Esperienza trascendentale ed esperienza sessuale - La mistica di Rahner - Prima Parte (1/2)

 

Esperienza trascendentale ed esperienza sessuale

La mistica di Rahner

Prima parte (1/2)

 La spiritualità platonica ci dà garanzie di autenticità

come quella aristotelica?

Che cosa s’intende per «mistica»? La mistica è un’unione affettiva e o pratica con Dio inesprimibile a parole, ineffabile ed indicibile. La mistica o quella che si suppone tale è oggi molto di moda. Si pretende di spaziare in tutte mistiche, non solo quella cattolica, ma anche quella ebraica (kabbala), islamica (sufi), ortodossa (Dionigi l’Areopagita, Gregorio Palamas), protestante (Böhme, Swedenborg), panteista (brahmanesimo), buddista, taoista, new-age.

Oggi si dà del mistico con estrema facilità, ma spesso senza alcun criterio. Schelling è un mistico, Aleksandr Dugin è un mistico, Heidegger è un mistico, Rahner è un mistico, Severino è un mistico, Cacciari è un mistico, Nietzsche è un mistico, Gianni Vattimo è un mistico, Piero Coda è un mistico, Jean-Luc Marion è un mistico, Federico Faggin è un mistico, Paolo Gamberini è un mistico, Luigino Bruni è un mistico, Fritjof Capra è un mistico. La massoneria è una gnosi mistica. La filosofia teoretica e speculativa e la metafisica aristotelico-scolastica sono finite e sono sostituite dalla MISTICA.

Da dove viene questa invasione e questo enorme e confusionario miscuglio di idee contradditorie e assurde, di miti, raffigurazioni, immagini, fantasie, deliri, allucinazioni, sogni, balordaggini, non privo di vedute profonde, di luci, stimoli e suggestioni importanti e interessanti?

Proviene dal fatto che molti cattolici male interpretando l’esortazione del Concilio al dialogo interreligioso e alla scoperta dei valori delle altre religioni, hanno abbandonato l’attenzione privilegiata alle varie forme della mistica autentica cattolica, benedettina, bernardiana, domenicana, francescana, carmelitana, ignaziana, salesiana, focolarina.

Occorre quindi urgentemente chiarire o ricordare che cosa è la mistica, onde avere il criterio per distinguere quella vera da quella falsa. Al riguardo occorre innanzitutto controllare quale concetto dello spirito sta alla base di una data mistica, perché la mistica è un’esperienza spirituale. Che sia naturale o soprannaturale, questa è una distinzione da fare quando si confronta la mistica cristiana, soprannaturale, con le mistiche delle altre religioni, che sono di carattere naturale o puramente filosofico. La prima cosa da fare è trovare il concetto giusto dello spirito nei suoi rapporti con la materia.

Ora noi troviamo il giusto concetto dello spirito non nell’idealismo platonico, ma nell’ilemorfismo aristotelico, che distingue la materia (yle) dalla forma (morfè). Lo spirito è la forma intellegibile sussistente indipendentemente dalla materia. La forma è atto (enèrgheia) della materia-potenza (dynamis). Non c’è in Aristotele l’idea dell’essere (einai) sussistente come puro atto d’essere senza potenza, perché Aristotele vedeva l’einai solo come copula del giudizio. Quindi in Aristotele lo spirito è solo forma, ma non essere sussistente, come sarà invece in San Tommaso.

Lo spirito per Platone è l’idea. La dottrina platonica delle idee, tanto ammirata da Sant’Agostino, e la distinzione platonica tra il sensibile e l’intellegibile ci sono certo di grande aiuto per apprezzare il mondo dello spirito e quindi dei valori morali e religiosi, come modello ideale, fine e regola del pensare, dell’agire e dell’essere sensibile materiale.

Occorre tuttavia tener presente che in Platone il sensibile è immagine, imitazione e partecipazione dell’intellegibile ed è solo apparenza opinabile rispetto alla verità dell’idea, che è la vera realtà, l’ente sotto ogni aspetto (to pantelòs on). Quindi per Platone la materia non ha una realtà o verità o bontà per conto proprio, ma è solo ombra, simbolo, presagio, immagine, apparenza (anche ingannevole o deludente) o apparire (vano, momentaneo o baluginante) dello spirito.

Il bene, in Platone, è certo il bene spirituale, che però attira e non sembra oggetto di scelta come in Aristotele, per cui in Platone il volere difficilmente si distingue dalla passione. Ciò pone un punto interrogativo sulla genuinità spirituale del bene, che sotto questo punto di vista si avvicina al sensibile stimolo degli atti istintivi.

L’ente materiale, pertanto, per Platone, ossia la corporeità, in forza della dottrina della partecipazione, più che essere un reale distinto benché inferiore rispetto allo spirituale, sembra essere il grado minimo rispetto allo spirito come grado massimo della materialità.

Per questo per converso l’intelligere sembra il grado massimo del sentire. Da qui a possibilità paradossale ma reale che dal dualismo così severo dell’etica platonica, possa nel contempo risultare un certo edonismo e lassismo, se ci si ferma alla dottrina della partecipazione senza integrarla con quella aristotelica dell’analogia e dell’astrazione concettuale, che garantiscono una vera distinzione fra corpo e spirito, nella subordinazione di quello a questo e nella loro unione nell’unità della persona umana.

Così la dottrina dell’esperienza mistica che si può ricavare dalla gnoseologia e dall’ilemorfismo di Aristotele, non avrà l’elevatezza esicastica e apofatica della mistica platonica, ma in fin dei conti è più sana, sicura e al riparo di equivoci di tipo erotizzante o sentimentale.

Platone ha il merito che così poco andava a genio al sensuale Nietzsche, di aver distinto fra il sentire e l’intelligere, fra appetito sensitivo (epithymìa) e volontà (bùlesis), fra il corpo e l’anima.  Platone distingue infatti la noesis dall’aisthesis, ma sbaglia nel ricondurre l’intelligere al sapere e il sentire all’opinione. Sbaglia nella sua antipatia per la corporeità. Nietzsche pertanto non aveva tutti i torti quando rimproverava Platone di aver misconosciuto i piaceri di questa vita. Platone infatti sbaglia nel ritenere che l’anima si debba liberare dal corpo.

Lo spiritualismo troppo rigido si volge in sensualismo

La violenza dello spirito contro la carne provoca la vendetta della carne nei confronti dello spirito. Lo aveva capito Pascal, quando, riflettendo sullo spiritualismo cartesiano, così apparentemente rigoroso ed elevato, apriorico, autocosciente ed intuizionista, come quello degli angeli, migliore di quello aristotelico, che ricava le idee dall’esperienza sensibile, aveva notato: «chi vuol fare l’angelo, finisce col fare la bestia».

Già gli antichi pagani, che non mancavano del tutto di saggezza, avevano creato il mito di Icaro, estremamente istruttivo per tutti i presuntuosi, farisei, finti spirituali e schifiltosi nei confronti del corpo, della materia e del sesso, che per la loro superbia non vogliono accettare la loro animalità e finiscono così per immergersene fino al collo, oltre che restare delle personalità frustrate, giacchè è illusorio e stolto , come fa  Massimo Recalcati[1] sulle orme di Leopardi, invidiare la felicità degli animali, dato che se è vero che l’animalità è il genere della natura umana, la differenza specifica, come è noto da Aristotele, è la ragione. Immaginiamoci quale tipo di mistica viene fuori dalle idee di Recalcati.

Ciò non vuol certo dire come credeva Cartesio che noi siamo delle pure ragioni sussistenti, perché qui siamo daccapo: noi siamo soggetti viventi animali dotati di ragione. Chi risolve nella sola ragione la natura umana, speculando sulla «ragion pura» finisce con la ragione impura.

Diffido di tutti quegli «io puro» o «coscienza pura» alla maniera di Husserl, che non sono la coscienza pura del pubblicano, ma quella del fariseo.  Questo io puro mi richiama al proverbio che sentivo dire spesso da mia madre: «chi non si accontenta dell’onesto, perde il manico con tutto il cesto». È interessante come l’estremo rigorismo ed ascetismo dei catari aveva come contropartita la più sfrenata dissolutezza.

Ma, come ci ha insegnato Freud, quando si ragiona a questo modo e si maltratta il sesso, questo si vendica e ciò che è stato cacciato dalla porta, ritorna dalla finestra mascherato da mistica e dalla più alta spiritualità. Lo sbaglio di Freud è stato quello di ridurre materialisticamente lo spirito a sesso, facendo del sesso il dio dei puttanieri.

D’altra parte l’idea rahneriana di un’esperienza spirituale preconcettuale, coscienziale, atematica, extragiudiziale, aconcettuale o metaconcettuale, puramente intuitiva ed immediata è un’illusione pericolosa che confonde lo spirito col senso, per cui non eleva e purifica lo sguardo dello spirito, ma lo abbassa al livello dell’animalità, perché sono gli animali che conoscono solo con i sensi senza far uso dei concetti.

La mistica finisce per essere confusa con la lussuria. Modello ineguagliato di questa falsa mistica è il famoso o meglio famigerato monaco Rasputin[2], responsabile dell’accecamento della famiglia imperiale che condusse alla tragedia della rivoluzione russa e all’instaurazione del regime sovietico, che oppresse il popolo russo dal 1917 al 1990. Oggi in Russia è emersa una figura simile, sinistra e fascinosa, il filosofo Aleksandr Dugin, che qualcuno non senza qualche buona ragione ha paragonato allo stesso Rasputin ai tempi della Rivoluzione.

La differenza da Rasputin sta nel fatto che mentre questi otteneva il suo seguito presso un ambiente religioso come un miracoloso carismatico guaritore e profeta, però senza cultura filosofica e teologica, Dugin, davanti alle esigenze attuali degli intellettuali russi non più ingabbiati dal marxismo, ma desiderosi di apertura mentale, si presenta come nuovo profeta, uomo dottissimo, conoscitore di tutte le principali culture e religioni dell’umanità, fustigatore dell’Occidente corrotto, cose che però egli mescola assieme in un immenso calderone che dovrebbe fondare il primato della Russia, Terza Roma, su tutta l’umanità e purificatrice escatologica dell’umanità.

Ma il fatto è che nella mistica sensuale di Rahner, al di là della sua dichiarazione di superamento dell’animalità[3], facilmente può affacciarsi l’erotismo sessuale, che così viene scambiato per amore mistico.  Bisogna invece dire che senza concetto non c’è l’intelligere, ma il sentire; e se non c’è l’intelligere, non c’è neppure l’atto dello spirito; quindi non si può parlare di un’esperienza spirituale, ma solo emotiva. Ora la vera esperienza mistica è un’esperienza spirituale.

Sta qui la tragedia del misticismo russo, il quale, pur appoggiandosi sulla Scrittura e sui Padri orientali, infetto come fu dallo scisma del 1054, che l’ha privato del saggio controllo esercitato dal magistero dei Papi, ha dato certo nei secoli frutti copiosi e anche eroici di santità[4], ma sempre in bilico tra l’attenzione agli impulsi dello Spirito Santo e le fascinose suggestioni del demonio. Tra l’origenismo e la mistica del Monte Athos da una parte e la dissolutezza sfrenata passata per «mistica» di un Rasputin, dall’altra corre certo un abisso. Ma come negare il danno presente nei due mondi proveniente dall’assenza di un contatto vivo con Roma?

Come non sentire un certo disagio nel vedere la tendenza origenistica della pratica della castità in quei santi asceti e come per altro verso non ricordare che Rasputin, se fu più volte indagato dall’autorità ecclesiastica con l’accusa di appartenere alla setta immorale dei Clisty, presso alcuni prelati fu oggetto di ammirazione e godette incredibilmente di devozione e stima?

La mistica volontarista

La mistica in generale è, come dice Dionigi, il patire le cose divine. Il mistico è uno strumento di Dio. La sua volontà è la volontà di Dio. Acceso da un fuoco divino, accende nei cuori il fuoco dello Spirito Santo. Ma se questa volontà non è la volontà di un Dio pensato nel concetto o nel dogma, dove finisce il criterio per distinguere la buona dalla cattiva volontà? La giustizia dal peccato? Il patire il male dal fare il male?

Comprendiamo le gravi conseguenze del concepire la mistica come esperienza atematica, la si chiami «trascendentale» o come si vuole? Intendendo la mistica come volere atematico, abbiamo delle notevoli sorprese. Vien fuori, per esempio, che sia Lutero che Cartesio, col loro caratteristico volontarismo atematico, sarebbero dei mistici atematici, e quindi con ciò stesso falsi mistici.

Lutero se la prendeva con la mistica; non la considerava cosa biblica, ma ispirata dal dualismo platonico. Lutero si era effettivamente accorto che la mistica dionisiana od origenista ha forti accenti platonici.

Tuttavia Lutero non brillava nella lucidità intellettuale e quindi non gli andava la prospettiva di un ideale di perfezione intellegibile da raggiungere con lo sforzo e con la rinuncia. Vedeva la vita cristiana come passione, spontaneità e irruenza. Lutero aveva ripugnanza per la dottrina platonica delle idee. In tal senso non era agostiniano, ma aveva subìto l’influsso dell’empirismo volontarista ed individualista di Ockham.

Cartesio passa per essere un razionalista, ed è effettivamente così. Ma il suo razionalismo nasce da una scelta originaria atematica nei confronti di Dio, non verbalizzata, ma precedente gli atti della ragione. Il suo cogito è effetto della volontà, non della ragione. Infatti non è un vero io penso, ma io dubito, per cui la mia certezza di esistere è effetto del mio volere, non del mio sapere. E che cos’è un volere non verbalizzato se non un volere mistico?

Lutero, dal canto suo, male interpretando la dottrina del peccato originale, partiva da una concezione della condotta umana per la quale l’innocenza è impossibile.  In lui si ritrova la concezione kabbalistica per la quale Dio non vuole solo il bene ma anche il male. Tutte le azioni buone e tutti i peccati dipendono da lui. Egli salva l’uomo sia peccando che beneficando. Lutero non distingue il peccare dal soffrire. Il peccare divino è un peccare salvifico.

Quindi se Dio stesso è colpevole e malvagio, figuriamoci che cosa potrà essere l’uomo! Ma Lutero scusa il peccatore, perchè secondo lui è Dio che lo fa peccare.  In queste condizioni, Cristo che cosa fa per salvarci, per redimerci, per giustificarci? Se Dio stesso spinge al male, e Cristo è Dio, ne  verrà che Cristo non è così innocente come il Papa vorrebbe farci credere, ma Cristo stesso ci salva dal peccato peccando. E Lutero crede di poter giustificare questa orrenda tesi con le parole di San Paolo: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (II Cor 5,21).

Che sia il peccato a togliere il peccato è un’idea kabbalistica diffusa dal mistico ebreo Sabbatai Zevi nel sec. XVII[5], che si presentò come il Messia ed ebbe un largo seguito. Quest’idea che Dio sia all’origine del male di trova anche in Jakob Böhme, mistico protestante del ‘600, del quale Hegel aveva molta ammirazione. Infatti in Hegel, sotto forma dialettica si arriva allo stesso principio: non è il positivo che toglie il negativo, ma è il negativo che togliendo sé stesso pone di nuovo il positivo. Non esiste il bene senza il male. Il male è necessario al bene perchè il bene sia bene e vinca il male.

E Rahner arriva a dire su questa linea che per togliere il peccato non occorre la bontà divina, perché è il peccato per sua essenza toglie sé stesso. Cristo non paga al nostro posto, ma semplicemente l’uomo stesso diventa Cristo. Seguendo lo schema hegeliano il Cristo di Rahner è Dio che opponendosi a sé nell’uomo peccatore, il «Dio-che-diviene», torna in Sé nella risurrezione di Cristo. Così similmente la passione di Cristo, secondo Von Balthasar, consiste nel fatto che Cristo per salvarci, ha fatto propria la pena dell’inferno. Già Lutero non distingueva il peccare dal patire salvifico, per cui vedeva nel citato passo di San Paolo un Cristo che ci salva facendo suo il nostro peccato.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 luglio 2024

Memoria della Beata Maria Vergine del Monte Carmelo


Occorre quindi urgentemente chiarire o ricordare che cosa è la mistica, onde avere il criterio per distinguere quella vera da quella falsa. Al riguardo occorre innanzitutto controllare quale concetto dello spirito sta alla base di una data mistica, perché la mistica è un’esperienza spirituale. Che sia naturale o soprannaturale, questa è una distinzione da fare quando si confronta la mistica cristiana, soprannaturale, con le mistiche delle altre religioni, che sono di carattere naturale o puramente filosofico. La prima cosa da fare è trovare il concetto giusto dello spirito nei suoi rapporti con la materia.

La mistica in generale è, come dice Dionigi, il patire le cose divine. Il mistico è uno strumento di Dio. La sua volontà è la volontà di Dio. Acceso da un fuoco divino, accende nei cuori il fuoco dello Spirito Santo. Ma se questa volontà non è la volontà di un Dio pensato nel concetto o nel dogma, dove finisce il criterio per distinguere la buona dalla cattiva volontà? La giustizia dal peccato? Il patire il male dal fare il male?

Immagine da Internet: Teresa d'Avila, François Gérard, Parigi



[1] Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017.

[2] Edvard Radzinskij, Rasputin. La vera storia di un contadino che segnò la fune di un impero, Mondadori, Milano 2000.

[3] Rahner con Heidegger respinge sdegnosamente la definizione aristotelica dell’uomo come animale ragionevole, perché giudicata volgare e non all’altezza dell’uomo inteso come «apertura all’essere». In realtà la mistica basata sull’aristotelismo come quella di San Tommaso è molto più spirituale e meno pretenziosa dell’esperienza trascendentale rahneriana.

[4] Tomas Spidlik, I grandi mistici russi, LIPA, Roma 2016; Ivan Kologrivov. Santi Russi, La Casa di Matriona, Milano 1977.

[5] Gershom Scholem, La cabala, Edizioni Mediterranee, Roma 1992, pp.245-287.

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