Il mondo è finito o infinito?
Riflessioni sul libro di Bolloré e Bonnassies Dio la scienza le prove
Terza Parte (3/3)
E che dire della fine del mondo?
Ci troviamo invece delusi circa i preannunci dati dagli Autori, in base alle attuali teorie fisiche, circa l’esito finale dell’universo, che pare abbandonato da Dio ad una sorte squallida e sconfortante, indegna di quella che invece gli riserva e promette un vero Dio provvidente e promotore della vita, del progresso e della perfezione dell’universo e dell’uomo.
La tesi avanzata dagli Autori della finale stasi o dissolvimento eterna del mondo che avrebbe esaurito le sue energie, sembra essere irragionevolmente influenzata da quello che è il corso della vita del vivente, che, raggiunta l’età adulta, va soggetto ad un declino che porta alla morte. Dove va a finire tutta l’evoluzione ascendente promossa dal Dio dell’inizio del mondo? Forse che Dio a un certo punto esaurisce le forze e non ce la fa più? Ridicolo!
Inoltre gli Autori non considerano – e credo di capire il motivo, ma l’ho voluto ricordare io - un duplice aspetto della natura di palmare evidenza e cioè che essa non è solo un meraviglioso congegno di fenomeni che si ripetono secondo leggi immutabili matematicamente formulabili ed organizza un ordine e un’armonia geniali, che non cessano di suscitare grata ammirazione per la loro incomparabile bellezza e per i benefìci immensi che ci dona madre natura. Ma purtroppo, come già notava Leopardi, la natura ci è a volte anche matrigna crudele, che, senza preavviso, strazia chiunque, santi e peccatori e non risparmia nessuno, anche coloro che di essa hanno il massimo rispetto.
Cristo non predice la stasi eterna, ma una fine di questo mondo, che avrà, come è noto, un carattere altamente drammatico: «Le potenze dei cieli saranno sconvolte» (Lc 22,26); «la luna si oscurerà e il sole non darà più il suo splendore» (Mc 13, 24). E San Pietro: «gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutto» (II Pt 3.10). Come mai? Che cosa significa? Sono le conseguenze ultime, dirompenti, del peccato originale e dei nostri peccati. Troviamo forse qualche somiglianza con la teoria della stasi finale, ma il tono ha qui un aspetto drammatico, che ben rappresenta le conseguenze tragiche del peccato. Oggi potremmo benissimo pensare a un conflitto nucleare.
Per questo, per quanto riguarda la questione della futura fine del mondo dispiace doverlo dire, ma qui gli Autori si fanno superare dall’ottimismo escatologico dei marxisti, dei massoni, dei positivisti, degli atei e dei materialisti, benché questi non dispongano di alcun supporto filosofico e scientifico per strombazzare le loro utopie. Eppure è vero che, come si dice nella Cina comunista, il nostro destino è «luminoso».
La tesi della futura morte o stasi eterna dell’universo suppone un concetto errato della sostanza materiale e precisamente il concetto di «materia inerte». Ora dobbiamo dire chiaro e tondo che la materia inerte non esiste, perché l’ente fisico è per sua natura agente, attivo e produttivo. Non c’è nulla in natura, che sia privo di energia e non eserciti una forza.
È l’ente matematico che non agisce perché appunto in esso astraiamo dall’agire, che è proprio dell’ente reale. L’ente per sua natura, sia esso materiale o sia spirituale, attua una potenza, agisce secondo una successione di atti, che sono temporali negli agenti fisici ed istantanei o puntuali in quelli spirituali. Qualunque ente per sua natura agisce per un fine, fa qualcosa, è causa di qualche effetto o costruttivo o distruttivo.
È quindi impensabile un ente che non tenda a un fine o non fruisca di un fine. Potremmo immaginare un fuoco che non brucia o un’acqua che non bagna o una luce che non illumina o un’energia elettromagnetica inerte o inattiva? Dunque l’idea di un futuro universo inerte è solo fantasia. È vero piuttosto che la natura non solo genera, ma corrompe; non solo organizza, ma dissolve; non causa solo la pioggia ma anche la siccità; non solo vivifica, ma anche uccide e tutto ciò lo fa obbedendo a leggi, secondo un ordine che riflette una razionalità e una regolarità. E qui dov’è Dio? Da queste cose si può dimostrare l’esistenza di Dio buono e provvidente? Gli Autori non le prendono in considerazione.
Effettivamente, ci spiega la Bibbia, queste cose non state volute da Dio, ma sono conseguenza del peccato. E l’ordine che in esse si trova? Questo sì riflette la razionalità divina, ma solo in quanto essa dà forma ontologica all’atto della natura, che è sua creazione, non in quanto questo atto è conseguenza del peccato dell’uomo.
In questa questione degli atti distruttivi della natura gli Autori sembrano aver dimenticato il principio di finalità. Sembrano ignorare che la natura non può finire nell’inerzia o nella stasi, perché essa agisce sempre per un fine. E se è legge divina che la pallottola esca dalla pistola che spara, non è legge divina che la pistola uccida un innocente.
Esiste semmai la corruzione, ma essa va riferita al peccato e non a Dio. Dio, come dice la Scrittura, non vuole la morte dei viventi. Ora, dato che il libro vuol trattare semplicemente di Dio come creatore della natura, è giusto che non tratti delle calamità naturali. Ma allora avrebbero dovuto evitare anche i lugubri infondati presagi della stasi eterna.
È vero che gli Autori respingono il caos e il caso come pseudoprincìpi antiscientifici, ma si mostrano troppo legati al meccanicismo cartesiano e non abbastanza consapevoli dell’intenzionalità non dico solo delle attività della vita, ma di ogni ente stesso in quanto ente: omne agens agit propter finem et quidem propter finem ultimum. L’evoluzionismo materialista spiega l’ascesa dalla sostanza chimica alle piante all’animale all’uomo in base al principio assurdo dell’effetto superiore alla causa.
Occorre invece ammettere che l’ascesa dal non vivente al vivente nei suoi gradi fino all’uomo non può che essere stata causata di gradino in gradino da proporzionate azioni creatrici divine. Questo gli Autori non lo dicono, ma è implicito nel concetto di creazione e nel loro chiaro riconoscimento del dislivello ontologico proprio di ciascun gradino nella gerarchia degli enti, per la quale, per spiegare l’ascesa dell’ente al gradino superiore, occorre, per non cadere nell’assurdo, ammettere un intervento di Dio creatore.
Gli Autori, col riconoscere Dio come Spirito assoluto intelligente e volente, organizzatore e legislatore provvidente, il quale spiega la causalità efficiente e il sorgere dei gradi della vita al di sopra della materia chimica, fanno bene, ma non si capisce che cosa è che li trattiene dal vedere nell’agente l’intenzione del fine, giacchè la stessa causa efficiente non agirebbe, se non ci fosse il fine che l’attrae.
La cosa che sorprende è che hanno capito che Dio è la causa prima ed hanno trascurato di considerare che Dio è anche sommo bene e fine ultimo di ogni ente agente, dal bosone al fotone al neutrone all’atomo alla molecola al microrganismo alla pianta all’animale all’uomo all’angelo: ogni ente. E qui si vede purtroppo la carenza di sapere metafisico, indispensabile in questioni quali quelle che stiamo esaminando.
Gli Autori sono sulla linea di S.Bonaventura
S.Tommaso sostiene che non è scientificamente dimostrabile che il mondo abbia avuto inizio un tot di anni fa, ovvero che il tempo abbia avuto un inizio, ma questo è solo un dato della fede cristiana. Invece San Bonaventura credeva che la necessità razionale della finitezza all’indietro del tempo si potesse dimostrare e considerava un’assurdità ciò che Tommaso riteneva una possibilità, ossia l’esistenza di un passato infinito del mondo, che restava creato, ma creato da un tempo infinito.
Bonaventura sostiene la sua tesi con alcuni argomenti che egli ritiene dimostrativi. Ne cito qualcuno. È interessante come gli Autori pensano di aver confutato l’ateismo che ritiene il mondo come esistente dall’eternità avanzando la teoria del Big Bang avvenuto 14 miliardi di anni fa.
Non considerano il fatto, rilevato da San Tommaso d’Aquino che potremmo ammettere il mondo come esistente da sempre, senza per questo essere degli atei e mantenendo la teoria della creazione. Invece Bonaventura ritiene contradditorio sostenere ad un tempo la creazione e l’infinità del passato. Sembra ragionare esattamente come ragionano gli Autori. Pensando di far piacere ad essi, espongo gli argomenti di Bonaventura. Ma ad essi farò seguire le obiezioni di Tommaso, che mi sembrano decisive.
Bonaventura afferma come ogni cristiano che prima della creazione del tempo non c’era nulla. Ma immagina che necessariamente il tempo abbia avuto il suo inizio quando Dio ha creato il mondo. Non riesce ad immaginare un tempo senza inizio, un tempo infinito, che invece Tommaso ritiene possibile.
Dio, egli dice, avrebbe potuto, se avesse voluto, creare il tempo nella sua infinità: Invece ha voluto creare un tempo che ha iniziato di scorrere, insieme col mondo, un tot di anni fa, 6000 anni per Bonaventura, 14 miliardi di anni per gli scienziati di oggi. Ma la teoria è la stessa.
Bonaventura[1] sostiene che nel passato, prima di oggi è impossibile che sia trascorso un numero infinito di anni perché ogni anno che adesso arriva dovrebbe aggiungersi al numero di anni che è già passato. Il che è assurdo, perché è impossibile aggiungere delle unità a un numero infinito.
In secondo luogo Bonaventura parte dall’idea che la durata temporale deve avere un ordine che lega l’inizio, col mezzo e con la fine. Difatti è quello che constata la nostra esperienza nei fenomeni fisici e storici. Se così non fosse, per Bonaventura vi sarebbe una serie caotica e casuale, che non corrisponde ai dati della scienza. Sembra essere lo stesso argomento degli Autori.
Bonaventura non ignora la teoria aristotelica, ripresa da Tommaso di una catena o successione di cause naturali, occasionalmente o accidentalmente collegate, che retroceda all’infinito, una catena diversa da quella di cause seconde necessariamente collegate o subordinate che richieda l’esistenza del motore immobile, ossia della causa prima, successione tale, quindi, per cui non si possa retrocedere all’infinito.
Tuttavia Bonaventura respinge la serie di cause collegate accidentalmente, perché secondo lui non conviene alla provvidenza divina, che tutto dispone ordinatamente e regolarmente senza accidentalità o casualità. Anche questo mi sembra un argomento gradito agli Autori.
Altro argomento di Bonaventura è che egli vede nella successione delle cause e quindi nello svolgersi del tempo non semplicemente una concatenazione di cause e di effetti sempre sullo stesso piano, ma uno sviluppo, una storia, un’evoluzione dal meno al più o dal bene al meglio, in esecuzione di un sapientissimo piano divino.
Ora, egli osserva, l’esecuzione di un piano comporta un inizio, uno svolgimento e un termine. Quindi non ha senso immaginare una successione infinita e ripetitiva di eventi come la rivoluzione del sole e della luna. Anche questo argomento si può accostare alla critica fatta dagli Autori alla teoria materialistica dell’evoluzione, sostituita con l’evoluzione guidata da Dio creatore della natura, della vita e dello spirito.
In quarto luogo Bonaventura esclude il passato infinito dicendo che in tal caso qualunque anno della serie retrocederebbe all’infinito, sicchè la serie non potrebbe mai raggiungere l’oggi. Infatti transitare l’infinito è impossibile perché procedendo infinitamente all’indietro nessun anno della serie giungerebbe mai al presente.
Tommaso risponde riconoscendo che il transitare da un termine all’altro richiede una partenza e un arrivo, ma quale che sia l’anno dal quale partire, il numero intermedio di anni per arrivare al presente è finito[2] e quindi non occorre attraversare un infinito, anche nell’ipotesi che gli anni passati della terra siano infiniti.
Tommaso risponde a queste obiezioni di Bonaventura spiegando che la creazione comporta semplicemente il causare l’essere a prescindere dal quando. Dio crea quando vuole e se vuole. Dipende dalla sua insindacabile decisione creare prima o dopo o da sempre. L’essenziale è che ogni cosa è creata da Lui. Per questo, per Tommaso di per sé non è impossibile una catena di cause successive occasionate connesse retrocedendo nel tempo all’infinito. Qui avremmo un’infinità numerica creata.
Tommaso fa di una tale catena di cause o successione di anni un esempio molto semplice del fabbro che utilizza successivamente una serie di martelli in quanto il precedente si è rotto. Si può pensare anche al succedersi delle generazioni biologiche. Nel primo caso abbiamo un’occasione, nel secondo caso una vera causa, ma solo della generazione o del divenire, non dell’esistenza. Ora, la causa sufficientemente esplicativa dev’essere la causa dell’esistenza.
Oppure – spiega San Tommaso – si può dare una catena di cause sovraordinate e necessariamente connesse fra di loro. In tal caso non si può retrocedere all’infinito, ma occorre fermarsi alla causa prima, che è Dio, perché diversamente tutta la catena cadrebbe nel nulla. Esempio di cause sovraordinate può essere il fatto che per scrivere una lettera mi servo del computer. Il computer è certamente causa meccanica della lettera. Ma se non ci sono io ad usare il computer, la lettera non c’è.
Da notare che, pur ammettendo la possibilità di un infinito tempo passato, Tommaso tiene però a precisare l’impossibilità dell’esistenza di un numero infinito in atto di enti fisici o di anime umane[3] o in generale di creature[4] . Dice Tommaso:
«È impossibile che esista una molteplicità infinita di creature, perché è necessario che ogni moltitudine si trovi in una qualche specie. Ora le specie sono come le specie dei numeri. Ma nessuna specie di numero è infinita, perché qualunque numero è una molteplicità misurata secondo l’unità. Per cui è impossibile che esista una moltitudine infinita in atto sia per sé, sia accidentalmente. Parimenti la molteplicità di enti esistenti in natura è creata ed ogni creato è racchiuso nei limiti dell’intenzione del creatore. Per questo è necessario che tutte le creature si raccolgano sotto un certo numero; infatti l’agente non agisce invano. Per cui è necessario che tutte le creature siano comprese sotto un certo numero. È dunque impossibile che esista una moltitudine infinita in atto, anche accidentalmente. Ma che esista una moltitudine infinita in potenza è possibile, perché l’aumento della moltitudine consegue alla divisione della grandezza: quanto più infatti qualcosa viene diviso, tanto maggior numero di cose da esso risulta. Così l’infinito in potenza si trova nella divisione del continuo, perché si procede verso la materia; per la stessa ragione l’infinito si trova in potenza per addizione della moltitudine.
… E similmente l’infinito nella moltitudine non si riduce all’atto così da essere tutto simultaneamente, ma successivamente, perché dopo qualunque moltitudine, si può assumere un’altra moltitudine all’infinito»[5].
Dunque per Tommaso, anche nell’ipotesi che Dio crei da sempre, il numero delle creature sarebbe finito. Il che non vuol dire che da infinito tempo esse non siano sempre aumentate di numero, ma che in ogni momento del tempo esse siano un numero determinato.
Per quanto riguarda l’inizio dell’universo, occorre distinguere un inizio dell’essere, ossia un inizio ontologico da un inizio del tempo. Inizio dell’essere vuol dire passaggio dal non-essere all’essere, ossia dal possibile all’esistente, dall’ideale al reale, dal pensabile al pensato. Inizio del tempo vuol dire che il tempo ha iniziato ad esistere a partire da un certo momento del passato, cosicchè ci si potrebbe chiedere quando il tempo è stato creato ad ha cominciato a scorrere.
Ora San Tommaso contro San Bonaventura dimostra che non è detto che l’iniziare ad essere, ossia l’esser creato coincida necessariamente con un inizio della temporalità o della durata temporale della creatura, perchè il tempo sarebbe comunque creato, anche se andando indietro nel passato si andasse all’infinito, anche se ci fosse una catena causale di cause seconde connesse tra di loro solo in modo accidentale od occasionale.
Aristotele aveva infatti già dimostrato che solo per la catena di cause occasionalmente connesse si può andare all’infinito, mentre ciò non è possibile in una catena di cause sovraordinate o necessariamente connesse, ma bisogna fermarsi ad un motore immobile o una causa prima, che è Dio. Gli Autori ci dicono che oggi possiamo dimostrare che Dio esiste partendo dalla considerazione che il mondo appare ai nostri calcoli 14 miliardi di anni fa ed applicando il principio di causalità.
Tuttavia Tommaso fa notare a San Bonaventura che il tempo resterebbe sempre creatura non solo in quanto avesse inizio e fine, ma anche quand’anche non avesse né inizio né fine[6]. Certo, potrebbe assumere l’apparenza dell’eternità e quindi della divinità. Ma ciò è scongiurato dal fatto che mentre il tempo è soggettato nel moto e nel divenire, l’eterno è tutto attuato in un istante che non passa perché è puro atto d’essere. Dunque nessun pericolo di confondere il mondo con Dio. L’eternità divina non è un’eternità temporale, una durata temporale infinita, ma è puro atto d’essere senza potenza al di sopra del tempo e quindi del tutto sciolta (ab-soluta) e libera dalla temporalità.
È interessante come gli Autori del libro sposino sostanzialmente la posizione di Bonaventura. Ad ogni modo, la cosa essenziale ed importante da ritenere in relazione al fine stesso dell’esistenza e della vita umane - poiché questo è il valore qui in gioco – è che sia Bonaventura che Tommaso concordano nel ritenere Dio creatore del mondo e quindi del tempo dal nulla e non c’è che da compiacersi che gli Autori del libro concordino con loro.
La tesi secondo la quale il mondo ha avuto un inizio un certo tempo fà non è decisiva per la dimostrazione dell’esistenza di Dio, per cui, per confutare la tesi materialista non è necessario dimostrare quell’inizio, quasi che, se il mondo esistesse da sempre si aprisse la porta all’ateismo. Si può infatti dimostrare che Dio esiste, anche se il mondo dovesse esistere da sempre, purchè questo «da sempre» non lo si intenda come se il mondo materiale fosse sufficiente a se stesso nell’essere. In tal caso il mondo dovrebbe essere Dio e non ci sarebbe più bisogno di un Dio spirituale trascendente il mondo e distinto dal mondo.
L’importante è non considerare questo «da sempre» assimilandolo all’eternità divina, come se questa comportasse un prima e in poi, che invece è proprio del tempo, mentre l’eternità è sì una durata, ma una durata che non passa, come presente tutta intera in modo puntuale e sovratemporale, tutta nell’istante, senz’alcun divenire o passare o fluire o scorrere, caratteristiche legate al tempo.
Bisogna dunque distinguere una possibile durata temporale infinita, di fatto non esistente perché Dio non l’ha voluta, dalla durata sovratemporale ed istantanea senza prima e senza poi dell’eternità di Dio, ed anche dal concetto cristiano della «vita eterna», che è partecipazione analogica soprannaturale della vita divina, concessa dalla grazia.
Il fatto che oggi i fisici siano orientati a sostenere che il mondo abbia cominciato ad esistere 14 miliardi di anni fà, fa indubbiamente piacere a noi cristiani, e può essere sufficiente per dimostrare che esiste Dio. Tuttavia, per una rigorosa e più radicale dimostrazione dell’esistenza di Dio non è necessario considerare quando il mondo è stato creato, perché lo si potrebbe considerare creato anche se Dio lo avesse creato da un tempo infinito o ab aeterno.
È vero che il materialismo sostiene che l’universo esiste da sempre e durerà per sempre. Ma per confutare il materialismo e l’ateismo che ne conseguono non è sufficiente dimostrare che il mondo iniziò ad esistere un certo numero di anni fa, ma bisogna dimostrare che l’essere dell’universo non è fondato su sé stesso, ma è causato. Basta dimostrare questo.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 4 novembre 2024
Gli Autori, col riconoscere Dio come Spirito assoluto intelligente e volente, organizzatore e legislatore provvidente, il quale spiega la causalità efficiente e il sorgere dei gradi della vita al di sopra della materia chimica, fanno bene, ma non si capisce che cosa è che li trattiene dal vedere nell’agente l’intenzione del fine, giacchè la stessa causa efficiente non agirebbe, se non ci fosse il fine che l’attrae.
La cosa che sorprende è che hanno capito che Dio è la causa prima ed hanno trascurato di considerare che Dio è anche sommo bene e fine ultimo di ogni ente agente, dal bosone al fotone al neutrone all’atomo alla molecola al microrganismo alla pianta all’animale all’uomo all’angelo: ogni ente. E qui si vede purtroppo la carenza di sapere metafisico, indispensabile in questioni quali quelle che stiamo esaminando.
Per San Tommaso, anche nell’ipotesi che Dio crei da sempre, il numero delle creature sarebbe finito. Il che non vuol dire che da infinito tempo esse non siano sempre aumentate di numero, ma che in ogni momento del tempo esse siano un numero determinato.
È vero che il materialismo sostiene che l’universo esiste da sempre e durerà per sempre. Ma per confutare il materialismo e l’ateismo che ne conseguono non è sufficiente dimostrare che il mondo iniziò ad esistere un certo numero di anni fa, ma bisogna dimostrare che l’essere dell’universo non è fondato su sé stesso, ma è causato. Basta dimostrare questo.
[1] Le informazioni che do qui su Bonaventura le ho ricavate da Gilson, La philosophie de Saint Bonaventure, Vrin, Paris 1953, pp.154-159.
[2] Summa Theologiae, I, q.46, a.2,ad 6m.
[3] Sum. Theol.,I, q.46, a.2, ad 8m.
[4] Sum. Theol.,I, q.7,a.4.
[5] Ibid.
[6] Vedi l’opuscolo De aeternitate mundi, pubblicato tra Marietti, Torino-Roma1954.
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