Sul concetto tomista della storia
Sfatiamo un grave pregiudizio contro la teologia tomista
In un articolo della rivista Études dell’aprile del 1946[1] il Card. Jean Daniélou lanciava contro il pensiero di Tommaso la grave accusa di «ignorare la nozione di storia». Sono passati quasi ottant’anni da allora, eppure ancor oggi c’è chi condividerebbe questa accusa.
Certamente l’Aquinate non ci dà un concetto di storia, non ci dà una definizione dell’essenza della storia. Ma egli sa benissimo comunque che cosa è la storia, quale ne è l’importanza come realtà creata e guidata da Dio ai fini che Egli ha fissato al divenire storico.
Non nego che nel tomismo scolastico seguente a Tommaso fino al tomismo francese del secolo scorso la riflessione filosofica e teologica sul senso cristiano della storia sia stata carente per un attenzione troppo esclusiva alla teologia dogmatica, mentre non si può negare nei protestanti una maggiore attenzione favorita dalla loro devozione alla Scrittura dove è evidente quanto le narrazioni storiche e il genere letterario della parabola e del racconto mitologico o parenetico offrono spunti e stimoli alla riflessione morale e sapienziale.
Ad ogni modo, Tommaso nella sua filosofia e teologia e nei suoi commenti alla Scrittura dimostra di comprendere benissimo gli insegnamenti sapienziali e morali della storia come cammino dell’umanità sotto la guida della divina Provvidenza e come graduale attuazione nel corso dei secoli del piano divino concernente il destino dell’umanità.
Tommaso certamente non ci dice che la storia può essere oggetto della filosofia, non ce ne dà una definizione filosofica. Questa sarà opera di Hegel[2], il quale concepisce filosoficamente la storia come la progressiva realizzazione della ragione divina nell’umanità nel corso del tempo e movimento dello Spirito nella presa di coscienza da parte di se stesso nel tempo. Egli parla della storia come effetto del procedere dello Spirito immanente all’umanità nel corso del tempo.
Tommaso avrebbe certamente accettato questo concetto entro questi limiti. Ne dà prova il modo col quale nelle sue opere considera l’intellegibilità della storia sacra e profana dell’umanità e del pensiero. Troviamo quindi in Hegel, entro questi limiti, un’esplicitazione del concetto tomistico della storia, anche se certamente tale esplicitazione non è in Hegel intenzionale, data la sua pressoché totale insensibilità al pensiero di San Tommaso secondo la tradizione luterana.
E peraltro c’è da ricordare che nella visione hegeliana è presente anche un elemento panteistico che Tommaso non avrebbe assolutamente accettato. Un filosofo tomista che ci presenta nel confronto con la concezione hegeliana la concezione filosofica della storia che si può ricavare dai princìpi di San Tommaso e dalla pratica stessa irriflessa di questa filosofia che troviamo nelle sue opere, è il Maritain nella sua opera Per una filosofia della storia[3] pubblicata nel 1955, ottima risposta alla falsa accusa del Daniélou.
In quest’opera di fondamentale importanza come esempio di tomismo postconciliare, benché scritta pochi anni prima del Concilio, il grande filosofo e teologo Maritain compie un esame critico del concetto hegeliano della storia riconoscendone l’originalità e il merito, un giudizio che certamente Tommaso avrebbe condiviso, ma nel contempo mostrando l’impostazione gnostica di un concetto idealistico e storicistico di Dio e della verità, che certamente Tommaso non avrebbe accettato.
Si sa che per Tommaso il vertice della filosofia non è la cosmologia, orizzonte della storia, ma la metafisica e la teologia, orizzonte dell’essere immutabile sovrastorico, anche se Tommaso ha chiara la percezione della mutabilità e quindi della storicità dello spirito umano.
Ma ciò non significa assolutamente che Tommaso non sapesse e non apprezzasse nel modo giusto che cosa è la storia alla luce della ragione e della fede e che non se ne sia profondante interessato come filosofo e teologo e non come storico, sapendo benissimo già alla scuola dei Padri e di Sant’Agostino che la Scrittura ci dà una rivelazione divina sul significato sapienziale della storia, sul suo rapporto con Dio e i destini dell’uomo.
Certo Tommaso non è stato uno storico. Ma per capire filosoficamente che cosa è la storia e quale ne è il valore è sufficiente al filosofo trarre le sue cognizioni storiche dallo stesso storico, cosa che Tommaso ha fatto coscienziosamente ovviamente in relazione alle cognizioni storiche disponibili ai suoi tempi.
Tommaso era ben consapevole del fatto che la storia è una realtà intellegibile, di somma importanza per la nostra vita e in relazione al suo fine ultimo. Benchè la storia ci presenti tanti lati oscuri non scientificamente maneggiabili, egli sapeva comunque che la storia, frutto dell’agire umano, essere dotato di ragione, non può a sua volta non essere suscettibile di essere indagata e spiegata dalla ragione, non può non essere un’espressione della ragione umana e soprattutto della ragione divina che la guida nel succedersi dei tempi e dei secoli fino alla pienezza finale del Regno di Dio. Se la storia come tale non è oggetto di scienza, da essa tuttavia si ricava la scienza dell’agire umano e divino di fatto e di diritto nel tempo e nello spazio. Si impara a distinguere il bene dal male e a vedere il trionfo del bene sul male.
Egli sapeva benissimo che, benché la storia ci dia solo dati esistenziali e concreti e non delle pure essenze e cause oggetto della scienza, non per questo le essenze e le cause non sono presenti nel concreto dei fatti storici, purchè noi le sappiamo riconoscere nel cuore degli eventi, prescindendo dagli elementi insignificanti ed accidentali.
E allora scopriremo lo svolgersi nel tempo di un meraviglioso piano divino di misericordia, di giustizia e di salvezza per l’uomo, un piano sapientissimo e misterioso indagabile dalla ragione e quindi dalla filosofia, nonché illuminabile dalla fede, e quindi materia dell’indagine teologica.
Se Tommaso non ci dà una nozione esplicita di storia, non per questo è impossibile ricavare una definizione in base ai princìpi stessi dell’Aquinate. Tutt’altro. E lo vediamo in questo articolo. Con tutto ciò non intendo detrarre in nulla al merito della filosofia moderna di averci dato un concetto filosofico della storia.
Certamente ai tempi di San Tommaso nessuno sospettava che la storia potesse essere materia di filosofia. Se la scienza ha per oggetto l’universale, mentre la storia è la successione nel tempo di fatti e cose singolari, come la storia potrebbe essere oggetto di scienza? Se la storia è il teatro delle azioni del libero arbitrio umano, come si potrebbero dare nella storia delle realtà dimostrabili o prevedibili in base a un principio di necessità logica? Come potrebbero darsi dimostrazioni stringenti propter quid?
Ai tempi di San Tommaso era chiara l’idea che la storia fosse una successione di fatti e che il problema e interesse della storia fosse la narrazione di questi fatti. Ossia la materia storica era di semplice competenza dello storico. Eppure già dai tempi dell’antico Israele e poi dei Padri della Chiesa, il contatto con la Scrittura aveva fatto capire a filosofi, moralisti, teologi e sapienti che nella storia e nei fatti narrati dalla Scrittura c’era amplissima materia di meditazione e di apprendimento per il filosofo, il moralista e il teologo, solo che li sapessero leggere comprendendo come nell’evento, nell’impresa umana, nelle vicende dei popoli e delle nazioni, nella vita dei grandi personaggi storici riluce sempre per il filosofo e per il teologo qualche traccia, segno, impronta o avvertimento delle verità superne, della dinamica dello spirito, della divina provvidenza, della volontà di Dio, delle opere della ragione, dei piani di un’intelligenza.
La storia in senso teologico, in quanto storiografia, è la narrazione dell’operato della Provvidenza divina nel tempo a favore dell’uomo, ovvero è la storia in quanto è guidata da Dio che guida l’azione umana ed è lo stesso operare divino di fatto e nel tempo insieme con la rispettiva reazione umana favorevole sotto l’impulso dello Spirito Santo o contraria dell’uomo e delle forze demoniache.
Da qui il famoso verissimo detto historia magistra vitae, anche se è vero che il sapere dell’eterno e dell’immutabile resta sempre patrimonio privilegiato della metafisica e della dogmatica al di sopra del dato della storia, il quale, per quanto possa contenere dell’eterno e dell’immutabile, si tratta sempre di qualcosa che è in cammino ed evolve e non è ancora giunto al termine o alla pienezza.
Comunque la filosofia, opera della ragione, ha per oggetto non soltanto la ragione in se stessa, ma anche il procedere temporale della ragione nelle sue opere speculative, e abbiamo la storia della filosofia, e della ragion pratica, ed abbiamo le grandi azioni, le res gestae, le azioni storiche dei grandi uomini, i personaggi storici, la storia sic et simpliciter.
La filosofia teoretica e morale nonché la teologia dogmatica fanno conoscere non semplicemente i valori umani e morali in quanto maturano nella storia, ma nella loro maturazione e perfezione finali, sicchè è solo alla luce di questa perfezione ideale e finale che si può valutare il senso e il significato del progresso storico dell’umanità verso il Regno di Dio.
Altrimenti si casca nella visuale miope, sterile e frustrante dello storicismo, un continuo, inconcludente ed esasperante movimento ciclico, un divenire storico fine a se stesso che impedisce allo spirito di elevarsi al livello dell’eterno. Invece di salire al cielo, si resta sulla terra o addirittura si scende nell’inferno. Invece di nutrirsi del pane degli angeli, si mangiano le carrube dei porci.
Come dunque può la storia essere materia d’interesse filosofico? Come lo storia può essere materia filosofica? Come può interessare la filosofia? La filosofia indaga sulle cause e ragioni prime e i fini ultimi della realtà. La storia vede l’azione di fatto di queste forze e di questi princìpi dell’umanità nel tempo e nello spazio.
Dio e la storia
Se non esistesse una causa prima e un fine ultimo del divenire del mondo nel tempo, se non esistessero causa e fine liberi dal divenire e dal tempo, non esisterebbero neppure il divenire e il tempo, perché divenire e tempo sono passaggio da un inizio a una fine.
Tommaso ha un’idea ricchissima del divenire in tutte le sue forme, specie e gradi, desunta dalla fisica di Aristotele, idea che utilizza le fondamentali categorie della materia e della forma, della sostanza e dell’accidente: la trasformazione, lo spostamento, l’alterazione, la generazione, la corruzione, l’aumento, la diminuzione, la dissoluzione, l’integrazione, la privazione, il completamento, il flusso, l’emanazione, l’unificazione, la dispersione, l’evoluzione, l’esplicitazione, lo sviluppo, il chiarimento, l’oscuramento.
Contro Hegel Tommaso direbbe dunque che la storia non è tutta la realtà. Nel momento in cui Hegel assolutizza il divenire e il tempo, crede di esaltare lo Spirito e non si accorge di essere un materialista. E se è vero che lo spirito umano agisce nel tempo, i prodotti dello spirito, ossia il pensiero, sono immateriali, trascendono il tempo e si pongono nell’orizzonte dell’eterno.
Tommaso viceversa è ben consapevole che la storia non è Dio, ma creatura contingente di Dio, il quale, nella sua assoluta necessità, immutabilità e sovratemporalità, trascende e governa la storia, benchè incarnandoSi abbia voluto entrare nella storia. E quindi, oltre alla realtà della storia, ossia del creato, esiste il Creatore Dio.
Se di totalità vogliamo parlare, questa totalità è Dio. Il mondo è la totalità degli enti creati. Ma si tratta di una totalità insiemistica, la totalità di una molteplicità, che comporta parti fuori delle parti. Ma la vera totalità è, per usare un’espressione di Soloviev, ma perfettamente conforme al concetto tomista, è l’unitotalità, attributo esclusivo di Dio.
Tommaso sa che la storia ha una sua consistenza ontologica, una sua verità e certezza, e non è apparenza, provvisorietà o parvenza, non è illusione alla maniera di Platone o del brahmanesimo. La certezza storica non ha il rigore di quella scientifica, ma, quando è bene testimoniata o assodata, ci fa comunque sapere che cosa è successo e perché.
Tommaso ha capito benissimo contro Platone e in linea con Aristotele il principio moderno di origine hegeliana ed in fondo cristiana che noi non dobbiamo liberarci dalla storia, ma nella storia, perché siamo esseri ad un tempo storici, in quanto materiali e sovrastorici in quanto spirituali.
E tuttavia è vero che la storia è realtà come essere per partecipazione, ma appunto per questo essa appartiene alla categoria della parte, del passaggio da una parte ad un’altra parte. Non è il tutto, non è l’assoluto, non è l’essere per essenza. E tuttavia la parte ci fa capire che esiste il tutto.
Tommaso sa bene che l’essenza divina coincidente col suo atto d’essere, a differenza di ogni altra essenza, è già completa in sé stessa nella sua immutabilità. Non ha alcun bisogno di essere completata o integrata dal tempo, dal divenire e dalla storia. Dio può esistere anche senza il mondo.
La storia non aggiunge nulla a Dio, perché non è essere che si assomma all’essere, ma è essere partecipato che partecipa dell’essere per essenza. La realtà divina è realtà infinitamente più reale della realtà del mondo.
Questa idea che la storia sia la totalità della realtà in quanto Dio stesso diviene ed è temporale, è l’errore della concezione hegeliana della storia e di Dio stesso. Occorre infatti ricordare che la storia è una realtà creata e temporale, anche se in essa sono presenti ed operanti agenti spirituali e Dio stesso.
Il fondamento metafisico di questa distinzione tra Dio e la storia è dato in San Tommaso dalla sua distinzione fra atto d’essere ed essere in potenza. Dio è atto puro di essere, lo stesso atto d’essere sussistente, e per questo è eterno ed immutabile, al di sopra del tempo e del divenire.
Non passa e non si corrompe. È immortale. Dio è rappresentato dall’immagine della roccia; è stabile, benché non sia statico, anzi è dinamico, tutto forza ed energia, tutto muove e da nulla è mosso. Il mondo diviene nel tempo, ha una storia, passa dalla potenza all’atto. Dio non ha storia, ma è puro essere, checché ne dica Hegel.
Passare dalla potenza all’atto vuol dire passare dall’imperfetto al perfetto. La storia è il passaggio del mondo dall’imperfezione alla perfezione per opera dell’umanità sotto la guida e la mozione di Dio.
In Dio l’essenza coincide con l’esistenza. Dio è il suo stesso essere. La storia invece suppone enti nei quali l’esistenza è atto dell’essenza, atto che può esserci come non esserci. L’essenza può passare all’atto d’essere come può perderlo.
Il Dio di San Tommaso dunque non ha storia non perché appartiene al mondo delle pure astrazioni come calunniano gli storicisti e i modernisti, ma perché il suo essere è talmente reale, intenso, ricco e concreto, che è già tutto e non ha alcun bisogno del divenire storico che non aggiunge nulla al suo essere, ma al contrario, aggiungendosi, finitizzerebbe il suo essere e lo renderebbe un idolo di questo mondo.
Il progresso umano
Chiarissimo inoltre in San Tommaso è il concetto del progresso, concetto molto amato dalla modernità, ma spesso guastato dallo storicismo hegeliano. Il punto infatti è sempre questo: la necessità di distinguere la natura umana dalla natura divina. Infatti in Hegel è Dio stesso che progredisce per il fatto stesso che per lui Dio è uomo non nel senso cristiano dell’assunzione da parte del Verbo divino di una natura umana, ma nel senso che la stessa natura divina non è completa se non in unità con la natura umana.
Per questo per Hegel il passaggio biblico dal Dio veterotestamentario prima dell’incarnazione al Dio neotestamentario incarnato non rappresenta la libera scelta di un Dio che, se non avesse fatto questa scelta, non gli sarebbe mancato nulla della sua essenza, ma al contrario secondo lui la narrazione biblica del detto passaggio significa in maniera figurata il processo ontologico per il quale nella storia e nel tempo Dio, essenza essenzialmente temporale e mutevole, completa la propria essenza passando, mediante il processo dialettico dell’autonegazione e dell’autoreintegrazione, dal Dio «astratto», «celeste», trascendente, il Dio dell’«al-di-là» e senza carne al Dio «concreto» e incarnato, ossia umanizzato e storicizzato, il Dio immanente dell’«al-di-qua», corrispettivamente a quello che per Hegel è il passaggio dalla gnoseologia realista antica, per la quale l’essere è fuori del pensiero, a quella moderna, cartesiana e idealistica, per la quale l’essere è nel pensiero.
Tommaso concepisce la storia come il cammino dell’umanità nel tempo verso il Regno di Dio. La storia ha una causa, una ragion d’essere, un inizio, un’origine, un decorso, un suo modo di procedere, uno scopo finale. Essa, guidata dalla Provvidenza è soggetta ad un processo continuo di sviluppo, ad una crescita e ad miglioramento o per passaggio dalla potenza all’atto o per la vittoria sulle forze avverse.
La storia per Tommaso è vittoria progressiva del sapere sull’ignoranza, del vero sul falso, del bene sul male, della virtù sul vizio, della vita sulla morte, è passaggio dall’imperfetto al perfetto, dal bene al meglio fino ad arrivare all’ottimo.
Il progresso storico, pagato con molte fatiche, fallimenti momentanei e sofferenze, è frutto della volontà umana sostenuta dalla grazia. In tal senso esso, senza essere necessario, è inarrestabile e per volere divino è destinato a giungere al suo termine che è l’instaurazione del Regno di Dio.
Tommaso sa che il progresso umano comporta un’opera temporale di restaurazione dell’innocenza perduta, di riparazione dei danni causati dal peccato, di guarigione dalle cattive tendenze conseguenti al peccato, di esercizio ascetico delle virtù, di apertura alle novità dello Spirito, nella pregustazione delle sue primizie, di abbandono delle cose invecchiate e inutili, di conservazione della Parola di verità, in un continuo approfondimento del suo significato salvifico e beatificante, e crescita nella carità e in tutte le virtù.
Tommaso riconosce che il progresso è contrastato dalle forze sataniche, le quali però, per la forza dello Spirito Santo, sono sempre vinte dagli eletti fino alla loro vittoria finale. Anche le forze che si oppongono al progresso lo favoriscono perché danno modo ai predestinati di sconfiggere in Cristo i ribelli e coloro che non vogliono il Regno di Cristo.
L’essenza dell’uomo sarebbe pensabile, concepibile ed intellegibile, anche se Dio non avesse creato alcun uomo o non esistesse nella realtà alcun uomo, anche se l’essenza umana non possedesse l’essere. Si può concepire anche qualcosa che non esiste. Per questo l’uomo reale non è ancora, come credeva Hegel, il concetto dell’uomo. La cosa non è il concetto della cosa. Il razionale non è necessariamente il reale, ma può essere un semplice possibile; ed è comunque la cosa nella mente a prescindere dalla sua esistenza attuale fuori della mente.
L’unico caso nel quale il concetto è identico alla cosa è il Verbo divino, che è persona e sostanza infinita reale divina. Il Figlio è il Concetto del Padre identico alla Persona del Figlio. Ma i nostri concetti non possono avere la pretesa di identificarsi con le cose, benché possano rispecchiarne o rappresentarne la verità.
Così Tommaso distingue fra essenza dell’uomo o natura umana, riprendendo la definizione di Aristotele, l’uomo in quanto uomo, e condizione umana, ossia i diversi stati esistenziali, fattuali e storici della natura umana così come vengono presentati dalla rivelazione cristiana: lo stato d’innocenza, lo stato di natura decaduta, lo stato di natura redenta e lo stato finale di natura gloriosa.
Inoltre Tommaso distingue differenti forme di progresso umano: quello filosofico, che è il passaggio dall’originario materialismo degli antichi filosofi naturalisti alla scoperta dello spirito in Anassagora e dell’essere come tale in Aristotele; il progresso morale, che è il passaggio dall’Antica alla Nuova Alleanza, ossia dall’osservanza della legge mosaica alla pratica della nuova legge evangelica della carità o legge dello Spirito Santo; il progresso spirituale, che è il passaggio dal semplice esercizio deliberato delle virtù alla disponibilità a lasciarsi guidare dallo Spirito.
Tommaso stesso, infine, visse profondamente nella sua personale vita spirituale ed attività accademica questa concezione progressista e profetica della storia tipica del cristianesimo, operando nella storia della teologia quella svolta epocale che consistette nel completare Platone con Aristotele nell’interpretazione della divina rivelazione col vantaggio di farci meglio comprendere il senso della Parola di Dio e il significato cristiano del senso della storia.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 13 giugno 2024
Naturalmente Tommaso sa che cosa è la storia, ma non pensa a darne una definizione. Sa che cosa è la storia perchè conosce la Scrittura la quale racconta appunto come nel tempo Dio ha guidato, guida e guiderà l’umanità verso quei fini che corrispondono alla sua volontà di amore, di giustizia e di misericordia.
Così l’Apocalisse presenta la storia dell’umanità come la lotta lungo il corso dei secoli della Chiesa guidata da Cristo contro le forze demoniache con la vittoria finale di Cristo. In questo senso Tommaso sarebbe d’accordo con Bruno Forte nel parlare di teologia narrativa accanto alla teologia induttiva-deduttiva che forma la teologia dogmatica.
La gnoseologia realista che Tommaso desume da Aristotele gli consente di avere una percezione netta della dignità della realtà sensibile, concreta, materiale e temporale, umana e cosmologica, quindi storica, mentre capisce benissimo che questa realtà non basta a sé stessa e non esisterebbe se non fosse fondata su di una superiore e suprema realtà puramente intellegibile e spirituale, incrollabile e saldissima, libera dalla materia e dal tempo, ossia Dio. Contro Hegel Tommaso direbbe dunque che la storia non è tutta la realtà.
Tommaso dimostra il suo vivo senso della storia e del progresso umano basandosi sulla sua distinzione metafisica reale fra essenza ed essere applicata alla storia umana. Un conto infatti per lui è l’essenza di una cosa e un conto è il suo esistere o attuarsi nella realtà. L’essenza è un semplice pensabile mentale che è tale anche se non dovesse esistere alcun individuo reale di quella specie.
"Aggiornamento e Rinnovamento, Non Everzione: Non è cosa ignota. Dopo il Concilio la Chiesa ha goduto, e sta tuttora godendo, d’un grande e magnifico risveglio, che a Noi per primi piace riconoscere e favorire; ma la Chiesa ha anche sofferto e soffre ancora per un turbine di idee e di fatti, che non sono certo secondo lo Spirito buono e non promettono quel rinnovamento vitale, che il Concilio ha promesso e promosso. Un’idea a doppio effetto si è fatta strada anche in certi ambienti cattolici: l’idea del cambiamento, che ha preso il posto per alcuni dell’idea dell’aggiornamento, presagito da Papa Giovanni di venerata memoria, attribuendo così, contro l’evidenza e contro la giustizia, a quel fedelissimo Pastore della Chiesa criteri non più innovatori, ma talvolta perfino eversivi dell’insegnamento e della disciplina della Chiesa stessa. Vi sono molte cose che possono essere corrette e modificate nella vita cattolica, molte dottrine che possono essere approfondite, integrate ed esposte in termini meglio comprensibili, molte norme che possono essere semplificate e meglio adattate ai bisogni del nostro tempo; ma due cose specialmente non possono essere messe in discussione: le verità della fede, autorevolmente sancite dalla tradizione e dal magistero ecclesiastico, e le leggi costituzionali della Chiesa, con la conseguente obbedienza al ministero di governo pastorale, che Cristo ha stabilito e che la saggezza della Chiesa ha sviluppato ed esteso nelle varie membra del corpo mistico e visibile della Chiesa medesima, a guida ed a conforto della multiforme compagine del Popolo di Dio. Perciò: rinnovamento, sì; cambiamento arbitrario, no. Storia sempre viva e nuova della Chiesa, sì; storicismo dissolvitore dell’impegno dogmatico tradizionale, no; integrazione teologica secondo gli insegnamenti del Concilio, sì; teologia conforme a libere teorie soggettive, spesso mutuate a fonti avversarie, no; Chiesa aperta alla carità ecumenica, al dialogo responsabile, e al riconoscimento dei valori cristiani presso i fratelli separati, si; irenismo rinunciatario alle verità della fede, ovvero proclive ad uniformarsi a certi principii negativi, che hanno favorito il distacco di tanti fratelli cristiani dal centro dell’unità della comunione cattolica, no; libertà religiosa per tutti nell’ambito della società civile, sì, come pure libertà di adesione personale alla religione secondo la scelta meditata della propria coscienza, sì; libertà di coscienza, come criterio di verità religiosa, non suffragata dalla autenticità d’un insegnamento serio e autorizzato, no; e così via. IL PAPA CHIEDE DISCERNIMENTO E FEDELTÀ Perciò, figli carissimi, la Chiesa ha bisogno oggi del vostro discernimento e della vostra fedeltà. Ed è questa la speranza, che Ci porta, con grande Nostra consolazione, la vostra visita. La Chiesa ha bisogno della lucidità di spirito dei suoi figli; ha bisogno della loro amorosa e ferma fedeltà. Ci portate voi, carissimi, questa chiarezza di idee in ordine al rinnovamento della vita della Chiesa? Ci portate il grande, il prezioso, il carissimo dono della vostra fedeltà? Noi lo speriamo paternamente. E perciò, con l’animo pieno di gaudio e di speranza, tutti di grande cuore vi benediciamo." San Paolo VI, Udienza Generale 25 aprile 1968
RispondiEliminaMolto interessante
Elimina"Storia sempre viva e nuova della Chiesa, sì; storicismo dissolvitore dell’impegno dogmatico tradizionale, no; integrazione teologica secondo gli insegnamenti del Concilio, sì; teologia conforme a libere teorie soggettive, spesso mutuate a fonti avversarie, no." San Paolo VI, Udienza Generale 25 aprile 1968
RispondiEliminaMolto interessante
EliminaLei dice che "la storia come tale non è oggetto di scienza". Puoi spiegarlo?
RispondiEliminaHo sempre sentito parlare di "scienza storica", e ho sempre capito che la storia è, a suo modo, una scienza, con i suoi limiti, con le sue conquiste certe, ma anche con le sue questioni aperte...
Caro Anonimo, il concetto di scienze storiche è un concetto moderno che nasce da quelli che sono stati i progressi delle conoscenze storiche.
EliminaQuando ho detto che la storia come tale non può essere oggetto di scienza, intendevo scienza nel senso di conoscenza certa e dimostrativa delle cause di un dato fatto o di un dato fenomeno.
Ora la storia è un insieme di fatti e di eventi singoli, temporali e diversificati, che sono causati dalla libertà umana. Ora la scienza è alla ricerca dell’universale e di leggi universali, cose che suppongono l’immutabile e il determinato.
Ora, come si fa a trovare nella storia oggetti di questo tipo? Questo è possibile nelle scienze fisiche, matematiche, anche psicologiche, morali, metafisiche e teologiche. Tuttavia è possibile trovare nella storia una certa sua logica, un rapporto di causa ed effetto, l’esistenza di fatti costanti, tutte cose che consentono di raggiungere un sapere che possiamo chiamare scienza, ma che non ha quella certezza e quel rigore che possono avere le scienze vere e proprie che ho enumerato sopra.
In conclusione, la storia è o non è una scienza? Se per scienza intendiamo conoscenze certe, senz’altro, ma se per scienza intendiamo una conoscenza che spieghi rigorosamente secondo il rapporto di causa ed effetto, non è una scienza, perché nella storia gioca il libero arbitrio umano, che invece non riguarda l’oggetto della scienza, il quale concerne l’essenza universale determinata.