Gli interessi di noi Domenicani - Seconda Parte (2/2)

 

Gli interessi di noi Domenicani

Seconda Parte (2/2)

 Un conflitto emblematico

L’Ordine domenicano giunse al Concilio già travagliato da un contrasto interno che potrebbe essere rappresentato o riassunto dal conflitto tra due personaggi-simbolo: il Maritain e il Padre Garrigou-Lagrange. Maritain ai tempi della sua conversione ricevette un grande aiuto dal Garrigou-Lagrange nella sua formazione tomistica e questi si fece ammiratore del Maritain per la sua sapienza filosofica tomista. Si attuò così per vent’anni una collaborazione fra i due ai Circoli Tomisti.

Lo scontro fra Maritain e Garrigou non avvenne sul piano della metafisica o della gnoseologia o della morale o della teologia o della mistica, ma esplose nel 1936 in occasione della guerra civile spagnola  sul piano dell’applicazione del tomismo in campo sociale e politico: mentre infatti Maritain aveva intuito che potevano essere recuperati in senso tomistico alcuni elementi del marxismo, i tomisti ligi alle Costituzioni del 1932 si attennero rigidamente alla condanna radicale del marxismo fatta da Pio XI nell’enciclica Divini Redemtoris del 1937.

Maritain aveva espresso anche lui la sua critica al marxismo in Humanisme intégral del 1936, ma in occasione della guerra di Spagna, considerando gli orrori commessi da ambo le parti, non se la sentì di appoggiare la guerra franchista contro i comunisti, che era stata approvata dai Vescovi spagnoli in una loro lettera collettiva del 1937.

Egli invece avrebbe dovuto capire che il ricorso alla forza contro delle armate comuniste che intendevano distruggere fisicamente la Chiesa era lecita e doverosa. In Maritain c’è una punta di quel pacifismo buonista che sarebbe in qualche misura apparso nel programma di riforma del Concilio e conseguentemente nelle Costituzioni domenicane del 1968.

Far guerra ad orde barbariche che, col pretesto della giustizia sociale vogliono la distruzione della civiltà cristiana, non è necessariamente dar prova di fascismo e di rifiuto della giustizia sociale, anche se la provvidenza si servì dei franchisti per vincerle e i Vescovi spagnoli nell’appoggiare Franco non pensarono certo al franchismo, ma alla sopravvivenza della Spagna e della Chiesa nonché alla vera instaurazione della giustizia sociale.

Tuttavia merito del Maritain già a partire dagli anni ’30 fu il fatto di intuire con chiarezza e senza ambiguità che occorreva quella forma di tomismo attenta ai valori del sociale e della modernità, che sarebbe stata promossa dal Concilio Vaticano II e dalle Costituzioni domenicane del 1968.

Nel contempo Maritain seppe evitare l’immanentismo e lo storicismo della théologie nouvelle e della Scuola di Le Saulchoir. Invece la linea conservatrice del Garrigou avrebbe alimentato al Concilio la linea lefevriana, che purtroppo ancora dopo sessant’anni non è ancora riuscita a capire che il Concilio non è affatto contro la tradizione e influenzato dal modernismo, ma è la proposta di una sana modernità alla luce dell’Aquinate arricchito con i contributi della modernità.

Occorre peraltro dire che il tomismo maritainiano presenta qualche traccia di misticismo e intuizionismo bergsoniano, ma nella sostanza è esemplare, come riconobbe San Giovanni Paolo II n una lettera a Giuseppe Lazzati, Rettore dell’Università cattolica di Milano del novembre del 1982.

Viceversa il tomismo del Garrigou rappresenta quella parte dell’Ordine domenicano che, ligio alle Costituzioni del 1932, non sapeva concepire un tomismo che potesse essere integrato o addirittura corretto e perfezionato dall’assunzione di valori presi dalla modernità.

Era il tomismo rigido e strettamente scolastico di quei tomisti che giunsero al Concilio impreparati, come i Padri Centi, Colosio, Browne, Ciappi, i Monsignori Parente, Gherardini, Piolanti, i Cardinali Ruffini, Siri, Oddi e Pizzardo.  

Maritain stesso ricorda questa dolorosa rottura tra i due amici[1] nella seduta dei Circoli Tomisti nel 1937. Essa sembra essere il simbolo di quella dolorosa «divisione» nell’Ordine della quale parla il Padre Rossetti e del contrasto fra tomisti tradizionalisti e tomisti progressisti al Concilio. Indubbiamente al Concilio ha prevalso l’impostazione maritainiana, mentre quella scillebexiana ha avviato nell’Ordine una tendenza modernista.

Il problema del rinnovamento

I precedenti Concili di Trento e il Vaticano I avevano visto i Domenicani tomisti come protagonisti. Il Catechismo di Trento fu redatto immediatamente dopo il Concilio da quattro teologi domenicani. Nel Catechismo di San Pio X evidente è l’impronta domenicana. Viceversa tutti sanno che il linguaggio del Vaticano II non ha un timbro scolastico, ma letterario, anche se il Concilio raccomanda San Tommaso come modello di teologo. Certamente collaborarono al Concilio Domenicani tomisti, come il Padre Browne o il Padre Ciappi o il Congar.

Sulle dottrine del Concilio ha influito anche Schillebeeckx, il quale però intese il rinnovamento della teologia domenicana in senso modernista, assumendo l’ermeneutica biblica protestante liberale, che lo condusse a cadere in alcune eresie come la negazione della divinità di Cristo, del primato del cristianesimo sulle altre religioni, la falsificazione del sacramento dell’Ordine e della transustanziazione eucaristica. Schillebeeckx è stato l’ispiratore del Catechismo Olandese, nel quale una commissione cardinalizia ordinata da San Paolo VI constatò la presenza di una quindicina di eresie.

È chiaro che il rinnovamento dell’Ordine promosso da Schillebeeckx[2] è del tutto falso e difforme dall’ideale domenicano e dal dettato delle nostre Costituzioni. Schillebeeckx trasforma l’Ordine in una setta protestante con l’aggiunta dell’ipocrisia di volersi definire cattolico e chi lo considera cattolico è evidentemente un falsario.

È stato quindi un grave errore di alcuni recenti Capitoli generali dell’Ordine presentare Schillebeeckx come modello di teologo e parimenti biasimevole è il favore a lui accordato dal Padre Timothy Radcliffe, ex-Maestro dell’Ordine.

C’è inoltre da notare a mio parere la tendenza degli ultimi Capitoli dell’Ordine di trattare gli affari dell’Ordine come se esso fosse fine a sé stesso e non dovesse curare la sua comunione col Papa e la sua obbedienza al Papa.

Precorrimenti rischiosi

In particolare nel 1937 l’Ordine aveva istituito a Le Saulchoir in Francia una Scuola di teologia[3] che raccolse teologi di prim’ordine al fine di promuovere una predicazione e un’attività teologica tomista ligia sì alle Costituzioni, ma anche aperta a raccogliere i lati buoni del pensiero moderno, cosa che non era espressa nelle Costituzioni di allora, così come richiedevano i bisogni del tempo.

Così il programma e l’impostazione di questa Scuola andarono oltre i limiti imposti dalle Costituzioni di allora riguardo il confronto di San Tommaso col pensiero moderno, per cui, se da una parte  questa Scuola precorse il modo più aperto e più critico di essere tomista che sarebbe stato prescritto dal Concilio, dall’altra purtroppo si lasciò sedurre da influssi modernistici e quindi da quel  falso rinnovamento della teologia alla quale ho accennato sopra, che fu chiamato «théologie nouvelle», simile ad un ritorno di modernismo, e che fu condannato da Pio XII nell’enciclica Humani  Generis del 1950.

Fra i teologi che si sono formati o che hanno insegnato a Le Saulchoir, si ricordano: Marie-Émile Boismard, Marie-Dominique Chenu, Yves Congar, Dominique Dubarle Louis-Bertrand Geiger, Ambroise Gardeil, , A.-J. Festugière, C. V. Héris, Claude Geffré, Michel-Louis Guérard des Lauriers, E. Hugueny,  Jean-Pierre Jossua, Jean de Menasce, Marie-Dominique Philippe, Thomas Philippe, Ambroise de Poulpiquet, M.-D. Roland-Gosselin, P. Mandonnet, Christoph Schönborn, C. Spicq, M.-B. Schwalm H.-D. Simonin,  Antonin-Gilbert Sertillanges, R.de Vaux.

Una svolta dolorosa ma necessaria

Le due Costituzioni del 1932 e del 1968 mantengono la definizione dello scopo dell’Ordine data da Onorio III nella sua bolla del 18 gennaio 1221: «dedicarsi all’esortazione della Parola di Dio evangelizzando in tutto il mondo il nome del Signor Nostro Gesù Cristo».

Alle origini dell’Ordine, però, la prospettiva non era quella del progresso, non era quella di assumere il moderno come quella propria del Concilio Vaticano II, ma al contrario, si trattava di recuperare un passato dimenticato, ritornare a una perfezione perduta, secondo le parole con le quali Onorio III nella bolla di approvazione dell’Ordine del 18 gennaio 1222 interpretava la volontà del Santo Padre Domenico: «conformare i tempi moderni agli antichi».

Ma, posta questa tesi, che, al di là del riferimento al tempo, esprime la sostanza immutabile del carisma domenicano, le due Costituzioni, quella preconciliare del 1932 e quella riformata del 1968 differiscono su tre punti fondamentali: lo stile della predicazione, il discepolato tomista e l’atteggiamento da assumere nei confronti del pensiero moderno.

I tre punti sono logicamente legati fra loro. Le Costituzioni precedenti assumono la definizione dei Domenicani come «pugiles fidei»[4], combattenti della fede, data da Onorio III il 22 dicembre 1216, data dell’approvazione dell’Ordine[5]. 

Qual è il nemico da combattere? Gli errori del pensiero moderno. E per questo le Costituzioni del Padre Gillet del 1932 proibiscono al predicatore e al teologo di far riferimento nel proprio insegnamento a «dottori e autori moderni» (n.758, §II). Si trattava esattamente di far proprie le parole con le quali Onorio III nella bolla del 18 gennaio 1222 interpretava la volontà del Santo Padre Domenico: «conformare i tempi moderni agli antichi».

Teniamo presente che nel 1932 era fresco il ricordo dell’enciclica Pascendi di San Pio X contro il modernismo, ed essa poteva apparire un modello di predicazione conforme alla volontà di Onorio III che i Domenicani combattessero gli errori moderni alla luce degli splendori della passata cristianità medioevale o, come si poteva interpretare, alla luce della Tradizione.

Da questa impostazione appare evidente l’atteggiamento che le Costituzioni del 1932 impongono da tenere nei confronti di San Tommaso. Esse, seguendo l’ininterrotta tradizione precedente, prescrivono di essere fedeli alla dottrina dell’Aquinate. E su ciò nessun problema, dato che la dottrina di Tommaso sarà di nuovo raccomandata al di sopra di quella di ogni altro Dottore dal Concilio Vaticano II, assunto in pieno dalla Costituzioni del 1968.

Viceversa le nuove Costituzioni raccomandano che nella predicazione

 «instauriamo un vivo dialogo (commercium) con gli uomini ai quali ci rivolgiamo affinchè la predicazione della parola rivelata permanga la legge di ogni evangelizzazione, mentre occorre discernere i tesori nascosti nelle varie forme della cultura umana, per mezzo dei quali la stessa natura umana viene maggiormente manifestata e si aprono nuove vie alla verità» (n.99§II).

Così ancora si esprimono le Costituzioni:

«Frati accuratamente preparati si studino di cooperare con i periti delle varie scienze, sia condividendo le loro indagini, sia cercando i modi di comunicare con loro la verità del Vangelo, affinchè il progresso della cultura conduca a una più chiara percezione della vocazione umana e stimoli le menti ad una più alta intelligenza della fede» (n. 103§II).

Riguardo al discepolato tomista notevoli sono le direttive, che non si limitano a promuovere la conoscenza del pensiero dell’Aquinate, ma affermano:

 «i frati coltivino una attiva comunione con i suoi scritti e la sua mente e secondo le necessità dei tempi con legittima libertà e rinnovino ed arricchiscano la sua dottrina con le ricchezze sempre nuove della sacra ed umana sapienza» (n.82).

La proposta del gruppo di Padre Rossetti

Nel 1970 il Padre Enrico Rossetti, Provinciale della provincia Domenicana Utriusque Lombardiae, preoccupato per la situazione di conflittualità che si era scatenata all’interno della Chiesa e dell’Ordine nel 1968, con numerose defezioni, contestazioni al Papa, diffusione dell’eresia e della corruzione morale, ebbe la felice idea di radunare un certo numero di confratelli che avevano le medesime preoccupazioni e organizzò una serie di incontri annuali nel 1970, 1971, 1972 e 1974, anno della sua stessa morte, le cui conclusioni furono pubblicate in un libretto Presupposti del rinnovamento domenicano. Rapporto dei PP. R. Oechslin, E. Rossetti, V. Walgrave, Edizioni San Sisto Vecchio, Roma 1974.

Leggendo queste sagge considerazioni ed accorate esortazioni si notano degli animi sinceramente fedeli alla Chiesa, amanti dell’Ordine, della retta dottrina, della vita regolare, della pratica dei voti, attaccati ai valori della preghiera, della liturgia, della vita comune, della contemplazione e della predicazione.

Il valore sostanziale della proposta rossettiana è il richiamo alla spiritualità domenicana, contro l’ondata di sciatteria, volgarità, secolarismo e orizzontalismo, che si stavano diffondendo per una malintesa interpretazione del richiamo ai valori umani fatta dal Concilio nel superamento di uno spiritualismo legalista, rigorista, dualista e dolorista, che effettivamente necessitava di essere corretto alla luce di una più umana ed evangelica concezione della spiritualità.

Ma il rischio era quello di passare dall’origenismo al freudismo, dalla purezza farisaica alla melma dei godimenti terreni, dal prete celeste al prete da corsa, dal puritanesimo allo scautismo, dalla seriosità sussiegosa alla buffonata, dal silenzio certosino allo schiamazzo da osteria.

Il gruppo accenna al doloroso stato di divisione dell’Ordine e alla situazione «catastrofica» della Chiesa. Ma non si va oltre. Sembra che vi sia timore ad entrare nel dettaglio. Forse neppure gli stessi membri del gruppo sono stati del tutto d’accordo fra loro. È possibile che nel gruppo ci fossero dei filolefevriani. Così non si precisano i termini esatti di questa crisi o forse allora non apparivano così chiari come oggi; così non si spiega da che cosa dipende, e quindi che cosa si può concretamente fare.

Infatti il Papa che ha chiarito esattamente i termini della crisi è stato Benedetto XVI con la sua distinzione fra falso progresso nella rottura e vero progresso nella continuità. I fautori delle divisioni, cioè i modernisti, sono coloro che parteggiano per il primo tipo di progresso[6].

Manca invece nel gruppo la precisa coscienza della falsa interpretazione del Concilio data dai modernisti con la conseguente reazione lefevriana, che è all’origine dell’attuale lacerazione della compagine ecclesiale. Mancando questa analisi, ovviamente non possiamo pretendere di conoscere i rimedi e la cura, che invece troviamo nella linea maritainiano-tyniana che io mi sforzo di illustrare da 40 anni nei miei scritti e nella mia predicazione.

La strada giusta è la sintesi

del tradizionalismo tyniano col progressismo maritainiano

I punti attorno ai quali oggi noi Domenicani dobbiamo concentrarci sono tre: chiarire il ruolo del Papa nella Chiesa e appoggiare Papa Francesco nella sua lotta per la piena realizzazione della riforma conciliare. Secondo: bisogna chiarire che cosa vuol dire essere cattolico, perché troppi si fregiano di questo titolo senza averne i requisiti. Terzo, chiarire che cosa significa appartenere alla Chiesa cattolica, perchè molti credono di appartenervi o sono considerati appartenenti senza averne i titoli. Si può essere fuori della Chiesa senza essere scomunicasti ufficialmente. Si può restare in comunione con la Chiesa anche se si è malvisti dai modernisti o se si è vittime di ingiuste censure o proibizioni.

La cura dei nostri interessi, che sono gli stessi interessi del Papa e della Chiesa, va congiunta con un’assidua, paziente e prudente opera di conciliazione e pacificazione fra indietristi e modernisti, così da far sì che abbandonino gli errori che li pone fuori della Chiesa e valorizzino i loro lati buoni: la cura della tradizione rettamente intesa negli indietristi e la cura per il progresso nei modernisti.

Una volta messi in luce questi due valori che si completano a vicenda sarà facile ottenere l’accordo fra questi due partiti attualmente in contrasto fra di loro e realizzare un sano pluralismo e una sana diversità ecclesiali dove ognuno è libero di orientarsi o verso la conservazione o verso il progresso come meglio gli aggrada.

Occorre in altre parole operare una sintesi fra due maestri e modelli anche di virtù: il progressista Maritain e il sanamente tradizionalista Padre Tomas Tyn[7].

Riguardo alla realizzazione di questo orientamento suggerisco di attingere anche al pensiero dei seguenti teologi: Raimondo Spiazzi, Amato Masnovo, Antonio Piolanti, Pietro Parente, Daniel Ols, Dario Composta, Luigi Bogliolo, Pier Carlo Landucci, Mariano Cordovani, Claude Tresmontant, Angelo Zacchi,  Mariano Maggiolo, Jean-Hervé Nicolas, Charles Journet, Étienne Gilson, Yves Simon, Aniceto Fernandez, Alberto  Galli,  Alberto Boccanegra, Abelardo Lobato, Roberto Coggi, Cornelio Fabro, Giuseppe Perini, Antonio Livi.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 agosto 2024


I punti attorno ai quali oggi noi Domenicani dobbiamo concentrarci sono tre: chiarire il ruolo del Papa nella Chiesa e appoggiare Papa Francesco nella sua lotta per la piena realizzazione della riforma conciliare. Secondo: bisogna chiarire che cosa vuol dire essere cattolico, perché troppi si fregiano di questo titolo senza averne i requisiti. Terzo, chiarire che cosa significa appartenere alla Chiesa cattolica, perchè molti credono di appartenervi o sono considerati appartenenti senza averne i titoli.

La cura dei nostri interessi, che sono gli stessi interessi del Papa e della Chiesa, va congiunta con un’assidua, paziente e prudente opera di conciliazione e pacificazione fra indietristi e modernisti, così da far sì che abbandonino gli errori che li pone fuori della Chiesa e valorizzino i loro lati buoni: la cura della tradizione rettamente intesa negli indietristi e la cura per il progresso nei modernisti.

Una volta messi in luce questi due valori che si completano a vicenda sarà facile ottenere l’accordo fra questi due partiti attualmente in contrasto fra di loro e realizzare un sano pluralismo e una sana diversità ecclesiali dove ognuno è libero di orientarsi o verso la conservazione o verso il progresso come meglio gli aggrada.

Immagine da Internet


[1] Vedi Ricordi e appunti, op.cit, pp.246-248. La vicenda è raccontata anche nel libro di Jean-Luc Barré, Jacques e Raissa Maritain. Da intellettuali anarchici a testimoni di Dio, Edizioni Paoline 2000, pp.371, 383, 401-402.

[2] Alcune eresie di Schillebeeckx sono state condannate dalla CDF. Il fatto che egli non sia andato soggetto a censure ecclesiastiche è un pretesto dei suoi sostenitori per cui si credono autorizzati a seguirlo. Ma la cosa essenziale da tenere presente è la condanna dei suoi errori. La Chiesa si riserva poi di attuare o non attuare provvedimenti disciplinari a sua discrezione. Ma ciò non autorizza assolutamente il buon cattolico ad abbracciare gli errori condannati.

[3] Vedi M.-D-Chenu, Le Saulchoir. Una Scuola di teologia, Marietti 1982.

[4] Il Vicaire, nella sua pur pregevole biografia di S.Domenico (Edizioni Paoline 1959), influenzato dal ripudio dell’aspetto agonistico della predicazione domenicana, che già allora precorreva l’impostazione buonistica del postconcilio, sostiene che quella bolla di Papa Onorio è fasulla. Ma si sbaglia (P.37).

[5] Cf gAlbertus Grech, De confirmatione Ordinis FF.Praedicatorum, Romae. 1916, p.28; Contemplata aliis tradere.Lo specchio letterario dei Frati Predicatori,  a cura di Laura Albiero, Luciano Cinelli  e Eleanor J.Jiraud, Edizioni Nerbini, Firenze 2023.

[6] Ho dedicato un libro per chiarire questa importantissima tesi di Benedetto XVI: Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e del post-concilio, Edizioni Fede&Cultura.Verona 2011.

[7] Vedi Padre Tomas Tyn. Un tradizionalista postconciliare, Edizioni Fede&Cultura,Verona 2007.

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