06 aprile, 2025

Il punto di contatto fra cristianesimo e idealismo- Terza Parte (3/3)

 

Il punto di contatto fra cristianesimo e idealismo

Terza Parte (3/3)

 Cartesio confonde il pensare col volere

Dunque nessuna confusione del conoscere col fare o col volere, come invece si avrà nell’idealismo a partire da Cartesio, per il quale l’intelletto non è necessitato all’assenso dall’evidenza, ma è forzato dalla volontà ad accettare una tesi circa la quale l’intelletto dubita.

Si parla a proposito di Cartesio di dubbio metodico. Ma in realtà, nonostante l’apparenza contraria, le cose non stanno così. Cartesio ipotizzare dubbi assurdi per poi scartarli. Anche Tommaso prospetta una universalis dubitatio de veritate[1] per poi scartarla come assurda. Invece Cartesio la prende sul serio e pretende di praticarla nel momento stesso in cui ci propone come certezza primaria ed assoluta il suo cogito.

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Il problema di Dio e della creazione implica che noi non ci muoviamo tra enti di ragione, ma fra enti reali extramentali, perché è di questi, che non abbiamo prodotto noi, che ci chiediamo la causa e non degli enti di ragione o delle idee, che siamo noi a produrre con la nostra mente nella nostra mente.

In Bontadini la creazione diventa un attributo dell’essenza divina. Dio diventa l’«Intero» (Dio+mondo). Col pretesto che il mondo nulla aggiunge a Dio, Dio non può essere concepito se non come creatore, perché il nulla non esiste, nulla esiste fuori di Dio ma tutto è in Dio; per cui la creatura non viene dal nulla ma viene da Dio.

D’altra parte, se la creatura è stata il termine dell’atto creatore, e l’atto creatore coincide con l’essere di Dio, non per questo essa è necessaria all’essenza divina, ma tra essa e l’atto c’è una distinzione di ragione, e anche la creatura è distinta dall’atto divino creatore del quale è stata oggetto venendo all’essere dal nulla. Se infatti la creatura coincidesse con l’atto creatore, dato che questo è Dio stesso, la creatura s’identificherebbe col creatore e si cadrebbe nel panteismo.

D’altra parte, la riduzione idealistica dell’essere al pensiero fa sì che la creazione cada solo sotto la categoria della causa formale ed esemplare, proprie del pensiero, e sia incompatibile con quella efficiente, propria dell’essere e dell’agire. Dio, la creazione e il mondo non sono più enti reali, ma solo enti pensati. Ora ci salviamo grazie a un Dio reale o un Dio pensato?


Immagini da Internet: Mosaici Battistero San Giovanni, Firenze

05 aprile, 2025

Il punto di contatto fra cristianesimo e idealismo- Seconda Parte (2/3)

 

Il punto di contatto fra cristianesimo e idealismo

Seconda Parte (2/3)

L’interiorismo agostiniano si accorda con il realismo tomista

contro l’idealismo cartesiano

Un’accusa che Pio X nella Pascendi fa al fenomenismo idealista è quella di immanentismo, ossia di non salvare la trascendenza divina: Dio non si rivela dal di fuori dell’uomo, ma nell’intimo dell’uomo (n.10). Il Papa naturalmente non nega una presenza di Dio alla coscienza, ma si riferisce al principio idealista secondo il quale nulla è esterno al pensiero. Il pensiero, come dice Bontadini, è «intrascendibile» e questo per la semplice ragione che l’essere è l’essere pensato. Al n.80 il Papa pone chiaramente la questione:

«Domandiamo: siffatta immanenza distingue o no Dio dall’uomo? Se lo distingue, che differisce dunque tal dottrina dalla cattolica? Se poi non la distingue, eccoci di bel nuovo nel panteismo. Ma di fatto l’immanenza dei modernisti» (cioè degli idealisti) «vuole ed ammette che ogni fenomeno di coscienza nasca dall’uomo in quanto uomo. Dunque di legittima conseguenza deduciamo che Dio e l’uomo sono la stessa cosa; e perciò il panteismo».

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La verità che abita nell’anima di Agostino non è la res in anima di Tommaso. Questa è l’ente di ragione, prodotto della ragione, rappresentazione del reale esterno. La verità interiore di Agostino invece non è affatto prodotta dalla mente umana, ma è, come in Platone, la luce intimamente trascendente dell’ideale divino che brilla al di sopra dell’anima e illumina l’anima.

Né ciò che è fuori dell’anima per Agostino è esattamente ciò che è l’extra animam di Tommaso. Per Agostino dalla conoscenza di noi stessi possiamo salire alla scoperta di Dio, ma Agostino non nega che le cose esterne siano prove dell’esistenza di Dio.

Senza abbandonare l’idealismo, Bontadini pensò di togliergli quella protervia che faceva dell’atto del pensiero il produttore di sé stesso e dell’essere inteso come divenire alla maniera di Hegel. Con buona pace di Cartesio, che comunque considerava il fondatore della filosofia moderna come vero filosofare, il cattolico Bontadini non seppe fare a meno di vedere la verità anche nella metafisica classica dell’essere.

Solo che invece di trovarne la fondazione in Platone ed Aristotele, credette di trovarla in modo ancor più radicale in Parmenide, tanto poi da arrivare alla conclusione che la vera anima della metafisica di San Tommaso non è Aristotele, ma Parmenide.

L’errore di Platone, scoperto poi da Aristotele, è stato quello di confondere l’essenza dell’ente con la sua perfezione ontologica o morale. Platone capì che l’ideale trascende il dato di fatto spesso difettoso e ne costituisce il modello di perfezione. Ma l’essenza della cosa non trascende la cosa, ma le è immanente: è ciò che la cosa è e la costituisce in sé stessa; è la forma stessa della cosa.

Ma anche in Aristotele la prospettiva del vedere, idein, o theorein, da cui idea, visione, dal sanscrito vid che vuol appunto dire vedere, resta in perfetta conformità col vedere o la visione (eb. hazon) della Bibbia e del cristianesimo. Ecco dunque la metafora biblica e platonica della luce per simboleggiare la verità della conoscenza. L’errante viceversa è un cieco. 

 
Immagini da Internet: Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino