Perché Rahner attira ancora?

 

Perché Rahner attira ancora?

Egli ha causato gravi danni alla Chiesa

ma non manca di aspetti positivi

Dall’epoca del Concilio Vaticano II Rahner continua ad avere molti seguaci e un notevole influsso soprattutto in quegli ambienti ecclesiali che si considerano prosecutori del progresso promosso dal Concilio.

Certamente Rahner ha dato un notevole contributo alla elaborazione delle dottrine nuove del Concilio. Ma egli tuttavia le propagandò dando ad esse un’interpretazione modernista. Tanta tuttavia fu la fama e tale il prestigio che si era acquistato come perito del Concilio, che quando egli si lanciò negli anni del postconcilio in questa impresa fallace, pochissimi si accorsero dell’insidia o ebbero il coraggio di opporglisi per non fare la figura di nemici del Concilio.

Così Rahner non ha incontrato solo successo, ma anche opposizioni non solo presso coloro che fanno resistenza alle novità conciliari, ma anche presso quell’area cattolica che tiene sinceramente alla fedeltà alla Scrittura e Tradizione nella piena comunione col Papa ed alla professione dell’integrità della dottrina cattolica con l’intento di diffonderla, di farla mettere in pratica e di difenderla dagli errori.

Il rahnerismo non è mai stato esplicitamente condannato dalla Chiesa, se non in quegli errori che Rahner riprende dai secoli del passato. Ma tanto meno è stato raccomandato o portato ad esempio di teologo come la Chiesa continua a fare invece con l’Aquinate, anche se molto raramente cita qualche passo ovviamente accettabile dalla immensa produzione teologica rahneriana.

Non c’è da dubitare peraltro che i rahneriani, senza darsi per vinti ed anzi convinti di spuntarla, dato il grande successo ottenuto, abbiano continuamente esercitato una pressione sui Papi in questi anni del postconcilio perché presentassero Rahner e non più San Tommaso come modello di teologo. Ma si sono scontrati col fatto che lo stesso Concilio raccomanda San Tommaso e i Papi del postconcilio, se hanno ritenuto opportuno non condannare esplicitamente Rahner, si sono ben guardati dal tesserne le lodi. Anzi, come tutti sanno, l’attuale Pontefice l’anno scorso è tornato a presentare San Tommaso come modello di teologo continuando una tradizione che si prolunga da otto secoli.

Assai diffusa peraltro è un’interpretazione benevola del pensiero rahneriano, certamente con buon fondamento, ma anche segno di una certa ingenuità o di malcelati interessi accademici o di carriera. E la cosa è comprensibile anche perchè Rahner in certi luoghi manifesta apertamente i suoi errori mentre in altri luoghi li cela abilmente sotto un’apparente ortodossia o una vera e propria smentita, che però non è ritrattazione, ma mossa di circostanza a seconda delle convenienze del momento. Chi non conosce Rahner se non per spizzichi e bocconi non si accorge di questi trucchi, ma chi come me che studia il suo pensiero da 50 anni non ha difficoltà ad accorgersene.

Gli errori di Rahner che continuano a farsi sentire

Notiamo anzitutto la concezione rahneriana della liturgia, dove è negato lo specifico del sacerdote come ministro dell’eucaristia e confessore ed è sostituito con un ruolo sociologico o umanitario dove i sacramenti sono concepiti non come produttori della grazia ma segni della grazia già ricevuta, mentre la celebrazione, col pretesto dell’ispirazione dello Spirito e dell’adattamento all’ambiente, diventa, come da tempo è stato notato da molti, occasione per l’affermazione del protagonismo personale del celebrante, sicchè ciò che attira la gente non è affatto la Messa come tale, ma la Messa di quel tale.  Ciò che interessa non è la Messa ma il celebrante.

Ora tutto ciò come non darà luogo a quella disastrosa e scandalosa profanazione e secolarizzazione della liturgia, dove il sacro è abbassato al profano e il profano diventa sacro? Come queste idee messe in pratica non potranno provocare, come di fatto avviene, quella deformazione o disaffezione della liturgia che oggi è in continua crescita? Se certi preti impostano la Messa sul modulo degli spettacoli televisivi, non si rendono conto che la gente preferisce la TV alla sua cosiddetta «Messa»?

Il fatto è che purtroppo nella visione di Rahner il sacerdote, per sua stessa dichiarazione,  è ridotto a semplice rappresentante dell’assemblea liturgica di una «Messa» che non è più  rinnovazione del sacrificio espiativo, soddisfattorio, riparatore e redentore di Cristo (orrida visione masochista!), ma solo edificante memoria della testimonianza del martire, dell’«uomo-per-gli-altri», dramma del Dio svuotato e alienato da sè, un Dio Figlio respinto da Dio Padre, ma che risorgendo da morte diviene Spirito[1]. Si potrà mai celebrare una Messa sul modello della concezione hegeliana di Dio?

Così Rahner ha dato spazio a una figura di Cristo, oggi diffusa, ispirata a Teilhard de Chardin, il cosiddetto «Cristo cosmico», che emerge dalla terra, passa per l’uomo che si autotrascende per salire fino a Dio, che a sua volta diviene uomo per farsi mondo e tornare alla terra.

Per quanto riguarda la promozione del progresso teologico, possiamo dire che la teologia ha fatto veri progressi sotto gli stimoli e l’esempio di Rahner? Si sono approfondite le verità di sempre o si è messo in discussione ciò che era stato definitivamente acquisito, conquistato e accertato come base dell’umana convivenza e della civiltà ad opera dall’umana ragione nei secoli e millenni passati?

Con Rahner abbiamo compreso meglio il mistero di Cristo o ci siamo impelagati di nuovo in quel groviglio di eresie che avevano preceduto le chiarificazioni ottenute dai Concili cristologici? Sappiamo distinguere ed unire nella persona e nella natura umana l’anima e il corpo, così come ci aveva insegnato la dogmatica conciliare medioevale o siamo ricascati nel conflitto tra l’idealismo dualista di Platone e l’edonismo materialista di Epicuro?

Esiste l’«esperienza apriorica atematica preconcettuale trascendentale del sé, dell’essere e di Dio», della quale parla Rahner? È vero che tutti almeno anonimamente e inconsciamente, ma trascendentalmente e non concettualmente credono in Dio e si salvano, anche se si professano atei?

Per Rahner la fede cattolica si diffonde non facendo ragionare su segni di credibilità e testimonianze di carità, ed annunciando verità prima ignote all’evangelizzando, ma portando a consapevolezza nell’evangelizzando in modo tematico e categoriale l’esperienza originaria ineffabile di Dio già presente nel suo inconscio. Non è chiaro se per Rahner il missionario deve mirare ad aumentare il numero dei cattolici o basta che egli permetta all’evangelizzando di esprimere nelle categoriale della sua religione il contenuto universale e decisivo e sufficiente per la salvezza dell’esperienza trascendentale. Pachamama è la versione amazzonica della mariologia? Per spiegare la Scrittura Pachamama può sostituire Aristotele?

Inoltre Rahner propone una concezione dell’uomo non come animale ragionevole, sostanza vivente o persona composta di corpo ed anima immortale, creato ad immagine e somiglianza di Dio, ma, alla maniera di Heidegger, afferma che «l’essenza dell’uomo è l’assoluta apertura all’essere in generale»[2]  e altrove precisa dicendo che

«l’uomo è l’essere della trascendenza verso il mistero santo e assolutamente reale».  «L’uomo esiste in quanto tale attraverso l’orizzonte e l’origine della trascendenza». Tale origine ed orizzonte della trascendenza dell’uomo, che «costituisce il suo essere originario in quanto soggetto e persona, è questo mistero santo assolutamente esistente»[3], cioè Dio stesso.

Vediamo come Rahner definisce l’uomo non in termini categoriali, come sostanza o natura, ma in termini di essere, in termini metafisici, come se l’uomo fosse una categoria o modalità dell’essere o un predicato dell’essere. Che l’uomo sia un ente o un essere, non c’è dubbio. Ma è sufficiente fermarsi qui senza precisare quale tipo di essere? La sua animalità o corporeità non contano nulla? L’essere può essere materiale o spirituale. L’uomo non è semplicemente un essere, ma un ente materiale animato da un’anima spirituale.

Osserviamo che l’apertura all’essere potrebbe essere anche la materia prima. Per designare lo spirito bisognerebbe precisare che questa apertura appartiene all’intelletto o al pensiero e non semplicemente in modo vago all’essere.

La vera apertura all’essere divino potrà essere propria solo di uno spirito. Ma nel contempo un atto come quello di aprirsi suppone una facoltà in un soggetto e non può essere essa stessa soggetto. Salvo che non si tratti di Dio, dove l’essere coincide con l’agire. Insomma il concetto rahneriano di Dio è un nido di contraddizioni, che favorisce il panteismo.

Da notare inoltre che la concezione rahneriana dell’uomo è strettamente connessa col suo modo di concepire la scoperta dell’esistenza di Dio. Essa non avviene nel momento in cui la ragione, ponendosi la questione dell’origine del mondo, scopre la necessità di ammettere una causa prima e un fine ultimo di tutte le cose. Infatti per lui l’uomo è essenzialmente apertura, tendenza, orientamento o relazione a Dio, in modo tale che con l’esperienza trascendentale l’uomo scopre ad un tempo se stesso e Dio come vertice della trascendenza del proprio io.

Non è che per Rahner l’uomo scopre la propria dignità interrogandosi sull’origine di tale dignità, si accorge di essere una creatura di Dio, creato a sua immagine e somiglianza. No. Per Rahner, nel momento un cui io prendo coscienza del mio essere mi accorgo di essere per essenza in rapporto a Dio.

Insomma, io e Dio non siamo due persone distinte, io essere creato e Lui essere creatore, ma io e Dio siamo i termini di un unico movimento o divenire dell’essere, per il quale io mi innalzo a Lui e Lui si abbassa a me. Io e Lui non siamo due enti o due persone o due sostanze distinte: il mio essere e il suo è un unico essere; la differenza sta nel fatto che io sono l’essere in quanto aperto a Lui e Lui è l’essere in quanto appare a me.

Per Rahner allora il parlare di Dio, ed anzi il suo stesso concepirlo, un Dio del quale ci siamo fatti un concetto come sostanza, primo ente e causa prima, non è la premessa per contemplarlo amorosamente nell’esperienza mistica, ma è l’avanzo della vecchia metafisica aristotelica ormai da secoli superata dalla filosofia moderna che da Cartesio, passando pertanto ed Hegel va fino a Bultmann ed Heidegger.

Per Rahner l’essenza divina non è oggetto dell’intelletto così da sapere chi è Dio e definire gli attributi della natura divina. Non ha senso per Rahner distinguere gli attributi della natura divina da quelli della natura umana, perché gli uni passano negli altri. Con l’Incarnazione Dio muta e soffre e si svuota della sua essenza (così Rahner interpreta la kenosi paolina di Fil 2,7), mentre l’uomo il cui essere è pensiero ed apertura infinita, raggiunge l’orizzonte della trascendenza, che è Dio stesso.

Per questo per Rahner la teologia non è un parlare di Dio che conclude nel silenzio mistico motivato dalla consapevolezza dell’incomprensibilità ed ineffabilità dell’essenza divina, che comunque resta intellegibile, nominabile e concettualizzabile e quindi niente affatto inintellegibile, ma al contrario oggetto dell’intelletto, anzi sommo suo oggetto direttamente benché limitatamente visto nella visione beatifica.

Al contrario, per Rahner la teologia è l’espressione concettuale e verbale dell’esperienza originaria trascendentale atematica e silenziosa,  dove il concetto non è rappresentazione del reale, ma contingente e mutevole modello interpretativo, soggetto al divenire storico e diversificato a seconda della diversità delle culture, cosicchè il vero e il falso su Dio non si determina in relazione a un sapere universale ed immutabile, ma in relazione ai criteri di verità propri delle culture in base alle quali si fa una data affermazione su Dio.

Per questo per Rahner Dio è «il Mistero senza nome»[4]. Ci potremmo chiedere allora perché Dio ha rivelato il suo nome a Mosè (Es 3.15) e che senso ha il comando divino di non nominare il nome di Dio invano. E faccio presente peraltro che il «nome» nella Scrittura è l’essenza della cosa o persona nominata. Se dunque Dio non ha nome, allora non ha neanche un’essenza. Può esistere qualcosa che non abbia o non sia un’essenza?

Allora, quando nel 1336 Benedetto XII ha definito dogmaticamente che la beatitudine celeste consiste nella visione immediata dell’essenza divina ci ha raccontato una frottola?

Per Rahner Dio non è una Persona trascendente con precisi attributi, la quale, avendoci creati, ci detta le norme della nostra condotta,  in riferimento alle quali un giorno dovremo rispondere a Lui del nostro comportamento, ma è un ripostiglio mentale nel quale Rahner ha messo un mucchio di cose di suo gusto, senza dirci quali, col pretesto dell’incomprensibilità e ineffabilità divine, tra le quali cose di volta in volta trasceglie quelle che gli fanno comodo per i bisogni del momento, così da cavarsela in tutte le situazioni.

Chiediamoci tuttavia: è proprio vero che se nel passato la Chiesa esprimeva la verità di fede con categorie aristoteliche, oggi, per farsi capire dall’uomo d’oggi, deve esprimersi con le categorie dell’idealismo tedesco?

Inoltre, chiediamoci se Rahner ci ha fatto comprendere meglio la distinzione tra le varie scienze, tra le varie forme e gradi del sapere nella loro unione nella verità o dobbiamo dargli credito quando egli ci dice che la cosmologia è antropologia, l’antropologia è cristologia e la cristologia è teologia o quando ci assicura che non c’è teologia dogmatica distinta dalla pastorale e che tutta la teologia è teologia pastorale o che la grazia non si aggiunge alla natura  ma è il compimento della natura o che l’uomo è per essenza apertura a Dio, per cui tutti, in quanto uomini, si salvano?

Inoltre, abbiamo compreso meglio con Rahner il mistero della Chiesa cattolica basata su di una sola fede o col pretesto del pluralismo e dell’inclusività l’abbiamo trasformata in un coro di voci dissonanti e in un vociare di insulti reciproci?

La Chiesa riesce oggi ad essere luce del mondo e sale della terra, attira a sé le anime alla ricerca della verità, della giustizia e della pace, sa conciliare tra di loro gli avversari, sa dare esempio di comunità fraterna, sa individuare le cause delle guerre e toglierle,  sa nei contrasti distinguere chi ha torto e chi ha ragione,  sa essere mediatrice imparziale e credibile nel millenario conflitto fra Occidente ed Oriente, o si limita a pie esortazioni alla pace e a generiche quanto scontate condanne della guerra,  sa dare consigli concreti su come risolvere i conflitti, mentre sembra un campo di battaglia dove gli uni, falsi difensori della tradizione,  insultano e maledicono il Papa,  mentre gli altri, falsi promotori di progresso, lo lisciano e lo strumentalizzano, salvo poi ad aggredirlo spietatamente se non corrisponde alle attese dei rahneriani. 

In base a questi fatti chiediamoci se la Chiesa oggi sa suscitare nei fratelli separati il ripudio dei loro errori e il desiderio della piena comunione con lei e il superamento degli ostacoli che ancora impediscono la piena unità o si limita all’apologia del pluralismo, della diversità, dell’uguaglianza, della collaborazione e della reciprocità? Sa mostrare qual è l’unico Pastore attorno al quale tutte le pecore devono radunarsi o fa la figura di essere una semplice particolare comunità cristiana alla pari delle altre, priva di qualunque universalità e obbligo di guidarle ed esserne madre in Cristo?

Chiediamoci allora se l’ecumenismo è oggi inteso come impegno dei cattolici nel condurre i fratelli separati alla piena comunione con la Chiesa romana, oppure è come un eterno tergiversare e giocare sull’equivoco, per cui alla fine non sono i fratelli separati che si convertono al cattolicesimo, ma sono i cattolici che diventano protestanti mantenendo l’etichetta di cattolici.  È proprio questo ciò che vuole il decreto Unitatis redintegratio? Proviamo a rileggerlo. Forse non lo abbiamo capito[5].

Il problema ecumenico è dunque quello della ricomposizione di una Chiesa andata in pezzi o non è piuttosto il ritorno di chi da essa si è separato? Il modello a cui far riferimento è il ritorno del figliol prodigo o l’allegra riunione di amici che fanno un bel pranzo assieme? E qui Rahner non c’entra?

C’è da meravigliarsi che la continua lode rivolta ai protestanti da parte dei kasperiani confermi i protestanti nei loro errori, così che essi, imbaldanzitisi dalle adulazioni, siano loro a sentirsi i censori dei cattolici, ancora imbrigliati negli schemi astratti della scolastica, e siano quindi loro a condurli da Sant’Agostino e San Tommaso a Lutero o a Kant o ad Hegel o ad Heidegger? E in questa sporca operazione Rahner non c’entra?

Le varie religioni sono tutte alla pari indifferentemente sufficienti vie di salvezza? Non ce n’è nessuna obbligatoria per tutte al di sopra di tutte, totalmente vera? Tra le varie religioni non ce n’è nessuna che sia migliore di un’altra? La vera religione è il risultato della somma delle religioni come un parlamento è l’assemblea di tutti i partiti, come sostiene la massoneria, o è una religione emergente fra tutte, priva di errori e in possesso lei sola della pienezza della verità?

La Chiesa cattolica sa presentarsi, come insegna il Concilio Vaticano II, come l’unica comunità di salvezza in possesso della pienezza della verità, pur nel rispetto delle verità presenti anche nelle altre religioni?  La Chiesa sa dire oggi che ebrei, protestanti ed ortodossi si salvano solo appartenendo almeno implicitamente alla Chiesa cattolica?

I mali dei quali oggi la Chiesa soffre

dipendono dal Concilio come dicono i lefevriani

o dall’interpretazione che ne ha dato Rahner?

Oggi è grave il problema della tenuta dei costumi morali, della disciplina ascetica, del rispetto della legge naturale e della pratica della giustizia sociale. Rahner si rifiuta di riconoscere alla natura umana un’essenza precisa, universale, immutabile e determinata, governata da precisi fini e leggi stabiliti da Dio; ma la concepisce come soggetto dalle illimitate possibilità, essenzialmente orientata a Dio come suo estremo orizzonte di trascendenza; per cui la persona come spirito nella storia plasma la propria natura in libertà secondo un pensare che coincide con il suo essere.

Non dovrebbe essere difficile indovinare o immaginare che effetti può produrre nella prassi e nel contesto sociale ed ecclesiale questa aberrante concezione dell’essere e dell’agire umano, dove non si dà alcuna legge morale oggettiva, indiscutibile, universale ed immutabile, ma libertà assoluta di ciascuno di plasmare  la propria natura secondo la creatività  extra legem della propria coscienza o autocoscienza cartesiana. Eppure tanti si lamentano di questi mali e non si accorgono di dove si trova la loro origine dottrinale.

Come allora lamentarsi del degrado morale, della corruzione dei politici, della diffusione dell’edonismo e del lassismo, dell’empietà, della doppiezza e dell’opportunismo, della violenza e della guerra, della conflittualità intraecclesiale, del calo della fede e della pratica religiosa, della dissoluzione dei valori, se non diamo opera alla correzione degli errori di Rahner?

Rahner ha ragione nel dire che dobbiamo esprimere il perenne ed universale messaggio del Vangelo nelle categorie e modi linguistici del nostro tempo.  A tal fine egli, pensando che la filosofia dell’idealismo tedesco corrisponda alla filosofia moderna e prendendo spunto dal Maréchal, ha fatto passare per tomistica una gnoseologia hegeliana, per la quale «l’essenza dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in una unità originaria, che noi chiamiamo coscienza o trasparenza (”soggettività”, “conoscenza”) dell’essere di ogni ente»[6].

Per rimediare ai guasti prodotti dal rahnerismo bisogna persuadere i rahneriani onesti e in buona fede, che hanno percezione dei mali che soffriamo, a non insistere nel proporre le soluzioni rahneriane, e a comprendere che quei mali sono provocati proprio dalla messa in pratica dei suoi errori, mentre è ovvia la necessità di mantenere i valori proposti da Rahner.

In particolare bisogna proporre la vera interpretazione del Concilio, così come risulta dai documenti ufficiali della Chiesa, dal Catechismo della Chiesa Cattolica e dal nuovo codice di diritto canonico.

Come uscire da questa situazione e ritrovare la speranza

Occorre proporre modelli di teologi tomisti che hanno veramente realizzato il modo di essere tomista secondo le esigenze del nostro tempo e nell’assunzione dei valori del pensiero moderno alla luce del pensiero di San Tommaso. Tra tutti questi tomisti emerge la figura nobilissima di Jacques Maritain, raccomandato da due Santi Pontefici, come sono stati San Paolo VI e San Giovanni Paolo II.

Occorre proseguire su questa linea, altrimenti la situazione ecclesiale e civile mondiale si aggraverà ulteriormente, con l’aumento della conflittualità intra ed extra ecclesiale, nonchè il rischio da più parti segnalato, di uno scontro apocalittico fra Occidente e Oriente.

Viceversa, se la Chiesa indicherà con maggiore decisione, persuasività e chiarezza la via proposta dal Concilio nella sua applicazione tomista e non in quella falsa rahneriana, gli spavaldi rahneriani, rinsaviti, comprenderanno che stanno costruendo sulla sabbia e stanno accendendo la miccia alla polveriera, l’umanità potrà trarre un sospiro di sollievo, diminuire la sua angoscia, e proseguire con maggiore serenità e frutto, sia pure nelle miserie della vita presente, il suo cammino verso il Regno di Dio.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 25 giugno 2024

Rahner non ha incontrato solo successo, ma anche opposizioni non solo presso coloro che fanno resistenza alle novità conciliari, ma anche presso quell’area cattolica che tiene sinceramente alla fedeltà alla Scrittura e Tradizione nella piena comunione col Papa ed alla professione dell’integrità della dottrina cattolica con l’intento di diffonderla, di farla mettere in pratica e di difenderla dagli errori.

Il rahnerismo non è mai stato esplicitamente condannato dalla Chiesa, se non in quegli errori che Rahner riprende dai secoli del passato. Ma tanto meno è stato raccomandato o portato ad esempio di teologo come la Chiesa continua a fare invece con l’Aquinate, anche se molto raramente cita qualche passo ovviamente accettabile dalla immensa produzione teologica rahneriana.

Notiamo anzitutto la concezione rahneriana della liturgia, dove è negato lo specifico del sacerdote come ministro dell’eucaristia e confessore ed è sostituito con un ruolo sociologico o umanitario dove i sacramenti sono concepiti non come produttori della grazia ma segni della grazia già ricevuta, mentre la celebrazione, col pretesto dell’ispirazione dello Spirito e dell’adattamento all’ambiente, diventa, come da tempo è stato notato da molti, occasione per l’affermazione del protagonismo personale del celebrante, sicchè ciò che attira la gente non è affatto la Messa come tale, ma la Messa di quel tale. Ciò che interessa non è la Messa ma il celebrante. 


Immagine da Internet: Dipinto Antico Italia '700


[1] Rahner interpreta le parole di S.Paolo «Il Signore è lo Spirito» (II Cor 3,17) nel senso che Cristo risorgendo da morte diventa lo Spirito Santo.

[2] Ibid.

[3] Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, Roma 1978, p.42.

[4] Esercizi spirituali per il sacerdote, Queriniana, Brescia 1974, pp.9-15.

[5] «Nei secoli passati comunità non piccole si sono staccate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica. In esse impedimenti non pochi e talvolta proprio gravi si oppongono alla piena comunione ecclesiale. Le chiese stesse o comunità separate crediamo che abbiano delle carenze. Non godono di quella unità che Gesù Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato. Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi della salvezza. Al solo collegio apostolico con a capo Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della nuova Alleanza per costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengano al popolo di Dio» (n.3). Le guide dell’ecumenismo stanno seguendo oggi questa traccia? È questo l’ecumenismo predicato da Rahner? Egli ritiene che la Chiesa dovrebbe dispensare i fratelli separati dal credere in quei dogmi che essi rifiutano rendendoli facoltativi: cf Unione delle Chiese. Possibilità reale, Morcelliana, Brescia 1986, soprattutto le pp.42,52, 54.È questo il vero ecumenismo?

[6] Uditori della Parola, Edizioni Borla, Roma 1977, p.66.

2 commenti:

  1. Contrariamente al pensiero comune, Rahner era uno chef laureato, un cuoco di grandi dimensioni. Nessuno faceva le cotellete o gli gnocchi alla gorgonzola come lui, da lì non si riconoscono alcuni apporti. Il modernismo è un'altra cosa, molto diversa. Solo chi conosce la cucina ne comprende la sua dottrina.

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    1. Caro Anonimo,
      faccio presente che Rahner stesso, con tono perentorio, ammonisce la Chiesa di oggi, quasi fosse suo precettore, ad assumere nella sua totalità il pensiero moderno, senza fare alcuna distinzione tra il buono e il cattivo, quindi con una impostazione schiettamente modernistica, precisando quelli che sono gli autori ai quali il Magistero di oggi si dovrebbe ispirare per essere all’altezza dei tempi e non restare indietro nel corso della storia.
      E questi maestri sarebbero Cartesio, l’idealismo tedesco ed Heidegger, che Rahner, alla fine della sua vita, ha dichiarato essere il suo unico maestro.
      Quindi, tornando all’immagine del cuoco, possiamo dire che Rahner, senza negare affatto certi valori presenti nel suo pensiero e nel suo apporto allo stesso Concilio Vaticano II, ci propone un pranzo piacevole, ma avvelenato.

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