Lutero e Cartesio
I motivi di un’alleanza
Prima Parte (1/3)
L’oggettività e la soggettività
Per indagare le realtà profonde e sublimi alcuni seguono la via che parte dall’io, dal soggetto, ascoltando la propria coscienza, sentono Dio in se stessi ed entrano in dialogo con Lui; altri invece amano guardare al mondo e descrivere le cose oggettivamente in se stesse o dire come stanno o trattano dell’essere, delle cause prime e dei princìpi della realtà, fino ad elevarsi alla conoscenza di Dio. Vanno alla ricerca dei fondamenti, si pongono gli ultimi perchè e vogliono esprimere un sapere radicale, certo, incontrovertibile, fondamentale, universale, immutabile, necessario ed onnicomprensivo.
I primi li troviamo nei Salmi della Scrittura; i secondi, nel libro della Sapienza o dei Proverbi o nel Siracide della medesima Scrittura. I primi hanno come grandi rappresentanti Sant’Agostino o Platone; i secondi, San Tommaso o Aristotele.
I primi amano prender coscienza del proprio io, fondarsi sull’io, vedere Dio nel proprio io, averlo presente all’attenzione, guardare nel proprio io, esaminandone la dignità e attratti dal suo mistero, scandagliarne le origini e le convinzioni fondamentali, le inclinazioni, aspirazioni e desideri più profondi, esprimere quanto di più profondo e più alto sentono e trovano in se stessi confrontandosi col Tu divino. Sono preoccupati della propria sorte e si domandano se sono o no graditi a Dio.
I secondi invece hanno interesse a contemplare le alte verità e Dio stesso, dedicandosi alla speculazione filosofica, morale, metafisica e teologica e trattando della realtà nella sua ricchezza e vastità in terza persona con deduzioni e ragionamenti e imbastendo teorie scientifiche, alla ricerca dell’universale e della totalità. Sono i pensatori non dell’io sono ma dell’egli è.
Lutero e Cartesio entrano nel primo gruppo. È molto illuminante confrontarli e si capisce perché, quando i luterani soprattutto con Hegel, hanno deciso di dare una base filosofica al luteranesimo, hanno scelto Cartesio, benché cattolico. Ma si erano accorti che il suo pensiero di fatto non favoriva il cattolicesimo, ma il protestantesimo, tanto che fu disapprovato dalla Chiesa.
Cartesio e Lutero infatti si illuminano a vicenda ed entrambi stanno alle origini della cosiddetta modernità, con le sue chances ancora attuali e le sue tragedie ancora incombenti, peggiori che per il passato[1]. Da qui la necessità assoluta che senza perdere quanto di buono Cartesio e Lutero ci hanno lasciato, manteniamo la linea aristotelico-tomista, che la Chiesa ha mantenuto finora, linea che ci consente di discernere quanto in Lutero e Cartesio c’è di buono e quanto c’è di cattivo.
Le loro vicende intellettuali sono molto simili e simili sono i contesti storici, culturali ed ecclesiali che li hanno stimolati a fare quanto hanno fatto. L’impostazione intellettuale di fondo che li caratterizza è l’interesse operativo per l’io, l’attenzione pragmatica all’io, alla propria coscienza.
Il proposito di Lutero è simile a quello di Cartesio: riformare[2]: riformare la Chiesa, Lutero; riformare il pensiero. Ma entrambi, invece di riformare deformano, cioè non accolgono una forma già esistente purificandola e migliorandola, senza mutarla. Invece Lutero toglie alla Chiesa alcuni elementi essenziali e Cartesio toglie al pensiero il suo orientamento all’essere e lo chiude in sé stesso, vorrebbe renderlo autarchico come fosse il pensiero divino.
Sia Lutero che Cartesio sono preoccupati del problema della verità: verità di ragione, Cartesio; verità di fede, Lutero. Diverso tuttavia è nei due il modo di impostare la questione: Cartesio è convinto di aver trovato lui finalmente il fondamento della verità, mentre fino ad allora l’umanità aveva navigato nell’incertezza. Lutero, invece, era convinto di aver ritrovato lui la verità del Vangelo, dopo che essa era stata offuscata dal Magistero della Chiesa.
Cartesio trova finalmente ciò che fino ad allora l’uomo aveva cercato invano. Lutero recupera quella verità che la Chiesa aveva perduto. Meno male che Dio ce li ha dati! Come avrebbe potuto fare l’umanità senza di loro?
E a Cartesio chiederei: tu come fai in nome del principio di non-contraddizione, che supponi nel momento che ritieni vero il tuo cogito, a rifiutare Aristotele, lo scopritore del principio di non-contraddizione? In nome di che cosa rifiuti il principio di non-contraddizione?
Ad ogni modo, non c’è dubbio, è un fatto che Lutero e Cartesio, un teologo e un filosofo, sono due personaggi giganteschi, che in maniera unica hanno influito sulla svolta compiuta dal pensiero e dalla cristianità europei nei secoli XVI-XVII e che a tutt’oggi mantengono un influsso significativo nell’ambito della cultura, della società e della Chiesa e della stessa politica non solo in Europa, ma nel mondo intero, almeno occidentale.
Non si può dire che siano modelli di virtù come i Santi. La loro vita, benché improntata alla fede cristiana, presenta certamente lati biasimevoli accanto ad aspetti buoni, ma ciò che li rende importanti e degni di attenzione è come sono riusciti a capire i bisogni e i problemi del loro tempo e quindi influire sulle idee e sui costumi morali di intere generazioni dal tempo in cui vissero fino ad oggi. Ancor oggi infatti esistono loro discepoli e seguaci, con i quali occorre mettersi a contatto e confrontarsi, perché continuano a suscitare interesse, ammirazione, ed imitazione.
D’altra parte, continuano anche gli attacchi e le critiche a costoro, per cui occorre vedere quanto queste cose valgono e dare un giudizio per quanto possibile oggettivo e sereno, anche se non sempre sicuro, perché non è sempre facile ma estremamente necessario interpretare il loro pensiero. Oggi in campo cattolico esiste una tendenza ad assimilare le loro idee alle verità cattoliche, a differenza di un passato eccessivamente polemico. Ma oggi occorre fare attenzione, perché ci sono cattolici che si lasciano sedurre dai loro errori, mantenendo il nome di cattolici e non si accorgono di essere diventati luterani o cartesiani.
Se ieri ci sono state eccessive polemiche ed incomprensioni reciproche, oggi c’è un dialogismo, un concordismo, un sincretismo che sanno molto di opportunismo, di ipocrisia e di doppiezza. È frequente l’ambiguità e si gioca sull’equivoco, ma ciò lascia gli animi nell’intima insoddisfazione, nella discordia e nella guerra. Per il timore di offendere, manca la franchezza. Eppure è con la franchezza che si trova la pace. Si teme che il mostrarsi certi sia un atto di violenza, e invece è proprio il modo di dar certezza a chi cerca la verità.
Tanto Lutero che Cartesio si trovano a vivere in un periodo storico di grande smarrimento intellettuale e morale: Lutero, nel clima del Rinascimento, che aveva oscurato la dignità del Papato e del ceto cardinalizio, dimentichi della loro responsabilità di maestri della fede e di pastori del gregge di Cristo e invischiati in interessi politici e temporali e in ogni vizio, fino a vergognose bassezze e al delitto; Cartesio invece nel clima di scetticismo e sfiducia nella verità e nella ragione conseguente alle sanguinose guerre di religione del sec.XVI e della prima metà del ‘600.
Lutero e Cartesio sentirono il bisogno
di uscire da una situazione di crisi
Il crollo dell’Impero Romano d’Oriente del 1453 sotto i colpi dell’Islam aveva provocato un grande spavento e un profondo turbamento nell’Europa occidentale. Infatti, nonostante lo scisma del 1054, esisteva pur sempre una cristianità europea dal Portogallo fino alla Russia. Invece con Lutero diversi Stati dell’Europa centro-settentrionale già cattolici da secoli, adesso si separavano da Roma in una forma ben più grave di quanto era avvenuto del 1054.
Lutero infatti è preceduto dal paganesimo dell’umanesimo italiano e dalla corruzione del Papato temporalista, godereccio e attaccato al denaro soprattutto a partire da Innocenzo VIII, nonché dall’individualismo irrazionalista e volontarista occamista, che fomentava la competizione e l’orgoglio dei primi Stati nazionali. Serpeggiava il conciliarismo, effetto dello scisma d’Occidente composto da pochi decenni.
La teologia scolastica aveva perduto la forza speculativa, che le aveva impresso San Tommaso nel sec. XIII, e faticava a sottrarsi alle sirene del neopaganesimo umanista italiano. L’Ordine domenicano nel sec. XV si era riformato, sì, ma solo nell’ambito dell’osservanza regolare, sicchè esso dette un gran numero di Santi, ma mancarono filosofi e teologi in grado di affrontare e risolvere la problematica dell’Umanesimo e del Rinascimento.
Il Savonarola si rese conto dello scandalo enorme che il Papato stava dando alla Chiesa e del pericolo che veniva dall’Umanesimo, ma non ebbe a sufficienza né la statura di teologo né la tempra del prudente riformatore per proporre al Papa e alla Chiesa un programma persuasivo, articolato e calibrato, adatto ai nuovi tempi, più evoluti, lasciandosi invece influenzare dai precedenti modelli medioevali improntati ad una intransigenza, una durezza e ad un rigore, che potevano andare bene allora, ma che nella situazione del suo tempo non potevano che provocare quella controreazione che finì nella tragedia.
Con tutto ciò possiamo certamente considerare come martire il Savonarola, perché senza dubbio in buona fede, come testimoniano gli ultimi suoi scritti ricchi di pietà ed alti sentimenti religiosi, luminosi di sana dottrina, che egli compose in carcere poco prima della sua esecuzione capitale.
Quanto a Cartesio, lo scisma che Lutero aveva provocato in campo religioso, Cartesio lo provocò nel campo della filosofia cattolica, che dal sec.XIII, stimolata dalla Chiesa, aveva assunto il tomismo. Pochi cattolici pertanto assunsero il cartesianismo, che peraltro la Chiesa condannò nel 1663, mentre Cartesio ebbe successo tra i protestanti.
Cartesio si trovò a vivere in un clima intellettuale, culturale, morale, spirituale ed ecclesiale conseguente alle terribili guerre di religione fra cattolici e protestanti del sec. XVI, protrattesi sino ai primi decenni del ’600. Esse avevano causato una gravissima crisi di scetticismo e sfiducia nella verità e nella possibilità di una fede comune, una situazione di gravissimo smarrimento dottrinale e decadenza morale.
Tuttavia Cartesio ebbe modo di ricevere un’ottima formazione culturale al Collegio di La Flèche, diretto dai Padri Gesuiti, uno dei più prestigiosi d’Europa. Egli deve comunque aver risentito dell’atmosfera di tormentoso ed angosciante scetticismo che lo circondava, tanto che terminati gli studi, egli esce in affermazioni iperboliche come queste:
«ho visto che la filosofia è stata coltivata dalle più elette menti che siano vissute da molti secoli in qua e nondimeno non vi si trova ancora cosa alcuna sulla quale non si disputi e, per conseguenza, che non sia dubbia»[3].
«Già da qualche tempo mi sono accorto che fin dai miei primi anni avevo accolto come vere una quantità di false opinioni, onde ciò che appresso ho fondato su princìpi così malsicuri non poteva essere che assai dubbio ed incerto; di guisa che m’era d’uopo prendere seriamente una volta in vita mia a disfarmi di tutte le opinioni ricevute fino ad allora in mia credenza, per cominciare tutto di nuovo dalle fondamenta, se volevo stabilire qualche cosa di fermo e di durevole nelle scienze»[4].
Ora simili dichiarazioni così irragionevolmente sfiduciate non possono essere sincere, ma hanno tutta l’aria di esser state artificiosamente costruite per creare una situazione disperata, dalla quale egli mostra poi di trarci fuori con una mossa prodigiosa ed inaudita onde noi possiamo ammirare la sua straordinaria bravura. Ma tutto ciò ha il sapore di una messa in scena al fine di strappare da noi con la mossa finale (che sarà il famoso cogito) un caloroso applauso e una gloria perenne nei secoli. Più che alla meditazione di un filosofo, ci sembra di assistere all’esibizione di un prestigiatore.
Se noi infatti esaminiamo con attenzione ed occhio critico queste dichiarazioni, senza lasciarci suggestionare dal loro apparente radicalismo, ci accorgiamo che non stanno in piedi e si distruggono da sole. Non esiste nulla di certo? È del tutto falso. Disfarsi di tutte le proprie convinzioni? Ma perchè mai? È somma stoltezza. Occorre distinguere quelle valide da quelle che non valgono.
Vuoi ricominciare tutto dalle fondamenta? Ma per quale motivo, se certe conseguenze sono assodate? Delle fondamenta almeno, come non esser certi? Vuoi rifare anche quelle? In base a che cosa? Come fai a stabilire qualcosa di fermo se non parti da qualcosa di fermo?
Fine Prima Parte (1/3)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 6 novembre 2024
Il proposito di Lutero è simile a quello di Cartesio: riformare: riformare la Chiesa, Lutero; riformare il pensiero. Ma entrambi, invece di riformare deformano, cioè non accolgono una forma già esistente purificandola e migliorandola, senza mutarla. Invece Lutero toglie alla Chiesa alcuni elementi essenziali e Cartesio toglie al pensiero il suo orientamento all’essere e lo chiude in sé stesso, vorrebbe renderlo autarchico come fosse il pensiero divino.
Sia Lutero che Cartesio sono preoccupati del problema della verità: verità di ragione, Cartesio; verità di fede, Lutero. Diverso tuttavia è nei due il modo di impostare la questione: Cartesio è convinto di aver trovato lui finalmente il fondamento della verità, mentre fino ad allora l’umanità aveva navigato nell’incertezza. Lutero, invece, era convinto di aver ritrovato lui la verità del Vangelo, dopo che essa era stata offuscata dal Magistero della Chiesa.
Io però vorrei chiedere a Lutero: come hai saputo che la Bibbia contiene la verità se non dalla Chiesa, dalla quale sei stato istruito? E allora come fai, in base a quale criterio tu adesso in nome della Bibbia pretendi di avere ragione contro la Chiesa?
E a Cartesio chiederei: tu come fai in nome del principio di non-contraddizione, che supponi nel momento che ritieni vero il tuo cogito, a rifiutare Aristotele, lo scopritore del principio di non-contraddizione? In nome di che cosa rifiuti il principio di non-contraddizione?
[1] Oggi si parla anche di postmodernità, ma trovo che sia un concetto confuso e inutile, perché si relaziona a un concetto di modernità come se si trattasse di qualcosa che è già passato, per cui oggi ci sarebbe la “postmodernità”. Ma se qualcosa è passato, come lo si può chiamare moderno? Che cosa intendono per modernità coloro che parlano di postmodernità? A Cartesio ed Hegel? Ma essi sono più che mai attuali! Dunque in che cosa consisterebbe questo superamento della postmodernità nei confronti della modernità? Che cosa ci dà di nuovo? Quello che semmai si può notare è un rimescolamento di idee, un maggiore interscambio di idee rispetto a 60 anni fa. Sì, ma gli ingredienti sono gli stessi. Si è avuto qualche accordo, ma i conflitti di fondo restano irrisolti. La soluzione resta sempre quella di unirsi alla Chiesa cattolica nella sua fedeltà cristallina ad Aristotele e a S.Tommaso, perché questa è la sana filosofia che conduce alla fede e interpreta la fede.
[2] Maritain ha saputo ben individuare questi due personaggi-chiave della modernità col suo libro Tre Riformatori. Lutero Cartesio Rousseau, Morcelliana, Brescia 1964. Un po’ strana è l’aggiunta di Rousseau, personaggio secondario, al quale a questo punto se ne potevano aggiungere altri del suo livello, per cui non si capisce perchè proprio Rousseau e non un altro.
[3] Discorso sul metodo,Editrice La Scuola,Brescia 1957, p.19.
[4] Meditazioni metafisiche, Edizioni Laterza,Bari 1968, p.70.
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.