Il significato della diversità delle religioni

 

Il significato della diversità delle religioni

La libertà del proprio cammino verso Dio

Nel recente viaggio a Singapore il Santo Padre ha rivolto ai giovani le seguenti parole: «Tutte le religioni sono percorsi per raggiungere Dio. Esse sono, per fare un paragone, come differenti linguaggi, differenti dialetti, per arrivare a quell’obiettivo. Ma Dio è Dio per tutti. Se tu incominci a combattere sostenendo ‘la mia religione è più importante della tua, la mia è vera e la tua non lo è, dove ci porterà tutto ciò? C’è un solo Dio, e ognuno di noi possiede un linguaggio per arrivare a Dio. Alcuni sono sikh, musulmani, hindu, cristiani: sono diverse vie che portano a Dio».

Il Papa non entra qui nella questione di chi ha ragione e di chi ha torto; non pone la questione di distinguere la verità dall’errore; non dice che tutte le religioni posseggono ugualmente, parimenti e sufficientemente lo stesso patrimonio o la medesima pienezza delle verità salvifiche e che sono tutte prive di errori; non suppone una concezione relativistica della verità, per cui è vero ciò che a ciascuno pare vero; non afferma che ognuno è libero di credere quello che vuole o preferisce, senza esser vincolato in coscienza da una verità universale ed oggettiva; non confonde la fede con l’opinione soggettiva; non afferma che esiste una pluralità di fedi come esiste una molteplicità di opinioni; non nega che la verità è una sola e che la fede è una sola, quella cattolica, come la Chiesa e la fede stessa insegnano; non nega il dovere di illuminare o istruire il fratello che non conosce una certa verità religiosa; non nega il dovere di respingere o confutare le falsità in campo religioso; non nega il dovere di correggere il fratello errante in campo religioso. Non nega il dovere di persuadere il fratello a colmare lacune e ad abbracciare la pienezza della verità, che si trova soltanto nella religione cattolica.

Il suo è un richiamo a tutti i gruppi e comunità religiosi, quale che sia la loro religione, a convergere verso Dio. Chiaramente fa appello alle religioni monoteistiche, per cui possiamo pensare a cristiani, ebrei e musulmani e forse anche buddisti ed induisti. Fa appello ad una testimonianza comune nei confronti di atei, panteisti, agnostici, politeisti, idolatri.

Il paragone che il Papa fa della diversità delle religioni con la varietà delle lingue non ha nulla a che vedere con l’indifferentismo e il relativismo, né intende negare – cosa impensabile - che per salvarsi occorre seguire Cristo. Non intende affatto dire che Cristo sia una via verso Dio tra le altre, alla pari di altre, sicchè uno sarebbe libero di scegliere quella che preferisce certo comunque di salvarsi ed arrivare a Dio.

Il Papa, come Vicario di Cristo, sa benissimo e ci insegna che Cristo non è una via, ma la Via. E le altre vie che cosa valgono? Sono anch’esse vie, ma vie semplicemente umane, che quindi partecipano non senza difetti, di quella  via unica divina che è Cristo. Tuttavia, chi, senza conoscere Cristo, in buona fede, segue la propria religione, si salva comunque di fatto sempre in Cristo, ma senza saperlo.

La varietà si riferisce piuttosto alla via personale di ciascuno di noi verso Dio, nonchè alla varietà dei miti, dei simboli, delle espressioni linguistiche, letterarie, storiche, sociologiche, culturali, artistiche e spirituali delle varie religioni. Qui è possibile una molteplicità di tendenze, dove invece non è possibile nel campo della fede, che non è opinione ma verità e la verità è una sola.

Il Papa porta Singapore ad esempio di pratica e di rispetto del diritto alla libertà religiosa. È evidente il richiamo implicito a quei Paesi islamici integristi, dove il rispetto di questo diritto è disatteso o problematico, affinchè imitino i costumi di questo Paese, imitino i fedeli musulmani ivi residenti ed apprezzino come i musulmani di Singapore sanno rispettare i fedeli di altre religioni.

Il vero senso delle parole del Papa

Il Papa non nega il primato del cristianesimo: sarebbe impensabile una simile eresia in un Papa. Non intende assolutamente negare l’unicità ed universalità della mediazione di Cristo Salvatore[1] dell’umanità e che chi si salva, si salva per i meriti divini di Cristo, lo sappia e non lo sappia, quale che sia la religione alla quale appartiene.

Il Papa semplicemente si riferisce al fatto che la mediazione divina, perfetta ed insuperabile di Cristo, come insegna il Concilio Vaticano II, «non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione», cioè le varie religioni, «che è partecipazione dell’unica fonte»[2]. Sarebbe assurdo o ridicolo pensare che quanto hanno fatto o detto per la salvezza dell’uomo il Budda, Maometto o i Veda dell’induismo, opere semplicemente umane, si ponga allo stesso livello dell’opera divina di Cristo, o valga tanto quanto ha fatto e detto Cristo e magari anche lo completa.

Osserviamo d’altra parte che può essere di pari valore ciò che fa per la salvezza un cristiano o il fedele di un’altra religione, dato che sono tutti fallibili e limitate creature umane, ed anzi non è escluso che un cristiano  possa essere privo della grazia e invece può possederla senza saperlo un non-cristiano onesto e in buona fede. Ma ciò non ha niente a che vedere col confronto fra le religioni in se stesse. Il cristiano non è il cristianesimo, il buddista non è il buddismo e l’islamico non è l’islam e così via.

E San Giovanni Paolo II spiega le parole del Concilio in questo modo:

«Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo ed ordine», cioè le altre religioni, «esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari»[3].

Semplicemente Papa Francesco condanna certi atteggianti altezzosi, aggressivi, boriosi e bullistici di superiorità che potrebbero trovarsi anche in certi cattolici, atteggiamenti controproducenti, i quali, umiliando il fratello, sono tali da suscitare una più forte ripugnanza ad avvicinarsi al cristianesimo. Tali atteggiamenti, come fa notare il Papa, ben lungi dall’avvicinare cattolici e non cattolici, dal trasmettere la pace e da creare la pace, suscitano litigi e vane competizioni.

Il Papa non intende escludere dispute e discussioni, condotte secondo le buone regole da osservarsi in questi casi, giacchè il dialogo comporta anche questi aspetti: l’interlocutore deve essere persuaso con carità, garbo, spirito di servizio, prudenza e pazienza, con una sapiente opera di inculturazione proporzionata alle sue capacità di comprensione, senza fretta ma producendo prove e portando esempi adatti, imitabili, attraenti ed efficaci, ragionando con argomenti stringenti e convincenti.

Il modo giusto per far apprezzare all’evangelizzando il primato del cristianesimo è quello di mostrargli la qualità altissima delle virtù da esso predicate e  praticate, i primati del cristianesimo nella storia della civiltà, come esso soddisfi le più alte esigenze dell’uomo e delle altre religioni, come sia privo di quei difetti che si riscontrano nelle altre religioni, come il cristianesimo rappresenti per lui il massimo delle sue aspirazioni non solo con le parole, ma adducendo gli esempi dei Santi.

Il Papa è in linea con la Tradizione

Queste cose la Chiesa le ha sempre insegnate e praticate in forza della fede in Cristo come unico Salvatore dell’umanità e obbedendo al suo comando di annunciare il Vangelo a tutto il mondo, un mandato che, nella misura in cui è stato messo in pratica, ha avuto l’effetto di convertire i popoli a Cristo e di espandere e  far crescere numericamente la Chiesa in tutto il mondo. Leggiamo per esempio queste dichiarazioni del Concilio Vaticano II:

 «La Chiesa cattolica annuncia ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo, che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a Sé tutte le cose» (Nostra aetate,2).

«Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà al solo collegio apostolico con a Capo  Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza, per costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli  che già in qualche modo appartengono al Popolo di Dio» (Unitatis redintegratio, 3).

Il che vuol dire che se tale piena appartenenza manca volontariamente e quindi colpevolmente, il non-cattolico, eretico o scismatico non si può salvare. Se invece tale pienezza manca per ignoranza invincibile della sua necessità, allora pensa Dio stesso ad aggregare pienamente il soggetto alla Chiesa affinchè possa salvarsi.

Questi insegnamenti, andando indietro nel tempo, li ritroviamo per esempio nel Concilio di Firenze del 1442:

«Sacrosancta Romana Ecclesia firmiter credit, profitetur et praedicat extra Ecclesiam existentes vita aeternae non posse esse participes» (Denz. 1351).

La novità introdotta dal Concilio è quella della distinzione fra appartenenza parziale, propria dei cristiani non cattolici e quella piena, propria dei cattolici. La salvezza dei non cattolici è possibile per coloro che in buona fede non sanno che la salvezza si ottiene per mezzo della Chiesa cattolica.

Costoro si possono implicitamente ma realmente considerare appartenenti alla Chiesa cattolica in forza dell’insegnamento del Beato Pio IX nell’enciclica Quanto conficiamur moerore del 1863[4], il quale parla di un’appartenenza salvifica implicita ed inconscia ma reale alla Chiesa, di «coloro che patiscono un’ignoranza invincibile della nostra santissima religione» (Denz.2866).

Nessun relativismo.

Due proposizioni di fede non possono essere

simultaneamente vere se si contraddicono fra di loro

Se il Filioque è verità di fede, non può essere nello stesso tempo eresia. Se è vero che il Vescovo di Roma ha il primato di giurisdizione su tutte le altre Chiese locali, non può esser vero ad un tempo che il Patriarcato di Costantinopoli o di Mosca sia canonicamente indipendente dal Vescovo di Roma. Se è verità di fede che la Madonna è Immacolata o Assunta in cielo, non può trattarsi simultaneamente di una semplice discutibile opinione teologica.

Se è vero che la ragione armonizza con la fede, non può esser vero che fede e ragione si oppongono a  vicenda; se è vero che credere in Dio è ragionevole, il credere in Dio non può essere un’assurdità; se si dimostra con la ragione che Dio esiste, è falso dire che sappiamo che esiste solo per fede; se è vero che la natura umana decaduta è ferita, non può esser vero che è totalmente corrotta; se è vero che è possibile osservare i comandamenti non può esser vero che è impossibile; se è vero che dobbiamo meritare il paradiso, non può essere altrettanto vero che andiamo in paradiso senza meriti; se è vero che il peccato è perdonato a chi si pente, non può esser vero  che siamo perdonati anche senza pentirci; se è vero che la Messa è un sacrificio, non può esser vero  che la Messa non è un sacrificio; se è vero che Cristo ha espiato e soddisfatto per noi, non può esser vero il contrario.

Se è vero che Cristo è Dio non può essere altrettanto vero che Cristo non è Dio; se è vero che Dio è Trino, non può essere vero che Dio non è Trino; se è vero che Dio dona all’uomo la sua grazia come a figlio di Dio, non può esser vero che non esiste alcuna grazia e alcuna figliolanza divina; se è vero che siamo figli di Dio e fratelli  in Cristo, chi nega ciò non può essere nella verità.

Se è vero che l’anima non è Dio, non può essere altrettanto vero che l’anima è Dio; se è vero che il male non viene da Dio, non può esser altrettanto vero che il male viene da Dio; se è vero che Dio ha creato il mondo, non può esser altrettanto vero che il mondo è l’apparire di Dio; se è vero che esiste la risurrezione del corpo, non può esser giusto negare la risurrezione del corpo; se è vero che la reincarnazione non esiste, non può esser giusto affermare la reincarnazione.

Lo scopo del dialogo interreligioso

Nel dialogo interreligioso ci si impone sì il rispetto delle diversità, e su ciò il Papa insiste molto, quello che è stato chiamato il principio dell’«et-et», espressione pratica della nozione metafisica dell’analogia dell’essere.

Il dialogo interreligioso però non può limitarsi ad un semplice scambio di idee, a un confronto di opinioni o ad un apprezzamento delle diversità con un arricchimento reciproco, ma ha in fin dei conti lo scopo di appurare chi ha ragione e chi sbaglia, per correggere l’errore e far trionfare la verità.

Ma ci si impone anche e innanzitutto il rispetto del principio del terzo escluso, il cosiddetto principio dell’«aut-aut», «o sì o no», come lo chiama Cristo (Mt 5,37), basato a sua volta sul principio di non-contraddizione, che è la legge fondamentale della verità, della sensatezza e della lealtà del pensiero. Il principio di non-contraddizione poi a sua volta è il riflesso nel pensiero e nel giudizio della percezione dell’essere reale, che costituisce il principio di identità, per il quale ogni ente è ciò che è e non altro da sé.

Per questo è pura stoltezza e insensatezza e autoconfutazione, come alcuni improvvidi o furbi fanno, rifiutare l’aut-aut in nome dell’et-et, col pretesto che altrimenti non si avrebbe il rispetto dell’altro o del pluralismo. Succede invece che si apre la porta alla doppiezza, all’opportunismo e all’ipocrisia.

Per le ragioni suddette il dialogo interreligioso ha il compito iniziale di evidenziare le convinzioni religiose di ragione, comuni a tutta la umanità, circa l’esistenza di Dio, ente supremo, causa prima dell’universo e dell’uomo, principio della legge morale secondo la quale l’uomo deve render conto a Dio del proprio operato.

E certamente è importante mettere in luce le legittime diversità, che costituiscono un arricchimento ed aiuto reciproco, sorgente di concordia e di collaborazione reciproca. Ma una volta creato l’accordo su questa base, occorre affrontare assieme a fondo con franchezza e fiducia, in un clima di reciproca carità, la questione dottrinale, ossia quella della verità.

È lo stesso dovere dell’umiltà davanti a Cristo Verità[5] che obbliga noi cattolici, che, senz’alcun merito, abbiamo ricevuto in Cristo e nella Chiesa la pienezza della verità, a proporre ai fedeli delle altre religioni quella universale e piena verità salvifica, che a tutti deve stare a cuore, perchè non esistono patti di pace basati sull’equivoco o sulla menzogna.

Abbiamo pertanto, come autentici discepoli di Cristo, il dovere, alla luce di quella verità, che non è la nostra, ma quella del Vangelo, di riconoscere le verità delle quali i fedeli delle altre religioni sono già in possesso, e alla luce di questa verità liberare questi fratelli da ogni traccia di tenebra affinchè con noi camminino verso la Luce di Cristo.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 settembre 2024


Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso. E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare: “La mia religione è più importante della tua…”, “La mia è quella vera, la tua non è vera…”. Dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? [qualcuno risponde: “La distruzione”]. È così. Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del tuo!”. È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood? Ma per il dialogo interreligioso fra i giovani ci vuole coraggio. Perché l’età giovanile è l’età del coraggio, ma tu puoi avere questo coraggio per fare cose che non ti aiuteranno. Invece puoi avere coraggio per andare avanti e per il dialogo. Una cosa che aiuta tanto è il rispetto, il dialogo. 

Immagine da: Viaggio Apostolico a Singapore: Incontro Interreligioso con i giovani- 13 settembre 2024:

https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2024/9/13/singapore-giovani.html


[1] Vedi la Dichiarazione Dominus Iesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa della CDF del 6 agosto 2000.

https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000806_dominus-iesus_it.html

[2] Lumen gentium, 62.

[5] Santa Messa – OMELIA DEL SANTO PADRE - Stadio Nazionale presso il “Singapore Sports Hub” -
Giovedì, 12 settembre 2024 : “La fede, poi, ci conferma e ci illumina ancora di più circa questa certezza, perché ci dice che alla radice della nostra capacità di amare e di essere amati c’è Dio stesso, che con cuore di Padre ci ha desiderati e portati all’esistenza in modo totalmente gratuito (cfr 1Cor 8,6) e che in modo altrettanto gratuito ci ha redenti e liberati dal peccato e dalla morte, con la morte e risurrezione del suo Figlio Unigenito. È in Lui, in Gesù, che ha origine e compimento tutto ciò che siamo e che possiamo diventare.”

25 commenti:

  1. Padre Giovanni, una piccola distrazione: non è la Redemptor Hominis di San Giovanni Paolo, quella che lei cita, ma la Redemptoris Missio. E grazie per il suo articolo!

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    1. Caro Don Silvano,
      la ringrazio per la correzione. Ho provveduto a modificare il testo.

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  2. Leggendo il suo articolo, caro padre Cavalcoli, si nota la mancanza di fede cattolica anche nei Vescovi (cito i nomi degli emeriti americani: Chaput e Strickland) che hanno criticato ciecamente il Papa per le sue parole, e dimostrando una mancanza di fede cattolica nei confronti l’infallibilità del Romano Pontefice.

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    1. Caro Anonimo,
      dispiace dover constatare questa cosa, ma purtroppo è proprio così: accusare il Papa di eresia, come ho detto molte volte, porta come conseguenza che diventi eretico colui stesso che muove l’accusa.
      Tuttavia bisogna riconoscere che le parole del Papa a tutta prima possono sconcertare, ma il buon cattolico, che sa che un Papa non può essere eretico, si ferma con prudenza davanti a queste parole e, usando la buona volontà e contestualizzandole con altri interventi del Papa, si accorge che esse possono essere interpretate in un senso del tutto conciliabile con la verità di fede, secondo la quale Cristo è l’Unico Salvatore del mondo.

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  3. Caro Padre, in parte sono d'accordo, lo sappiamo che anche altre religioni contengono parte di verità, ma non la Verità in persona che tutti incontreremo personalmente dopo la morte, cioè La divina Maestà di Nostro Signore Gesù Cristo come direbbe Santa Teresa d'Avila, cosa che Papa Francesco omette di dire. Credo che ciò avvenga per i suoi limiti psicologici che lo portano a cercare un facile consenso personale, l'applauso sempre, si direbbe, a scapito della funzione che copre. Scusi, anche Lei si spinge molto più in là per difenderlo sulla base di un' interpretazione personale di quelle parole che nulla contengono di quanto documenti Vaticani ufficiali da Lei citati e comunque noti invece ,si sa per chi segue la Chiesa, giustamente dicono. Un minimo di critica per la poca profondità , precisione e senso di astrazione personale in ricordo del ruolo che copre il nostro Santo Padre ci vuole certe volte, mi pare. Non é che abbia poi spiegato meglio cosa voleva dire, come al solito. Siamo noi, semplici fedeli, che dobbiamo sempre capire tutto quello "che il Papa voleva dire"? Sia più chiaro lui, invece. Con tutto il rispetto, non si capisce quello che dice. E non è la prima volta

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    1. Caro Alessandro,
      quando Papa Francesco, nella sua abituale predicazione, insiste nel dire che Cristo è il Salvatore del mondo e che noi abbiamo l’obbligo di annunciare Cristo a tutto il mondo, che cosa intende dire, se non che il cattolicesimo ha il primato su tutte le altre religioni? E che cosa sottintende se non che nelle altre religioni ci sono degli errori, che solo la religione cattolica può correggere?
      Il fatto che il Papa nel discorso ai giovani non abbia accennato a queste cose, non vuol dire che le nega, ma che ha ritenuto in quella circostanza di non parlarne, per mettere in luce la bellezza del dialogo interreligioso, che si sta realizzando a Singapore, e portare questa esperienza ad esempio per quei fedeli che nelle diverse religioni coltivano sentimenti aggressivi, faziosi, settari e di odio.
      Quando ha parlato del presentare la propria religione come superiore alle altre, se lei ha notato, non ha fatto riferimento alla religione in sé stessa, ma ha parlato della “mia religione”, quasi a significare il rischio della supponenza, dell’arroganza, dell’alterigia, che non sono rischi aleatori, ma rischi reali di quello che egli chiama proselitismo, che è una maniera sbagliata di diffondere il Vangelo. La tentazione è quella di confondere la superiorità del Cattolicesimo con una nostra personale superiorità di cattolici, che non ci è affatto garantita, perché siamo anche noi peccatori e moralmente potremmo essere peggio di fedeli di altre religioni.
      Inoltre, quando il Papa ha parlato del rischio di litigare, si è riferito a questa forma di proselitismo, ma è chiaro che non esclude affatto la nostra disponibilità a ricevere opposizioni pronti con l’aiuto di Dio anche allo stesso martirio. E sappiamo quanto spesso il Papa ricorda quei fratelli che vengono martirizzati a causa della loro fede.

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    2. Caro Padre. Io non sento come "mio" il Cristianesimo né tantomeno mi sento superiore al prossimo, qualsiasi credo egli sia, ben il contrario, conosco la mia nullità ed i miei errori, ma cerco di essere vicino e quindi, se occorre, difendere Nostro Signore, il "mio" Dio, questo si, che ci insegna coi fatti come stanno le cose anche dopo la morte. Io non ho capito a chi si riferisce, Lei Padre, quando parla di bullismo cattolico. Ogni volta che semplicemente informo, dico e ripeto quello che Gesù e la sua Chiesa (ad esempio col Catechismo della Chiesa Cattolica) dicono, sono fischi, amici persi e sguardi di compatimento. E ora ci si mette anche il Papa perché forse secondo lui, farei proselitismo, quando invece non faccio altro che informare. Che tempi!

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    3. Caro Alessandro,
      mi compiaccio del fatto che lei non consideri il cristianesimo come sua proprietà privata. Però purtroppo tra di noi ci sono alcuni che hanno una concezione soggettivistica del cristianesimo, alla quale associano la loro voglia di farsi belli sugli altri o di prevalere sugli altri. È questo il bullismo col quale giustamente il Papa se la prende.
      Il Papa non ci proibisce affatto di difendere la nostra fede, anche a costo di sofferenze. L’espressione “mio Dio” va intesa bene. La troviamo per esempio nella bocca di Tommaso quando incontra Gesù Risorto. E qui l’espressione è molto bella, perché significa un grande amore. Tuttavia potrebbe avere anche un senso biasimevole, se con questa espressione io intendo un Dio concepito a modo mio o a mio arbitrio, indipendentemente dalla verità oggettiva.
      Per quanto riguarda un’attività di istruzione o di informazione, ciò è precisamente quanto intende dire il Papa quando parla di catechesi, di evangelizzazione e di missione. Occorre tuttavia aggiungere, come spesso dice il Papa, la testimonianza della carità e della preghiera, ma sono sicuro che queste cose lei le sa. Se lei si comporta così, è in perfetta linea con l’insegnamento del Papa e non corre alcun pericolo di proselitismo.

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  4. Come al solito apprezziamo l'intento pastorale che cerca di rimettere insieme i cocci dopo l'ennesima sortita bergogliana, stile elefante nella cristalleria. Ma come al solito un qualunque battezzato non può far finta di niente, può solo pregare che la prova cui la fede è sottoposta si abbrevi, senza ricorrere a soluzioni astruse (sedevacantismo, rinuncia invalida, false rivelazioni). La controprova è il fatto che la stessa traduzione del discorso nella versione inglese dell'Osservatore Romano è stata sapientemente ritoccata. Evidentemente era troppo anche per loro..

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    1. Caro Angheran,
      possiamo dire che il discorso del Papa non brilla per chiarezza, ma è pur sempre un discorso del Papa, che comunque va preso in considerazione con rispetto. Non è proibito avere delle riserve, e le dirò che le ho anch’io, ma ritengo che sia meglio aiutarlo. Che cosa voglio dire? Che dobbiamo fare lo sforzo di una interpretazione benevola, che non è, come qualcuno mi accusa, un arrampicarsi sugli specchi, ma è vera carità e collaborazione col Vicario di Cristo.

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  5. La parabola dei 3 anelli: la novella 73 del Novellino (sec. XIII) reca il titolo: "Come il soldano, avendo bisogno di moneta, volle coglier cagione a un giudeo". Il sultano progetta di estorcere molto danaro a un giudeo attraverso
    un'argomentazione che ha la struttura tipica del dilemma. AI giudeo avrebbe chiesto quale fosse la fede migliore. Se avesse risposto: la giudea, il sultano lo avrebbe accusato di peccare contro la sua e se avesse risposto: la
    musulmana, il sultano gli avrebbe chiesto perché fosse rimasto giudeo.
    Qualunque risposta avesse dato, il giudeo doveva ritenersi colpevole e
    dunque avrebbe meritato l'estorsione di danaro. Messo alle strette dalla
    domanda, il giudeo risponde con un aneddoto: un padre aveva tre figli e
    possedeva un anello con una pietra preziosa che era la più preziosa al
    mondo. Ciascuno dei tre figli supplicava il padre affinché, morendo, egli
    lasciasse questo anello a lui solo. Il padre allora si rivolse a un abile orafo e
    gli commissionò due anelli uguali a quello in suo possesso, mettendo in
    ciascuno una pietra simile a quella incastonata nell'originale. L'orafo
    fabbricò gli anelli in modo tale che solo il proprietario sapeva quale fosse
    l'originale. Il padre quindi consegnò un anello a ciascuno dei tre figli,
    separatamente e in gran segreto, in modo tale che ognuno era convinto di
    aver ricevuto l'anello originale in esclusiva. Solo il padre era al corrente di
    quale fosse l'anello archetipo, di cui gli altri due erano copie. Il giudeo
    conclude la sua storia così: i tre anelli indicano le tre fedi. Dio Padre
    conosce la migliore e ciascun credente, che è suo figlio, crede di avere
    quella giusta. Il sultano a questo punto non trovò motivo di trattenere il
    giudeo e lo congedò.
    "La risposta del giudeo è molto abile. Essa aggira il dilemma e
    ristruttura l'ordine del discorso. Al sultano che gli chiede quale sia la
    migliore religione, il giudeo suggerisce che ogni credente pensa alla propria
    come alla migliore; ma solo a Dio Padre spetta l'ultima parola su questo,
    perché solo Dio sa quale sia la vera religione" (C.Tugnoli)

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    1. Caro Sandro,
      molto interessante questo apologo. Secondo me può veramente essere collegato con quanto ha detto il Papa, per il fatto che, come ho detto nel mio articolo, quando ha parlato di parità di condizioni tra le varie religioni, noi possiamo interpretare queste parole non riferite alle religioni in sé stesse, tra le quali è evidente che il cristianesimo è la migliore e non possiamo pensare che il Papa non lo sappia, ma il Papa si è riferito ai singoli fedeli, i quali a Singapore vivono un clima di libertà religiosa, per la quale i fedeli di tutte le religioni partono su di un piede di uguaglianza.
      Questo clima è proprio quello adatto a ciascuno a proporre i pregi della propria religione.
      Ora, è chiaro che il Papa non è entrato esplicitamente in queste cose, ma è proprio facendo le lodi del pluralismo e del dialogo interreligioso che il Papa lascia intendere non solo la liceità, ma il dovere di noi cattolici di presentare il Cristo come Unico Salvatore del mondo.

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    2. Certamente non mi soffermerei di notte con un azteco presso un'altura a discutere sull'app del meteo, piuttosto "sui nuovi segni del cielo e della terra" come li chiamava San Francesco, non ultimo sul singolarissimo prodigio delle sue sacratissime Stimmate di cui oggi facciamo solenne memoria

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    3. Caro Sandro,
      il dialogo interreligioso su di un piede di parità, con le dovute maniere, con l’apertura all’altro e con il desiderio di servirlo nella verità non esclude affatto l’annuncio di Cristo con opportuni argomenti, purchè però l’interlocutore sia disponibile ad ascoltare, e non esclude neppure un annuncio che provochi da parte sua una reazione ostile da noi non desiderata.
      Nel qual caso avremo da soffrire a causa di Cristo e fruiremo di quella “perfetta letizia” (Gc 1,2), che sorge dal ricevere umiliazioni ed ingiurie a causa di Cristo.
      Tutto questo il Papa non l’esclude affatto, anche se non ne ha fatto preciso riferimento, ma se noi lo seguiamo nei suoi discorsi ci accorgeremo che egli tocca anche questi punti.

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    4. Padre, mi dispiace dirlo, ma per quanto si sforzi con questi meritevoli sforzi di rispondere a tutti e ciascuno di questi commenti, questa gente non conosce Papa Francesco, non legge le sue encicliche, non ascolta le sue catechesi il mercoledì e la domenica, non conosce le sue omelie e i suoi discorsi. Si aggrappano solo a questa o quella frase che ricevono da media e blog anti-cattolici o o anti papa Francesco o indietristi o modernisti. Ma, credetemi, non sanno quello che dice il Papa.

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  6. Credo che a parte le bestemmie, qualsiasi discorso possa essere raddrizzato, però se l'avesse fatta Hegel quell'uscita, non saremmo così indulgenti. Nessun sottoposto del Papa può dire che il Papa è eretico, ma questo non esclude affatto che possa esserlo.

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    1. Caro Anonimo,
      non so se sa che Hegel, benchè luterano, sosteneva che il Cristianesimo, in quanto religione dello Spirito e della libertà, è la più alta di tutte le religioni.
      È evidente che noi, come cattolici, mentre non abbiamo difficoltà a criticare un filosofo che sbaglia, davanti al Papa siamo molto più cauti, se si tratta di criticarlo.
      Tuttavia le faccio presente che, come ho detto tante volte, un Papa non può essere eretico, almeno in senso formale e nel momento in cui intende parlare come maestro della fede.

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    2. Magari Hegel avrebbe trovato le parole per dirlo senza passare per bullo anche nell'occasione in esame.

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    3. Caro Anonimo,
      Hegel effettivamente ci vuole convincere del valore supremo del cristianesimo, ma non lo fa nel modo giusto, perché riduce le verità di fede a verità filosofiche e quindi ha la pretesa di condurci ad accettare la verità del cristianesimo, non in quanto Parola di Dio, che trascende la nostra ragione, nel qual caso abbiamo l’atto di fede, ma in quanto egli tende a ridurla a verità filosofica, per cui tende a convincerci non richiamandoci all’autorità di Cristo, ma riducendo il dato rivelato a conclusione di un procedimento dialettico.

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    4. Si, ma intendevo che avrebbe cercato di affermare questa sua pretesa senza passare per bullo. Venendo ad un esempio più canonico Papa Benedetto non si sarebbe mai espresso in quel modo. A volte è stato criticato come per il discorso di Ratisbona, ma d'altronde anche Nostro Signore era considerato un "bullo" dai suoi avversari.

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  7. Padre Giovanni,
    di fronte all'accusa che a volte fa del Papa un eretico (cosa che io non condivido) e che lei risponde correttamente, dicendo che chi così accusa il Papa diventa a sua volta un eretico, la mia domanda è: può un Papa essere "materialmente" un eretico, anche se non formalmente?

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    1. Caro Paolo,
      il Papa è un essere umano come tutti noi, soggetto, come tale, a moti impulsivi, a disattenzioni o a imprudenze nel parlare. Quindi può capitare, al di fuori del suo ufficio ministeriale, magari in discorsi privati, che gli sfugga qualche espressione materialmente eretica.
      Un’altra cosa da tenere presente, per capire cosa intende dire il Papa in un caso come questo, è il non fermarsi a interpretare le parole come suonano, ma occorre avere l’intelligenza per capire che cosa intende dire.
      Facciamo un esempio: quando disse che la Madonna non è nata santa, che cosa intendeva dire? Alcuni si sono scandalizzati, perché hanno pensato che avesse negato il dogma dell’Immacolata. Tuttavia io allora pubblicai una spiegazione, spiegando che bisogna interpretare queste parole del Papa nel senso che Maria non è nata con quel grado eminentissimo di santità, che ella raggiunse gradatamente durante il corso della sua vita, partendo indubbiamente dalla condizione privilegiatissima di Immacolata Concezione.

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    2. Allora padre Cavalcoli, secondo quanto lei ha precedentemente ritenuto, si può dire che il Papa è oggettivamente colpevole di grave imprudenza per non essersi informato accuratamente (per la materia grave del fatto e le conseguenze che ne derivano e sono previste) e io prego per lui perché è così è una cosa terribile. E anche colpevole di non chiarire a posteriori il fatto per consolare un'infinità di fedeli, che è anch'esso qualcosa di terribile.

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  8. Buongiorno, il rito della dea pachamama eseguito in vaticano si puo' giudicare? Se si' , si puo' dire che il papa coinvolto e consenziente fu reo di apostasia? O diventa apostata il giudicante? Grazie per la risposta (se non mi " bannera' ") questo mio secondo intervento come fatto con il primo. Un saluto.

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    1. Caro Guido,
      la sua domanda è del tutto legittima e dignitosa, quindi non si preoccupi.
      Io posso esprimere una mia opinione. Secondo me si sarebbe dovuto evitare una cosa del genere. È possibile che sia stato messo davanti al fatto compiuto. Comunque non è assolutamente il caso di parlare di apostasia, perché questa è una cosa gravissima, che va al di là dell’eresia, in quanto è il rifiuto di tutte le verità di fede e quindi la perdita totale della fede.
      Ora, se è inconcepibile un Papa eretico, ancora meno è pensabile un Papa apostata. D’altra parte un Papa non può peccare contro la fede, in forza del carisma petrino e quindi per l’assistenza dello Spirito Santo.
      Tutt’al più si potrà dire che avrebbe dovuto informarsi più accuratamente sul programma della manifestazione, avvenuta nel contesto del Sinodo sulla Amazzonia.

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