Esperienza trascendentale ed esperienza sessuale - La mistica di Rahner - Seconda Parte (2/2)

 

Esperienza trascendentale ed esperienza sessuale

La mistica di Rahner

 
Seconda Parte (2/2)

Dobbiamo osservare che quando la mistica abbandona il concetto e il giudizio, e quindi la distinzione fra il vero e il falso, viene meno la possibilità di distinguere il bene dal male, per cui la volontà, fuori della regola della verità, comincia a far da padrona, incurante della verità e bramosa solo di affermare sé stessa.

Si capisce allora che scompare ogni innocenza, ogni onestà. ogni obbedienza, ogni umiltà, ogni pietà, ogni umanità ed ogni misericordia, e si affaccia l’affermazione assoluta dell’egoismo, il cosiddetto «io puro» degli idealisti, della superbia, del narcisismo, della menzogna, dell’odio e della violenza. Ecco allora apparire la mistica di Nietzsche e del nazismo[1].

Questa mistica trova fondamento nel Dio della Kabbala, principio tanto del bene quanto del male, tanto del patire quanto del peccare, un Dio che soffre e che pecca, un Dio che vuole tanto la vita che la morte. Occorrerebbe invece notare che quando la Bibbia dice che Dio fa morire, non intende dire che Egli sia omicida; questo è il diavolo; ma intende dire che Dio ha tolto all’uomo il dono dell’immortalità come castigo del peccato originale.

Nihil contra Deum nisi Deus. È il principio kabbalistico per il quale il peccato non è atto della creatura, ma di Dio stesso, col quale Dio oppone Sé a Sé e in questo opporsi a Sé si riconcilia con Sé e con la creatura. È da questo schema, mediato da Böhme, che Hegel ricava la sua concezione dialettica di Dio.

Ci sono cristologi oggi i quali accusano di ipocrisia il Cristo che ci mostra con le sue piaghe quanto Egli ci ha amati, perché lo rimbeccano sacrilegamente rinfacciandogli che sarebbe stato Cristo stesso in quanto Dio a farli peccare. Del resto Rahner stesso dice apertis verbis che il responsabile primo e supremo dell’esistenza del peccato è Dio stesso.

Ciò è in perfetta linea con la concezione kabbalistica di Dio, autore del vero e del falso, del bene e del male, della giustizia e del peccato, della vita e della morte. Il Dio della Kabbala, al contrario del Dio biblico assoluta bontà, è ora buono ora cattivo così come gli garba e nessuno può chiederGli conto appunto perchè è Dio.

L’esperienza trascendentale di Rahner

è un’impostura trascendentale

Nella cosiddetta rahneriana «esperienza trascendentale», pretesa esperienza atematica e preconcettuale dell’io, dell’essere e di Dio, il concetto è sostituito dall’immagine e la volontà dall’emozione. Occorre inoltre tener presente che in essa la volontà gioca il ruolo decisivo al posto dell’intelletto.

Come per il cogito cartesiano, la verità non è qui data dall’intelletto, ma dalla volontà. Non dipende da un atto di obbedienza dell’intelletto alla realtà, ma da una decisione della volontà che determina la realtà. Il dubbio artificioso di Cartesio non è risolto ma è eretto a sistema. Pensare vuol dire semplicemente dubitare, per cui l’affermazione non si basa sulla realtà, ma sulla propria volontà. La confutazione del cartesianismo è facile. Esso stesso ci offre l’arma per sopprimerlo: quod gratis affirmatur, gratis negatur.

Siamo nel più schietto ed estremo volontarismo. L’aspetto aconcettuale è strettamente connesso con quello volontaristico. La verità non è data da un atto di obbedienza, ma di disobbedienza. Ora il conoscere implica un rappresentare, possibilmente fedele, del dato reale. Dunque, per realizzare questa disobbedienza, nel che per Rahner consisterebbe la libertà, bisogna togliere di mezzo il concetto, questo testimone scomodo della realtà.

Ma siccome Rahner si rende conto che i concetti bisogna pur sempre usarli nel pensiero e nella comunicazione umana, si tratta per lui di assegnare al concetto non più una funzione rappresentativa, ma fabulatrice e imbonitrice, che non mostra la verità ma, col pretesto della mistica, la nasconde e la sostituisce con la favola.

Succede allora che in una simile sublime e profondissima esperienza lo spirito non solo non si eleva al di sopra dell’umano, ma si abbassa al livello dell’animalità e quindi dell’emotività e della sessualità. La teologia non è più umile sottomissione a Dio ma narcisistica contemplazione dell’io. L’amore fraterno non è più servizio al prossimo ma violenza. Il piacere spirituale è confuso col piacere sessuale. La misericordia è la negazione della giustizia. La morale non è più obbedienza alla legge divina, ma libera plasmazione della propria natura.

Il fatto che l’esperienza trascendentale si presenti come estranea all’atto della concettualizzazione e del giudizio, non vuol dire che essa non metta in gioco l’intelletto e la volontà, e quindi si tratta pur sempre di un’esperienza spirituale. Ma dobbiamo chiederci se in questo caso è veramente attivo lo Spirito Santo oppure qualche altro spirito di dubbia provenienza? Rahner è convinto che la sua esperienza trascendentale è un’esperienza di Dio.

Ma ne è sicuro? Come fa ad essere un’esperienza di Dio – ammesso che l’espressione sia in sé stessa accettabile – l’esperienza di un tu che nello stesso tempo è esperienza del mio io, un tu che non mi trascende, non mi sta oltre, ma è il vertice od orizzonte della mia trascendenza (tale è il concetto rahneriano di Dio)? Un tu che è al contempo l’essere dell’uomo, della metafisica e della teologia? Un tu che sono io stesso, posto che il mio essere è il mio pensare?

È questo il vero Dio? Il Dio della ragione? Il Dio di Rm 1,20 e Sap 13,5? Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe? Il Dio di Mosè? Il Dio di Gesù Cristo? Il Dio dei Santi Padri e dei Dottori? Il Dio del dogma cattolico? Dove mai nella Bibbia si parla dell’esperienza trascendentale di Rahner?

Questo Dio per unirsi al quale non basta l’intelletto ma occorre anche il senso, senza che sia chiara la distinzione fra intelletto e senso, dove quindi il senso è necessario, e quindi l’emozione e la passione, certo, potrà essere un soggetto spirituale, ma potrà essere quel purissimo infinito spirito che costituisce il vero Dio insegnatoci dalla dogmatica cattolica? E se non è questo spirito, che spirito è?

Da questa intromissione della sensibilità (senza con ciò voler toccare il sesso) non pare essere del tutto esente il pur alto e genuino misticismo di San Bonaventura, secondo il quale nell’esperienza mistica «bisogna abbandonare le operazioni intellettuali»[2] e «non bisogna interrogare l’intelletto»[3]; bisogna interrogare «la caligine e non il chiarore»[4].

Ma se abbandono l’intelletto che cosa mi resta? Maritain, dal canto suo, dice che «i concetti dormono». Ma come faccio a camminare addormentato? Nell’esperienza mistica mi accorgo che, per la limitatezza del mio intelletto, quello che concepisco contiene infinitamente di più di quanto capisco, un di più che ignoro assolutamente e che mi conferma che sto pensando a Dio, perché se comprendessi, questo non sarebbe più Dio.

D’accordo. Ma allora a che cosa serve ciò che Cristo e la Chiesa mi dicono su Dio? Il mistero divino rivelato è luce della mente e non qualcosa dove non ci si capisce assolutamente niente. E come riluce la verità nella mente se non nel concetto? Se così non fosse che bisogno c’è di una rivelazione? Una rivelazione che non rivela niente?

Certamente vi sono casi dell’attività intellettuale, come sono quelli degli atti di coscienza, nei quali il concetto non è necessario. Questo vale non quando si tratta di contattare una realtà esterna come possono essere Dio e le cose, ma i contenuti di coscienza, i quali come tali, sono già proporzionati all’intelletto e non occorre che esso ne formi i concetti.

Ma Dio è esterno e infinitamente trascendente il nostro intelletto, per cui il credere che di Dio si possa quaggiù avere un’esperienza intellettuale originaria ed immediata, quale dovrebbe essere la cosiddetta «esperienza trascendentale»[5], vuol dire scambiare l’essenza divina con un nostro misero fantasma mentale, un vero e proprio idolo della nostra mente.  

Oltre a ciò, se continuiamo a parlare di «sentire», di «esperienza», di «amore», di «gioia», siamo sicuri, senza concetti, di mantenerci sul piano dello spirito? Anche il sesso, dove i concetti non giocano, comporta sentire, esperienza, amore e gioia.

Il fatto è che nell’etica di Rahner manca l’ascetica, che invece è necessaria per accedere alla mistica. L’esperienza trascendentale di Rahner non riassume solo la sua gnoseologia e la sua antropologia, ma anche la sua etica. E questo perchè? Perché nella sua antropologia non distingue adeguatamente l’anima dal corpo, ma col pretesto dell’unità della persona, materializza l’anima, e volatilizza il corpo, sicchè vien meno la lotta tra lo spirito e la carne e vien meno la necessità della rinuncia alla carne in nome dello spirito, chiamato al dominio sul corpo.

Il mistico di Rahner finisce così con l’essere, al di là di tutti i sublimi discorsi sull’«autotrascendenza» niente più che l’uomo carnale di San Paolo (I Cor 2,14) rivestito di una favolosa spiritualità che lo fanno sentire ineffabilmente termine dell’«autocomunicazione divina».

Ma allora succede che nella visione rahneriana l’etica s’identifica con la mistica, cosa che al primo sguardo di chi minimante sa distinguere il naturale dal soprannaturale e sa bene quante difficoltà la natura decaduta offre all’unione con Dio, si rivela come un’impostura.

La mistica non è la base dell’agire cristiano, non è il punto di partenza, ma al contrario, è una vetta, un arduo punto di arrivo di non facile raggiungimento, che suppone normalmente una precedente lunga preparazione e formazione e un lungo esercizio ascetico delle virtù, eventualmente la pratica dei voti religiosi o la vita monastica. Diversamente è un inganno o del demonio o dell’emotività sensuale o sessuale travestite da spiritualità.

Così, come prima della visione beatifica il nostro intelletto non può superare il concetto e quindi il giudizio sia affermativo che negativo[6], così in generale non esiste un atto conoscitivo superiore a quello intellettuale[7]. E parimenti, nell’attuale condizione della nostra natura decaduta, è un puro inganno credere che la nostra azione morale parta da un’esperienza apriorica, preconcettuale ed affettiva di Dio e da qui essa discenda sul piano empirico-categoriale.

È tutto il contrario: noi dobbiamo partire con molta modestia dal piano categoriale ordinario e quotidiano di un rapporto di fede normale con noi stessi, con gli altri, col mondo e con Dio e solo così, intervenendo il dono dello Spirito Santo, se vuole intervenire, possiamo sperare di ottenere l’esperienza mistica.

La mistica cristiana nasce dalla santità e fruttifica nella santità. La mistica rahneriana dà frutti di santità? Esistono santi che si siano nutriti con la mistica rahneriana? Certamente Rahner viene esaltato per la sua spiritualità; ma ci si accorge che essa, ben esaminata, per la sua tendenza soggettivistica e panteistica, non si presta a produrre santità, né risulta che essa abbia alimentato la santità dei Santi del nostro tempo: pensiamo a figure come Escrivà de Balaguer, Giorgio La Pira, Chiara Lubić, Madre Teresa di Calcutta, Luigi Giussani, i coniugi Maritain, per non parlare di San Giovanni XXIII, San Paolo VI e San Giovanni Paolo II.

I princìpi dell’etica rahneriana a causa del loro relativismo, soggettivismo  e agnosticismo sono tali di per sé da condurre alla dissoluzione dell’ordine morale e ne vediamo gli effetti in modo particolare nella diminuzione della pratica religiosa, nella corruzione dei costumi sessuali, nella diffusione dell’edonismo, dell’impunità e nel permissivismo, nella conflittualità intraecclesiale, se non fosse che i rahneriani tendono ad interpretare in bene le sue teorie sovversive, senza accorgersi delle insidie che esse celano[H1] [8] .

La vera esperienza mistica cristiana

Dobbiamo invece dire che la dottrina tomistica dell’esperienza mistica[9], che assegna al concetto e al giudizio[10] la loro parte, alimenta le virtù, chiarisce i passi da fare[11] e stabilisce i presupposti ascetici, è quella che dà l’assoluta sicurezza di sapere che cosa è veramente l’esperienza mistica distinguendola dall’esperienza sessuale (pur con tutto il rispetto che bisogna averne) e permette di procedere e di prepararsi ad essa con la dovuta sicurezza.

Che la comunione uomo-donna, oggi mitizzata in modo ossessivo, quando non si tracima nel campo della sodomia, della pedofilia e di altre perversioni sessuali, possa in sé stessa essere una comunione spirituale come avviene nel matrimonio, un’unione spirituale che può esprimersi nella comunione sessuale e che questa a sua volta possa incrementate l’amore coniugale, è verissimo, ed è quello che si è sforzato di esprimere il Card. Fernandez nei suoi libri che hanno suscitato tante discussioni.

Ma questo lo aveva già detto San Paolo VI nell’enciclica Humanae vitae. Ma resta sempre il fatto che chi fa esperienza delle cose dello spirito, le distingue benissimo dall’esperienza sessuale e non si sogna neanche di pareggiare il piacere sessuale al piacere che arreca il gusto delle cose spirituali. Non vi vede però alcun contrasto, dato che Dio è il creatore tanto dello spirito quanto del sesso. Rinuncia solo a questo se esso arreca ostacolo alle cose spirituali, non però per abbandonarle per sempre come propongono l’India e Platone, ma per ritrovarle di nuovo, alla risurrezione del sesso, in piena armonia con la gioia della visione beatifica.

Questa prospettiva escatologica del rapporto uomo-donna è stata illustrata da San Giovanni Paolo II, il quale nel contempo ne ha illustrato le radici protologiche e la finalità escatologica. Quest’apertura alla protologia (stato edenico) e all’escatologia (futura risurrezione gloriosa) è la novità introdotta da San Giovanni Paolo II nell’orizzonte dell’etica sessuale, fino ad allora racchiuso entro i limiti dello stato presente conseguente al peccato originale, anche se guarito dalla grazia redentrice.

Tommaso, dal canto suo, fa notare che non esiste un sentire fisico dell’anima, ma questo sentire è atto congiunto dell’anima e dell’organo di senso, è atto congiunto dell’anima e del corpo. San Tommaso non nega che si possa parlare di sensi spirituali, ma si tratta solo di metafore per esprimere atti dell’intelletto e della volontà.

Egli non ripudia certo il concetto biblico del «cuore», per cui non avrebbe difficoltà a riconoscere che le cose di Dio sono «sensibili al cuore», come dice Pascal, ma anche qui nota che il termine «cuore» è una metafora per esprimere atti dello spirito e non dei sensi.

Insomma, le cose di Dio sono oggetto dell’intelletto e della volontà mediante il concetto e non dei sensi o degli appetiti, perché Dio è puramente intellegibile e purissimo spirito. Quindi anche l’esperienza mistica è un intelligere, non una sensazione fisica o uno stato psicoemotivo, anche se può essere espressa con la metafora del sentire o dell’emozione, perché essa vuole esprimere il contatto immediato, concreto e affettivo con Dio e il mistico nella sua carità ardente ha come l’impressone di un’unione immediata e sponsale con Dio.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 luglio 2024

Memoria della Beata Maria Vergine del Monte Carmelo

Nella cosiddetta rahneriana «esperienza trascendentale», pretesa esperienza atematica e preconcettuale dell’io, dell’essere e di Dio, il concetto è sostituito dall’immagine e la volontà dall’emozione. Occorre inoltre tener presente che in essa la volontà gioca il ruolo decisivo al posto dell’intelletto.

Come per il cogito cartesiano, la verità non è qui data dall’intelletto, ma dalla volontà. Pensare vuol dire semplicemente dubitare, per cui l’affermazione non si basa sulla realtà, ma sulla propria volontà.

Rahner si rende conto che i concetti bisogna pur sempre usarli nel pensiero e nella comunicazione umana, si tratta per lui di assegnare al concetto non più una funzione rappresentativa, ma fabulatrice e imbonitrice, che non mostra la verità ma, col pretesto della mistica, la nasconde e la sostituisce con la favola.

Tommaso, dal canto suo, fa notare che non esiste un sentire fisico dell’anima. San Tommaso non nega che si possa parlare di sensi spirituali, ma si tratta solo di metafore per esprimere atti dell’intelletto e della volontà.

Le cose di Dio sono oggetto dell’intelletto e della volontà mediante il concetto e non dei sensi o degli appetiti, perché Dio è puramente intellegibile e purissimo spirito. Quindi anche l’esperienza mistica è un intelligere, non una sensazione fisica o uno stato psicoemotivo, anche se può essere espressa con la metafora del sentire o dell’emozione, perché essa vuole esprimere il contatto immediato, concreto e affettivo con Dio e il mistico nella sua carità ardente ha come l’impressone di un’unione immediata e sponsale con Dio.

Immagine da Internet: La vanità, Tiziano



[1] René Alleau, Le origini occulte del nazismo. Il terzo reich e le società segrete, Edizioni Mediterranee, Roma 1989.

[2] Itinerario e Riduzione a cura di Silvana Martignoni, Edizioni Patron, Bologna 1969, p.121

[3] Ibid., p.123.

[4] Ibid., p.124.

[5] Oltre al fatto che, se proprio si vuol parlare con i mistici di un’esperienza di Dio, c’è da domandarsi che cosa c’entra il trascendentale, che è categoria della metafisica e non della teologia. L’essere divino è l’ipsum Esse,non è l’esse ut esse della metafisica.

[6] È quello che vorrebbe Dionigi l’Areopagita. Vedi Dionigi, Mistica teologia e Epistole I-V, Edizioni ESC-ESD, Bologna 2011, p.263. Occorre però notare che mentre il giudizio affermativo fonda la teologia affermativa: Dio esiste, il giudizio negativo fonda la teologia negativa: Dio non è nulla di ciò che noi concepiamo come ente. La teologia dice dunque che Dio esiste, ma non nel modo limitato col quale noi concepiamo l’esistere.

[7] Vedi Gregorio Palamas, Luce del Tabor. Difesa dei santi esicasti, Edizioni ESC-ESD, Bologna 2022, p.497.

[8] Una testimonianza cospicua e sorprendente di questa ingenuità o fallace benevolenza è data da una raccolta di studi a cura di Ignazio Sanna, L’eredità teologica di Karl Rahner, pubblicata nel 2005 dalla Pontificia Università Lateranense di Roma. Ben maggiore acume critico hanno invece dimostrato i Francescani dell’Immacolata in tre convegni teologici internazionali i cui atti sono stati pubblicati negli anni 2009-2010. Notevole è anche la raccolta di studi critici Karl Rahner. Kritische Annäherungen, a cura di David Berger, pubblicati nel 2004 a Siegburg in Germania.

[9] Donaziano Joret, La contemplazione mistica secondo San Tommaso d’Aquino, SEI Torino 1942.

[10] San Tommaso dimostra che l’esperienza mistica è un atto dell’intelletto e che quindi come tale comporta la formazione di un giudizio che non è effetto del semplice intelletto, ma è un giudizio che egli chiama per modum inclinationis, che egli desume dalla gnoseologia sia di Platone che di Aristotele, un giudizio guidato dalla carità. Vedi al riguardo il mio libro Il Silenzio della parola. Le mistiche a confronto, Edizioni ESD Bologna 2002; Marco D’Avenia, La conoscenza per connaturalità in San Tommaso d’Aquino, Edizioni ESD, Bologna 1992; Alessandro Beghini, Contemplazione e conoscenza mistica in San Tommaso d’Aquino, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2015.

[11] R. Garrigou-Lagrange, Les trois ages de la vle intérieure, Les Éditions du Cerf, Paris 1939, 2 voll.; A. Royo Marín, Teologia della perfezione cristiana, Edizioni Paoline, Roma 1965.


 [H1]

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