I quattro Vescovi di Kiev - Prima Parte (1/2)

 

I quattro Vescovi di Kiev

Prima Parte (1/2)

 

Occorre uno solo che comandi

Aristotele

 L’ecumenismo alla prova

 Il terrore delle dittature e l’esperienza storica dei danni che esse arrecano alla società genera oggi come non mai in nome del pluralismo e della libertà il rifiuto dell’istituto monarchico e l’utopia della forma di governo collegiale o addirittura di autogoverno sinodale, dove alla fine, secondo il noto apologo di George Orwell, tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. 

L’idea di una comunità cristiana puramente carismatica guidata dallo Spirito Santo non istituzionale ma spontanea e senza centralismo giurisdizionale e legislativo, quindi senza potere coercitivo, esiste sin dai primi inizi del cristianesimo e non ha prodotto altro che conflitti interni, anarchia, immoralità, disuguaglianza e disordini sociali.

La ribellione a Roma non ha aspettato i copti del sec. VII, il 1054 o il 1517, per mostrare i suoi artigli, ma è comparsa già immediatamente con i primi scismi, con gli gnostici e le prime eresie. Le guerre di religione del sec. XVI sono la conseguenza del rifiuto «cristiano» di essere soggetti al Papa. Chi sono i modernisti di oggi se non dei falsi ammiratori di Papa Francesco, pronti a maledirlo non appena egli accenna a qualcosa che a loro non va a genio?

L’opposizione al Papa col pretesto che è un dittatore e traditore del Vangelo o della Tradizione non sono solo quelle dei lefevriani, sedevacantisti ed indietristi di oggi, ma purtroppo è anche quella dei nostri fratelli ortodossi, con la differenza che, mentre i lefevriani accettano l’obbedienza al Papa solo fino a Pio XII, gli ortodossi hanno smesso di obbedire ai Papi nel 1054. Ma la mentalità è la stessa. Cosa importa se un Papa è progressista o conservatore? Non è sempre il Papa?

Il segreto per poter capire chi è il Papa e qual è il suo ufficio è la capacità di distinguere il ministero petrino dalle debolezze umane proprie di ogni Papa, anche i più santi, così come il fatto che un Papa sia un tiranno, un avaro, un bugiardo, un lussurioso, un mondano, un politicante, non ci esime dal nostro dovere di obbedirgli come maestro della fede, nostro superiore canonico pastore della Chiesa.

Se vogliamo allora capire le origini e ragioni profonde dell’attuale guerra in Ucraina[1] e quindi trovare le vie per poter farla cessare ed ottenere da Dio il dono della conciliazione e della pace nella giustizia, è assolutamente necessario tener conto della questione dell’essenza e della funzione del Papato, e ricordare che cosa Cristo ha inteso fare nominando Pietro roccia sulla quale edificare la sua Chiesa.

Pochi infatti si rendono conto che una delle cause, anche se non l’unica né la principale, dell’attuale guerra in Ucraina, è il tragico fallimento di un ecumenismo che non è effetto di sincera volontà di verità e di unione da ambo le parti, ma di opportunismi, frasi retoriche e di circostanza, equilibrismi ingannevoli, sotterfugi, tergiversazioni, giri di parole, colpevoli silenzi e reticenze, mancanza di iniziativa e di coraggio, interessate stagnazioni.

I cristiani di Kiev, luogo di nascita della cristianità ucraina, madre della cristianità russa moscovita, sono oggi soggetti alla giurisdizione di ben quattro Vescovi, uno cattolico, Mons. Sviatoslav Shevchuk, e tre ortodossi, due, Filarete ed Epifanio  in comunione col Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, contro il Patriarca di Mosca Cirillo, ed Onofrio, per Cirillo contro Bartolomeo, mentre Cirillo e Bartolomeo sono un rotta tra di loro, ci dà la misura dello stato di dissoluzione e di confusione nel quale si sono ridotte oggi le Chiese ortodosse per una secolare abitudine di autogestione indipendente da quella coesione ed organizzazione che sola a loro potrebbe venire da una comune obbedienza un’autorità centrale, qual è quella che impedisce a noi cattolici di trovarci in situazioni del genere. 

Pochi si rendono conto che questa tragedia che rischia di travolgere l’intera comunità internazionale in un immane apocalittico conflitto mondiale, è l‘effetto e lo sbocco logico di una lunga maturazione e preparazione che ci porta indietro nei secoli, fino allo scisma d’Oriente del 1054, alla caduta di Costantinopoli del 1453 e alla costituzione di Mosca Terza Roma nel 1589.

Volendo anzi evocare le radici ancora più originarie dell’attuale conflitto, che è segno particolarmente evidente del millenario contrasto fra Occidente e Oriente, bisogna andare addirittura alla caduta dell’impero romano d’Occidente nel 476, corrispondente all’affermarsi di quello d’Oriente di Bisanzio, sede del Patriarcato di Costantinopoli.

È in questo periodo che sorge nella Chiesa bizantina l’idea spuria per niente evangelica ma di origine pagana[2], secondo la quale la diocesi-guida della Chiesa universale dev’essere quella che ha sede nella capitale di un impero.

Questa idea si trova già addirittura nel can. III del Concilio di Costantinopoli del 381[3] e poi nel can.28 del Concilio di Calcedonia, che si esprime in questi termini: «Seguendo le disposizioni dei Santi Padri, preso atto del can. III ora letto dei 150 Vescovi cari a Dio, che sotto Teodosio il Grande di pia memoria, allora imperatore si riunirono nella città imperiale di Costantinopoli, nuova Roma, stabiliamo anche noi e decretiamo le stesse cose riguardo ai privilegi della sessa santissima chiesa di Costantinopoli, nuova Roma. Giustamente i Padri concessero privilegi alla sede dell’antica Roma perché la città era città imperiale»[4]. Che cosa c’entra col primato di Pietro il fatto che Roma fosse città imperiale? E come si permisero i Padri del Concilio di concedere «privilegi»? Giustamente San Leone Magno cassò questo canone illegittimo.

Ma Costantinopoli continuò a coltivare segretamente questa idea, fino a che essa non divenne la base dello scisma del 1054. Ma a questo punto verrebbe voglia di citare il proverbio «chi la fa l’aspetti». Con lo staccarsi di Mosca da Costantinopoli nel 1589 questa città subì lo stesso trattamento che cinque secoli prima aveva fatto subìre a Roma. E Cirillo è ancora fermo su questa posizione. Adesso, con l’appoggiare l’invasione russa dell’Ucraina, anche lui è trattato dai suoi sudditi ucraini come ha trattato Costantinopoli: la larghissima parte di essi che aveva un Ucraina lo stanno abbandonando per seguire i Patriarchi autocefali di Kiev Epifanio e Filarete.

Ora dobbiamo dire con tutta chiarezza che Cristo, nell’istituire il Papato, non ha fatto alcun riferimento a tale condizione della sede di Pietro, che avrebbe potuto essere benissimo una qualunque insignificante città di provincia dell’Impero romano, così come del resto Cristo aveva scelto come luoghi per la sua esistenza terrena Betlemme e Nazaret.

Con questo ragionamento, se il Successore di Pietro dovesse condizionare l’esercizio del suo ministero a una città importante, perché allora non scegliere New York con 19 milioni di abitanti o Tokyo con 37 milioni o Nuova Delhi con quasi 33 e Shanghai con quasi 30 milioni?

Dobbiamo dire peraltro che non è che nell’ecumenismo cattolico-ortodosso non si siano fatti dei passi positivi ed incoraggianti, tutt’altro. Essi esistono e sono una benedizione dello Spirito Santo. Tuttavia ci si riposa troppo sugli allori, come se il lavoro fosse già finito, con vaghe preghiere per l’unità, rammarico a parole per la mancata unità, senza tener presente che per adesso si è attuata solo la prima fase del lavoro ecumenico, che è il reciproco riconoscimento dei valori comuni.

Ma questo reciproco riconoscimento è solo la premessa della fase seconda e conclusiva, cioè che i fratelli separati giungano una buona volta alla piena comunione dottrinale, caritativa e giuridica col Romano Pontefice. Il bello è che poi questi superecumenisti si vantano e fanno la figura presso le anime semplici e gli spiriti astuti di essere le punte avanzate e gli araldi della riforma conciliare.

Alcuni ufficiali ed altri non ufficiali paladini dell’ecumenismo – ecumenisti improvvisati e autodidatti - da sessant’anni snobbano le finalità essenziali e chiarissime dell’attività ecumenica cattolica stabilite dal decreto Unitatis redintegraio: aiutare i fratelli separati ad accogliere quelle verità di fede o princìpi morali che tuttora rifiutano, al fine che essi entrino in possesso della pienezza della verità salvifica custodita dalla Chiesa cattolica, aiutarli a superare gli ostacoli che si frappongono alla consecuzione del detto fine, a colmare le lacune che tuttora impediscono loro di entrare in piena comunione col Vescovo di Roma nella soggezione giuridica e canonica alla sua autorità legislativa e giurisdizionale.

Il vero significato, valore, metodo e scopo dell’ecumenismo

Il decreto conciliare Unitatis redintegratio promuove e intende l’attività ecumenica secondo due direttrici: quella della verità e quella della carità. La direttrice della verità caratterizza l’ecumenismo come tale. La direttrice della carità vale per la soluzione di qualunque contrasto o disunione fra persone umane. Infatti il problema ecumenico, propriamente parlando, non è quello di riunificare la Chiesa, ma riunificare i cristiani.

Non è la Chiesa, che divisa o frantumata in più parti, deve riunificare o ricompattare se se stessa, ma sono i cristiani che, separatisi gli uni dagli altri, prendendo coscienza dei valori che hanno tuttora in comune, devono riconoscere e correggere i propri torti e col perdono reciproco devono riconciliarsi fra di loro nella comune piena appartenenza all’unica Chiesa, pienamente Chiesa, che è la Chiesa cattolica sotto la guida del Romano Pontefice.

Inoltre bisogna distinguere l’ecumenismo come lo concepisce il Concilio dall’ecumenismo come se lo immaginano certi fratelli separati. Un conto è come la Chiesa cattolica concepisce se stessa e un conto è come loro concepiscono la Chiesa di Cristo. Mentre la Chiesa cattolica è conscia di possedere la totalità dei valori dai quali Cristo ha voluto fosse costituita la sua Chiesa, in particolare il ministero petrino, certi fratelli separati ritengono che questa Chiesa non esista, ma che i valori si trovino in parte nei cattolici e in parte in loro.

Certi fratelli separati non hanno la percezione che la pienezza dei valori, come dice il Concilio, si trova nella Chiesa cattolica e che essi, per essere pienamente cristiani e fare tutto quello che Cristo ha voluto per la sua Chiesa, devono assumere quei valori che sono in possesso dei cattolici e che tuttora ad essi mancano, come ad esempio la soggezione al Papa.

Ciò vuol dire che non è che alla Chiesa cattolica manchi qualcosa che possiedono loro e che quindi essa per essere pienamente Chiesa, debba assumere questo qualcosa, come ad esempio la sinodalità o la libertà o il pluralismo. Questi valori la Chiesa cattolica li possiede già da sempre per la sua stessa costituzione voluta da Cristo.

Che noi cattolici, come esseri umani fallibili e peccatori, abbiamo a volte da imparare dalla dottrina e dall’esempio di fratelli separati onesti, virtuosi, pii e zelanti, nessun dubbio. Ma ciò non riguarda il problema specificamente ecumenico degli elementi essenziali che costituiscono la Chiesa come l’ha voluta Cristo.

Questo dell’onestà e della carità è il problema generale di tutti noi, cattolici e non cattolici, ossia quello di mettere in pratica gli insegnamenti del Signore e di aiutarci reciprocamente da buoni fratelli sulle vie del Vangelo. Ma questo non è il carattere proprio, peculiare e specifico dell’ecumenismo. Questo è il problema generale della carità e della santità che vale per tutte le circostanze della vita.

Da ciò consegue che il problema ecumenico non sta nel fatto che ci troviamo davanti ad una Chiesa disunita e che si tratta di riunificarla unendo la parte di Chiesa in possesso dei cattolici con la parte di Chiesa in possesso dei fratelli separati.  Il problema ecumenico non sta nell’assenza di cristiani separati o divisi tra di loro, ma di fratelli che si sono separati dalla Chiesa, pur conservando alcuni elementi di Chiesa. Non si tratta di divisione tra, ma di separazione da. Questo è quanto dice il Decreto Unitatis redintegratio.

L’ecumenismo consiste allora nel fatto che i cattolici, che in quanto cattolici fedeli e zelanti, sono in possesso della totalità dei valori che compongono la Chiesa, devono aiutare quei fratelli disponibili ai quali mancano alcuni di questi valori, ad acquisire anche quelli, in modo che la loro comunione con la Chiesa sia piena.

È questa la volontà del Concilio e i fratelli separati non possono chiederci altro ecumenismo che questo. Immaginare una Chiesa divisa e spaccata in due o in tre o in quattro, da ricomporre come fosse un vaso rotto, è una pura e semplice eresia, che contrata con la fede nell’unità della Chiesa.

Non si tratta di riunificare una Chiesa divisa, ma di invitare i fratelli separati ad entrare pienamente nell’una ed unica Chiesa di Cristo, che è la Chiesa cattolica guidata dal Papa. Finchè rifiuteranno la sua guida dottrinale, pastorale, disciplinare e giurisdizionale, essi non potranno dire di adempiere pienamente alla volontà di Cristo riguardante la Chiesa.

Né essi possono assolutamente sperare che siamo noi cattolici ad accontentarli su questo punto, benché noi invece non abbiamo alcuna difficoltà ad accogliere la sinodalità della Chiesa. Ma resta il fatto che anche qui dobbiamo dire che è il Papa a guidare la sinodalità e non è  la sinodalità a guidare il Papa. Sennò siamo sempre daccapo a rifiutare il Papa. Il Papa certo riceve dalla Chiesa; ma come cattolico, per la sua santificazione personale, non come Papa Pastore universale della Chiesa.

Ciò vuol dire che i cristiani pienamente cristiani in piena comunione con la Chiesa e col Papa, cioè i cattolici,  devono chiamare tutti sul modello della parabola degli inviti a nozze, alla piena comunione con la Chiesa i fratelli separati appartenenti a comunità e Chiese imperfette e incomplete, benché già in possesso di alcune o molte verità salvifiche, affinchè, riconosciuti e abbandonati i loro errori, tolti gli ostacoli, colmate le lacune e riparato alle carenze dottrinali, abbraccino la pienezza delle verità salvifiche conservata e posseduta soltanto dalla Chiesa cattolica guidata dal Romano Pontefice.

Tutto ciò vuol dire che il problema ecumenico non è sostanzialmente un problema di carità reciproca, richiedente la riconciliazione, il perdono e il completamento reciproco. L’apprendere gli uni dagli altri e il donare gli uni agli altri su di un piano di parità ed uguaglianza fraterna, tutti peccatori e tutti in grazia di Dio, cosa ottima e doverosa, ma non è ancora questo ciò che fa il valore specifico e peculiare dell’ecumenismo: questo è il problema di come risolvere qualunque forma di contrasto, teorico o pratico, tra persone umane.

Invece la questione ecumenica è una questione di verità salvifica: quale comunità cristiana possiede la pienezza e totalità delle verità salvifiche? Il Concilio risponde dogmaticamente e tradizionalmente con assoluta chiarezza: la Chiesa cattolica sotto la guida del Papa.

Pertanto, la Chiesa fondata da Cristo è la Chiesa cattolica, fondata su Pietro, il quale può non essere santo e mancare occasionalmente alla carità, ma ciò non toglie che egli sia e resti il pastore universale della Chiesa, Vicario di Cristo, garante, promotore e fautore dell’unità della Chiesa.

La cosa fondamentale da tenere presente è che la Chiesa di Cristo è essenzialmente, infrangibilmente ed inscindibilmente una: nessuna forza satanica la può incrinare, frantumare, disunire, disgregare o smembrare o dividerla in più parti. Prima di essere una collezione o associazione di individui umani, la Chiesa è una persona, è la sposa di Cristo, è il corpo mistico di Cristo. E una persona evidentemente è una, se no non è una persona.

Per questo Gesù paragona Se stesso a una vigna e noi ai tralci. La Chiesa è la vigna del Signore. Essa è una, santa, maestra di verità, sorgente di vita. Non può accadere che essa si divida in se stessa. Quello che invece può succedere è che alcuni tralci si stacchino da essa, sicchè, se vogliono vivere, hanno bisogno di essere inseriti nella vite.

Il riferimento evangelico di quanto il Concilio dice delle comunità che in passato, siano gli ortodossi o siano i luterani o siano gli anglicani o qualunque altra comunità, è quell’immagine evangelica. Il limitarsi a paragonare il problema ecumenico a quello della riconciliazione o riavvicinamento reciproco tra due amici o due coniugi che hanno litigato, non è del tutto sbagliato, ma è insufficiente a caratterizzare il problema nel senso che ho spiegato.

Altro possibile paragone per capire che cosa è l’ecumenismo, è la parabola del figliol prodigo: il padre rappresenta la Chiesa cattolica; il figlio che si è allontanato dalla casa paterna rappresenta i fratelli separati. Pertanto l’espressione «fratelli separati» non significa «fratelli che si sono separati fra di loro», ma «fratelli che si sono separati da coloro che sono rimasti nella Chiesa e sono in comunione col Papa».

Il problema ecumenico non sta quindi nel riunire una Chiesa disunita, ma nel fare in modo che i fratelli separati entrino in piena comunione con la Chiesa cattolica. Così d’altra parte per essere in piena comunione con la Chiesa e col Papa, non basta chiamarsi cattolici: un cattolico modernista, un cattolico lefevriano, sedevacantista, rahneriano, scillebexiano, massone, marxista, mafioso non sono cattolici, ma sono fratelli separati.

Gli scomunicati canonicamente sono pochissimi; ma moltissimi sono gli scomunicati di fatto o gli scomunicabili o che non sanno che cosa è la comunione ecclesiale, che occupano tranquillamente e con gran seguito cattedre di teologia e forse anche qualche sede episcopale o cardinalizia.

 

Non diciamo che la vite e il tralcio o il padre e il figliol prodigo si sono separati fra di loro. Questo semmai lo diciamo della separazione fra due sposi o due amici, dove la reciprocità è perfetta e paritaria. Dei fratelli separati invece, non si deve dire che ci siamo separati tra di noi, gli uni dagli altri, ma, come si esprime l’Unitatus redintegratio, che si sono separati da noi.

Che poi noi, compreso il Papa, abbiamo da imparare da loro, nessun dubbio. Ma ciò che impariamo da loro si trova già presso altri cattolici, mentre quello che manca a loro si trova già nella Chiesa cattolica, anche se non determinatamente da noi Tizio e Caio per la nostra ignoranza o mancanza di formazione.

Insomma questi fratelli devono convincersi che sul piano delle verità di fede essi non danno nulla alla Chiesa e che Papa e Chiesa non sappiano già, mentre sono loro che devono aggiungere alle verità già note quelle che a loro ancora mancano per  essere pienamente Chiesa. La cosa in fondo è molto semplice, se non fosse per il polverone falsamente conciliante sollevato dai falsi ecumenisti per lasciare le cose come stanno.

Esiste certo una reciprocità fra papato e sinodalità della Chiesa, ma questa reciprocità è sbilanciata a favore del Papa. Altrimenti addio primato e vittoria del conciliarismo, come è già insinuato nel can. III del Concilio di Costantinopoli del 381  e nel can.28 del Concilio di Calcedonia cassati dal Papa.

Stando così le cose, occorre fare attenzione nel dialogo ecumenico a non confondere le differenze con le divisioni. Le differenze sono un bene, sorgente di carità reciproca, si pongono in modi diversi nell’orizzonte della comune verità e provengono dallo Spirito Santo che è spirito di unità nella molteplicità differenziata o diversificata.

Occorre inoltre distinguere, per quanto riguarda i fratelli ortodossi, la necessità che essi raggiungano la piena comunione con Roma dalla reciproca complementarità fra cristianità europea latina-occidentale e cristianità europea greco-slavo-russa, cosa che, come è noto, stava molto a cuore a San Giovanni Paolo II con la sua dottrina dei «due polmoni dell’Europa».

È chiaro che, trattandosi di un fatto semplicemente culturale di diversa mentalità la prospettiva è quella di rimettere assieme in modo paritario e reciprocamente complementare le due parti di un tutto – la cristianità europea.

Trattandosi invece del discorso ecumenico, come vado dicendo da anni, sono i nostri fratelli ortodossi ad essere invitati dalla Chiesa cattolica ad abbracciare con lei la pienezza della verità cristiana, come afferma il Concilio.

Come più volte ci ha ricordato Papa Francesco, qui si tratta di realizzare l’unione fraterna e sinodale che risulta, per l’ascolto dello Spirito, dalla convergenza sotto un medesimo pastore di una molteplicità di pecorelle, ciascuna con le proprie qualità, sicchè nella comunicazione tra di loro avvenga un arricchimento e un vantaggio reciproci.

Ben altra cosa invece sono le divisioni. Esse sono suscitate dal diavolo (dia-ballo), il divisore e, se possono avere l’apparenza della varietà e del pluralismo, in realtà impediscono l’unione e l’unità e creano una falsa diversità che è coonestazione e causa di falsità, di peccato e di disobbedienza al Papa.

Le divisioni vanno quindi tolte con prudenza e gradualità, ma anche con chiarezza, motivazione e decisione, senza opportunismi e doppiezze e devono essere sostituite con un’intelligente e persuasiva opera di smascheramento dell’errore, che mette in luce la verità, mentre l’errore è sorgente delle divisioni, dei conflitti, dell’odio e, della guerra.

Alla dimostrazione della verità segue invece normalmente, quando c’è in tutti l’amore per la verità, la concordia, e l’unità della fede, l’armonia reciproca dei membri della Chiesa uniti al capo, che è Cristo nel suo Vicario il Papa.  Rendere al Papa il primato nell’onore, vuol dire concretamente prestargli obbedienza nella diligente anche se non sempre facile osservanza delle sue direttive pastorali e giuridiche e legislative canoniche, benché non infallibili, sennò sono chiacchiere.

Se il fratello ortodosso obbedisce al suo Vescovo in questo modo, perché non dovrebbe ancor più obbedire al principe di tutti i Vescovi, al Servo dei servi di Dio? E che senso ha obbedire a un Vescovo che non obbedisce al Papa?

Fine Prima Parte (1/2)

Mons. Shevchuk

P. Giovanni Cavalcoli 

Fontanellato, 19 giugno 2024

 

I cristiani di Kiev, luogo di nascita della cristianità ucraina, madre della cristianità russa moscovita, sono oggi soggetti alla giurisdizione di ben quattro Vescovi, uno cattolico, Mons. Sviatoslav Shevchuk, e tre ortodossi, due, Filarete ed Epifanio  in comunione col Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, contro il Patriarca di Mosca Cirillo, ed Onofrio, per Cirillo contro Bartolomeo, mentre Cirillo e Bartolomeo sono un rotta tra di loro, ci dà la misura dello stato di dissoluzione e di confusione nel quale si sono ridotte oggi le Chiese ortodosse per una secolare abitudine di autogestione indipendente da quella coesione ed organizzazione che sola a loro potrebbe venire da una comune obbedienza un’autorità centrale, qual è quella che impedisce a noi cattolici di trovarci in situazioni del genere. 

Patriarca Epifanio

Patriarca Filarete
 

 

 

 

 

 

 

Patriarca Onofrio


Pochi si rendono conto che questa tragedia, che rischia di travolgere l’intera comunità internazionale in un immane apocalittico conflitto mondiale, è l‘effetto e lo sbocco logico di una lunga maturazione e preparazione che ci porta indietro nei secoli, fino allo scisma d’Oriente del 1054, alla caduta di Costantinopoli del 1453 e alla costituzione di Mosca Terza Roma nel 1589.

 

 Immagini da Internet


[1] Dona a noi la pace. Il significato della presente guerra, Edizioni Chora Books, Hong Kong 2022.

[2] L’idea fu di Costantino.

[3] Vedi Decisioni dei Concili ecumenici a cura di Giueppe Alberigo, UTET, Torino 1978, p.123.

[4] Ibid., p.174.

4 commenti:

  1. La realtà è che metà dell’Ucraina è russa, metà polacca e metà austriaca.

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    1. Caro Anonimo,
      infatti, per poter trovare le vie della pace, bisognerebbe, come sto tentando io da tempo, fare una analisi accurata delle formazioni religiose esistenti in Ucraina.
      Infatti c’è una presenza della Chiesa Cattolica con i cosiddetti Uniati, che costituiscono una esigua minoranza. C’è una Chiesa Ortodossa ucraina autocefala. C’è una Chiesa Ortodossa dipendente da Costantinopoli. E c’è una Chiesa Ortodossa dipendente dal Patriarcato di Mosca, che costituisce una porzione cospicua della cristianità ucraina.
      Naturalmente a ciascuna di queste formazioni corrisponde un certo sentimento nazionale e un certo atteggiamento politico. Da questo punto di vista è comprensibile che, mentre la Chiesa Uniate è vicina all’Unione Europea, la realtà ortodossa è complessa e contradditoria.
      Innanzitutto dobbiamo notare un conflitto nato all’interno dei fedeli del Patriarca Cirillo. Alcuni approvano l’invasione russa, appoggiata dallo stesso Cirillo, perché la considerano un movimento di liberazione nei confronti dei russofoni presenti nel Donbass e in Crimea. Altri invece, constatando le crudeltà commesse dai Russi, si sono ribellati a Cirillo e sono passati dalla parte del Patriarca Bartolomeo.
      Questa situazione, incredibilmente complicata e conflittuale, troverebbe la sua soluzione in un impegno severo nella pratica dell’ecumenismo, con l’appoggio delle potenze occidentali ed orientali sotto la presidenza dell’ONU.
      Papa Francesco richiamò subito l’attenzione all’aspetto di conflittualità interna tra cristiani parlando guerra fratricida. Il che lascia chiaramente intendere che la pace sarebbe il risultato soltanto di una comune volontà delle parti di realizzare l’unità ecumenica voluta dal Concilio.

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  2. Naturalmente dobbiamo prima di tutto pregare e offrire sacrifici a Dio.
    Il fattore religioso non è minore in questo conflitto. Ma la verità è che le chiese ortodosse sono chiese nazionali. E la Chiesa cattolica ha poco peso nella zona.
    Il Santo Padre è manifestamente pronto ad offrire soluzioni alla ricerca della pace. Se deve andare a Mosca, lo farà. Se deve andare a Kiev, lo farà. Le informazioni non le mancano.

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    1. Caro Anonimo,
      secondo me il Papa dovrebbe appoggiare maggiormente gli Uniati, nel senso di stimolare in loro un maggior rispetto per i valori della tradizione cristiana russa. Per quanto riguarda il problema nazionale bisognerebbe che gli Uniati promuovessero un personaggio significativo, tale da potersi considerare come padre della Patria, attorno al quale creare l’unità nazionale oggi impossibile, perché il personaggio che si potrebbe proporre, cioè Stepan Bandera, è accettato dai filooccidentali, ma respinto dai filorussi, che lo accusano di nazismo, perché durante la II Guerra mondiale chiamò i nazisti a liberare la Patria dai sovietici. Ma disgraziatamente finì coll’inimicarsi sia i nazisti che i sovietici.
      Occorrerebbe un chiarimento storico su quella che è l’identità del Popolo Ucraino, in quanto distinto dal Popolo Russo. Occorrerebbe secondo me evidenziare le somiglianze tra i due Popoli, ricordando che la Chiesa di Mosca ha avuto origine dalla Chiesa di Kiev.
      Il guaio è che questo sviluppo storico non è avvenuto in comunione con Roma, ma nel clima della ortodossia e quindi delle Chiese Nazionali. Forse la situazione tragica e conflittuale, che adesso si è verificata tra Kiev e Mosca, potrebbe essere per questi nostri Fratelli separati un richiamo della Provvidenza a tornare alla comunione con Roma.

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