Dio come identità di pensiero ed essere - Un testo del Servo di Dio Padre Tomas Tyn - Prima Parte (1/3)

In occasione dell’anniversario della morte del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, il 1° Gennaio 1990, ho pensato di fare piacere ai Lettore pubblicando alcuni suoi testi, tratti da registrazioni di conferenze.

 

Dio come identità di pensiero ed essere

Un testo del Servo di Dio Padre Tomas Tyn 

Prima Parte (1/3)

Dio è pensiero sussistente

 Notate bene che questa tesi secondo cui Dio è accessibile all'uomo con dei raziocini naturali, che consentano di arrivare all'essenza di Dio e alla sua unità, non è una opinione teologica, ma un dogma di fede. Il Concilio Vaticano I stabilisce proprio questa duplice conoscenza di Dio: una è la conoscenza naturale dell'esistenza del Signore, della sua essenza e soprattutto della sua unità.

Tuttavia Dio ovviamente esiste in quella pienezza di essere, in quell’oceano di essere, di cui abbiamo parlato, se vi ricordate bene. San Tommaso dice che questo Esse ipsum, ossia l'essenza di Dio, non è un’essenza restrittiva dell'essere, ma è un’essenza[1] che è il suo essere; notate bene come è grande il Signore, cioè Egli è solamente essere.

Noi creature, invece, pensateci sempre bene, abbiamo sì l'essere, ma non siamo soltanto l’essere. Vedete, nell'essere umano c'è sì l'essere, ma c'è anche il nostro essere uomini e l’essere uomini non è l’essere sic et simpliciter. Ciò che vale poi per noi uomini vale per ogni altra creatura: l'essere del libro non è solo essere, è l'essere ristretto a quel modo particolare di essere che è essere un libro.

Invece in Dio non c'è nessuna restrizione dell'essere a un modo particolare dell'essere, ma tutto ciò che Dio è, non è altro che essere. Quindi anche se è una metafora un tantino poetica e in teologia bisogna andarci cauti a parlare troppo poeticamente, tuttavia mi piace sempre ed è molto bello quello che dicono i Padri Cappadoci, e cioè che Dio è l'oceano dell'essere, oceano ovviamente senza confini, pensate un mare senza nessun limite: questo abisso di essere è Dio.

Ora notate che in questo abisso di essere ci sono alcune cose che noi concepiamo  per analogia, con tanta fatica; tuttavia grazie al nostro intelletto che è un dono grandissimo, il dono più grande che il Signore ci abbia dato, noi operiamo  con la nostra intellettualità, con la spiritualità della nostra anima,  siamo immortali, destinati a Dio. Proprio Dio fece di noi una sua proprietà già nell'opera della creazione, per poi riportarci di nuovo a sé nel Figlio suo Unigenito Gesù Cristo. quando ci siamo allontanati da Lui con il peccato delle origini,

Il destino proprio ed originale dell'uomo, già nell'opera della creazione, si compie in Dio e in Dio soltanto. Vedete, quindi, questo tendere a Dio, questo avere l’inquietudine nel cuore finché non riposa in Dio è dovuto a che cosa? Alla nostra somiglianza tra noi e Dio. Quando il Libro della Genesi dice che Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza, è questa rùach Elohìm, lo Spirito del Signore che egli ci ha comunicato. Pensate a quella bella immagine della creazione, quando Dio ha plasmato Adamo dalla terra, una materia così umile che in qualche modo dà la corporeità all'uomo, però in questo corpo così umile Dio ha alitato il suo spirito che dà vita e che dà intelligenza.

Ora vedete, miei cari, quello che volevo dirvi è che la nostra mente, data questa sua intellettualità, quindi la capacità di pensare l'universale, ovvero il concetto, è, al limite, per analogia, la capacità di pensare l'essere, quell'essere che è proprietà di Dio. Vedete, solo lo spirito è aperto all'essere; ciò che non è spirituale, come gli animali, che hanno una conoscenza non spirituale, vede solo, al limite, se vede, per quel poco che vede, non vede l'essere, ma solo delle ombre dell'essere. Vede solo i dati sensibili. Solo lo spirito, l'anima spirituale vede l'essere e tramite l'essere, per una analogia, lontana purtroppo, e molto adombrata, noi riusciamo ad afferrare l'essenza di Dio che è l'essere puro, l’ipsum Esse.

Però in questo oceano di essere non vediamo tutto quello che si cela in questo abisso. Quindi c'è il mistero, il mistero dell'essenza di Dio, il mistero nascosto dai secoli eterni, come dice San Paolo in quel celebre brano, in cui parla di Cristo rivelato in questi ultimi tempi, il mistero di Cristo, ovvero del Verbo incarnatosi per la nostra salvezza: ecco il mistero del Natale a cui ci stiamo preparando.

Ebbene, il mistero dell'Incarnazione è un mistero nascosto dai secoli eterni in Dio. Nessun filosofo, per quanto sapiente, e perspicace e acuto potrebbe mai scoprire un mistero così grande che solo Dio conosce, cioè il mistero del suo Verbo e della sua Incarnazione.

 Notate bene che alcuni filosofi sono andati molto vicino ad afferrare la Trinità delle Persone divine e anche il Verbo. Pensate al grande Filone di Alessandria, il quale forma già questa speculazione, molto platoneggiante, ma veramente sublime, di un duplice Verbo di Dio. Egli dice, cioè, che Dio è spirito, è pensiero. Quindi Dio pensa ed esprime se  stesso nel suo pensare. Proprio come diceva già Aristotele: Dio è  Pensiero pensante se stesso e allora appunto Filone di Alessandria, da grande pensatore ebreo qual è, dice appunto che Dio in qualche modo esprime un concetto nel pensare.

E ammette due concetti di Dio: uno che rimane in Dio, che lui chiama  Logos endiàthetos, il Verbum interno alla mente di Dio; e poi c’è un Logos proforikòs,  cioè un Verbo che procede ad extra, si direbbe oggi in teologia, cioè che produce un effetto esterno. E’ il Verbo in quanto per mezzo di lui tutte le cose sono state fatte.

Allora teniamo bene a mente questo, che alcuni filosofi hanno scoperto che Dio è pensiero e che pensando esprime un concetto; però vedete che non hanno ancora avuto l’idea della Trinità, perché ovviamente da buoni filosofi quali erano, erano ben convinti che c'è perfetta identità tra la mente di Dio che pensa e il pensiero che Dio pensa.

Abbiamo infatti ben visto che ogni sana filosofia riguardo a Dio dice che in lui non c'è distinzione reale, in Dio è tutto semplicità, non composizione. C'è tuttavia un’immensa ricchezza. Vedete come la nostra mente fatica miei cari, perché noi quando pensiamo alla ricchezza, pensiamo a cose complicate; invece in Dio c'è un’ abissale ricchezza di essere in pura semplicità,  senza complicazioni e composizioni. Ora che cosa vuol dire che in Dio non si distingue per esempio l’agire e l'essere, pensare e essere e così via? In noi queste cose sono ben distinte. Voi capite che se ci capita talvolta, fortunati noi, avere un bel pensierino, ebbene, un pensiero nostro, che cosa succede? Ci identifichiamo con esso? Neanche per sogno! Quel pensiero non siamo noi! Il nostro pensiero è ben distinto da noi, ha una entità nella nostra anima, ma un’entità detta precisamente accidentale, capite?

 L’uomo è una sostanza che può pensare

 Il nostro pensiero non è lì sussistente e sospeso per aria; è sempre nella nostra mente; è giusto, miei cari? Quindi il nostro pensiero non è capace di sussistere da sé e in se stesso, non è una sostanza, è un accidens, un qualcosa che inerisce alla nostra mente[2].

 Vedete, quindi, che l'uomo è sostanza: il pensiero e l’agire dell'uomo non sono sostanza, ma sono accidentia in subiecto, accidenti, determinazioni accidentali nel soggetto uomo. In Dio invece non si distingue l'agire e l'essere,  perché in Dio non c’è un pensare possibile distinto dal pensare attuale. In noi c'è una possibilità di pensare, che ogni tanto, fortunati noi come dicevo prima, è anche tradotta in atto, cioè ogni tanto ci capita di passare dalla possibilità di pensare all'atto di pensare. Però non siamo pensiero puro. Per questo talvolta ci capita di distrarci?

Invece Dio non si distrae mai; ed anche agli angeli, sotto un certo aspetto capita, di non distrarsi, benchè anche in loro come in noi ci sia una differenza tra il pensare e l'essere. Infatti essi sono sì sempre pensanti, certo più fortunati ancora di noi, però pensano una volta un pensiero e una altra volta un altro. Dio invece pensa tutti i pensieri insieme.

In Dio c'è la pienezza di essere, e quindi Egli non è mai in potenza rispetto a questo o quel pensiero, ma tutto ciò che Dio pensa, lo pensa in atto da sempre e per sempre, anche se è molto difficile capirlo. Tuttavia proviamoci con l'aiuto dello Spirito Santo. Cioè, quando Dio pensa le cose, anche temporali, le pensa dall'eternità e però l'effetto di quel pensiero è temporale.

Non bisogna mai attribuire a Dio quello che sta dalla parte dell’effetto dell'agire di Dio. Per esempio, Dio ha creato il mondo nel tempo, va bene; ma ciò non vuol dire che Dio a un certo momento abbia guardato l'orologio e ha detto adesso faccio la creazione.  Cioè da sempre Dio ha già pensato che in quel momento avrebbe posto nell'essere tutte le cose.

Vedete, questo proprio perché l'anima è destinata non solo a contemplare le parti dell'essere che appaiono e che sono misurabili e ponderabili, ma a contemplare l'essere come tale. È curioso notare come  tutto il pensiero liberale e illuministico, si scaglia contro la Chiesa che difende i valori spirituali proprio su questo punto. Cioè ci accusano di essere immodesti. Questo è terribile. Questa accusa fa leva sui poveri cristiani che dicono: se io penso all'essere, mea culpa, mea maxima culpa, ho fatto un qualche cosa di male. No, caro cristiano, hai fatto molto bene a pensare l'essere perché a tale dignità sei chiamato da Dio.

In sostanza l'umiltà non è l'avvilimento di noi stessi, l’umiltà è riconoscere la propria dignità ma anche i limiti della propria dignità. Quindi se uno si fa essere infinito è superbo, se uno si fa pensiero finito,  avvilisce se stesso, perché noi siamo pensiero infinito in un essere finito. Se volete adesso ho banalizzato un pochino, ma la formula è press’a poco quella[3]. Ora, notate miei cari, volevo arrivare a questo, come c'è in noi la vita intellettiva che ci presenta tutto l'essere nella sua verità, però senza che l'anima sia l'essere,  così c’è anche nella nostra anima una dimensione affettiva, cioè anche il nostro amore, che è la seconda componente della nostra spiritualità. Essa non si limita a questo o quest'altro bene, ma tende al bene come tale, all'oceano di bontà.

Vedete cari, come l'amore è connesso con l'intelligenza, bisogna essere sapienti per essere capaci di voler bene. Questo è’ molto importante.  La mancanza direi di serena benevolenza nel mondo di oggi è  così triste, ed è dovuta alla mancanza di intelligenza sapienziale. Vedete come le due cose sono strettamente connesse tra loro. Allora la nostra anima, come conosce non solo la l’essere particolare ma tende a conoscere tutto l'essere,  così anche il nostro amore si porta al bene, non a quel bene particolare ma a tutto il bene.

Ecco perché solo Dio può essere il fine ultimo che appaga l'anima; ogni altro bene è fasullo se non è visto alla luce di Dio. A  questo punto che cosa succede invece in Dio, che non solo ha un pensiero infinito come anche noi l’abbiamo, ma oltre avere pensiero infinito ha anche l'essere infinito, l'essere che s'identifica con il pensare[4]. Ebbene succede che in Dio il pensiero e l'amore non solo sono aperti all'infinito, ma sono l'essere infinito di Dio.

 Le cose non esistono necessariamente

 L’Essenza divina esiste da sè e possiede in se stessa la ragione sufficiente del suo esistere. Tutte le altre nature o essenze hanno la ragione del loro essere non in sé ma fuori di sé: sembra quasi che le creature, cioè le essenze finite, siano, per così dire, sbilanciate[5]. Infatti, hanno il loro centro fuori di sé. Solo Dio è quell’essere che riposa in sé, solo Dio è in questo senso eterno, cioè autosufficiente per quanto concerne l’essere, nel senso che l’essere non l’ha ricevuto da nessuno, Dio è da sé.

Invece, tutte le cose sono da altro, cioè sono da Dio, ricevono l’essere da un principio trascendente, da un principio appunto assoluto e divino.

Ecco, insomma al Signore piace l’essere. Noi vediamo tutto sotto l’aspetto dell’essenza, di ciò che la cosa è. Invece quello che interessa al Signore, più ancora di ciò che la cosa è, è il suo semplice esserci. Per questo, proprio per elevare un poco il nostro animo a Dio, dobbiamo cominciare un po’ ad amare le cose non per quello che sono, ma per lo stesso fatto che esse sono.

Vedete, è un cambiamento di mentalità, è una specie di conversione anche questa. D’altra parte, cominciamo a diventare veramente sapienti, cioè metafisici, solo quando compiamo questo passo, cioè quando, pur interessandoci di ciò che le cose sono, siamo presi ancor più dalla meraviglia che le cose ci sono, capite? anche se non hanno il diritto ad esserci!

Quindi ciò vuol dire che se le cose ci sono senza aver diritto ad esserci, sono state previste e preamate e, per così dire, prescelte dal Signore. Vedete come il cristiano non può permettersi di essere pessimista rispetto all’essere.

Vedete come sono belle le essenze, quelle cose che non cambiano. La pianta, se è se stessa, è sempre di quel determinato tipo, e però, se si ha un'anima abbastanza sensibile, non ci si annoia mai nel contemplare la bellezza di ogni singolare pianta, che esprime in parte quella essenza che Dio ha fissato per lei. Così, queste proprietà stabili e fisse, sono immesse da Dio nella singolarità delle cose materiali, come potete vedere.

San Tommaso lo dice aldilà di ogni dubbio, ed è giusto: noi cristiani non possiamo parlare diversamente, cioè non possiamo pensare diversamente e, tanto per intenderci, è un punto, questo, circa il quale il cristianesimo diverge, è differente dalle religioni orientali, cioè per gli Orientali non esiste una mente divina distinta dal mondo, trascendente rispetto al mondo, la mente divina è insita nel mondo.

Vedete, il Brahama è tutto, c'è quel detto sanscrito che dice appunto, Tat Tvam Asi: “Questo  sei tu”, cioè Brahama è tutto, capite, Brahama è questo microfono, il tavolino, capite, dappertutto si riconosce Dio; invece noi cristiani diciamo no, dappertutto si riconosce la creatura di Dio, ma non Dio stesso. Vedete, è la differenza tra panteismo e teismo. Differenza importante, notate, benchè bisogna avere sempre un grande rispetto per quello che c'è di buono e di vero anche nelle religioni orientali. Però bisogna anche vedere anche il loro limite.

Inoltre San Tommaso dice che l'universo non tende solo a realizzare il suo bene immanente, cioè il bene interiore, insito, ma tende anche a dare lode a Dio che è al di là dell'universo. Come lo spiega? Anzitutto c'è un principio molto importante, nell'ordine delle cose. Qui il fine corrisponde sempre al principio. Vedete, dice ancora San Tommaso che all'ordine dei fini corrisponde l'ordine delle cause e viceversa. Quindi una causa meno alta produce un fine meno alto, una causa più alta produce un fine più alto, una causa universale produce un fine più universale e la causa prima produce il fine ultimo[6]. Quindi c'è sempre questa corrispondenza tra causa e fine. 

D'altra parte è ovvio questo, perché il fine di una causa che cosa è? E’ il suo effetto, quindi una causa minore produce effetto minore, cioè realizza un fine minore; una causa universalissima produce un effetto universalissimo. Così il principio di tutte le cose è un qualche cosa di esterno alle cose, cioè è Dio distinto dalle cose. Dio è l'essere, le cose non sono l’essere ma hanno l'essere.

Vedete quindi già da questo fatto che Egli è l'essere,vedete  mentre le cose non sono l’essere, vedete che già per questo Dio si distingue infinitamente dalle cose e perciò come è distinto il principio causale, Dio Creatore, dall'effetto, mondo creato; così è distinto anche il mondo dal suo fine ultimo che è ancora Dio.

Quindi la creazione è ciò che precede, è la condizione di ogni altro mutamento, di ogni altro cambiamento delle cose poste nell'esistenza. Prima le cose devono esistere, poi possono cambiare, possano evolversi, possono mutare, possono, come diceva Aristotele,  subire, in particolare, tante actiones et passiones, cioè possono agire e patire.

Però prima bisogna che le cose ci siano. E quel dare alle cose il loro semplice esserci avviene nella creazione. Ora, quando Dio crea, cioè elargisce l'essere alle cose, non presuppone nulla, perché tutto ciò che è, appartiene all'essere; quindi, se Dio dà l'essere, con l'essere dà tutto ciò che è racchiuso nell'essere, ovvero tutta la cosa, perché non c'è nulla della cosa[7] che non ci sia[8].

Tutto ciò che la cosa possiede, di essenza, di accidenti, di proprietà, di perfezioni, etc., tutto questo c'è[9]. Se non c'è, è un nulla[10]. Ora, tutto ciò che è, facente parte della cosa esistente, è per così dire sussunto nell'essere. Quindi Dio, dando l'essere, dà alla cosa tutta se stessa, tutta la realtà.

Perciò la creazione non avviene partendo da un presupposto già esistente, ma avviene, come abbiamo detto, ex nihilo, cioè avviene dal nulla, non c'è nulla prima, per così dire, della creazione.

             Anzi è già abusivo parlare di un prima, perché nella creazione nemmeno quel prima esiste, in quanto prima della esistenza delle cose non c'è nemmeno il tempo Ecco, noi possiamo solo con la mente immaginare che il tempo si prolunghi prima dell'esistenza delle cose, ma è un nostro artificio mentale, non è un qualche cosa di reale.

Vedete come la dottrina di San Tommaso è estremamente forte per ovviare a tutti i malintesi, anche moderni. Pensate per esempio all’obiezione dei marxisti: oggi naturalmente si sono ricreduti, ma un certo marxismo del secolo scorso poteva ancora affermare che la materia è eterna. Quindi, del buon Dio non ce n'è bisogno perché essendo la materia eterna, sempiterna, essendoci da sempre, l'unico principio che regge il mondo è appunto la legge dell’evoluzione, dell’autoevoluzione dialettica insita da sempre nella materia che a sua volta esiste da sempre. Quindi si eliminano tutti i quesiti metafisici.

Quello che ci chiediamo noi: perché c’è la materia? da quando c'è la materia? perchè c'è quella legge che regola il suo sviluppo? - come voi dite -. Vedete, tutti quei perchè non hanno luogo, secondo loro, perché la materia spiega se stessa, anche nelle sue forme più evolute.

Ora, invece San Tommaso dice che chi argomenta così, non ha capito con esattezza che cosa significa creazione, perché la creazione non significa che una cosa abbia avuto inizio nel tempo, questo è  del tutto accidentale alla creazione, quindi anche se per ipotesi, come pensavano i marxisti ottocenteschi, la materia fosse da sempre, cosa che la fisica oggi smentisce nel modo più assoluto,  sempre sarebbe creata.

San Tommaso lo spiega dicendo: pensate un po' a un'impronta nella sabbia: se viene l’onda del mare quella impronta è cancellata subito, se invece un uomo mantiene il piede sopra l'impronta, essa rimane finché c'è il piede impresso nella sabbia. Così similmente, finché c'è la materia bisogna che ci sia Dio che influisce l’essere alla materia. Perciò anche se la materia non fosse nata nel tempo, ma fosse eterna, per così dire, o sempiterna, Dio da sempre l'avrebbe creata.

Il mondo avrebbe potuto esistere da sempre

E’ possibile quindi una creazione da sempre, ma è sempre creazione, cioè sempre dipendenza strutturale, ontologica quanto all'essere. Questo è il punto. Ora, notate bene che, per quanto concerne il mondo materiale, il suo senso, bisogna realmente dire, - senza indulgere a eccessivo antropocentrismo, cioè senza dire che l’uomo è al centro di tutte le cose e tutto esiste solo perché esiste l’uomo, l'uomo padrone del creato come si suol dire, - che questo va naturalmente visto in modo abbastanza attenuato, perché ogni creato, ogni creatura, è anzitutto finalizzata a Dio.

Quindi non è possibile dire: l'erba, il prato, l’acqua, l'aria, tutto esiste per l'uomo. No. Tutto esiste anzitutto per Dio[11].Bisogna che siamo un pochino più modestie. Diciamo: tutto esiste per Dio, poi il Signore si è compiaciuto, in un mondo che Egli ha creato per la sua gloria, di prenderci e di porci in mezzo a quel mondo, così che le creature possibilmente non ci facessero più male di quanto potessimo sopportare[12]. 

Dio non solo ha causato le cose facendole emergere dal nulla, dando l'essere alle cose, ma Egli ha creato e voluto le cose come distinte e quindi il Signore ha creato anche la distinzione, la diversità, la varietà, e persino la disuguaglianza delle cose.

Questo è un tema che la gnosi di tutti tempi, anche la gnosi moderna, non ammette volentieri. Cioè sembra una discriminazione che il Signore Dio abbia voluto delle creature diverse. È poco democratico. Infatti il Signore ha creato, per esempio, un albero come un albero e non come un uomo? Facciamo un bel referendum agli alberi, se vogliono essere creati come uomini o come alberi. Ahimè, in metafisica la democrazia proprio non vale, per nulla.

In fondo questa varietà delle cose è stata vista come il male dagli antichi gnostici. Secondo gli gnostici esseri diversi è un male. Essere molteplici è un male, viene dal demonio. Dio, di per sé, dovrebbe creare tutte le cose uguali e anzi, se il Signore fosse stato proprio buono, non avrebbe creato nulla, questa è la tesi degli gnostici.

Infatti, notate bene, anche le religioni orientali in parte conoscono questo pessimismo profondo, cioè il vero peccato è uno solo: l'essere delle cose finite, la distinzione dal Brahaman. Brahaman è Tutto, però il guaio è che c'è qualche cosa, la maya, l'apparenza, che in qualche modo vorrebbe apparire come distinta dal Tutto. Quindi la distinzione è il peccato. Notate che è una mentalità profondamente orientale. Gli orientali, ho in mente gli indiani, etc., non possono sbarazzarsi di questo profondo condizionamento della loro mente, a livello culturale, che è appunto quello di considerare la distinzione degli enti, la peculiarità degli enti, come un male.

La perfezione degli enti sta nella loro limitatezza

In Occidente invece la distinzione, la finitezza degli enti, si esprime in modo speciale nel patrimonio greco: la finitezza degli enti è un bene insigne. Gli unici che lo negavano erano appunto gli gnostici che non a caso subivano questi influssi orientali.

Quindi notate bene che la questione poi fu sollevata anche in tempi abbastanza recenti. Pensate al famoso filosofo tedesco dell'epoca illuministica, siamo ai primi dei ‘700, Leibniz, il quale appunto parlava anche di un malum metaphysicum, cioè di un male metafisico. E in che cosa consiste questo male metafisico? Nella finitezza delle creature. Ora, quello che sorprende, non è tanto il fatto che dica che le creature, in quanto finite, sono per giocoforza imperfette, Questo è chiaro; il finito è imperfetto[13] come tale; però dire la parola male, è questo che urta un pochino: l’affermazione che la finitezza delle creature è un male. Invece San Tommaso si premura di definire il male, come già aveva fatto Sant'Agostino, in questo modo: malum est privatio boni debiti, ovvero, il male è sì la privazione del bene o la privazione dell'ente, dell'essere, però la privazione dell'essere dovuto.

Ora all'essere finito non è dovuto l'essere infinito. Quindi per una creatura il fatto di essere finita non è un male, anzi un suo bene. Notate come San Tommaso è molto esplicito su questo suo chiamiamolo ottimismo creaturale, anche se le parole ottimismo e pessimismo sono un tantino superficiali per descrivere queste cose.

Comunque, San Tommaso è ottimista rispetto alla proprietà delle creature perché dice che ogni creatura desidera certamente Dio al disopra di tutto, ma con appetito, appetitus, cioè un desiderio naturale radicatissimo in ogni creatura, desidera anzitutto essere se stessa.

E con ciò stesso la creatura asseconda la volontà di Dio creatore, perchè Dio non vuole che l’uomo sia Dio, vuole che l'uomo sia uomo, e poi che adori e ami Dio certo, ma non che l’uomo, cosa d’altronde impossibile, sia Dio, angelo o altro. Quindi in qualche modo Dio stesso vuole che ogni creatura ami il suo bene particolare, cioè ami di essere se stessa, in poche parole, che non subisca quello che io chiamo la nevrosi metafisica: la non accettazione di se stessi, della propria finitezza.

Che cosa diceva Aristotele? Téleion de udén, cioè diceva appunto: nulla c'è di perfetto se non ha dei confini. É interessante: la parola greca telos significa nel contempo il confine limitante e nel contempo la perfezione. Quindi, una cosa è perfetta non quando è priva di confini, ma proprio quando giunge al suo limite che le è assegnato.

Quindi, in questo senso, Dio non solo vuole l’essere per le cose, ma vuole che ogni cosa abbia un essere diverso da ogni altra. Questo è il punto. Ora, San Tommaso, per spiegare questo, dice che le opinioni al riguardo sono state molteplici e molto diverse. Anzitutto c'è l'opinione di alcuni filosofi antichi, i quali dicevano che la distinzione tra le cose viene dalla materia, o dalla materia sola, come pensava Democrito, per esempio, gli atomi, che si combinano secondo modi e figure diverse, oppure la materia sotto l'influsso di una causa agente, come pensava Anassagora, secondo il quale all’origine c'era un miscuglio primordiale di tutte le cose, dove tutto era in tutto sotto l'influsso del nus, come lo chiama Anassagora, cioè la mente divina.

Dio in questa prospettiva non crea, ma non fa altro che estrarre da questo miscuglio originario, dove tutto si confonde con tutto, le singole differenze delle cose. Quindi alcuni dicevano che la differenziazione delle cose non viene da Dio, ma solo dalla materia, da come gli atomi si ordinano per conto loro, quasi spontaneamente. Giustamente dice Dante che Democrito e Eucippo fondarono il mondo sul caso. Esiste cioè da sempre un vibrare di atomi, e poi gli atomi si combinano e si compongono tra loro. Secondo quale legge? Nessuno lo sa. Del tutto casualmente, però secondo necessità, ma una necessità che è cieca, assolutamente cieca.

Allora, Democrito e gli atomisti dicevano: la differenza delle cose non viene da una mente, anzi non c'è una mente creatrice, ma viene semplicemente dalla materia, diciamo così, dal movimento meccanico delle particelle degli atomi. Poi, invece, Anassagora dice che anche la differenza delle cose viene dalla materia, ma sotto l'influsso di una mente non creatrice, bensì ordinatrice. Quindi c'è un miscuglio originale in cui tutto si confonde con tutto, poi interviene la mente, che non ha creato quel miscuglio, ma lo presuppone già; estrae da quel miscuglio le singole parti e così differenzia le cose del mondo.

Questa era la posizione di Anassagora. Ora, San Tommaso dice che questa posizione è insostenibile per due motivi, uno: la materia stessa è creata da Dio. Infatti la creazione, come abbiamo visto, suppone la donazione di tutto l'essere, quindi o la materia riceve l'essere da Dio o non ce l'ha affatto. Ora la materia ha l'essere, tutti lo vediamo; quindi se ce l’ha, l’ha da Dio: non c’è altro modo, perciò anche la materia è creata. Quindi anche la materia, in quanto esistente, è creata, perciò sono del tutto sbagliate quelle dottrine secondo le quali la materia è presupposta all'ordinamento delle cose.

Dio, nel momento stesso in cui crea la materia, già la ordina e vuole, assieme all'essere della materia, anche il suo sottostare alla forma e anche il suo distinguersi, ordinarsi, secondo come il Creatore dispone.

Poi, secondo motivo, la materia è fatta per la forma, cioè è finalizzata alla forma e non  viceversa, cioè la forma non è per la materia. Quindi la distinzione delle cose avviene secondo le forme proprie, cosicchè la distinzione non deriva dalla materia, ma piuttosto la materia è creata multiforme, per sottostare, per adattarsi a forme diverse[14]. In questo senso la differenziazione delle cose falsamente viene attribuita alla materia; è la diversità ad essere l'elemento perfetto, l'elemento  strutturale,  formale ed essenziale.

Poi abbiamo la seconda tesi degli antichi, la quale dice che la distinzione viene da un agente secondo, cioè da una causa, ma non dalla causa divina, bensì da una causa creata, e questa è la dottrina dei cosiddetti neoplatonici che poi in qualche modo sono passati nella filosofia e teologia medioevale tramite gli Arabi, Avicenna in particolare. Così pure ovviamente anche il famoso Averroè. Erano in fondo degli aristotelici, ma fortemente platoneggianti e quindi fortemente ispirati a questa dottrina dei neoplatonici

Nessuna creatura può creare

Ora, il neoplatonismo che cosa insegna? Insegna che Dio crea un supremo angelo, sostanza separata, dicevano gli antichi. Dio non crea allora lui stesso la differenza delle cose, no, Dio di per sé crea una sola creatura, una sola, non altro, la quale è la suprema mente creata, la suprema intelligenza, la suprema sostanza spirituale creata, insomma noi diremmo oggi il supremo angelo, usando una parola teologica.

Poi, tramite quella mente creata, però superiore ad ogni altra mente, tramite questo supremo degli angeli, potremmo dire, Dio crea tutto il resto del mondo angelico e il mondo angelico crea il mondo corporeo e così via. Vedete, quindi, che c’è una specie di emanazione più che di causalità, di emanazione a gradi distinti dal primo principio. E allora la differenziazione non avviene tra Dio e la prima creatura, ma tra la prima e tutte le altre seguenti.

Questa è la tesi dei neoplatonici. Ora, San Tommaso dice che anzitutto creare è proprio di Dio, e ciò che non soggiace alla generazione e corruzione, quindi ciò che è sempiterno, non può che essere creato, non può essere generato. Un angelo non è generabile. Quindi che cosa impugna San Tommaso? Dice che è inutile che neoplatonici sostengano che l'angelo supremo ha creato gli altri angeli, perchè anzitutto l'angelo, per quanto grande e intelligente, non è onnipotente, perché è creatura anche lui.

Quindi non può dare l'essere, non ce l'ha l'essere nella pienezza. Solo Dio è l’Essere, l'angelo, per quanto grande, non è l’essere ma ha l'essere. Quindi solo Dio può creare; solo Dio può donare l'essere. Per giunta il mondo spirituale degli angeli e delle anime non è nè generabile nè corruttibile. Quindi non può che essere creato e, dato che solo Dio può creare, solo da Dio può derivare tutto il mondo spirituale con tutta la sua differenziazione; quindi, se non altro, almeno le differenze del mondo spirituale non possono che derivare da Dio, non da una qualche creatura interposta o qualche causa strumentale o causa seconda.

Secondo argomento. La dottrina suddetta pone il mondo a caso. Anche i neoplatonici in fondo rendono il mondo casuale, perché la distinzione delle creature non deriverebbe dall'intenzione del primo agente. Dio non vorrebbe altro che la mente creata suprema; tutte le altre cose le vuole quella mente creata, ma non più Dio Creatore. Quindi in qualche modo per tutto il resto sarebbe come se Dio non ci fosse. C’è solo, nel primo momento la mente, che potremmo chiamare “demiurgo”, una creatura creatrice, la quale soltanto dipenderebbe da Dio. Tutto il resto dipenderebbe dal demiurgo, ma non da Dio.

Vedete, quindi, che il rapporto di Creatore e creatura c'è solo tra Dio e demiurgo, tutto il resto è opera del demiurgo senza che Dio influisca, quindi, al di là dell'intenzione di Dio: il che vuol dire casualmente, perchè ciò che non è intenzionale è appunto fortuito o casuale.

Tutte queste cose ovviamente non sono convenienti, quindi non è possibile ammettere queste teorie. La dottrina vera è questa: la distinzione e la molteplicità delle cose derivano dall'intenzione dello stesso primo agente, dello stesso Creatore che è Dio. In altre parole Dio stesso ha voluto che le cose fossero distinte e Dio stesso volendo ha creato le cose distinte. Ovvero la distinzione, in altre parole, appartiene alle cose create primordialmente, non in un secondo momento.

Ossia, sin dall'origine, sin dal primo momento del loro esistere, le creature sono già ordinate, distinte e diversificate. Perché Dio fece questo? Non lo sappiamo, perché nessuno è mai entrato nella mente del Signore. Chi è mai stato suo consigliere? si chiede la Scrittura. Quindi, se uno si chiede: perché il Signore ha creato il mondo? Beh, bisogna essere Dio per saperlo, no? Noi possiamo solo dire che Dio, come ci dice la Scrittura, amò tutto, cioè creò tutto con sapienza e amore.

Quindi poiché Dio ama e sa, con sapienza e amore crea. Ma perché poi Dio ha amato le creature, questo lo sa solo Lui. Egli ama le creature in modo del tutto gratuito: non c'è un motivo di amabilità nella creatura stessa. Vedete quindi che le creature sono buone e amabili non in sè, ma perché prima amate da Dio. Quindi  non esiste un perché Dio  ama le creature. Le ama perchè le ama, Lui solo lo sa.

Vedete, come giustamente i teologi hanno parlato addirittura di una prima grazia precedente la grazia di Cristo Redentore, anche se è un modo un po' abusivo di parlare della grazia, però si parlava della grazia della creazione, gratia creationis. perchè già nella creazione l'essere dato alle creature non è dovuto alle creature, è pura grazia, è un dono.

Quindi, già nella creazione c'è quasi una struttura simile a quella che avverrà poi sul piano soprannaturale nella donazione della grazia santificante, cioè nella giustificazione e nella santificazione. Allora, Dio produsse le cose nel loro essere a causa della sua bontà, di quella bontà che non è solo bontà oggettiva[15], ma bontà soggettivo-oggettiva, ovvero la bontà di Dio è lo stesso amore soggettivo con cui Dio ama come oggetto se stesso. Quindi l’amore di Dio è lo stesso bene di Dio e viceversa il bene di Dio è il fatto che Egli è amore.

Dio rende le creature simili a Lui

Allora, il Signore, quando crea, che cosa vuole sovranamente e liberamente fare? Egli, per un eccesso di amore, non vuole fare altro che dare una similitudine del suo essere, della sua verità e soprattutto del suo bene e della sua perfezione a cose distinte da lui. Dico eccesso d’amore gratuito perché non si tratta di un che di dovuto, ma Dio vuole dare una similitudine del suo essere, della sua verità e del suo bene soprattutto, per amore eccessivo.

Vedete, quindi che tutta la creazione è motivata da questa volontà che Dio ha quasi di estrinsecarsi. Ma è un estrinsecarsi che non è dovuto. Noi uomini, invece, siamo quasi tenuti connaturalmente a vivere con gli altri in società. Dio vive in una sola società necessaria, quella della Trinità Santissima. Ma non ha bisogno delle creature perché gli facciano compagnia.

Notate che da questo lato ci sono stati degli errori veramente ridicoli, è il caso di dirlo. Pensate che lo stesso Hegel, che ha la fama di essere un grande filosofo, ebbe l’empia audacia di dire che «Dio senza il mondo non è Dio». Quindi come se Dio avesse bisogno del mondo perchè gli faccia compagnia. Non so se rendo l'idea. Vedete, invece, non dico ogni cattolico, chè questo è già troppo, ma ogni uomo sanae mentis, cioè ogni uomo sano di mente, - basta essere limpidamente metafisici per intuirlo -, vi dirà che ovviamente Dio non dipende dal mondo, non ha bisogno della compagnia, per così dire, del mondo.

Però Dio è portato a estrinsecarsi gratuitamente, cioè a porre degli esseri al di fuori di sè, Dio è già la pienezza dell'essere. Ora si tratta invece[16] di voler comunicare qualcosa della sua pienezza, dico qualcosa, perché il Tutto non è comunicabile. Ora, il Tutto, il Padre lo comunica[17] al Figlio ed entrambi, Padre e Figlio, lo comunicano allo Spirito Santo. E qui la comunicazione si chiude e non va oltre[18].

Allora si tratta di comunicare, questa volta non più il Tutto della divinità, ma una parte[19] della divinità, ovvero un qualche cosa di partecipato rispetto a Dio. Come avviene questo? Appunto in quanto Dio estrinseca quelle perfezioni che in Lui esistono in un modo assolutamente unito,  moltiplicandole nell'ambito degli esseri finiti. E San Tommaso giustamente osserva che un’unica creatura finita non sarebbe in grado di esprimere convenientemente la grandezza, la sapienza, la perfezione, la bontà di Dio, ma solo una molteplicità di creature[20] e naturalmente, è chiaro, che anche le creature molteplici  esprimono sempre questa somiglianza, questa similitudine con Dio in modo del tutto inadeguato.  Con questo non voglio dire che Dio, avendo creato molte cose, si è espresso in maniera perfettamente adeguata, però se avesse creato una sola creatura, questo modo di esprimersi non sarebbe per nulla perfetto.

Quindi, diciamo così: se Dio ha deciso per puro amore di creare, una volta che ha deciso, era conveniente, anzi quasi necessario, supponendo che Egli volesse fare qualcosa di perfetto, che creasse delle creature plurime, non una sola.

Vedete, è quasi una necessità strutturale dell’essere creati, quella di essere creati in pluralità. Perché? Perché, appunto, una sola creatura non riesce a rappresentare adeguatamente, in nessun modo, la perfezione di Dio. Quelle perfezioni che in Dio esistono in modo infinito sono rappresentabili nelle creature finite solo in modo molteplice.

Notate dunque bene questo. In Dio ci sono tutte le perfezioni, però ci sono in Dio come una sola perfezione infinita: infinità e unità caratterizzano il bene di Dio. Finitezza e molteplicità caratterizzano la creatura. Come a Dio si addice di avere tutte le perfezioni infinitamente e quindi unitamente, così alle creature che non possono possedere le perfezioni se non finitamente, si addice possederle in modo moltiplicato.

E’ cosa molto importante notare questo. Certo, con ciò non abbiamo dimostrato nulla.  Abbiamo solo reso plausibile il fatto che le creature giustamente sono in qualche modo distinte, cioè che la distinzione contribuisce alla perfezione del creato.

P. Tomas Tyn

Da Conferenze: http://www.arpato.org/creazione.htm

Testo rivisto con note a cura di P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 29 dicembre 2024

Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP


[1] Dio ha un’essenza che è il suo stesso essere. Nel contempo Dio è un’essenza, come lo è anche l’angelo. Infatti sia l’angelo che Dio sono un puro spirito senza un soggetto materiale, come avviene invece in noi. Per questo noi abbiamo un’essenza, perché in noi c’è un soggetto di questa essenza, che è la materia. Invece, laddove non c’è materia, il soggetto è l’essenza stessa.

[2] da notare qui un velata polemica con la concezione idealista della persona, che risolve l’io nel suo pensare. Questo equivoco, come è noto, nasce storicamente dal “cogito” cartesiano, benchè, ad onor del vero, Cartesio mantenga la concezione ontologica dell’io come “res cogitans”. Ma tale concezione, nell’idealismo seguente non tarderà a sparire, fagocitata dall’invadenza dell’”autocoscienza” come costitutivo della “persona”. Infatti anche l’idea della persona come “res cogitans” favorisce lo sviluppo posteriore. Cartesio avrebbe dovuto dire: “res capax cogitandi”.

[3] Noi siamo enti finiti che possono pensare l’infinito. Tuttavia, in quanto finiti, noi possiamo pensare l’infinito solo in un modo finito.

[4] Noi possiamo pensare l’infinito. Ma il nostro pensiero è finito l perché è creato, anche se possiamo accrescere il nostro pensiero all’infinito o indefinitamente..  

[5] Il termine  «sbilanciato» non sembra essere dei più felici. In realtà la creatura a suo modo è bilanciata, nel senso che ogni creatura ha il suo essere proporzionato alla sua essenza. Tuttavia, il fatto che il nostro essere stia fuori di noi, può dare questa impressione. D’altra parte non può essere diversamente, perché non siamo fondati su noi stessi, ma il nostro essere ci è donato da Dio.

[6] Si tratta del fine immanente. Quindi qui il fine ultimo evidentemente non è Dio, ma è la realizzazione finale dela creatura, realizzazione che è opera di Dio.

[7] Qui Padre Tomas per “cosa” non intende la semplice essenza, ma l’essenza col suo essere.

[8] Ossia, che non partecipi dell’essere.

[9] Ossia partecipa dell’essere.

[10] Cioè. Se non ha l’atto d’essere.

[11] Questo è il principio della vera ecologia, che spesso viene trascurato. E invece è molto importante, perché ricorda all’uomo che egli non è il padrone assoluto della natura, ma Dio l’ha affidata all’uomo per il suo benessere e perché, nel contempo, ne abbia rispetto come di un bene che innanzitutto è finalizzato a Dio.

[12] Il che vuol dire, probabilmente: in modo che non prevalessero su di noi, come a dire: che potessimo dominarle.

[13] Il finito è la creatura. Ora l’imperfetto è ciò che non è perfetto, cioè ciò che non è portato a compimento, non è condotto a buon fine. Ora, la Bibbia, quando parla delle creature, dice che Dio vie che erano molto buone. Quindi io ritengo che, più che parlare di imperfezione, convenga parlare di gradi di perfezione.

[14] Qui P.Tomas collega due concetti diversi di materia: “multiforme” si riferisce alla materia come potenza attuata; invece le altre espressioni “per sottostare, per adattarsi” si riferiscono alla materia come pura potenza atta ad essere formata.

[15] Come risulta da quanto P.Tomas dirà in seguito, qui, per “oggettiva” intende la bontà di Dio in quanto Amore, perché Dio ama innanzitutto se stesso come Amore ed ordina tutto a questo Amore.

[16] P.Tomas si riferisce all’amore che Dio ha per noi.

[17] Qui per “comunicare” P.Tomas  intende che la natura divina il Padre è la medesima natura del Figlio, comune alle Tre Persone.

[18] Ossia non si estende alle creature.

[19] S’intende una partecipazione non alla natura ma all’essere di Dio.

[20] Sott’inteso: può esprimere in qualche modo le perfezioni divine.

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