27 febbraio, 2025

Il pensiero dei deboli è il pensiero forte

 

Il pensiero dei deboli è il pensiero forte

Hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti

e le hai rivelate ai piccoli

Mt 11,25

Ho provato una viva gioia nel trovare nell’Avvenire di ieri, 26 febbraio 2025, un ottimo articolo di Francesco Totaro “La metafisica non ha pretese sulla verità”, in riparazione all’articolo di Pierfrancesco Tagi dell’11 febbraio in lode alla filosofia di Vattimo contro la «metafisica cattolica e tomista» accusata di fomentare la violenza e i regimi autoritari, quando, se c’è un pensiero che all’ombra di Nietzsche e di Heidegger è fattore di violenza è proprio quello di Vattimo, che, simile ad un lupo travestito da agnello, vorrebbe proporre una carità nel disprezzo della verità.

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Da "Avvenire" del 26 febbraio 2025, pagina 19

24 febbraio, 2025

Il Papa può sbagliare sul piano della dottrina? Osservazioni su di un libro del Padre Lanzetta

 

Il Papa può sbagliare sul piano della dottrina?

Osservazioni su di un libro del Padre Lanzetta

Un teologo pio e dotto, ma bloccato nel passato

Ho un carissimo ricordo del Padre Giuseppe Lanzetta. Lo conobbi quando faceva parte dei Francescani dell’Immacolata. Lo ricordo come organizzatore di tre importanti convegni teologici internazionali negli anni 2007-2009, ai quali egli ebbe la bontà di invitarmi e nei quali vennero formulate ottime critiche alla teologia di Rahner.

Frequentando in quegli anni i Francescani dell’Immacolata, ebbi modo di fare amicizie con teologi di quell’Istituto, come il Padre Siano e il Padre Apollonio e conobbi lo stesso Fondatore, il Padre Manelli, figlio spirituale di San Pio da Pietrelcina, Religioso che mi fece un’ottima impressione. Le cattive notizie diffuse successivamente sul suo conto mi hanno lasciato incredulo e le ho considerate calunnie di modernisti. Notai che tuttavia l’Istituto era troppo legato alla Messa vetus ordo e forse troppo austero.

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Il Papa ha il compito di custodire, interpretare, spiegare, trasmettere e difendere i contenuti della Tradizione a tutti gli uomini, in ciò infallibilmente assistito dallo Spirito Santo, affinchè credano in Cristo salvatore. I fedeli imparano dal Papa i contenuti della Tradizione, ma essi a loro volta li conoscono già dal Papa precedente. Succede così che fra Papa e fedeli esiste un duplice rapporto relativamente alla funzione della Tradizione. I suoi contenuti sono ad un tempo oggetto della fede del Papa e della Chiesa.

 
Immagine da Internet: Padre Serafino Lanzetta

22 febbraio, 2025

Discese agli inferi - La differenza fra gli inferi e l’inferno

 

Discese agli inferi

La differenza fra gli inferi e l’inferno

 Il destino ultraterreno dell’uomo

nel passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento

Ci sono dei teologi che confondono gli inferi con l’inferno. Ma ciò può comportare la conseguenza, come sembra nella teologia di Von Balthasar, che siccome Cristo discendendo agli inferi ha liberato i giusti ivi prigionieri, si affermi che Cristo ha condiviso il peccato dell’uomo peccatore, è sceso all’inferno ed ha salvato tutti dall’eterna dannazione.

Ora il dogma dell’inferno è il frutto di una presa di coscienza operata dalla Chiesa nell’ascolto delle parole di Cristo nel Nuovo Testamento. L’Antico Testamento non conosce ancora la realtà dell’inferno, perché esso è stato istituito da Cristo, come appare evidente per esempio dal suo annuncio del giudizio universale in Mt 25,42.

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L’Antico Testamento conosce gli inferi ma non l’inferno, il quale non è assolutamente, come taluni esegeti credono, una comprensione più chiara di cosa erano gli inferi, ma è tutt’altra cosa dagli inferi, i quali sono soltanto quella che era la condizione dei defunti prima dell’opera redentrice di Cristo.

Mentre cioè gli inferi ospitavano i giusti e ingiusti assieme soggetti ad una medesima pena, Cristo con la sua opera salvifica dette inizio al paradiso riservato ai soli giusti e caratterizzato dalla visione beatifica di Dio, e l’inferno come carcere degli empi che hanno rifiutato di assoggettarsi a Dio.


Gli inferi non esistono più mentre esiste l’inferno. 

Tutti i giusti che stavano negli inferi da Adamo a Cristo, non solo tra gli Ebrei, ma tra tutti i popoli della terra, furono liberati da Cristo alla sua discesa agli inferi ed ora godono della visione beatifica in cielo in eterno insieme con tutti i giusti che via via si succederanno fino alla fine del mondo, sia che vadano in paradiso immediatamente, sia che passino attraverso il purgatorio 

Immagini da Internet:
- Resurrezione e discesa agli Inferi, Maestro Fiammingo, fine '500
- La discesa agli Inferi di Enea, Pittore del XVIII secolo 

21 febbraio, 2025

La voce del Tabernacolo - Pensieri sul Venerabile Pio Giocondo Lorgna

 

La voce del Tabernacolo

Pensieri sul Venerabile Pio Giocondo Lorgna

Uno scritto di Padre Negrelli

sul carisma di Padre Lorgna

Una grazia concessa a noi cattolici sconosciuta agli altri fratelli cristiani è la possibilità che ci è data sulla base della conoscenza della verità completa del mistero dell’Eucaristia di sostare anche a lungo davanti al tabernacolo in atteggiamento di adorazione e di fiducioso colloquio col Signore presente nel tabernacolo.

Il nostro bisogno di avere davanti a noi l’interlocutore è ampiamente soddisfatto, perchè sappiamo di trovarci davanti a Dio mediante il rapporto spaziale col sacramento dell’eucaristia. Dunque volgendoci al tabernacolo ci volgiamo fisicamente verso Cristo ed Egli è fisicamente davanti a noi nel tabernacolo. 

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Immagine da Internet

20 febbraio, 2025

Le calunnie di Vattimo - Tra Nietzsche e San Tommaso

 

Le calunnie di Vattimo

Tra Nietzsche e San Tommaso

 L’abilità nel cambiar le carte in tavola

 È incredibile fino a qual punto di sfrontatezza possa giungere uno che vuol dare un’apparenza di legittimità ad una condotta morale contraria alle leggi divine. Il sedicente cattolico quotidiano Avvenire dell’11 febbraio scorso pubblica un encomio di Vattimo dal titolo «La carità di Vattimo e i suoi nemici laici»[1]. In tale articolo Vattimo è presentato come maestro di carità evangelica in opposizione all’etica autoritaria e dispotica basata sulla metafisica di Aristotele e di San Tommaso. L’articolista ha la spudoratezza di scrivere quanto segue:

 

«Non stupisce che Vattimo abbia progressivamente accentuato la sua provenienza dal cristianesimo sociale e riscoperto l’ispirazione cristiana, ad esempio, della filosofia di Heidegger. Il cristianesimo che Vattimo riscopre non è la metafisica cattolica e tomista, che aveva costituito il solido fondamento dell’alleanza da antico regime tra Chiesa cattolica e potere politico, ma un ‘cristianesimo minore’, per così dire, evangelico, che si ispirava più alla testimonianza storica del fondatore e dei suoi primi ‘poveri’ seguaci, che ai trionfi speculativi della metafisica aristotelica e platonica».

Questo discorso dietro all’apparenza di voler magnificare il valore della semplicità e povertà evangelica della primitiva comunità cristiana, trasuda ipocrisia e falsità parola per parola e richiederebbe un dettagliato commento.

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La filosofia di Vattimo finge di promuovere la misericordia, ma con la sua cortezza di vedute e col suo rifiuto di guardare in alto e di fondarsi sulla roccia, di basarsi sul solido, sull’assoluto e sull’eterno, crea delle mezze figure, dei personaggi smidollati, pronti a fare tutte le parti, simili a canne sbattute dal vento, costruttori che costruiscono sulla sabbia, altro che misericordiosi! Per essere misericordiosi occorre avere salde convinzioni, senza farsi spaventare dai potenti. Nella visione di Vattimo i deboli sono in piena balia dei prepotenti, esattamente come la pensava il maestro di Vattimo Nietzsche, che dice queste cose con totale chiarezza. 

Vattimo cita a sproposito l’ama et fac quod vis di Sant’Agostino, il quale non intendeva affatto con ciò avallare il volontarismo scettico e individualista di Vattimo, ma si riferisce al primato della carità in coloro che applicando diligentemente la legge divina, raggiungono la libertà dei figli di Dio.

Immagine da Internet

19 febbraio, 2025

Il prossimo incontro fra Trump e Putin

 

Il prossimo incontro fra Trump e Putin

Occorre regolare la convivenza tra Occidente ed Oriente

La decisione di Trump e Putin di incontrarsi per trattare della pace in Ucraina e della fine della guerra provoca nel mondo un sospiro di sollievo e un moto di speranza e mette chiaramente in luce, se mai ce ne fosse stato bisogno che alla radice del conflitto Ucraina-Russia si trova il conflitto fra Stati Uniti e Russia.

Trump e Putin si sono resi conto che la guerra in Ucraina è soltanto l’espressione locale del conflitto tra loro due. La stessa cosa è il conflitto israelo-palestinese: si tratta di un’espressione locale del conflitto fra Occidente ed Oriente. Dunque per avere la pace nel mondo bisogna che Occidente ed Oriente si accordino su ciò che è ad essi comune e che può costituire la regola di una serena e pacifica convivenza.  Bisogna che Trump e Putin assieme si accordino su ciò. 

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Le profonde differenze fra Occidente ed Oriente di carattere millenario, ben note agli studiosi delle religioni e delle civiltà, sono sempre state occasioni di incomprensione e di conflitti, non ultimi le due stesse guerre mondiali del secolo scorso. 

Infatti, la spiritualità occidentale e quella orientale rappresentano due modi diversi del nostro spirito di porci davanti a noi stessi e a Dio. 

Rappresentano due modi di unire l’intelletto con la volontà nel nostro metterci davanti a Dio: o l’uso della volontà per dar forza all’intelletto in Oriente o l’uso dell’intelletto per dar forza alla volontà in Occidente. Per l’Occidente la cosa importante è la messa in pratica della verità; per l’Oriente è il gusto e la contemplazione della verità. L’occidentale vede Dio nelle cose; l’orientale vede le cose in Dio. L’occidentale vede Dio al di sopra dell’io; l’orientale vede Dio nell’io.

Immagine da Internet

18 febbraio, 2025

Le dichiarazioni del Dicastero per la dottrina della fede sono infallibili?

 

Le dichiarazioni del Dicastero per la dottrina della fede

sono infallibili?

 Il Papa insegna o da sé o per mezzo di collaboratori

Noi sappiamo che il Papa nell’esercizio del suo ministero dottrinale si è sempre valso dell’aiuto di stretti e fidati collaboratori di provata fede e solida dottrina, essendo consapevole della gravità di questa sua responsabilità, dei limiti delle sue forze umane e di quanto impegna questo servizio, che dev’ essere di utilità per tutta la Chiesa sparsa nel mondo.

Certo, Cristo ha assicurato a Pietro e ai suoi Successori di assisterli nella predicazione del Vangelo così da non sbagliare mai nell’interpretare, spiegare, conservare, custodire, difendere e diffondere la Parola di Dio.

Al fine di svolgere sufficientemente il suo ufficio magisteriale il Papa non potrebbe accontentarsi dell’infallibilità che Cristo gli ha promesso? Che senso ha farsi aiutare in un compito per svolgere il quale Cristo gli ha promesso di non fargli mancare un’infallibile assistenza? 

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È chiaro che il DDF non ha un’autorità dottrinale per conto proprio, ma partecipa dell’autorità del Papa, per cui quando emana un documento di carattere dottrinale ossia che tratta materia di fede o prossima alla fede, quale che sia il grado di autorità pontificia che coinvolge, il DDF partecipa della stessa infallibilità dottrinale di Papa Francesco.

Il Concilio Vaticano II ha riformato il collegio degli aiutanti dottrinali del Papa confermando l’ufficio addetto alla segnalazione degli errori nella fede, ma assegnando alla Congregazione per la dottrina della fede anche una finalità propositiva, che era fino ad allora rimasta assente, cosicchè il nuovo ufficio ha assunto anche la funzione di evidenziare nel soggetto in esame o nella sua dottrina anche quegli aspetti positivi che è bene potenziare. In tal modo la CDF da San Paolo VI fino al Papa attuale ha svolto un lavoro molto importante a fianco del magistero pontificio sia nella correzione degli errori che nella promozione dei valori.

17 febbraio, 2025

Teilhard de Chardin - I pregi e i pericoli - Parte Seconda (2/2)

 

Teilhard de Chardin

I pregi e i pericoli

Parte Seconda (2/2)

 Corpi e spiriti

Teilhard, ponendosi in contrasto col dogma del Concilio Lateranense IV del 1215, con la sua distinzione fra i corpi e gli spiriti, (visibilia e invisibilia) come due sostanze o realtà o cose distinte, comportasse un’inaccettabile separazione fra materia e spirito e una svalutazione della materia, comportando l’affermazione dell’esistenza di un puro spirito, mentre per Teilhard lo spirito, fosse Dio stesso, non può esistere senza la materia. Inoltre Teilhard si rifiuta di attribuire al corpo e allo spirito caratteri opposti, ma pretende che lo spirito abbia in sé qualcosa di materiale e la materia sia in qualche misura spirituale.

Tutto il sistema teilhardiano ruota attorno a due nozioni metafisiche fondamentali: la materia e lo spirito. Egli affronta la questione della realtà sulla base di due princìpi: quello dell’unità, riconducibile al monismo parmenideo e quello del divenire o dell’evoluzione, riconducibile ad Eraclito. L’unità è perseguita come superamento della molteplicità, che per Teilhard, è un freno allo spirito proveniente dalla materia. L’evoluzione, teoria che Teilhard ricava dalla paleoantropologia, la estende a tutta la realtà.

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Per Teilhard il peccato non appare come una disobbedienza alla volontà di Dio, un’infrazione al comando divino, un’offesa a Lui fatta, punita con la morte, offesa che viene riparata con l’offerta espiatrice che Cristo fa di Sé stesso al Padre al nostro posto. La morte non sembra in lui una contraddizione alla vita e all’evoluzione, ma un fattore di vita e uno stimolo all’evoluzione. Egli parla sì della morte di Cristo, ma sembra che per lui la morte sia via alla vita in quanto morte e non in quanto morte di Cristo. La stessa cosa si trova nella cristologia di Rahner.

Infatti per Teilhard l’uomo peccando resta sempre, benché suo malgrado, nel dinamismo produttivo ed ascendente dell’evoluzione finalizzato a Dio, affinchè Dio sia tutto in tutti. Quindi Cristo in Teilhard non svolge un’opera redentiva, ma solo perfettiva dell’intera creazione.

Così il peccato non è una colpa che necessiti di essere cancellata dal sacrificio di Cristo, per cui non occorre neppure che sia perdonata, perché essa si estingue nel momento in cui si pone, essendo, il peccato, un’azione fallita che si distrugge da sé e fallisce nel suo stesso intento. Questa idea si trova anche in Rahner.

De Lubac qualifica Teilhard come «mistico». Un autentico conoscitore della mistica come Maritain si guarda bene dal qualificare in tal modo Teilhard. Certo è un entusiasta, è un poeta, un creatore di miti, è geniale. Ha capito molto bene la cristologia paolina della ricapitolazione e di Cristo re dell’universo.

Immagine da Internet:
- Homo erectus
- Cristo Pantocratore, Sophia, Istanbul, Turchia

16 febbraio, 2025

Teilhard de Chardin - I pregi e i pericoli - Parte Prima (1/2)

 

Teilhard de Chardin

I pregi e i pericoli

Parte Prima (1/2)

Chi è stato Teilhard de Chardin?

La ben nota figura di Teilhard de Chardin nella sua grande complessità e ricchezza di aspetti ed elementi, desta certamente ammirazione, ma al contempo per certe sue posizioni, segnalate dalla Chiesa, non può non suscitare in noi una certa preoccupazione. Lo si vorrebbe per i suoi meriti chiamare un maestro spirituale, un riformatore, un uomo di Dio; c’è chi lo considera addirittura un mistico. Egli esprime aneliti appassionati per la vita cristiana e l’unione con Dio o con Cristo, concepisce geniali visioni, ha momenti ispirati di straordinario fervore e di sincera pietà, prega con parole commoventi, formula ottimi propositi.

Ma se poi guardiamo al contesto, ci accorgiamo che lo slancio verso Dio sta assieme con un’apologetica a favore della materia, del mondo e della corporeità che finisce per oscurare quella trascendenza divina che egli pure vuol affermare con fermezza. Si ha la sensazione di un servizio a due padroni: Dio e il mondo. Del mondo appare solo la sua bontà, ma non l’opposizione a Dio. E anche il primato di Dio appare compromesso, giacchè non appare l’opposizione al mondo in nome dell’amicizia con Dio.

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Come è noto, Teilhard de Chardin gode tuttora nella Chiesa di una grande fama e il Papa stesso di recente ne ha fatto l’elogio citando le parole di una sua preghiera, lamentando il fatto che egli sia stato frainteso. Tuttavia nel 1962 il Sant’Uffizio pubblicò un Monitum nel quale si dichiara che le opere di Teilhard «pullulano di tali ambiguità, ed anche anzi di gravi errori, che offendono la dottrina cattolica».

Come mettere d’accordo questi due pronunciamenti? Il Sant’Uffizio si è sbagliato? La cosa non è pensabile perché esso si è pronunciato in materia di fede a nome di San Giovanni XXIII. D’altra parte non è troppo difficile constatare l’aspetto positivo dell’opera di Teilhard.

Che cosa infatti ha voluto fare Teilhard de Chardin? Egli è stato mosso da due intenti: primo, elaborare una metafisica che pur ammettendo il primato dello spirito sulla materia, riconoscesse alla materia la sua dignità e desse sapore allo spirito, evitando di presentare materia e spirito come nemici. In secondo luogo, e su questa base, suo intento fu quello di elaborare una concezione cristiana della realtà unitaria e globale, includente ciò che sappiamo dalla scienza e ciò che sappiamo dalla fede, una visione che fa capo al «disegno del Padre di ricapitolare (anakefalàiosthai) tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1.10.

L’idea originale e diciamo pure geniale di Teilhard è stata quella di utilizzare l’attuale visione evolutiva del mondo fornitaci dalla scienza per spiegare meglio che cosa sono questa «pienezza» e questo «compimento» e questa «ricapitolazione» operati da Cristo, capo del Corpo mistico e re dell’universo, un Cristo che appare come Mistero non già compiuto, ma in via di compimento o di attuazione, molla e vertice dell’evoluzione del mondo.

Immagine da Internet: Teilhard De Chardin

15 febbraio, 2025

San Paolo VI e Rahner - Un duello a distanza per la guida della Chiesa - Terza Parte (3/3)

 

San Paolo VI e Rahner

Un duello a distanza per la guida della Chiesa

Terza Parte (3/3)

 Le nuove dottrine del Concilio sono da accogliere,

ma la sua pastorale può essere discussa.

Benedetto XVI ha avuto il merito di chiarire che il Concilio, anche se non ha definito nuovi dogmi, non è stato solo pastorale, ma anche dottrinale,  facendo presente ai lefevriani l’obbligo di assumere le nuove dottrine e non considerarle moderniste o rahneriane. Tuttavia riconobbe che la parte pastorale può essere discussa, senza precisare in che senso.

Ma dall’esame complessivo del pontificato di Benedetto si ricava la motivata convinzione che egli, nel campo della liturgia come in quello della morale e della teologia, abbia voluto inserire la novità e l’innegabile progresso attuato dal Concolio Vaticano II nel quadro della sostanziale continuità e quindi immutabilità del dogma cattolico, secondo un orientamento agostiniano e patristico piuttosto che tomista. 

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È evidente in Benedetto la volontà di un recupero della teologia sistematica e quindi della metafisica, sempre basata sulla moderna esegesi storico-critica a rimedio del modernismo del postconcilio e, benché egli indubbiamente avesse strettamente collaborato con Rahner nei lavori del Concilio, appena si accorse della svolta filohegeliana di Rahner mascherata da tomismo, prese nettamente le distanze da Rahner accusandolo di idealismo panteista.


Se c’è stato un teologo al Concilio che sia stato progressista, collaboratore di Rahner, questi è proprio Ratzinger. Tanto più credibile ed autorevole è stato quindi il richiamo che egli ci ha fatto da Papa alla continuità e alla tradizione, senza per questo sottovalutare le conquiste innovatrici del Concilio. Nel contempo è interessantissimo il suo rifiuto della visione rahneriana del progresso, per niente conforme alla concezione cattolica e tomista ed invece influenzata da quella hegeliana, basata sulla rottura e la contraddizione.

 Valendomi del permesso che ci ha dato Benedetto XVI di mettere in discussione certi aspetti della pastorale conciliare, offro adesso ai lettori alcune proposte che ritengo atte a correggere la tendenza buonista e permissivista, chiari riflessi del liberismo e relativismo morale di Rahner, precisando naturalmente che non si tratta affatto di ritornare alla situazione precedente al Concilio, come alcuni passatisti vorrebbero, perché infatti le conquiste fatte dal Concilio vanno assolutamente mantenute ed anzi migliorate e rafforzate, ma si tratta di recuperare  alcuni valori cristiani che nel fervore dell’azione innovatrice i  Padri del Concilio hanno tralasciato. Ne faccio un elenco.

Immagini da Internet: San Paolo VI e Papa Benedetto XVI

14 febbraio, 2025

San Paolo VI e Rahner - Un duello a distanza per la guida della Chiesa - Seconda Parte (2/3)

 

San Paolo VI e Rahner

Un duello a distanza per la guida della Chiesa

Seconda Parte (2/3)

 Meriti e difetti di Rahner

Indubbiamente interpretare il pensiero di Rahner non è sempre cosa facile. È molto comprensibile quindi l’esistenza di opposte interpretazioni. Spesso il suo periodare è complesso, pieno di frasi dipendenti, le quali, se da una parte precisano il pensiero dell’autore, capita però dall’altra che lo rendano sfuggente.

 È chiaro che l’interpretazione benevola, richiesta dalla giustizia e dalla carità, è doverosa, per quanto possibile, per Rahner come per qualunque altro autore. Tuttavia in certi casi, nonostante tutta la buona volontà, è impossibile non notare l’errore.  Questo però si fa contestualizzando e collegando il testo con altri testi, perché, isolatamente preso, il discorso può apparire ortodosso. 

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La cosa che colpisce per chi conosce come me i documenti del Concilio dal 1966 ed ha iniziato a studiare Rahner dal 1980, giudicando sulla base della conoscenza del pensiero di San Tommaso che ho iniziato a studiare nel 1960, è che, mentre è noto quanta parte abbia avuto Rahner nella formazione dei documenti conciliari, viceversa gli errori di Rahner sono totalmente assenti dalle dottrine del Concilio – cosa del resto comprensibile data l’infallibilità delle dottrine conciliari - mentre sono rintracciabili negli scritti di Rahner, soprattutto quelli del postconcilio, come è stato dimostrato da vari autori, compreso il sottoscritto.

Come si spiega questo fatto impressionante e inaudito in tutta la storia della teologia, che un grande teologo che ha contribuito alla formazione di un grande Concilio sia al contempo un eretico? Sono i misteri dell’animo umano. Non dobbiamo chiederci come sia possibile. Contra factum non valet argumentum.

Nostro dovere è molto semplice: assumere da Rahner il positivo e respingere il negativo, cosa che del resto si deve fare nei confronti di qualunque autore, giacchè anche in San Tommaso o in Sant’Agostino ci sono degli errori ed anche in Nietzsche o nei discorsi di Hitler ci sono delle verità.

Immagine da Interne:  https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/index_it.htm

13 febbraio, 2025

San Paolo VI e Rahner - Un duello a distanza per la guida della Chiesa - Prima Parte (1/3)

 

San Paolo VI e Rahner

Un duello a distanza per la guida della Chiesa

Prima Parte (1/3)

Ammonisci, rimprovera, esorta

con ogni magnanimità e dottrina

II Tm 4,2

Perché San Giovanni XXIII ha voluto il Concilio

Per capire la situazione della Chiesa di oggi nei suoi problemi e nei suoi valori, nelle sue sofferenze e nei suoi successi, per liberarla dai suoi mali e offrirle prospettive luminose, ci è di grande utilità riandare a quel periodo dei primi anni del postconcilio che sono stati decisivi per la determinazione degli anni presenti.

Al riguardo, ritengo che per comprendere il significato di quegli anni, sia necessario chiarire, per quanto possibile, il rapporto fra un Santo Pontefice e un grande teologo, uomo astuto, geniale e potentissimo quale fu Karl Rahner, dalla produzione teologica quantitativamente prodigiosa, tanto che difficilmente si comprende – a parte le sue capacità e metodo di lavoro straordinari -  come possa aver prodotto tanto in uno spazio di anni non certo breve, ma neppure particolarmente lungo, senza fortissime facilitazioni e senza fortissimi aiuti, che non sono del tutto chiari. E per far questo conviene iniziare facendo un passo indietro nel tempo col ricordare quali furono gli intenti di un altro santo Pontefice, Giovanni XXIII nell’indire il Concilio e quale l’atteggiamento del Santo Pontefice nei confronti di Rahner.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/san-paolo-vi-e-rahner-un-duello.html



Il grande errore dell’età moderna denunciato da Concilio è stato l’ateismo materialista. Tuttavia il Concilio non ha pensato di denunciare l’altra pericolosissima insidia, esattamente corrispettiva a quella dell’ateismo, che è l’idealismo panteista. Ha tenuto presente Marx, ma non ha considerato Hegel. Per cui non ci ha mostrato che ateismo e panteismo si corrispondono esattamente, sono le due facce della stessa medaglia.

Ora l’insidia fondamentale del rahnerismo sta proprio qui, che Rahner, volendo dare ad intendere di aver capito lui, al di là dei tomisti, qual è il vero concetto tomista dell’essere, falsifica il suo pensiero presentando Tommaso come fosse un hegeliano, quando, se c’è un campione del realismo, questo è proprio Tommaso. Il colpo di mano di Rahner è dunque formidabile e di una sfrontatezza incredibile.

 

In realtà il disprezzo o rifiuto della teologia scolastica è un atteggiamento che risale al Rinascimento e a Lutero, per esprimere l’ostilità o il rifiuto della teologia tomista in nome di una teologia basata solo sulla terminologia biblica, soprattutto ebraica, senza tener conto del fatto che se il vocabolario ebraico è più povero di quello greco, i termini ebraici sono carichi di molte virtualità semantiche, che alla fine dicono anche di più di quello che dice il greco o il latino. Per esempio, barà in ebraico significa fare e creare, mentre la lingua greca che pure ha ktizein e poiein, non ha un termine specifico per significare creare. Così pure dabar, parola, è in greco rema, ma è anche concetto, nòesis, ragione, logos, opera, pragma, praxis.

Con tutto ciò i Padri conciliari del nord Europa fecero bene a spingere i Padri conservatori a realizzare i voti di San Giovanni XXIII e di San Paolo VI che si usasse un linguaggio non scolastico o didascalico, come da lezione di scuola e neppure giuridico da legge positiva, ma biblico, patristico, omiletico o, come si diceva kerigmatico o pastorale.

Immagini da Internet:
- L’incipit del libro della Genesi, e con esso della Bibbia
- Parashat Bereshit. La creazione è un fondamento della fede ebraica

12 febbraio, 2025

Il Beato Giuseppe Girotti testimone di Cristo davanti ad Hitler - Seconda Parte (2/2)

 

Il Beato Giuseppe Girotti

testimone di Cristo davanti ad Hitler

Seconda Parte (2/2)

Hitler dietro suggerimento di un certo Lanz Von Lebenfels, ex-monaco apostata, fu indotto a rovesciare il rapporto biblico: il popolo eletto era la razza tedesca; il vero Dio non era il puro Essere della Bibbia, ma era il Dio essere-non-essere, il Dio manicheo, quello di Hegel, che – guarda caso – riprendeva quello della Kabbala; il popolo malvagio erano gli Ebrei, il cui Dio era il Dio del male. Il vero Messia non era Cristo, ma era lui.

Il vero Dio per Hitler è la ruota della vita, antichissimo simbolo indiano, una successione infinita di vita-morte-vita, presente anche nella massoneria esoterica, senza che mai la vita prevalga definitivamente sulla morte, perché Dio non è pura vita, ma vita e morte entrano nella sua stessa essenza di Dio. La vita procura la morte e la morte procura la vita. Il Dio di Hegel non è altra cosa. Si identifica con la Storia, che è mescolanza inestricabile di essere e non essere, vero e falso, bene e male, vita e morte. 

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 Immagine da Internet:-  Dachau (1933-1945)

11 febbraio, 2025

Il Beato Giuseppe Girotti testimone di Cristo davanti ad Hitler

 

Il Beato Giuseppe Girotti

testimone di Cristo davanti ad Hitler

Prima Parte (21/2)

 Davide contro Golia

Il mio Confratello ed amico Padre Massimo Negrelli, incaricato per le Cause dei Santi della mia provincia domenicana, pubblicò nel 2014 presso le Edizioni ESD  di Bologna una biografia del Beato Giuseppe Girotti, domenicano ucciso nel campo di concentramento di  Dachau  dai nazisti in odio alla fede cristiana, da lui testimoniata con la carità verso gli Ebrei perseguitati dal nazismo.

Di recente Padre Massimo mi ha inviato come suo contributo al presente Anno Santo, una Presentazione del suo libro con richiesta di pubblicazione, cosa che faccio ben volentieri. Essa contiene un breve profilo biografico del Martire domenicano, che fu anche illustre biblista. 

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Padre Giuseppe usava tutte le precauzioni per evitare di essere scoperto. Ma purtroppo, come Cristo, fu tradito da una persona da lui ben conosciuta. La radice della sua grande carità non si esaurisce nel buon cuore o nella filantropia. Una testimonianza eroica di carità come la sua non si spiega a sufficienza con questi fattori semplicemente umani. Ma la carità è il frutto della verità di fede. La verità può restare sterile, senza carità. Ma non c’è carità senza verità. Ed è logico che quanto più conosciamo la verità, tanto più siamo stimolati a praticare la carità.

 

Immagine da Internet: Beato P. Giuseppe Girotti, OP