30 giugno, 2024

Gerarchia apostolica e fratellanza cristiana

 

Gerarchia apostolica e fratellanza cristiana

Pasci i miei agnelli

Gv21,15

 

Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli

Mt 23,8

Nel corso della storia del cristianesimo è accaduto più volte che gruppi di cristiani o addirittura intere comunità ecclesiali si siano ribellati o abbiano rotto la comunione col Papa, alcuni negando addirittura il fondamento evangelico della sua autorità, prendendo a pretesto il suo malgoverno o addirittura il supposto fatto di essere caduto nell’eresia o che una migliore esegesi dei testi evangelici avrebbe dimostrato che il primato petrino non sarebbe stato voluto da Cristo ma era stato un’ invenzione medioevale per giustificare la pretesa della Chiesa Romana di comandare su tutte le altre Chiese.

Questo ripudio dell’autorità del Papa è sempre stato giustificato con l’accusa fatta al Papa di tradire la dottrina di Cristo espressa o nella Scrittura o nella Tradizione o nel Magistero pontificio precedente. Da qui la tesi di tutti questi eretici e scismatici secondo la quale la Chiesa non è guidata dalla mediazione del Papa, ma direttamente da Cristo e dallo Spirito Santo. 

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Il Concilio Vaticano II col decreto Unitatis redintegratio, considerando il desiderio di molti fratelli separati di quell’unione e comunione di carità reciproca che Cristo ha voluto sotto un solo pastore, ha promosso l’attività ecumenica finalizzata alla ricostituzione della comunione col Papa di quelle Chiese o gruppi di fedeli che in passato si sono separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica 

 

Il Papa attuale ha utilizzato a tal fine i temi conciliari della collegialità episcopale, fruente cum Petro e sub Petro della suprema e piena autorità sui fedeli, depositario dei doni gerarchici dello Spirito Santo, della sinodalità della Chiesa popolo di Dio sacerdotale, infallibile nel credere e animato dai doni carismatici dello Spirito Santo.

Immagini da Internet: https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2023/10/4/apertura-sinodo.html

27 giugno, 2024

Il monachesimo e il Papa - La comunione ecclesiale del Monte Athos - Seconda Parte (2/2)

 

Il monachesimo e il Papa

La comunione ecclesiale del Monte Athos

 

Seconda Parte (2/2) 

Da un monachesimo dualista a un monachesimo umanista

Un ulteriore fattore presso la Chiesa cattolica di correzione del monachesimo platonico è dato nel sec. XIII dalla teologia della mistica di San Tommaso d’Aquino[1], il quale, pur appartenendo ad un Ordine religioso di vita attiva come quello domenicano, dette ancora più saldo fondamento biblico all’ideale monastico col collegarlo non già all’etica platonica, ma a quella aristotelica, aperta, grazie alla sua base teorica ilemorfista, al dogma della resurrezione del corpo, cosa che è respinta dallo spiritualismo dualista platonico.

Detto questo, però, mi sia lecito esprimere la mia grande ammirazione per la millenaria tradizione del Monte Athos, che per la sua solidità è chiaramente un segno della protezione divina e una testimonianza straordinaria dell’Eterno, dell’Immutabile e dell’Assoluto. 

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Si può immaginare la Madonna senza il Papa o contro il Papa? La Madre di Dio senza il Vicario di suo Figlio? Eppure – o fatto straziante! – ciò avviene proprio nell’Ortodossia! Noi Latini sin dagli albori del cristianesimo abbiamo ricevuto dall’Oriente il culto e le prime immagini di Maria. Un’infinità di icone mariane nei secoli passati è giunta da noi dalla Grecia, dalla Macedonia, dalla Bulgaria, dalla Serbia, dalla Romania, dalla Russia.

Come dunque è stato possibile che proprio quella Chiesa orientale che ha insegnato a noi Europei un tenero culto alla Madre celeste di tutti i cristiani a cominciare dalla Sede di Pietro - pensiamo all’antichissima basilica di Santa Maria Maggiore a Roma -, si sia poi ribellata al Papa ormai da 1000 anni conservando per la Madonna un’intensissima devozione? Come non affidare allora a Lei il compito di condurre i suoi figli ortodossi alla piena comunione col Successore di Pietro, Pastore universale della Chiesa?

Come è avvenuto che noi Latini, ammaestrati dai Greci sul culto a Maria, adesso e da tanti secoli siamo noi Latini con tutta la cattolicità mondiale che esortiamo i nostri fratelli Greci, Ciprioti, Bulgari, Ucraini, Serbi, Georgiani, Rumeni e Russi ad acquisire la più profonda conoscenza della Madre di Dio che ci viene  dal dogma dell’Immacolata del 1854, da quello dell’Assunta del 1950 e dallo splendido c.VIII della Lumen Gentium del Concilio Vaticano II, che ci mostra Maria modello e tipo della Chiesa, modello e ideale della donna?

Chiediamoci seriamente: fra tutte le autorità  mondiali, qual è quella che, come Papa Francesco,  pur con tutte le sue gaffes, le sue discutibili esternazioni, apparenti eresie e apparente appoggio agli Americani contro la Russia, attira maggiormente  l’attenzione, il rispetto, le speranze,  la concordia di tutti, mentre placa le ansietà di tutti, di quest’uomo ottantaseienne infaticabile, dolorante e in carrozzella, dal riso bonario, dalla battuta facile, e dallo sguardo severo quando è in gioco l’essenziale? Dunque, fratelli, che cosa aspettate? Venite! C’è posto per tutti!

Immagini da Internet:
- l’icona della Trojeručica (Madre di Dio con Tre Mani)
- Papa Francesco I 
 

25 giugno, 2024

Il monachesimo e il Papa - La comunione ecclesiale del Monte Athos - Prima Parte (1/2)

 

Il monachesimo e il Papa

La comunione ecclesiale del Monte Athos

Prima Parte (1/2)

 Dio scrive diritto sulle righe storte

San Pietro ha avuto l’incarico da Cristo di pascere il suo gregge. Ora sappiamo come nella Chiesa i fedeli vivono la loro vita di fede in forme diverse: o mediante la santificazione della vita presente o mostrando fin da adesso una prefigurazione della vita futura; praticando l’amore di Dio nel ritiro dal mondo oppure mediante la santificazione del mondo. I primi sono i pastori e i laici. I secondi sono i religiosi e soprattutto i monaci.

La vita monastica ha un’origine orientale antichissima. Essa è giunta in Europa nei primissimi secoli del cristianesimo ed è stata assunta nella pratica della vita cristiana nella forma della pratica dei consigli evangelici raccomandata da Cristo per coloro che si sentono e sono capaci di realizzarla. 

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La vita monastica al Monte Athos ha avuto inizio attorno al quarto secolo e da allora non ha fatto che accrescersi e rafforzarsi. Essa nacque sotto il segno di un monachesimo non del tutto purificato dal rigorismo e dualismo orientali, presente in Europa nella spiritualità platonica. 

Lo scisma del 1054, che separò le Chiese orientali dalla comunione col Romano Pontefice, come era da attendersi, non corresse questa spiritualità che aveva assunto una forma emblematica nei monasteri del Monte Athos. In tal modo il monachesimo orientale scismatico, che si qualificò «ortodosso» in polemica col Papa giudicato eretico, diminuì la comunione con la Chiesa universale, della quale il Papa è Pastore.  

Lo scisma del 1054 fu il tragico sbocco finale di un atteggiamento antagonistico del Patriarcato di Costantinopoli nei confronti della Chiesa Romana motivato dal fatto che quel Patriarcato, avente sede presso la Corte di Bisanzio, riteneva per questo fatto politico di avere acquisito un primato sulla Chiesa Romana, che aveva sede laddove l’Impero Romano d’Occidente era crollato nel sec. V. Ma questa idea di Costantinopoli era del tutto estranea alle reali intenzioni di Cristo nel fondare il Papato. Cristo infatti non ha mai detto che la Sede di Pietro doveva essere in una città imperiale. 

Questo fraintendimento della volontà di Cristo è all’origine della ribellione a Roma di Costantinopoli e tuttora il Patriarcato di Mosca, in linea con questa tradizione cesaropapista, dimostra di essere subordinato dall’attuale governo politico della Russia.

Immagina da Internet: Monte Athos


24 giugno, 2024

I quattro Vescovi di Kiev - Seconda Parte (2/2)

 

I quattro Vescovi di Kiev

 

Seconda Parte (2/2) 

Ostacoli da togliere, lacune da riempire, errori da correggere

Prima cosa. Gli ortodossi hanno un concetto imperfetto di Chiesa. Per potersi sottrarre all’obbedienza al Papa come pastore universale della Chiesa il Patriarca di Costantinopoli inventò un concetto di Chiesa che non corrisponde pienamente a ciò che ha inteso Cristo e che San Paolo spiega molto bene.

Infatti gli ortodossi sostengono che non esiste la Chiesa. Questa per loro è una semplice astrazione mentale. Ma esistono le Chiese. Come Ockham, gli ortodossi mancano della percezione dell’universale e vedono come realtà solo il singolo o individuo concreto.  Questa è la realtà. 

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Patriarca Kirill

Michele Cerulario, Patriarca di Costantinopoli, nel 1054 perse evidentemente la fede nell’infallibilità del Papa considerandolo eretico per aver introdotto il Filioque nel Credo e trascinò con sé nella incredulità e nella disobbedienza al Papa e nell’eresia un gran numero di Vescovi orientali. Questa sciagurata separazione da Roma dura ancora dopo mille anni.

Patriarca Bartolomeo
 

 E come se ciò non fosse bastato, nel secolo XVI il Patriarcato di Mosca, fino ad allora dipendente da Costantinopoli, si separò anche da Costantinopoli ponendo se stesso al vertice di tutti i cristiani come «terza Roma» non solo al posto del Papa ma anche del Patriarca di Costantinopoli, considerato ormai di rango inferiore rispetto al Patriarca di Mosca.

 Mai nella sua storia millenaria il tormentato mondo ortodosso ha conosciuto una crisi così grave come quella presente, caratterizzata da uno scontro così grave tra Cirillo, Patriarca di Mosca, sostenitore di Putin, e Bartolomeo, Patriarca di Costantinopoli, sostenitore di Biden, in una guerra fratricida in Ucraina che vede l’uccisione reciproca di soldati ortodossi, gli uni per Cirillo, gli altri per Bartolomeo.

Papa Francesco
Nel caso del conflitto russo-ucraino, quale valore comune più importante di quello delle comuni radici cristiane del popolo russo ed ucraino messe vigorosamente in luce da San Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Euntes in mundum dedicata alla commemorazione del millennio del battesimo nel 988 di San Vladimiro re della Russia di Kiev?

 
Immagini da Internet

23 giugno, 2024

I quattro Vescovi di Kiev - Prima Parte (1/2)

 

I quattro Vescovi di Kiev

Prima Parte (1/2)

 

Occorre uno solo che comandi

Aristotele

 L’ecumenismo alla prova

 Il terrore delle dittature e l’esperienza storica dei danni che esse arrecano alla società genera oggi come non mai in nome del pluralismo e della libertà il rifiuto dell’istituto monarchico e l’utopia della forma di governo collegiale o addirittura di autogoverno sinodale, dove alla fine, secondo il noto apologo di George Orwell, tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. 

L’idea di una comunità cristiana puramente carismatica guidata dallo Spirito Santo non istituzionale ma spontanea e senza centralismo giurisdizionale e legislativo, quindi senza potere coercitivo, esiste sin dai primi inizi del cristianesimo e non ha prodotto altro che conflitti interni, anarchia, immoralità, disuguaglianza e disordini sociali.

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Mons. Shevchuk

I cristiani di Kiev, luogo di nascita della cristianità ucraina, madre della cristianità russa moscovita, sono oggi soggetti alla giurisdizione di ben quattro Vescovi, uno cattolico, Mons. Sviatoslav Shevchuk, e tre ortodossi, due, Filarete ed Epifanio  in comunione col Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, contro il Patriarca di Mosca Cirillo, ed Onofrio, per Cirillo contro Bartolomeo, mentre Cirillo e Bartolomeo sono un rotta tra di loro, ci dà la misura dello stato di dissoluzione e di confusione nel quale si sono ridotte oggi le Chiese ortodosse per una secolare abitudine di autogestione indipendente da quella coesione ed organizzazione che sola a loro potrebbe venire da una comune obbedienza un’autorità centrale, qual è quella che impedisce a noi cattolici di trovarci in situazioni del genere. 

Patriarca Epifanio

Patriarca Filarete
 

 

 

 

 

 

 

Patriarca Onofrio


Pochi si rendono conto che questa tragedia, che rischia di travolgere l’intera comunità internazionale in un immane apocalittico conflitto mondiale, è l‘effetto e lo sbocco logico di una lunga maturazione e preparazione che ci porta indietro nei secoli, fino allo scisma d’Oriente del 1054, alla caduta di Costantinopoli del 1453 e alla costituzione di Mosca Terza Roma nel 1589.

 

 Immagini da Internet

22 giugno, 2024

Dialogo ecumenico e dialogo intraecclesiale - Riflessioni su di una svolta storica della Chiesa

 

Dialogo ecumenico e dialogo intraecclesiale

Riflessioni su di una svolta storica della Chiesa

L’evento del Concilio Vaticano II è stato per la Chiesa un parto doloroso, che, come ci narrano gli storici ha comportato un drammatico travaglio interno, ma col risultato entusiasmante di portare alla luce e di offrire al mondo una maniera più evangelica di annunciare al mondo il Vangelo.

La Chiesa ha saputo mantenere la propria identità correggendo il suo stile pastorale, mostrandosi maggiormente madre e maestra al servizio dell’intera umanità ed accogliendo con discernimento ed occhio critico alla luce del Vangelo i valori del pensiero moderno. 

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Alla fine delle discussioni – cosa meravigliosa! – i Padri concordarono nei documenti finali, che fanno testo e costituiscono dottrina infallibile, mentre il tormentoso susseguirsi e accavallarsi degli atti conciliari, con le loro contraddizioni e falsità, evidentemente non hanno alcun valore normativo o dogmatico e sarebbe errore gravissimo, come fanno Alberigo e De Mattei su fronti opposti a dare più importanza a quegli eventi preparatori e superati piuttosto che ai documenti finali.

Tuttavia, anche dopo la pubblicazione delle decisioni del Concilio, alcuni, capeggiati da Mons. Lefebvre, attaccati a una malintesa tradizione, nonostante tutte le spiegazioni ricevute da Santi Pontefici, come Paolo VI e Giovanni Paolo II, si sono ostinatamente rifiutati di capire il valore delle nuove dottrine conciliari col pretesto che non si trattava di dogmi solennemente definiti.

Mons. Viganò, per sua espressa dichiarazione, si pone su questa linea.

Immagine da Internet: https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2024-06/account-x-di-vigano-annuncio-di-un-processo-per-scisma.html 

16 giugno, 2024

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito - Sesta Parte (6/6)

 

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito

Sesta Parte (6/6)

La confusione dello spirito con la materia

Uno dei pregi della filosofia tomista è quello di farci comprendere la dignità dello spirito e della materia, la loro distinzione, la superiorità di quello su questa, l’origine di questa da quello, l’armonia fra entrambi creati da Dio purissimo spirito.

Distinguere lo spirituale dal corporale non implica necessariamente la loro reciproca esclusione, come ha creduto Platone, ma, adottando gli accorgimenti concettuali di Aristotele, ossia la distinzione fra atto e potenza, materia e forma, ente ed essenza, sostanza e accidenti e analogia dell’essere, è possibile la distinzione, unione ed armonia senza contrapposizione nella comune appartenenza dello spirito e del corpo all’orizzonte del reale e dell’essere, con subordinazione della materia allo spirito. 

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Se l’essere fosse per sé conoscere si avrebbe la confusione dell’essere spirituale con l’essere materiale, giacchè l’essere può essere materiale come spirituale. La materia sarebbe ridotta allo spirito e lo spirito alla materia. Lo spirito viene materializzato e la materia diventa un’idea astratta, un ente di ragione, un pensiero, un concetto, un pensato, un essere di coscienza, immanente alla coscienza e al pensiero, un prodotto del pensiero.

La confusione dello spirito con la materia caratterizza tanto il materialismo quanto l’idealismo. Se lo spirito si pone sul piano dell’essere e dell’eterno e la materia su quello del temporale e del divenire, possiamo notare che l’idealismo che riduce la materia a pensiero e quindi a spirito e ad eternità si può rovesciare nel materialismo, che identifica la realtà con la materia e materializza lo spirito e il pensiero.

Come abbiamo visto, l’osservazione della realtà ci induce ad ammettere l’esistenza di un certo numero di gradi di essere basati sull’esistenza di una gerarchia di forme, le quali salendo di grado, si presentano come sempre più indipendenti dalla materia, ma informano sostanze corporee fino a che si dà una forma, quella spirituale, sussistente da sé senza la materia.

Ma questa forma sussistente è ancora distinta dal suo atto essere. Non è ancora la forma suprema, la forma al grado massimo di perfezione, la quale è data – e questo è Dio – da quella forma unica e singolarissima che coincide col suo stesso atto d’essere.

Dio stesso quindi, creatore di tutti gli enti materiali e spirituali, del cielo e della terra, non può che essere al vertice sommo della sostanza spirituale, giacchè è l’ideatore e creatore della materia e della forma, quella forma che dà l’essere in atto alla materia, essendo la forma atto della materia ed essendo la materia soggetto potenziale ad essere formato ed attuato dalla forma.

Immagine da internet: Tintoretto, la creazione egli animali

14 giugno, 2024

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito - Quinta Parte (5/6)

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito

Quinta Parte (5/6)

 Forma e figura

Non bisogna confondere la forma con la figura o sagoma. La forma è la determinatezza dell’ente che lo rende questo tale ente; è un principio ontologico intellegibile di compiutezza, perfezione, armonia, unità e totalità dell’ente. La figura è l’aspetto esteriore sensibile, tridimensionale, delimitato e circoscritto di un corpo o di una sostanza materiale, aspetto divisibile in parti, che copre la determinata superficie o il determinato volume del corpo. La figura o schema (gr. schema) può essere tratteggiata dal disegnatore o fotografata. La forma è oggetto dell’intelletto o definita filosoficamente. 

Il rapporto tra forma del corpo e quantità sta nel fatto che la materia segnata dalla quantità consente alla forma di essere forma di quella data materia. Se una data sfera di bronzo ha quella data forma piccola o grande è perché è quella data quantità di bronzo che consente alla forma della sfera di dar forma a quella data quantità di bronzo. 

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La forma come tale è atemporale, non è immersa nel tempo ed è quindi immutabile. La forma dell’uomo o del fuoco o del cane è sempre quella. Non può non essere quella. Se essa mutasse l’uomo non sarebbe più uomo, il fuoco non sarebbe più fuoco, il cane non sarebbe più cane. Non muta la forma, ma il composto che ha quella data forma. Muta la figura, non la forma.

Un computer, una macchina di alta perfezione tecnica può sembrare di avere un’anima; può sembrar dotata della capacità di ragionare e di parlare; ma in realtà essa non esprime altro che delle reazioni meccaniche e deterministiche, secondo leggi fisiche, mediante simboli o segni convenzionali, alla sollecitazione dell’intervento o comando umano.

Si può parlare di forma anche a proposito di insiemi: la forma di una galassia, di uno sciame di api, di un gregge, di un plotone. I liquidi assumono la forma del loro contenitore. La luce e l’elettromagnetismo sono corpi dalla forma attivissima, mobilissima, irraggiante, rifrangente ed espansiva.

Esistono cinque gradi di forme: l’elementare, la mista, la vegetativa, la sensitiva e l’intellettuale, Contra Gentes, II, c.67.

La materia, per quanto umile sia il suo essere, non è contraria allo spirito. Ne è distinta ed ha con lui una lontana analogia sul piano dell’essere. Essa è buona e creata da Dio: «Benchè la materia prima sia informe, tuttavia vi è in lei una imitazione della prima forma» (Dio), «e per quanto debole sia il suo essere, tuttavia esso è una similitudine del primo ente e per questo può avere una somiglianza con Dio», De Ver., q.3, a.5.

Immagine da Internet: Miniatura dalla Bibbia Moralizzata di San Luigi (XIII sec.)

12 giugno, 2024

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito - Quarta Parte (4/6)

 

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito

Quarta Parte (4/6)

Seconda parte – I fondamenti filosofici

Fisica antica e fisica moderna

La fisica aristotelica, prendendo in considerazione l’ente mobile, sensibile e quantitativo, ossia l’ente materiale nella sua intellegibilità, ha consentito di costruire una psicologia che a sua volta aprendosi alla conoscenza dell’anima come forma sussistente o separata ossia immateriale (usìa coristè) e quindi come spirito, ha consentito l’edificazione della metafisica, che considera l’ente indifferente al fatto che sia materiale o spirituale. In tal modo la metafisica, con la sua considerazione dell’ente il cui atto è l’essere, pone le premesse per l’edificazione della teologia naturale, in quanto essa si interroga sulla causa dell’atto d’essere dell’ente.

Quanto a Platone, se nella considerazione del mondo materiale egli riuscì a fondare la matematica, ma non riuscì a fondare la scienza fisica, la psicologia e la biologia, come invece riuscì Aristotele, il quale si accorse che il sensibile è unito all’intellegibile nella medesima cosa materiale vivente o non vivente, per cui anch’esso entra nell’orizzonte dell’essenza, dell’essere e della sostanza. Da qui la possibilità di quelle scienze che Platone non era riuscito a fondare per la sua diffidenza nei riguardi del divenire fisico e dei moti delle passioni.  

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La scienza fisica moderna da una parte, nella sua indagine sempre più raffinata della micromateria e delle sue energie, ha assottigliato la distinzione fra spirito e materia, perchè a livello subatomico la materia assomiglia allo spirito, mentre la psicologia sperimentale moderna, dal canto suo, ha scoperto quanto il nostro spirito è legato alla materia.

Il rischio di oggi è quello di perdere di vista la distinzione fra materia e spirito e la consapevolezza che lo spirito è immensamente più importante della materia, ma nel contempo occorre anche evitare la superbia degli idealisti, che pur non ignorando l’importanza dello spirito, col pretesto dell’autocoscienza, cominciando dallo spirito, finiscono nella carne e ci fanno precipitare nella tragedia di Icaro o di Narciso.

Il rischio oggi dei fisici quantistici è quello di un entusiasmo eccessivo per le scoperte delle neuroscienze e della fisica nucleare, che possono far loro credere di essere loro i veri scopritori dello spirito, inteso come Uno-Tutto, materia-spirito, materia che si fa spirito, Autocoscienza totale ed assoluta, Uno divino del quale le singole coscienze umane sarebbero apparizioni momentanee e fugaci.

San Tommaso ha commentato il trattato aristotelico sull’anima perchè si è accorto della sua utilità per capire la dottrina biblica ed ecclesiale circa la natura umana e il rapporto dell’anima col corpo. Aristotele non presenta l’anima come spirito (pneuma). Questa è dottrina di San Paolo. Ma la presenta come forma (morfè) e atto (energheia) del corpo organico atto a riceverla. Potenza dell’anima è l’intelletto (nus), che è una forma separata (usìa coristè), cioè, a differenza dell’anima degli animali, che è unita alla materia (yle), l’intelletto umano «viene dal di fuori» (thyrathen) della materia.

La materia è buona come buono è lo spirito, perchè entrambi sono ente e l’ente di per sé è buono. La materia pertanto non spinge al male ma al bene. La Bibbia conferma questa visione di Aristotele insegnando ai materialisti che esiste il primato dello spirito sulla materia, e ai platonici che anche la materia è buona perchè creata da Dio bontà infinita.

Immagine da Internet: Gerard van Kuijl, Narciso, 1645, John and Mable Ringling Museum of Art, Sarasota, Florida

10 giugno, 2024

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito - Terza Parte (3/6)

 

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito

Terza Parte (3/6)

 Prima parte – La visione biblico-cristiana

 Il concetto biblico dello spirito

Come è noto, nella Scrittura sono usatissimi i termini rùach e pneuma, che noi traduciamo col termine spirito, dal latino spiritus[1], che significa immediatamente l’alito, il respiro, il soffio, i quali rimandano al concetto della vita, la quale suppone la sostanza vivente, e quindi una sostanza spirituale[2]. Affine alla rùach, del tutto immateriale e sovrasensibile, è la nefesh, che è l’anima dell’uomo e degli animali, sensibile principio di vita del corpo.

La nozione della vita (ebr.hayyim) è una nozione fondamentale della Bibbia. Essa non dà una definizione generale della vita come quella proprietà del vivente per la quale perfeziona se stesso. E però descrive la vita in tutti suoi aspetti e gradi di perfezione, indicando all’uomo che la sua felicità sta nel conseguimento della vita eterna presso Dio. 

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Ciò che appare infatti a prima vista nella concezione biblica dello spirito, compreso Dio stesso, il che fa comodo alla nostra carnalità, è che non esista uno spirito puro, del tutto esente da materia, uno spirito soltanto intellegibile e pensabile. Eppure già il pagano Tacito si era accorto con stupore, lui che ammetteva degli dèi così concreti, sensuali e corposi, che gli Ebrei concepiscono «unum Numen sola mente». Ora la scolastica medioevale, approvata dalla Chiesa, ci ha fatto capire, grazie ad un saggio uso delle categorie aristoteliche, ciò che la Bibbia intende massimamente per rùach e pneuma: uno spirito o una sostanza che non esclude di unirsi a un corpo per formare l’uomo, ma anzitutto, soprattutto e sommante la sostanza o natura o essenza puramente spirituale: l’angelo e Dio.

Invano cercheremmo nella Bibbia la distinzione aristotelica fra materia e forma. Eppure, quanto bene questi concetti si adattano a spiegare la chiarissima distinzione che la Bibbia fa tra corpo e spirito, fra angeli e uomini, fra carne e spirito, fra corpo ed anima, fra cielo e terra, fra Dio e mondo, fra il mortale e l’immortale, fra ciò che passa e ciò che non passa.

Quindi l’universo non esiste da sempre, come credeva Aristotele, ma da un tempo finito. Una successione infinita di fenomeni, uno spazio infinito possono essere immaginati, ma non corrispondono a quanto constata la scienza sperimentale. Su ciò la scienza concorda con la fede.

La quantità degli enti non è infinita. Tutto è preciso, determinato e misurato, come dice la Scrittura: «Tutto hai disposto in numero, peso e misura» (Sap 11,21). L’infinito quantitativo può essere immaginato, ma non può esistere in atto nella realtà.

Nulla c’è in natura di indeterminato, ma indeterminate sono le nostre conoscenze. Il progresso della scienza sposta continuamente i confini del noto, ma il noto ha sempre dei confini. L’infinità delle forme e della materia non ci si presenta mai in atto ma solo in potenza.

Gesù non parla mai né di forma né di materia, o di atto e potenza, ma è evidente la distinzione che fa da una parte tra Dio ed angeli puri spiriti, e dall’altra se stesso come uomo, gli altri uomini e le cose materiali del mondo.

Immagine da Internet: Dettaglio del Giudizio Universale, L'Arcangelo motore del Sole, Giotto - Padova, Cappella degli Scrovegni

09 giugno, 2024

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito - Seconda Parte (2/6)

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito

Seconda Parte (2/6)

 La missione educatrice e sapienziale del Magistero della Chiesa

Oggi il Magistero della Chiesa continua a presentare la concezione cristiana dell’uomo ma a mio avviso lo fa con una difesa insufficiente dell’antropologia razionale e filosofica, le cui tesi fondamentali essa ha pur elevato a dogmi di fede.

Essa non si preoccupa sufficientemente di segnalare e confutare i numerosi errori ed eresie che oggi, sotto apparenze scientifiche o di esegesi biblica o in nome di una falsa mistica, sono in circolazione e vanificano le ragioni di credibilità alla predicazione ecclesiale, facendola apparire mitologica, superata, non biblica, contraria alla scienza e in contrasto con la filosofia moderna. 

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Se la Chiesa non sbaglia nel presentarci l’universalità del messaggio di Cristo non può sbagliarsi neppure nella scelta delle nozioni filosofiche o di ciò che nel pensiero umano possiede un’universalità adatta a conciliarsi con l’universalità del messaggio cristiano e ne rendono l’accoglienza ragionevolmente possibile.

La distinzione fra la realtà materiale o corporea, che cade sotto i sensi, e quella spirituale, che comprendiamo con la sola ragione o l’intelletto, è comprensibile da chiunque ed è presente in tutte le culture. Tutti capiscono che un pensiero o un desiderio o un concetto o un’intenzione o un proposito o un’idea o una volontà o un’intelligenza non si vede con i sensi, non si ode con l’orecchio, non ha un odore, non si gusta col palato, non si misura col metro, non si pesa con la bilancia, non ha una data di scadenza come lo yogurt. Eppure, quanto sono importanti nella nostra vita! È proprio perché si tratta di cose realissime che io posso, grazie ad esse, apprezzare il valore delle cose materiali. Come potrei parlare di queste cose, come potrei concepirle, se non in forza del fatto che io ho uno spirito?

La materia prima è una sola ed è comune a tutte le cose materiali. Le materie adatte sono tante quante sono le cose delle quali esse possono essere la materia. In linea di principio da un punto di vista metafisico ogni cosa, per avere in comune la materia prima, può essere trasformata in un’altra. Ma questo potere trasformatore sull’essere compete solo a Dio. Solo lui può operare sulla materia prima dandole la forma che vuole, perché qui è implicato l’essere (atto e potenza) e solo Dio, causa dell’essere, può operare sull’essere.

Per noi la materia ha un’intellegibilità troppo bassa, così come lo spirito ci è pure misterioso perché ha un livello di intellegibilità troppo alto. Solo per grazia il nostro intelletto può essere elevato da Dio alla visione dell’essenza divina, senza peraltro che la nostra comprensione cessi di essere limitata.

Immagine da Internet: Primo moto, Raffaello, Stanza della Segnatura