Il concetto dell’Intero nel pensiero di Gustavo Bontadini
Seconda Parte (2/3)
L’impresa di Bontadini
Il bisogno di Bontadini in sé era legittimo, ma l’errore fu quello di partire da un principio insufficiente e sbagliato, che non può essere l’io, perché l’io non è un trascendentale ma un categoriale quindi daccapo, l’io non può coprire tutto l’orizzonte dell’essere, perché essere non è solo l’io, ma anche il tu. Chi centra tutta la realtà sul proprio io non capisce più l’alterità, la differenza e la diversità. Non gli resta che o negarla o di ridurla al proprio io, due modi per non render loro giustizia.
Per Bontadini l’oggetto della filosofia e della metafisica è l’intero. «La filosofia è la funzione dell’Intero»[1]. «La metafisica è scienza o protoscienza dell’Intero»[2]. «La filosofia sopravvive come scegliersi del singolo in rapporto all’Intero»[3]. «L’assunto degno di un filosofo sarebbe quello di inserire la scienza nel piano dell’intero, dopo averla scaricata dei presupposti dei quali è gravata»[4] (probabile accenno al realismo). «La “filosofia” contemporanea non è sul piano dell’Intero»[5].
«Il punto di partenza» (del sapere o della metafisica) «– che è la totalità dell’immediato o l’immediato come tale, il momento dell’immediatezza - in quanto totalità partecipa del carattere dell’Intero … Il compito della metafisica» - il punto di arrivo - «si dirige verso la mediazione pura. … C’è qui un fondamento per la distinzione dell’idea di Dio e del mondo, … Ciò significa che l’Intero è presente fin dall’inizio»[6].
Per Bontadini, dunque, l’immediato sembra essere la totalità (o intero) indistinta, il mediato è la distinzione fra Dio e il mondo e la mediazione è l’autocoscienza cartesiana.
Che cosa dunque intende egli per «Intero»? Egli afferma che «la figura dell’Intero corrisponde all’Atto gentiliano o all’Io trascendentale»[7]. Questa figura trova altri corrispondenti nella filosofia contemporanea, come si vorrà concedere, quando di essa si veda, essenzialmente, l’orizzonte della comprensione assoluta»[8].
L’Intero o lo «speculativo» è il criterio o «crivello» o «livello» al vaglio del quale, «dopo accertatane la positività, tutto può essere accettato e va commisurata la proposta»[9]. «Il punto di vista speculativo è quello dell’Intero»[10]. «La ragione è la facoltà dell’Intero»[11].
L’Intero bontadiniano è certamente connesso con l’idea dell’Assoluto e della totalità. Giungiamo allora alla teologia: «l’idea dell’assoluto o del fondo dell’essere o della totalità (o come altrimenti si voglia nominarla) è quella che determina il problema filosofico, sotto l’aspetto della pura teoreticità, come problema teologico»[12].
Per capire che cosa è l’Intero bontadiniano penso che sia bene collegarlo con un’altra espressione bontadiniana, essa pure bisognosa di essere spiegata: oggetto della metafisica è l’«unità dell’esperienza». Oppure si potrebbe dire: la metafisica è l’esperienza dell’unità. Unità di che cosa? Unità dell’essere.
Per Bontadini «l’unità dell’esperienza è il punto di partenza della metafisica e di tutto il sapere»[13]; è «l’immediato sapere»[14]; «è la totalità dell’immediato noto, la totalità del dato»[15], «l’assoluto dato»[16]; è «immediato sapere»[17], «è la presentazione dell’essere»[18]; posizione congiunta di idealismo e realismo[19]. È evidente l’influsso parmenideo-plotiniano: la filosofia è scienza una dell’Uno.
Il dato primo ed assoluto è il «protologico, identità dell’essere e dell’idea»[20], «il primo certo»[21]; «è il momento di indistinzione del realismo e dell’idealismo; è il loro punto di concordia; vi è la realtà e vi è l’idea»[22]. È l’esperienza dell’uno, della totalità, dell’assoluto, dell’intero, dell’essere.
Bontadini non precisa cosa intende con l’espressione «punto di partenza». Sembra intendere il primo conosciuto. Che cosa è questo primo noto? Il «momento di indistinzione del realismo e dell’idealismo»?; «vi è la realtà e vi è l’idea»? In realtà, come dimostra Aristotele precisato da San Tommaso, il primo noto è l’ente comune analogico, intellegibile per astrazione e per atto di giudizio dalla conoscenza della quiddità della cosa materiale.
Come fa Bontadini a mettere insieme realismo e idealismo? È, questa, una caratteristica di Bontadini che pare trovarsi anche in Schelling. Pare esistere in Bontadini la volontà di conciliare Aristotele con Cartesio con la mediazione di Parmenide. Non vuol rinunciare a San Tommaso ma non vuol rinunciare del tutto neppure a Gentile, almeno in quanto idealista. Pensa con ciò di conciliare l’antico («classico») col moderno, senza rendersi conto del veleno che c’è in un certo «moderno».
Quindi qui abbiamo un’identità intenzionale o rappresentativa (esse intentionale, esse cognitum) non però ontologica, del pensare con l’essere. L’essere è nel pensiero in quanto pensato, ma resta fuori in sé stesso. Invece Bontadini non vuole questo essere extramentale e concepisce l’essere solo come essere pensato, alla maniera degli idealisti. Però vuol distinguere un «vero» da un falso idealismo. Quello vero si troverebbe in Parmenide, dove secondo Bontadini è possibile una conciliazione dell’idealismo col realismo di Aristotele. Dice Bontadini:
«Solo alla metafisica neoclassica» - Bontadini pensa a Parmenide che egli considera il fondatore dell’idealismo dell’essere – «interessa oggi la difesa dell’idealismo – dell’idealismo autentico -, solo alla neoclassica interessa di sottrarre l’attualismo all’oblio in cui oggi viene sepolto, perchè solo la neoclassica sfrutta la figura dell’Intero»[23].
Resta comunque il fatto che tra realismo ed idealismo occorre scegliere come si sceglie tra il vero e il falso. San Tommaso ha anticipato di sei secoli la confutazione dell’idealismo nell’art.2 della q.85 della Prima Parte della Summa Theologiae: l’idealista quando parla dell’eventualità di considerare come oggetto del sapere le idee e non la realtà.
Le idee (primae intentiones) sono mezzi per conoscere. Diventano oggetto di conoscenza solo in seconda battuta (secundae intentiones) nella logica. Ovviamente non si tratta di dire che l’idealista è un allucinato che scambia la realtà con l’immaginazione. L’idealista ovviamente è un soggetto psichicamente normale che sa distinguere la realtà dal sogno o dalla illusione ottica. Il suo errore sta in un procedimento intellettuale per il quale si chiude nelle proprie idee e si rifiuta di riconoscere quelle realtà che non gli vanno a genio.
Il tentativo di Bontadini di trovare un punto di contatto fra idealismo e realismo è generoso, ma finisce per soggiogare il realismo all’idealismo. Egli vorrebbe riattivare il realismo aristotelico su base cartesiana senza accorgersi che se non si parte dal contatto con l’ente extramentale, ma dall’autocoscienza, si rimane chiusi dentro e il reale non si riesce più a raggiungerlo. Se invece si comincia col contattare le cose esterne sensibili, allora è possibile formare l’autocoscienza e da essa tornare alla realtà esterna.
Comunque è vero che Bontadini recupera intenzionalmente e coscientemente la definizione tomista della metafisica come scienza dell’essere. Ma è più vicino a Rosmini che a Tommaso. Manca la percezione propria del vero realismo e cioè la distinzione fra res in anima e res extra animam.
Bontadini ha il terrore della distinzione tra pensiero ed essere, che per lui è «dualismo» e non si accorge che seguendo la strada del monismo si finisce per confondere il sapere umano con quello divino. Dualità non vuol dire dualismo quando i due termini sono fatti l’uno per l’altro.
Così la nozione bontadiniana dell’essere non è quella analogica di Aristotele, per cui l’essere è uno e molteplice, e può essere contingente o può essere necessario, temporale od eterno, mutevole o immutabile, ma è la concezione di Parmenide: l’essere è uno, immutabile, eterno e non può non essere. Non si accorge che questa idea dell’essere conduce al panteismo.
Bontadini era di formazione gentiliana e in un primo tempo fu un grande ammiratore di Gentile. Ma ad un ceto punto, incontrando Parmenide, si accorse che Gentile, chiuso nel suo attualismo, perdeva di vista l’essere. Bontadini però non abbandonò la visione idealistica per la quale il pensiero è intrascendibile e l’essere è immanente al pensiero.
Tuttavia capì che il pensiero non pensa se stesso, ma pensa l’essere. Il concetto non è il concetto del concetto, ma il concetto del reale. Sentì dunque un bisogno di realismo. Ma non fu capace di abbandonare del tutto l’idealismo. Allora, come Cartesio, pensò che si potesse fondare il realismo sul cogito cartesiano.
Come Sant’Anselmo, Cartesio, Spinoza, Hegel, Gioberti e Rosmini, Bontadini pensò che s potesse dimostrare l’esistenza di Dio partendo dall’idea di Dio e che per arrivare a questo non fosse necessaria, benchè non la rifiutasse, la via aristotelico-tomista che parte dallo esperienza sensibile delle cose ed applica il principio di causalità. Bontadini credeva che le cinque vie tomistiche fossero la «via lunga» e la sua la via «breve». Ben lungi quindi da Severino che pensava di fondare l’ateismo su Parmenide, Bontadini crede di fondar meglio il teismo sullo stesso Parmenide piuttosto che su Aristotele.
Pensò che la metafisica di Parmenide potesse offrire una via più breve e rigorosa, che egli chiamò «direttissima», basata sul semplice uso del principio di non-contraddizione, senza prendere in considerazione il divenire e la causa efficiente. Il divenire esiste certamente, benché paia contradditorio, ma è reale perchè è dato dall’esperienza all’interno dell’esperienza dell’essere, ma l’ateo che lo assolutizza come fosse Dio, ne fa un idolo e cade in contraddizione. E dunque per sciogliere la contraddizione occorre ammettere che Dio esiste. Per Bontadini, per dimostrare che Dio esiste, basta sciogliere l’apparente contradditorietà del divenire.
Ma perchè Bontadini chiama l’essere con l’appellativo di «intero»? Perché il suo è, come ho detto, l’essere di Parmenide: l’essere concepito come un’unica sostanza composta di tutti gli enti, della quale essi sono parti, come le fette di una mela divina sono parti di quel tutto di quell’«intero» che è la mela. La mela intera è la mela nella quale le parti esistono, ma solo potenzialmente. Esse sono attuate se tagliamo la mela a fette col coltello.
Ora però l’integrità o interezza è una proprietà non dell’ente come tale, ma di un ente speciale, dell’ente sostanziale divisibile composto di parti. Ma non ogni ente è divisibile e composto. Non gode di quella universalità alla quale ci dobbiamo rifare se vogliamo abbracciare tutta la realtà.
Propriamente parlando, l’intera realtà non è lo stesso che dire tutta la realtà. L’intera realtà è un insieme di parti di un tutto, di una sostanza o una cosa. Tutta la realtà è l’insieme dei tutti, delle sostanze o delle cose. È della totalità della realtà in questo senso, non nel primo, che si tratta di ottenere la visione fondamentale.
Il reale non è un unico ente composto, ma una pluralità di enti
Ora, l’ente intero, l’integrale, il tutto composto di parti può essere solo un ente categoriale e precisamente la sostanza composta, finita, oggetto della spiritualità, della psicologia, della fisica, della matematica o della logica e non può essere ente trascendentale, oggetto della metafisica.
Il reale ovvero l’ente è ciò che esiste in qualunque modo, grado o forma, sia intero o non intero, sostanziale o accidentale, semplice o composto; ciò è indifferente. Limitare come fa Bontadini l’ente all’intero vuol dire limitare la realtà alla sola realtà nel senso fondamentale e principale, più forte, più importante, più perfetto, più alto, più stabile, più solido, più sublime, più appetibile, più amabile, la realtà che appartiene all’orizzonte del divino e a Dio stesso.
L’ente non è solo il composto, ma anche il semplice; non è solo il molteplice, ma anche l’uno e l’uno non è solo l’uno di molti, ma anche l’uno assoluto. Il composto, l’intero appartiene all’ordine del finito e del relativo. Ma esiste anche l’infinito e l’assoluto. Ora la totalità del reale abbraccia l’uno e l’altro. Non possiamo lasciare fuori il semplice, che è più importante, perché è il principio originatore del composto.
Occorre quindi un concetto dell’essere che accoglie l’uno e l’altro. E questo è il concetto analogico dell’essere, elaborato da Aristotele[24]. Ma Bontadini non si è mai impegnato nella chiarificazione di questo concetto, che gli avrebbe consentito un autentico riconoscimento della molteplicità e del divenire senza abbandonare l’esigenza dell’unità e dell’immutabilità.
Invece Bontadini, parlando di «intero» come oggetto della metafisica, immagina al modo suddetto limitante la totalità del reale, l’insieme del mondo o delle cose con Dio. Confonde l’essere per partecipazione con l’esser parte. L’essere parte implica una sostanza composta almeno di essenza ed esistenza, potenza ed atto, se non anche di materia e forma, oppure anche una sostanza materiale composta di varie parti.
Fine Seconda Parte (2/3)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 19 ottobre 2024
Il moderno idealismo costituisce, secondo lui, un progresso formidabile (garantisce all’umanità la possibilità di pensare), ma esso sarebbe inveramento dell’antico realismo, che egli vede in Parmenide ancor prima che in Aristotele. Ora, dico io, che vi sia un punto di contatto fra idealismo e realismo lo troviamo in San Tommaso, quando, riprendendo Aristotele, afferma che intellectus in actu est intellectum in actu. L’intelletto in atto è l’inteso in atto.
Quindi qui abbiamo un’identità intenzionale o rappresentativa (esse intentionale, esse cognitum) non però ontologica, del pensare con l’essere. L’essere è nel pensiero in quanto pensato, ma resta fuori in sé stesso. Invece Bontadini non vuole questo essere extramentale e concepisce l’essere solo come essere pensato, alla maniera degli idealisti. Però vuol distinguere un «vero» da un falso idealismo. Quello vero si troverebbe in Parmenide, dove secondo Bontadini è possibile una conciliazione dell’idealismo col realismo di Aristotele.
E forse questo intendeva dire Parmenide col suo assioma to autò to noèin kai to einai, «lo stesso è il pensare e l’essere»: un detto che però può ricevere due interpretazioni: o quella idealistica dell’identità del pensiero con l’essere, oppure realistica riferita all’atto del conoscere il vero: quando conosciamo la verità ciò che noi pensiamo è ciò che è.
Resta comunque il fatto che tra realismo ed idealismo occorre scegliere come si sceglie tra il vero e il falso. San Tommaso ha anticipato di sei secoli la confutazione dell’idealismo nell’art.2 della q.85 della Prima Parte della Summa Theologiae: l’idealista quando parla dell’eventualità di considerare come oggetto del sapere le idee e non la realtà.
Le idee (primae intentiones) sono mezzi per conoscere. Diventano oggetto di conoscenza solo in seconda battuta (secundae intentiones) nella logica.
[1] Conversazioni I, op.cit., p.136.
[2] Conversazioni di metafisica, tomo I , Vita e Pensiero, Milano, 1995, p.77.
[3] Ibid., p. 173.
[4] Ibid., p.171.
[5] Ibid., p.172.
[6] Ibid., p.78.
[7] Conversazioni di metafisica, tomo II,Vita e Pensiero,Milano1995, p.168.
[8] Ibid.
[9] Ibid., p.169.
[10] Ibid., p.308.
[11] Ibid., p. 137.
[12] Ibid., p.41.
[13] Saggio di una metafisica dell’esperienza, Vita e Pensiero,Milano 1995, p.129.
[14] Ibid.
[15]Studi, op.cit., pp. 63, 135.
[16] Ibid.
[17] Ibid.
[18] Ibid, p.131.
[19] p.132.
[20] P.133.
[21] Ibid.
[22] Ibid., p.135
[23] p.174.
[24] È interessante come questo concetto dell’essere sia utilizzato anche dalla Bibbia prpio un occasione della dimostrazione dell’esistenza di Dio: Sap 13,5.
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