Sulla differenza fra il corpo e lo spirito - Sesta Parte (6/6)

 

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito

Sesta Parte (6/6)

La confusione dello spirito con la materia

Uno dei pregi della filosofia tomista è quello di farci comprendere la dignità dello spirito e della materia, la loro distinzione, la superiorità di quello su questa, l’origine di questa da quello, l’armonia fra entrambi creati da Dio purissimo spirito.

Distinguere lo spirituale dal corporale non implica necessariamente la loro reciproca esclusione, come ha creduto Platone, ma, adottando gli accorgimenti concettuali di Aristotele, ossia la distinzione fra atto e potenza, materia e forma, ente ed essenza, sostanza e accidenti e analogia dell’essere, è possibile la distinzione, unione ed armonia senza contrapposizione nella comune appartenenza dello spirito e del corpo all’orizzonte del reale e dell’essere, con subordinazione della materia allo spirito.

Tanto più quindi dispiace il grave fraintendimento del pensiero di San Tommaso ad opera di Rahner, che vuole far passare l’Aquinate per un idealista.  San Tommaso infatti non sostiene affatto – come vorrebbe fargli Rahner – che la conoscenza umana è «l’unità originaria di conoscibile e di conoscere»[1]: questo vale solo per la scienza divina, la quale è sapere in atto del conoscibile in atto. La conoscenza umana è atto di una potenza che originariamente è in potenza e non in atto.

Soltanto quando e se si attua si verifica l’unità intenzionale del conoscere e del conoscibile, che peraltro diventa conosciuto. Quindi non è vero che, come prosegue Rahner, «l’essere è per sé conoscere». Questo vale solo per Dio, che è intenzionalmente e realmente in atto, in quanto atto puro di essere, tutte le cose attuali e possibili.

Se l’essere fosse per sé conoscere si avrebbe la confusione dell’essere spirituale con l’essere materiale, giacchè l’essere può essere materiale come spirituale. La materia sarebbe ridotta allo spirito e lo spirito alla materia. Lo spirito viene materializzato e la materia diventa un’idea astratta, un ente di ragione, un pensiero, un concetto, un pensato, un essere di coscienza, immanente alla coscienza e al pensiero, un prodotto del pensiero.

La concezione rahneriana del conoscere, che egli vorrebbe far passare per tomista, è in realtà hegeliana, e tale da generare una concezione dell’uomo sia materialistica che panteistica. Infatti è chiaro che se l’essere è conoscere, ciò vuol dire pareggiare l’essere umano all’essere divino, ma se l’uomo è Dio non occorre un altro Dio creatore dell’uomo, e quindi abbiamo l’ateismo.

La confusione dello spirito con la materia caratterizza tanto il materialismo quanto l’idealismo. Se lo spirito si pone sul piano dell’essere e dell’eterno e la materia su quello del temporale e del divenire, possiamo notare che l’idealismo che riduce la materia a pensiero e quindi a spirito e ad eternità si può rovesciare nel materialismo, che identifica la realtà con la materia e materializza lo spirito e il pensiero.

Così l’immaterialismo di Berkeley corrisponde alla materia pensante di Locke, l’idealismo di Hegel si rovescia nel materialismo di Marx, l’eternalismo di Severino si rovescia nella temporalità di Heidegger, l’evoluzionismo materialista di Teilhard de Chardin corrisponde alla filosofia della natura dell’idealista Schelling.

Il primato dello spirito sul corpo

Come abbiamo visto, l’osservazione della realtà ci induce ad ammettere l’esistenza di un certo numero di gradi di essere basati sull’esistenza di una gerarchia di forme, le quali salendo di grado, si presentano come sempre più indipendenti dalla materia, ma informano sostanze corporee fino a che si dà una forma, quella spirituale, sussistente da sé senza la materia.

Ma questa forma sussistente è ancora distinta dal suo atto essere. Non è ancora la forma suprema, la forma al grado massimo di perfezione, la quale è data – e questo è Dio – da quella forma unica e singolarissima che coincide col suo stesso atto d’essere.

È da notare inoltre che l’adeguarsi conoscitivo dell’intelletto alla cosa, atto in cui consiste la verità del conoscere, suppone certo la dipendenza del nostro sapere dalla realtà della cosa esterna, materiale o spirituale. Ma ciò non implica affatto, come temeva Fichte, una dipendenza ontologica del nostro spirito dalla cosa materiale conosciuta.

Non significa affatto che, nel conoscere, lo spirito si assoggetti o sia inferiore alla materia. Al contrario, nel conoscere, il nostro spirito afferma la sua immaterialità e sovranità sulla materia. Esso infatti è forma sussistente, superiore, quindi, alla forma corruttibile dell’oggetto materiale che conosciamo, giacchè, mentre l’oggetto conosciuto, nel caso di una cosa materiale, è un composto di materia e forma, il nostro spirito è forma sussistente che domina la materia ordinandola, plasmandola e dandole forma, benchè solo accidentale o artificiale.

La cosa è presupposta al nostro spirito non nel senso che esso dipenda dalla materia, ma nel senso che essa ci è data e non la creiamo noi ed inoltre è presupposta al nostro conoscerla, sempre per il motivo che non l’abbiamo ideata e creata noi, ma Dio. Essa è regola del nostro spirito nel conoscerla ma non nell’essere.  Solo Dio regola il nostro spirito nell’essere. Semmai è la cosa,  che, in certa misura, dipende da ciò che di lei col nostro spirito vogliamo fare col lavoro e con la tecnica.

Da notare inoltre che la sostanza spirituale possiede l’intelletto e la volontà per cui all’interno dello spirito esiste un primato dell’intelletto sulla volontà in quanto mentre l’intelletto eleva il soggetto grazie all’atto intenzionale del soggetto, la volontà è solo al servizio di questo perfezionamento interiore unendo nella beatitudine celeste il soggetto nell’amore al Bene divino amato.

Terza parte – Errori concernenti la distinzione tra spirito e corpo

La distinzione cartesiana fra anima e corpo

La filosofia di Cartesio non ha un orientamento speculativo, ma un orientamento tecnico-pratico. Se egli continua a parlare di metafisica ed anzi crede di fondare la vera metafisica al posto di quella aristotelico-tomista, egli tuttavia non ordina affatto la sua metafisica alla teologia e alla fede cristiana, ma al dominio della natura e alla libertà umana.

Ben a ragione sostiene dunque il Maritain[2] che Cartesio ha tolto alla filosofia il suo orientamento sapienziale, di amore per la sapienza, come risulta dai libri sapienziali della Scrittura, per chiuderla nei confini dell’io o dell’autocoscienza come condizione di possibilità della prassi operativa di categorizzazione scientifica e produzione tecnica dell’esperienza dei fenomeni della natura.

Per Cartesio, come è noto, il fondamento della certezza e del sapere è il fatto che io sono cosciente di esistere, per cui, resosi conto che non poteva ammettere di esistere solo lui, si imbarca nell’impresa assurda di dimostrare che fuori di lui esistono delle cose. Questo lo dimostra grazie all’idea innata di Dio, per cui che esistono queste cose glielo garantisce Dio, il quale gli assicura la certezza che alle sue idee delle cose corrispondono cose fuori di lui.

A questo punto Cartesio si dice certo di possedere un corpo inteso come res extensa. Ma questo corpo per lui non è né il suo io né parte essenziale del suo io, non è una sostanza materiale formata dalla sua anima spirituale, come insegna San Tommaso al seguito di Aristotele e come è confermato dal dogma del Concilio di Vienne. Ma allora che cosa è?

Per Cartesio il corpo è una res extensa che io, spirito o mente, ho davanti a me e sotto di me, a mia disposizione. Le mie emozioni o passioni, il piacere e il dolore non riguardano inclinazioni e finalità della mia natura poste da Dio mio creatore nella mia stessa natura, ma si risolvono in moti fisici quantificabili e misurabili, moti da me matematicamente calcolabili, da cui la mia possibilità e dovere di considerare il mio corpo come macchina da me costruita, che posso modificare o migliorare secondo le leggi dell’ingegneria meccanica.

Dunque, agli antipodi dell’interpretazione materialista del rapporto anima-corpo, nella storia dell’antropologia si è avuta anche questa interpretazione idealista inaugurata da Cartesio, che, come è noto, risolve l’io nello spirito cosciente di sé, la cosiddetta res cogitans, mentre il corpo, la res extensa non sono sempre io, ma è una cosa che io possiedo.

Bisogna poi osservare che Cartesio non dimostra l’esistenza e la spiritualità dell’anima partendo dalla considerazione delle sue manifestazioni sul piano della realtà sensibile e sperimentale, come il linguaggio, i moti del corpo o i segni della vita fisica, perché su tutto ciò pone il dubbio. Ma quale via segue?

Egli abbandona le categorie aristoteliche di materia e forma, atto e potenza, sostanza e accidenti che ormai erano state ammesse dalla Chiesa nei dogmi cattolici, e si riallaccia di fatto, anche se vuol apparire originale, alla filosofia di Platone, il quale, benché indubbiamente fosse cosciente del valore dello spirito e del mondo ideale, ed avesse scoperto la differenza fra il sensibile (aisthetòn) e l’intellegibile (noetòn), tuttavia per lui la verità era data solo dall’intelletto e non dal senso, poiché il fenomeno del divenire e il mondo delle passioni gli sembravano estranei ed ostili al mondo dello spirito.

Cartesio imitò Lutero nell’uso dei termini per formulare la sua antropologia: egli si servì solo di termini biblici, come spirito, io, anima, coscienza, pensiero, corpo, cosa, mente, evitando quelli aristotelici usati da San Tommaso di materia, forma, essenza, natura, atto, potenza, sussistenza, soggetto, sostanza, accidenti, in modo che la sua antropologia appariva più cristiana, mentre quella di San Tommaso sembrava inquinata da un filosofo pagano.

Ma in realtà Tommaso non faceva altro che dare, a riconoscimento della Chiesa stessa, la migliore interpretazione del concetto biblico di uomo ed inoltre il suo pensiero si accordava perfettamente con i dogmi antropologici cattolici, cosa che non poteva certo affermarsi dell’antropologia cartesiana.

In un interessante studio sulla polemica di Cartesio contro la fisica e la psicologia aristoteliche[3], il Gilson spiega come Cartesio rifiutava le forme sostanziali e le qualità sensibili perché non capiva che esse si pongono sul piano dell’essenza e non dell’esistere. Credeva che le forme sostanziali dovessero essere delle forme sussistenti, quando invece esse in realtà appartengono all’essenza della sostanza. Infatti, salvo il caso dell’anima umana, che è forma sussistente, le forme inferiori sussistono solo in unione con la materia; il che vuol dire che ciò che sussiste è il composto e non la forma, che è solo parte dell’essenza del composto.

D’altra parte, per Cartesio, qualità materiali sensibili come la pesantezza, la leggerezza, la diafanità, la trasparenza, la massa, la densità, la morbidezza, la spessità, il caldo, il freddo restano al di fuori dell’intellegibilità ontologica e relegate ai confini, certo utili ma troppo stretti, della misurazione matematica. Per lui non offrono alcun interesse dal punto di vista ontologico. In tal modo a Cartesio viene a sfuggire il concetto di materia nel momento stesso in cui concepisce il corpo umano come un corpo matematico non vivente, perché per lui la vita è solo la mozione che l’anima dà al corpo.

Ora evidentemente Cartesio non ha capito la dottrina che Tommaso desume da Aristotele, per la quale le qualità ed abiti sensibili della sostanza materiale appartengono alla categoria dell’accidente, che non è per nulla un’anima o uno spirito, ma è semplicemente una proprietà fisica sensibile della sostanza materiale.

Così per esempio, se il sonnifero ha il potere di far addormentare, con questo non si dice che possegga una virtù simile a uno spirito; e tuttavia si dice qualcosa di ben reale, se è vero che il sonnifero produce per essenza quell’effetto, benchè nulla impedisca che questo potere venga misurato e quantificato matematicamente. 

Il fatto è che Cartesio confonde l’azione vitale, che è azione immanente al soggetto agente, azione per la quale l’agente si muove, muove, perfeziona o riproduce se stesso, con l’azione o mozione fisica meccanica che è propria di quel corpo artificiale, che è la macchina, la quale non è un tutto sostanziale organico, non ha una forma sostanziale come il vivente, non è generata da un vivente della stessa specie, ma è costruita dall’uomo, è un aggregato ordinato di parti di diverse sostanze fisico-chimiche, ingegnosamente giustapposte in modo da concorrere assieme, alimentate da energia fisica, alla produzione di certi effetti fisici voluti dal costruttore ed agente al comando dell’uomo per impulso fisico.

È vero che sia nella macchina come nel vivente fisico una parte agisce sull’altra, ma mentre nel vivente quest’azione proviene dall’anima, nella macchina l’azione proviene da una forza esterna. È vero che il vivente è mosso da Dio come mediante l’uomo Egli Dio muove la macchina; ma mentre Dio muove il vivente a muoversi, muove la macchina ad essere mossa dall’uomo. E neppure la macchina può compere azioni che siano all’altezza dell’azione umana, come il pensare e il volere, giacchè esse possono essere causate solo dallo spirito, mentre la macchina appartiene al mondo della materia.

Cartesio invece credeva che Aristotele concepisse la forma sostanziale o la qualità o l’abito come se fosse uno spirito che si aggiunge al corpo fisico già costituito a somiglianza dello spirito che si unisce al corpo nella natura umana. Così succede che Cartesio se la prende non con quanto realmente pensava Aristotele, ma con un fantasma della sua mente. Ma il guaio però fu che Cartesio, per la sua visione ristretta e puramente matematica della sostanza materiale, finì per ignorare la realtà delle forme sostanziali e delle qualità e quindi dei gradi della vita ammettendo solo la vita spirituale, mentre nega alla corporeità la possibilità avere la vita.  

Riduce la vita fisica a una semplice mozione fisica ad opera dell’anima spirituale. Ignora l’anima sensitiva e vegetativa. Ma nel contempo, considerando le sensazioni come idee e pensieri, darà spazio alla reazione materialistica dell’empirismo inglese, positivista e marxiano, fino al pansessualismo freudiano.

Cartesio, inoltre, coerentemente con la sua impostazione meccanicistica ed antivitalista, nega l’esistenza della causa finale in cosmologia e biologia ammettendo solo quella efficiente, come se la causa efficiente non fosse messa in moto dall’intenzione del fine, sicchè è impossibile la causa efficiente o meccanica senza quella finale.

È vero che il fuoco brucia senza avere l’intenzione di bruciare. Tuttavia, per ammettere che il fuoco ha il fine di bruciare, non occorre che il fuoco abbia un’anima, ma basta riconoscere che, se vogliamo sapere che cosa significa agire, causare o muovere, dobbiamo riconoscere che ogni agente agisce per un fine, non importa che lo sappia o non lo sappia. Lo sa chi mette in moto l’agente per aver concepito il fine, sia Dio o sia l’uomo.

Così Cartesio crede che San Tommaso paragoni la distinzione fra sostanza e qualità o abito nella sostanza fisica o corporea alla distinzione fra corpo e anima. E per questo rifiuta qualità ed abiti. Non riuscendo a ridurli alla quantità, non vede come se ne possa avere scienza e ne nega la realtà riducendole e delle impressioni soggettive. 

Inoltre Cartesio confonde forma e figura. Il linguaggio corrente non si cura di fare la distinzione e così usa il termine forma per dire figura. Così per esempio parliamo della forma di una casa o di un albero o di una statua. La figura o sagoma è in realtà solo il contorno delimitato, mutevole esterno, visibile, misurabile, immaginabile e fotografabile di una cosa materiale con superficie tridimensionale voluminosa vivente o non vivente o artificiale.

Ma il filosofo, che considera la sostanza o l’essenza delle cose, non può permettersi di confondere forma e figura. La forma sostanziale o accidentale è accidentalmente sensibile, ma in sé e per sé è forma intellegibile, non sensibile, si tratti di un corpo vivo o non vivo. Nel vivente corporeo la forma sostanziale è l’anima.

Nell’uomo l’anima, del tutto inestesa, forma direttamente la materia prima, è tutta in tutte le parti vive del corpo e secondo le sue virtualità sensitive o vegetative anima i singoli organi che ad esse si riferiscono. Nei viventi inferiori invece l’anima non è pura forma, ma forma mista di materia edotta dalla materia e riducibile alla materia[4], sicchè è estesa secondo le dimensioni del corpo.

Invece in Cartesio l’unica forma che egli ammette è la figura, che però è forma del corpo in quanto res extensa. D’altra parte l’anima è essa pure una res, una pura sostanza spirituale, come se fosse un angelo, sicchè Cartesio, che pure tiene all’unità della persona umana, ha però il problema di come possono stare assieme due sostanze così diverse, che Cartesio oltre a ciò concepisce non a modo di parti, ma di enti a sé stanti.

Egli ragiona come se si trattasse di costruire una statua (corpo) da rivestire di metallo (anima). Ci vuole la colla! E questa, come sappiamo, è la famosa ghiandola pineale. Purtroppo a tale ridicolaggine si riduce Cartesio per aver respinto le forme sostanziali e quindi, ciò che è molto più grave per lui che si professava cattolico, anche il dogma del Concilio di Vienne.

L’anima, così, per Cartesio, non è forma sostanziale del corpo, parte, insieme col corpo, di un’unica sostanza o essenza umana e personale, ma una res, una sostanza per conto proprio padrona di un corpo che non sono sempre io, ma una res extensa che mi sta davanti quasi fosse un ente geometrico sussistente e semovente.

Cartesio assume indubbiamente il dogma del Concilio Lateranense IV[5] circa la dualità dello spirito e del corpo, ma non si preoccupa di assumere anche il dogma del Concilio di Vienne del 1312 dell’anima come forma sostanziale del corpo, ed anzi lo respinge a causa della sua stolta polemica contro le forme sostanziali, che egli vorrebbe sostituire confondendo il corpo reale con quello matematico per cui la geometria sostituisce l’ontologia.

Sappiamo bene come questo approccio alla corporeità quanti ottimi risultati avrebbe dato nella fisica sperimentale, nel calcolo matematico e nella fondazione dell’ingegneria meccanica; ma il guaio fu che Cartesio, col perder di vista il concetto di forma sostanziale perdette di vista anche quello della vita psicovegetativa, per considerare solo quella spirituale, come se l’anima umana fosse uguale allo spirito angelico e non contenesse in sé virtualmente anche l’anima sensitiva e vegetativa.

Così per Cartesio il mio corpo non è materia attuata dalla mia anima, materia in potenza di essere io, non è in potenza quello che sono io, ma è un ente geometrico a mia disposizione, un ente di ragione, manovrabile non per informazione vitale con atti intenzionali e affettivi, ma mediante formule, procedimenti e calcoli meccanici, come se fosse una macchina, mentre le passioni sono trasformate in moti fisici come se si trattasse del caldo e del freddo o del vapore o della emanazione gassosa o della forza di gravità. Da qui verrà fuori l’esse est percipi di Berkeley con la sua riduzione della materia allo spirito.

Ma ecco che da Berkeley verrà fuori il materialismo empirista di Locke e di Hume. Locke trarrà infatti la conclusione: ma se la materia è pensiero, allora chi mi può impedire di credere che la materia possa pensare? Verrà allora Hume, il quale, andando otre in questa materializzazione del pensiero, dirà: ma se il percipere è materiale, allora l’intellezione non è altro che sensazione.

Materia e forma nella filosofia di Kant

Sulla questione del rapporto fra materia e forma è interessante la posizione di Kant. Per lui la materia e la forma non sono componenti ontologici della cosa, della sostanza materiale, ma sono categorie logiche che gli servono per elaborare la sua critica della conoscenza. Così egli distingue una forma del conoscere da una materia del conoscere.

Ossia per Kant la forma a priori dell’intelletto non è un contenuto, ma è il modo o funzione del conoscere, è una «forma pura», che comporta il possesso di «concetti puri», che non sono prodotti dell’intelletto che contengano ciò che l’intelletto ha appreso della cosa, quindi non sono conoscitivi, ma sono semplici «funzioni», forme vuote.

L’intelletto non ricava a posteriori la forma dell’oggetto dal contatto empirico con lo stesso oggetto, astraendo dalla sua concretezza individuale, ma essa giace già pronta a priori nell’intelletto come forma dell’oggetto. Ciò non vuol dire che l’intelletto conosca già da sè tutte le cose prima di contattarle come fa Dio. 

È chiaro che anche per Kant il nostro intelletto passa dall’ignoranza al sapere. Kant intende dire che per conoscere le cose non occorre alcun processo astrattivo, come pensava Aristotele, ma che le loro categorie fondamentali sono un possesso cosciente, universale, immediato, necessario ed essenziale («a priori») dell’intelletto e della ragione.

Si tratta di una ripresa della dottrina cartesiana delle «idee innate», con la differenza che mentre Cartesio ne spiegava l’origine col considerarle infuse nell’anima da Dio, Kant ritiene che la spiegazione sufficiente sia data dalla semplice analisi della natura dell’intelletto. Lo spunto glielo aveva dato Leibniz col suo assioma: nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi intellectus ipse. Ciò che per Leibniz si trova a priori nell’intelletto sono quelli che Kant chiamerà «concetti o forme a priori».

Così Kant può parlare di «concetti vuoti», che cioè fanno vedere, ma essi da soli non vedono, non sono dei contenuti[6]. Occorre il contenuto che proviene dall’esperienza. Fanno però eccezione le «idee della ragione» (anima, mondo e Dio), le quali tuttavia non rappresentano una realtà oggettiva, ma sono solo il culmine dell’autocoscienza che la ragione ha di se stessa («Io Penso»).

Perchè d’altra parte l’intelletto possa conoscere qualcosa, occorre per Kant che queste forme a priori siano riempite dal materiale proveniente dall’intuizione sensibile a contatto con la cosa esterna, la famosa «cosa in sè». Tuttavia l’intelletto non conosce la forma della cosa, ma il suo «fenomeno», che sarebbe il risultato del fatto che la forma dell’intelletto, riempiendosi della materia proveniente dall’esperienza, darebbe forma al fenomeno che sarebbe l’oggetto del sapere.

Kant parla indifferentemente di «cosa» (Ding), intendendo cosa materiale empirica, e «oggetto» (Objekt). In tal modo, se oggetto dell’intelletto è la cosa, viene a dire che oggetto dell’intelletto è l’oggetto.

In realtà oggetto e cosa sono due enti diversi: l’oggetto è una categoria logico-psicologica; la cosa è una categoria fisico-metafisica. La cosa è la sostanza o realtà materiale esterna alla nostra mente (res), oggetto esterno del nostro intelletto, mentre l’oggetto (objectum) è il termine interiore della nostra potenza o facoltà conoscitiva, è il mezzo del nostro conoscere, ciò che interiormente ci pone in contatto con la cosa, rappresentazione o similitudine interiore della cosa, ciò che interiormente produciamo per conoscere la cosa, il concetto della cosa, ciò che comprendiamo della cosa, ciò in cui vediamo la cosa e ciò con cui esprimiamo quanto abbiamo capito della cosa.

Non bisogna dunque confondere l’oggetto del conoscere, ovvero dell’intelletto con l’oggetto del concetto. Nella riflessione logica noi facciamo certamente oggetto dell’intelletto lo stesso concetto, ma oggetto del nostro iniziale, immediato e diretto conoscere intellettuale è la cosa, la quidditas rei materialis, come dice San Tommaso, l’essenza della cosa materiale, per poi elevarci per analogia alla conoscenza della realtà spirituale. Oggetto del concetto invece è ciò che nella nostra mente abbiamo appreso della cosa.

L’oggetto (objectum) come termine della potenza conoscitiva si distingue in formale e materiale o reale, distinzione da non confondere con quella cosmologica tra forma e materia e quindi quella metafisica fra sostanza materiale e sostanza spirituale. Oggetto formale è ciò che nel concetto l’intelletto coglie della realtà esterna, detta, in senso traslato, oggetto materiale in quanto materia del conoscere (materia circa quam). Suarez chiama «concetto formale» l’atto del concepire e «concetto oggettivo» il contenuto del concetto.

Per esempio, se l’uomo è oggetto dell’antropologia, oggetto formale di essa è l’essenza dell’uomo, oggetto materiale è l’uomo stesso. Ma anche l’oggetto formale può essere di due specie: oggetto formale in quanto ciò che formalmente l’intelletto intende (objectum formale quod) e oggetto formale secondo il quale l’intelletto intende (objectum formale quo).

Esempio: l’uomo, come oggetto o materia di conoscenza, può essere considerato dal punto di vista del medico, dello psicologo e del sacerdote. Tre approcci o profili conoscitivi differenti: ebbene, per ognuno c’è un apposito objectum quo o lumen sub quo: quello della medicina, della psicologia e della pastorale.

Kant d’altra parte in cosmologia ammette certamente la materia come realtà distinta dallo spirito, come oggetto della fisica e come soggetto del fenomeno della natura che cade sotto i sensi, ma non concepisce altra sostanza che non sia quella fenomenica ed empirica, come la sostanza chimica. Gli manca la nozione metafisica ed analogica di sostanza, per cui, benchè sia ben conscio dell’esistenza del nostro spirito, non riesce a concepire una sostanza puramente spirituale.

Benchè Kant non si fermi a spiegare la definizione aristotelica dell’uomo come animale ragionevole, egli non ha difficoltà a concepire l’uomo come composto di anima e corpo e si vede chiaramente dalle tre Critiche come egli riconosca l’esistenza della ragione e dell’animalità nell’uomo.

Tuttavia a causa del suo concetto empiristico di sostanza[7] gli sfugge l’esistenza dell’anima separata, quella degli angeli e l’esistenza di Dio come sostanza spirituale e personale infinita. Dio in Kant resta solo la suprema idea regolatrice ed unificatrice della ragione speculativa e il postulato della ragion pratica. Per questo anche in lui è assente il concetto dell’anima umana come forma sostanziale del corpo, capace di sussistere da sé dopo la morte.

Con tutto ciò Kant, benchè non riesca a provare l’immortalità dell’anima, la quale per lui è semplice oggetto del senso interno, dichiara che in forza della finalità della ragion pratica, della rettitudine dell’intenzione morale e della stessa legge morale, delle quali è certo, è fermamente convinto per conseguenza dell’esistenza per i giusti di una vita futura beata al di là della morte.

Conclusione

Dio ha creato il mondo secondo una pluralità di enti la cui essenza o specie è diversificata in modo tale che, partendo dalla specie infima, che è la sostanza materiale non vivente, quella chimica, fisica ed astronomica, saliamo per una serie di gradini aggiungendo un’unità, cosicchè la dignità dell’ente aumenta fino a raggiungere il massimo che è Dio.

Dio, Essere assoluto, creando gli enti, li rende partecipi dell’essere in diverse misure, secondo gradi differenti, così da costituire un ordine gerarchico di enti nel quale gli inferiori sono soggetti ai superiori e gli inferiori sono ordinati ai superiori.

Dio agisce in questa opera di fondazione del mondo secondo le idee della materia e della forma. L’unione della materia e della forma dà origine ai corpi; la pura forma invece costituisce il mondo degli spiriti, che è superiore a quello dei corpi perchè mentre il corpo è un ente limitato dalla sua forma, lo spirito diventa intenzionalmente ogni cosa, ossia tutte le forme.

Dio stesso quindi, creatore di tutti gli enti materiali e spirituali, del cielo e della terra, non può che essere al vertice sommo della sostanza spirituale, giacchè è l’ideatore e creatore della materia e della forma, quella forma che dà l’essere in atto alla materia, essendo la forma atto della materia ed essendo la materia soggetto potenziale ad essere formato ed attuato dalla forma.

In tal modo, in considerazione dei gradi degli enti, abbiamo le seguenti scienze:

Scienze del corpo non vivente: Cosmologia: Chimica, Fisica e Astronomia. Scienze del corpo vivente: Biologia, Botanica, Zoologia, Psicologia. Scienza dell’unione sostanziale del corpo con lo spirito: Antropologia. Scienze dello spirito: Pneumatologia, Angelologia, Teologia.

La sostanza spirituale, Dio, angelo o anima umana, in quanto forma semplice, è incorruttibile, immutabile e spirituale. Invece il corpo umano, composto di elementi di per di sé incompatibili, tenuti assieme dall’anima, al separarsi dell’anima dal corpo al momento della morte, si separano fra di loro e il cadavere va in dissoluzione.

Il dogma della risurrezione gloriosa da morte prospetta un corpo immortale o, come lo chiama San Paolo, «corpo spirituale» (I Cor 15,44), «uomo celeste» (v.49).

Contrariamente a quanto sembra voler dire Paolo circa un passaggio dall’animalità alla spiritualità (vv.45-47), in realtà bisogna ritenere che l’uomo manterrà la sua natura di animale ragionevole, uomo e donna, ma non sappiamo adesso come tale umanità verrà realizzata.

Questa nuova umanità beata ed immortale naturalmente dovrà avere la abitazione. Non si tratta altro che del Regno di Dio, che Cristo è venuto ad inaugurare su questa terra con la Chiesa e che avrà il suo compimento finale appunto con la risurrezione gloriosa nella Chiesa celeste.

Si tratta altresì dei «nuovi cieli e nuova terra» profetizzati da Isaia (65,17; 66,22) e da San Pietro (II Pt 3,13). Si tratta della «nuova Gerusalemme che discende dal cielo», della quale parla l’Apocalisse (21,2).

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 2 giugno 2024


Se l’essere fosse per sé conoscere si avrebbe la confusione dell’essere spirituale con l’essere materiale, giacchè l’essere può essere materiale come spirituale. La materia sarebbe ridotta allo spirito e lo spirito alla materia. Lo spirito viene materializzato e la materia diventa un’idea astratta, un ente di ragione, un pensiero, un concetto, un pensato, un essere di coscienza, immanente alla coscienza e al pensiero, un prodotto del pensiero.

La confusione dello spirito con la materia caratterizza tanto il materialismo quanto l’idealismo. Se lo spirito si pone sul piano dell’essere e dell’eterno e la materia su quello del temporale e del divenire, possiamo notare che l’idealismo che riduce la materia a pensiero e quindi a spirito e ad eternità si può rovesciare nel materialismo, che identifica la realtà con la materia e materializza lo spirito e il pensiero.

Come abbiamo visto, l’osservazione della realtà ci induce ad ammettere l’esistenza di un certo numero di gradi di essere basati sull’esistenza di una gerarchia di forme, le quali salendo di grado, si presentano come sempre più indipendenti dalla materia, ma informano sostanze corporee fino a che si dà una forma, quella spirituale, sussistente da sé senza la materia.

Ma questa forma sussistente è ancora distinta dal suo atto essere. Non è ancora la forma suprema, la forma al grado massimo di perfezione, la quale è data – e questo è Dio – da quella forma unica e singolarissima che coincide col suo stesso atto d’essere.

Dio stesso quindi, creatore di tutti gli enti materiali e spirituali, del cielo e della terra, non può che essere al vertice sommo della sostanza spirituale, giacchè è l’ideatore e creatore della materia e della forma, quella forma che dà l’essere in atto alla materia, essendo la forma atto della materia ed essendo la materia soggetto potenziale ad essere formato ed attuato dalla forma.

Immagine da internet: Tintoretto, la creazione egli animali


[1] Uditori della parola, Borla, Roma, 1977, p.70.

[2] Le songe de Descartes, Buchet-Chastel, Paris 1935, c.III.

[3] Études sur le rôle de la pensée médiévale dans la formation du système cartésien Vrin, Paris 1975, pp.141-190.

[4] Il detto di Dio ad Adamo dopo il peccato: «polvere sei e in polvere tornerai» vale anche per l’uomo, perché siamo fatti di materia, salvo il fatto che mentre la nostra anima è essenzialmente semplice e immune da materia, le anime inferiori sono composte e miste a materia e pertanto non riescono a trascenderla per sussistere senza materia, ma al momento della morte, si dissolvono nella materia.

[5] La Professione di fede del XI Concilio di Toledo del 675 parla, a proposito dell’anima e del corpo di «due sostanze» (Denz.535).

[6] Questa idea della forma come forma «vuota» che dev’essere «riempita» si ritrova in Husserl. Si tratta del concetto logico di forma confuso con quello cosmologico e metafisico. Invece di essere ricavato dall’analisi della sostanza materiale è ricavato dalla distinzione fra logica formale e logica materiale. È interessante lo sforzo di Edith Stein, ex-discepola di Husserl, di liberarsene per poter comprendere la nozione aristotelico-tomista, cosmologica di forma, che introduce alla comprensione dell’anima umana come forma sostanziale sussistente e quindi spirituale. Vedi la sua opera Essere finito e essere eterno, Città Nuova, Roma 1999.

[7] Vedi Critica della ragion pura, Edizioni Laterza, Bari 1965, pp.327-346.

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