legati al serpente.
Secondo Hegel nel suo commento al passo biblico, il serpente è il principio della libertà contro la tirannide divina del Dio creatore trascendente. Se quindi dobbiamo cercare un Dio veramente benefico e liberatore, secondo Hegel, questo non è Jahvè, ma il demonio.
In tal senso Carducci creò il suo famoso Inno a Satana, come simbolo dello spirito di libertà non nel senso di esser liberati da Dio dal male, ma nel senso di essere liberati dal giogo della legge di Dio.
Al Figlio
Bisogna fare attenzione a evitare un certo «cristocentrismo» che sembra il massimo della devozione a Cristo e invece ne frustra la finalità, perché Cristo non è venuto perché noi fermassimo l’attenzione su di Lui come Salvatore, benchè Egli indubbiamente sia il Dio Salvatore, ma è venuto per mostrarci il Padre e per condurci al Padre, perché lo scopo del cristianesimo è la contemplazione del volto del Padre, la visione di Dio in cielo.
Ciò vuol dire cha la preghiera al Figlio non va rivolta al Figlio perchè ci fermiamo a Lui, ma per poter raggiungere il Padre, perché il Figlio, benché Dio, non è venuto perchè ci fermassimo a Lui, ma per condurci al Padre.
La domanda di Bartolomeo «mostraci il Padre e ci basta» fa capire che egli aveva capito benissimo questa cosa. Ma qual è il suo errore? Credere che Gesù dovesse farsi da parte per limitarsi a mostrarci il Padre, come potrebbe fare un passante che, dopo averci indicato la via che cercavamo, lo lasciamo e scompare.
Invece Gesù non si mette affatto da parte e risponde che è proprio mostrando la sua divinità che Egli mostra il Padre. La richiesta: «mostraci il Padre e ci basta» è dunque giusta; vuol dire che Bartolomeo aveva capito perchè Cristo era venuto. Aveva capito che Cristo voleva rivelare il Padre.
Cristo col suo richiamo non intende affatto invalidare la richiesta di Bartolomeo, ma vuole al contrario ribadire che Egli ci mostra il Padre, per cui vedendo Lui, vediamo il Padre. Gesù però non vuol dire di essere identico al Padre, ma solo di esserne l’Immagine perfetta.
Il cristianesimo non può essere ridotto ad una questione di salvezza, per quanto importante sia la cosa. Concepito così il cristianesimo, come ha fatto Lutero, vuol dire dimezzarne il valore, avere una visione puerilmente egocentrica del cristianesimo, privarlo di quell’ardimento eroico e di quello slancio speculativo e contemplativo, che è già presente in Platone ed Aristotele.
L’India stessa ci dà l’esempio di questo bisogno grandioso di visione (la vidyia), se non fosse che l’India scambia Dio (Brahman) con l’io (atman), per cui alla conoscenza sostituisce l’autocoscienza e all’oggettività la soggettività, come del resto da noi europei hanno fatto gli idealisti da Cartesio ad Husserl. Figuriamoci allora se il cristiano può tollerare di essere superato in sapienza da quei pur saggi pagani,
Lutero provava per il Dio Padre dell’Antico Testamento un orrore, uno sdegno, una ripugnanza e uno spavento irrazionali al confine con la bestemmia per la falsa immagine di padre che gli aveva dato suo padre, uomo duro e violento e anche - diciamocelo francamente – per la voglia che Lutero aveva di peccare senza essere punito.
Bisogna dunque dire che il Figlio rivela il Padre essendo uguale al Padre ed essendo Dio come il Padre. Gesù rivela la paternità divina. Che cosa è questa paternità? Che cosa intende dire Gesù parlando di Dio come suo Padre e Padre nostro? Dobbiamo pensare ad un’immagine maschile? Ma Dio nell’Antico Testamento si presenta anche come una madre tenera e compassionevole.
D’altra parte, Dio è purissimo spirito. Il sesso appartiene all’animalità. E se l’anima umana maschile è differente da quella femminile, ciò è perché l’anima è fatta per dar forma al corpo. Ma gli angeli puri spiriti non hanno sesso e a maggior ragione Dio non ha sesso. Non ci sono qui gli dèi e le dèe del paganesimo.
Al Figlio dobbiamo rivolgerci comunitariamente soprattutto nella liturgia come a Capo della Chiesa, nostro Salvatore e Redentore, sommo sacerdote della Nuova Alleanza, dobbiamo ascoltarLo nella voce del Papa e della Tradizione, Lui dobbiamo continuamente invocare perché abbia pietà di noi peccatori, a Lui dobbiamo rivolgerci nell’intimo del nostro cuore in un intimo confidenziale e fiducioso colloquio, perché ci renda sempre più simili a Lui, Lui dobbiamo adorare nel Santissimo sacramento dell’Eucaristia.
Al Figlio dobbiamo chiedere di poterlo conoscere profondamente, di poterlo imitare, di essere nostra guida, Signore e maestro. Dobbiamo chiederGli di poter essere suoi intimi e confidenti, di mostrarci i suoi segreti, come a S.Giovanni.
Dobbiamo chiederGli di renderci partecipi e collaboratori nella sua opera di redenzione, nell’accettazione della croce quotidiana, nel dare la nostra vita per i nostri amici, nell’amare Dio e il prossimo come Egli li ama. Dobbiamo chiederGli di poter avere con Lui un colloquio confidenziale, cuore a cuore, di poterci consigliare con Lui, di sentire i suoi consigli e suggerimenti, accettare rimproveri e richiami, come tra due amici intimi. In ciò media lo Spirito Santo.
La preghiera al Figlio fa riferimento ad una serie di valori che si riferiscono al piano della salvezza ideato dal Padre, rivelato a noi ed attuato dal Figlio: la rivelazione basata sulla Scrittura e sulla tradizione, custodita, interpretata e trasmessa dalla Chiesa, praticata, vissuta e sperimentata nei sacramenti.
La preghiera al Figlio va dunque fatta nell’obbedienza e nella comunione con la Chiesa e col Successore di Pietro, con i superiori ecclesiastici, nella comunione dei Santi, nella liturgia, nelle pratiche di pietà e nei pii esercizi approvati dalla Chiesa.
Mentre nella preghiera al Padre noi abbiamo davanti agli occhi Dio nella sua divinità imperscrutabile, ineffabile, creatrice, paterna, provvidente, temibile, giusta, onnipotente e misericordiosa, nella preghiera al Figlio abbiamo presente l’umanità di Cristo, maestro, Signore, fratello, amico, confidente, sposo dell’anima.
Abbiamo presente Cristo nella nostra coscienza, negli avvenimenti della vita, nei doni che Dio ci ha dato, nel Papa, nei Santi, nella Madonna, nell’angelo custode, nel sacerdote, nel religioso, nel profeta, nel fratello, nel povero, nel piccolo, nel malato, nel sofferente, nell’emarginato, nel coniuge, nel familiare, nell’amico, nel sofferente, nella Scrittura, nella Tradizione, nel sacramento, nei Padri, nei Dottori, nei teologi, nella storia della Chiesa, nella natura, in tutte le cose.
Non si può pregare Cristo senza pregare la Madonna, che ci ottenga da Cristo tutte le grazie necessarie alle salvezza. Dobbiamo pregare Maria perché ci conduca a Cristo, ce lo faccia conoscere, ci insegni come dobbiamo trattare con Lui, come dobbiamo ascoltarLo, come dobbiamo obbedirGli, come dobbiamo amarLo.
Allo Spirito Santo
Lo Spirito Santo completa in noi l’opera di Cristo per il fatto che l’accoglienza dello Spirito comporta la penetrazione della grazia nell’intimo del nostro cuore, dell’anima, dell’intelletto, della coscienza, della volontà, delle emozioni, dei sensi, delle passioni, degli affetti, dei sentimenti, del corpo stesso dei suoi moti fisici, fino allo sguardo, alla parola, ai gesti. Allora tutto il nostro essere risponde con entusiasmo alla chiamata divina.
La preghiera allo Spirito Santo è pertanto quella decisiva per determinare il nostro cammino quotidiano di santificazione. Una preghiera al Padre e al Figlio senza quella allo Spirito Santo sarebbe perfettamente inutile. La preghiera allo Spirito è come l’accensione del motore di una Maserati.
Dobbiamo chiedere allo Spirito Santo che completi in noi l’opera del Figlio e della Chiesa mediante i suoi insegnamenti e i suoi sacramenti. Lo Spirito Santo ci fa avvertire la presenza dello Spirito nella guida che riceviamo dalla Chiesa e dai suoi ministri.
Lo Spirito Santo ci ispira ad azioni, pensieri e progetti fatti apposta per noi e quindi presenti solo in noi, originali e diversi da quelli degli altri, giacchè ciascuno ha i propri, e lo Spirito non si ripete mai, ma sempre elargisce nuovi carismi, di carattere ordinario o straordinario.
Sono i carismi ministeriali dello Spirito per l’edificazione della Chiesa e la santificazione delle anime. Una volta consapevoli del possesso di questi carismi, dobbiamo invocare lo Spirito affinchè ci consenta di usarli in grazia di Dio, perché, se non fossero usati così, procurerebbero il male nostro e degli altri.
Occorre chiedere allo Spirito Santo il discernimento fra lo spirito buono e quello cattivo, tra le vere ispirazioni dello Spirito e le suggestioni del demonio. Non occorre contattare direttamente lo Spirito: basta consultare l’angelo custode. Lo Spirito dev’essere invocato direttamente solo nelle grandi circostanze, avvenimenti od occasioni, celebrazioni di sacramenti, momenti drammatici di calamità collettiva, riunioni o avvenimenti ecclesiali o fatti del genere, non nelle circostanze quotidiane. Per queste c’è l’angelo custode.
Lo Spirito Santo dà la forza per sconfiggere il demonio. Questi usa nei nostri confronti due tattiche: le anime che si dedicano totalmente a Dio le attacca in continuazione, per cui esse devono ricorrere a una guerra continua sostenuta dall’angelo custode. Invece le anime sensibili alla seduzione del peccato, le illude e le assoggetta, sicchè esse per liberarsi necessitano che lo Spirito dia loro un sottile discernimento, aiutate dall’angelo custode, onde poter scoprire l’insidia e sventarla.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 1° agosto 2024
Lo Spirito Santo è lo Spirito dell’ardore, del fuoco, della santa passione, dell’ardentissimo ed infocato desiderio, per dirla con Santa Caterina da Siena. È quell’amore del quale San Paolo dice: «L’amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti» (II Cor 5,14). Dobbiamo chiedere allo Spirito Santo che accenda in noi il fuoco dell’amore.
Lo Spirito Santo completa in noi l’opera di Cristo per il fatto che l’accoglienza dello Spirito comporta la penetrazione della grazia nell’intimo del nostro cuore, dell’anima, dell’intelletto, della coscienza, della volontà, delle emozioni, dei sensi, delle passioni, degli affetti, dei sentimenti, del corpo stesso dei suoi moti fisici, fino allo sguardo, alla parola, ai gesti. Allora tutto il nostro essere risponde con entusiasmo alla chiamata divina.
Immagine da Internet:
- Santa Caterina d'Alessandria, Raffaello, Londra
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