Dio agisce dentro di Lui e al di fuori di Lui
Generato, non creato
Un testo di Padre Tomas Tyn
Terza Parte (3/3)
Dio è la causa prima dell’universo
Premetto che il discorso della creazione è relativamente nuovo nella storia del pensiero umano ed è un discorso assai delicato perché da un lato, di fatto, nella storia del pensiero, è legato inseparabilmente al cristianesimo. Infatti, i filosofi precristiani, pagani, della creazione non sapevano proprio nulla, anche se hanno, dall’altro lato, per così dire, gettato le basi di un discorso che poi condurrà appunto alla comprensione del mondo come creatura di Dio.
Però loro stessi, nemmeno le menti più metafisiche e quindi più eccelse - perché la sublimità della filosofia si manifesta soprattutto nella scienza dell'ente, cioè del reale in quanto semplicemente è - come lo stesso Platone o Aristotele, non sono giunti a comprendere il mondo come dipendente da una causa prima, influente l'essere, cioè una causa agente che desse l'essere alle cose.
In altre parole, il discorso della creazione è un fortissimo motivo di credibilità . Cioè, chi capisce un minimo della creazione, capisce anche come il Signore Dio, per esempio, può ricomporre i nostri poveri corpi mortali alla fine dei tempi nella resurrezione. Chi non capisce il rapporto tra Dio e il mondo dirà che questa è una sciocchezza, e che insomma non è possibile. Pensa che la morte sia un processo irreversibile e che l'uomo si dissolve in polvere.
Ben conosciamo la fenomenologia veramente tetra del processo che conduce alla morte e quindi che cosa è la morte. Ecco, secondo costui dopo la morte non c'è niente, niente da fare, la resurrezione non è possibile. Invece alla luce della creazione, sapendo che Dio ha fatto emergere dal nulla persino la minima particella e il primo protone, allora poi ci facciamo coraggio e diciamo: quel Dio che ha dato l'essere proprio a quelle cose che prima non c'erano, o come dice San Paolo ha chiamato all'essere le cose che non c'erano, quel Dio saprà ben ridare la vita anche ai nostri corpi mortali.
Però dinanzi a questa profonda comprensione metafisica del rapporto tra Dio e il mondo, crollano tutte le obiezioni apparentemente scientifiche, ma di fatto positivistiche, illuministiche e via dicendo. Per questo il discorso della creatio ex nihilo è di enorme importanza e notate bene che esso si collega di fatto, secondo quanto abbiamo detto, nella storia del pensiero ai pensatori cristiani.
Pensate per esempio a Sant'Agostino che proprio ha un trattato stupendo sulla creazione: se è vero che di fatto furono dei pensatori cristiani che per primi hanno abbozzato il discorso della creazione, tuttavia non si tratta di un discorso strettamente teologico bensì previo alla fede.
Mi preme che questo sia abbastanza chiaro. Bisogna, infatti, miei cari, fare un’accurata distinzione. C’è da dire innanzitutto che San Tommaso, con il suo solito equilibrio, è riuscito a stabilire i limiti della razionalità umana e i confini della rivelazione divina. Infatti, la stessa rivelazione divina e l'opera soprannaturale della Redenzione in Cristo, in qualche modo presuppongono l'opera della creazione. E’ facile intuirlo, miei cari, perché, se l'uomo non ci fosse, non ci sarebbe nulla da redimere.
Ora per affrontare bene questo discorso, la prima domanda che ci poniamo è questa: se le cose del mondo, anzi il mondo nel suo insieme, ossia l’insieme delle realtà finite, siano causate da Dio. E per cose del mondo intendo le cose finite, concetto molto importante quello della finitezza delle cose.
Perché in fondo la creazione non è altro che questo: cioè essere causati in tutto l'essere, emergere dal nulla, in dipendenza causale da Dio Creatore. La creazione è una causalità , anzi la più profonda causalità che ci sia. Quindi un discorso previo alla creazione è costituito dalla domanda sulla causalità divina di Dio, Essere infinito, rispetto agli esseri finiti.
È vero o no che gli esseri finiti devono di necessità essere causati dall'Essere infinito? Ecco che cosa ci domandiamo. Anzitutto con la parola “mondo” in filosofia si intende l’insieme delle entità finite; perciò il mondo comprende in questa accezione, se ci sono, gli spiriti angelici; perché come teologi e come uomini di fede lo sappiamo, ma come filosofi non dovremmo dirlo[1]. Ma allora dobbiamo parlare dubitativamente in filosofia.
Se ci sono gli spiriti angelici, come la filosofia ci dice che è molto probabile che ci siano e la fede ci dice che certamente ci sono, se ci sono anche loro, in questo senso fanno parte del mondo. E quindi il mondo non è l’insieme di cose materiali, ma è l’insieme di realtà finite[2].
La domanda è questa: analizzando razionalmente e facendo l'analisi delle realtà finite, appare sì o no la loro dipendenza da Dio? Questa analisi in fondo, è quel risalire, quel processo di salita metafisica della nostra mente a Dio, che ci raccomanda la stessa Sacra Scrittura. Voi avete presente San Paolo nella Lettera ai Romani, nel primo capitolo, versetti 19 e seguenti, dove dice appunto che le cose invisibili di Dio si conoscono partendo dalla conoscenza delle cose visibili, cioè noi nel visibile, nel finito, contempliamo la traccia dell'Infinito. Non la traccia dell'Infinito nel senso che l'Infinito manifesti la sua essenza, perché l'essenza di Dio ci è nascosta completamente.
Il nostro processo conoscitivo è questo: noi badando la finitezza delle cose, ci accorgiamo della loro dipendenza da un principio che non è finito. Quindi arriviamo a dire: data l'esistenza di cose finite, è necessario che esista una causa infinita. Ma che cosa sia quella causa infinita, non lo sappiamo. Notate bene come questi due discorsi, cioè quello dell'esistenza di Dio e quello della creazione, sono reciprocamente complementari. Le famose cinque vie per dimostrarne l'esistenza di Dio costituiscono un risalire dal finito all'infinito, cioè a Dio, causa prima.
Il participio presente del verbo essere
In filosofia quando si parla di ente, si traduce la parola greca, il participio on. La lingua greca è stupenda per la sua complessità e per la sua ricchezza. Ecco perché i Greci erano filosofi, cioè non dico che dipenda tutto dalla lingua, però essa è perlomeno la conditio sine qua non del filosofare, per pensare bene.
Ora i Greci hanno forgiato questi derivati dalla parola einai, essere, e il participio presente neutro on significa l'essente, ciò che è[3]. Quindi si intende per ente ciò che in qualsiasi modo ha l'essere, ciò che in qualsiasi modo è. Dico in qualsiasi modo, perchè notate che l’ente abbraccerà una infinità di realtà , di realtà anche irreali, cioè reali solo sotto un aspetto ristrettissimo.
Pensate per esempio all'esserci di cose che non esistono esternamente, ma che esistono solo nella nostra mente. Qui abbiamo l’esempio portato dagli Antichi: qualche animale mitico, come la chimera. La chimera non esiste nella realtà delle cose, la zoologia non conosce una bestia del genere, però può esistere nella nostra mente, quindi anche la chimera ha un essere, solo che non ha un essere reale, ma un essere nella nostra mente.
Quindi è un ente, perché l'ente è ciò che in qualsiasi modo c'è, esiste, come in questo modo molto remoto e molto lontano. Bisogna allora distinguere subito, voi lo avete già intuito, tra l'ente nel senso vasto della parola, ciò che in qualsiasi modo ha l'essere e che in qualsiasi modo è, e l'ente nel senso più stretto, cioè ciò che è fisicamente[4], realmente, obiettivamente, non più solo intenzionalmente, concettualmente, mentalmente.
Invece noi parliamo ovviamente qui di enti nel senso più stretto della parola, ciò che realmente possiede l'essere. A questo punto è del tutto essenziale il discorso sulla finitezza dell'ente, ovvero del mondo, come insieme di enti finiti. Ci chiediamo cioè qual è la dimensione dell'ente che lo rende eventualmente finito.
Ebbene, vi do la risposta, poi cercherò di spiegarlo, ma che Dio me la mandi buona. Dunque il fatto è questo. E’ difficilissimo, capite. Abbiate pazienza, guardate che io ci ho messo parecchio per capire e tuttora non ho capito del tutto. Però diciamo che per intravederlo ci vuole pazienza.
La finitezza dell’ente dipende dalla sua essenza
Ora, notate questo: ciò che costituisce l'ente finito è la sua essenza; poi cercheremo di spiegare questa parola, che cosa significa. La sua essenza è un'altra parola derivata dall'essere, in quanto realmente distinta dal suo essere.
È qui c’è il punto nevralgico. Se si capisce questo, su cui adesso con pazienza cercheremo di meditare, si capisce tutta la creazione. Cioè, insomma, si capisce che c'è stata la creazione. Come il Padre eterno abbia creato il mondo, questo lo sa poi solamente Lui.
Però si capisce che la creazione è assolutamente necessaria[5]. Vedete, è una cosa bellissima, vale la pena di riflettere su di essa, miei cari. Questo per spronarvi a meditare su queste cose. Infatti, allora il mondo comincia a parlare, cioè tutte le cose diventano dei simboli di altro, in sostanza il finito diventa in qualche modo rivelazione, quasi teofania dell’infinito.
Insomma la vita si arricchisce non poco quando in ogni cosa riusciamo ad intravedere la presenza di Dio. Allora proviamo a meditare questo: la finitezza degli enti finiti che compongono il mondo dipende dalla loro essenza distinta realmente dal loro essere.
Naturalmente qui, da Frate domenicano vi propongo la dottrina tomistica, perché non tutti la pensano in questo modo, ma notate che San Tommaso ha una straordinaria acribia metafisica in queste cose. Quindi la distinzione tra l'essenza e l'essere costituisce la finitezza dell'ente. Proviamo a vedere che cosa è l'essenza e che cosa è l'essere.
Sostanza e accidenti
Cominciamo dalla distinzione fra la sostanza e gli accidenti. Allora, anzitutto c’è questo: si distingue realmente l'ente sostanziale e l'ente accidentale. È facile intuirlo partendo dal discorso umano. Ciò che è significato nel soggetto di una proposizione è generalmente sostanza. Se io dico Pietro corre, è chiaro che Pietro è sostanza.
Il correre non esiste separatamente da ciò che corre, dall'animale o dall'uomo che corre. Quindi gli accidenti, come vedete, sono quelle cose alle quali compete non essere in sè, ma essere in qualche cosa d'altro, come il correre ha questa proprietà di non esserci mai in sè, ma di essere sempre presente in qualche altro soggetto.
Invece Pietro, che è soggetto del correre, è anche soggetto in se stesso, cioè non inerisce ad un altro soggetto e questo essere che possiede il suo soggetto in sè, dicesi sostanza. Ora sia le sostanze che gli accidenti hanno quella dimensione che fa sì che essi, sostanza e accidenti, siano ciò che sono. Ma questa è l'essenza. Dunque, per essenza si intende ciò per cui una cosa è ciò che è. Vedete che è una cosa anche relativamente facile, se voi ci pensate.
Prendiamo Pietro. Che cosa fa sì che Pietro sia uomo? È la sua umanità . Ora, l'umanità di Pietro è l'essenza di Pietro. Che cosa fa sì che la qualità sia qualità ? È il suo essere qualità , che fa sì che la qualità sia qualità . I nostri scienziati ci accuseranno di fare dei discorsi tautologici, ma quello che è sterile in scienza, è estremamente fecondo in filosofia. Quindi dobbiamo pure avere il coraggio di farlo.
Ogni essenza finita può essere; però può anche benissimo non essere. L'essere non fa parte dell'essenza dell'uomo. Se l'uomo non ci fosse, tutto sommato il mondo mancherebbe di qualcosa, ma non c’è nell'essenza dell'uomo la necessità del suo esserci. L'uomo per natura è tale che può anche non esserci.
Perché questo? Proprio perchè nell'essenza umana, e lì si rivela appunto la sua finitezza, non è compresa la ragione sufficiente del suo essere. Infatti, l'uomo non è l'essere. L'uomo possiede l'essere. E’ vero che Luigi XIV diceva “lo Stato sono io”, però sarebbe ancora più allucinante o, come si dice, delirante, dire “l'essere sono io”. L'unico che può dire “l'essere sono Io” è la Trinità Santissima.
Vedete, l’unica definizione filosofica di Dio è quasi questa: Dio è l'Essere[6]. Mentre nessun’altra cosa o creatura può dire di sé: “io sono l'essere”, sarebbe un delirio. Quindi tutte le altre realtà possiedono l'essere, ma non sono l'essere. Tanto è vero che ci sono altre realtà e proprietà nella nostra essenza umana. Anzi i santi Padri dicevano che l'uomo è l’orizzonte del creato, perchè nell'uomo c'è qualche cosa che è comune con gli angeli - la razionalità -, poi abbiamo in comune con gli animali la vita sensitiva, con le piante le funzioni vegetative; insomma l'uomo veramente è un insieme di tante perfezioni e dimensioni del creato.
E però, nessun uomo ragionevole pretenderà di comprendere nella sua essenza tutte le sfumature possibili di tutte le creature. Solo quell’essenza che è l'Essere, cioè Dio, solo Dio possiede in sè tutte le possibili sfumature di tutte le possibili creature.
Ora, vedete, - facciamo un esempio banale - noi possiamo formare una proposizione negativa che dice che l'uomo non è il tavolino. E’ una cosa evidente. Questa proposizione negativa che separa l'uomo dal tavolino, ci rivela anche la limitatezza dell'uomo e anche del tavolino. Cioè se una cosa non è l'altra, vuol dire che quella cosa è limitata, così da non comprendere in sè l'altra.
Dio è tutte le cose non una per una, ma nell’insieme
Invece possiamo dire che Dio è tutte le cose, ma non panteisticamente, bensì come causa esemplare di tutte le cose, come vedremo in seguito. Ora a questo punto, notate bene la differenza: l'ente infinito è quell'ente in cui l'essenza non è altro che essere. Quindi l'ente infinito consiste nella identità reale e nella coincidenza reale, dell'essenza e dell'essere.
Se uno mi chiedesse: chi è Dio? Io rispondo: Dio è il semplice essere[7]. Nulla di più, ma anche nulla di meno. E nell'essere c’è tutto ovviamente, perchè voi capite che tutto ciò che è, è in virtù dell'essere. Tanto è vero che l'essere è proprio ciò in virtù di cui semplicemente si è, si emerge dal nulla. Vedete l'aspetto esistenziale? Notate, l'essenza è ciò per cui una cosa è se stessa; l'essere è ciò per cui la cosa semplicemente è, esiste.
L'essere, il semplice esistere, coincide con l'essenza solo in Dio. E così si costituisce l'ente infinito. In tutte le realtà distinte da Dio, l'essenza si distingue dall'essere. Cioè quelle realtà proprio in quanto non sono Dio, per quel non essere Dio, possiedono un limite che stacca la loro essenza da quella essenza che è la pienezza dell'essere. Quindi, c'è l'essere ma diminuito, decaduto dalla ampiezza infinita dell'essere stesso.
Ecco che lo Spirito Santo è stato buono con noi. Notate però che queste sono cose che bisogna poi rimeditare sempre, naturalmente. Ve l’ho già detto l'anno scorso: in queste cose filosofico-teologiche non si può procedere come in geometria, dove si dice: io devo capire quel teorema, e poi passo agli altri. Il manuale di Euclide va studiato così.
Invece in filosofia, miei cari, la cosa è diversa, perché lì bisogna in qualche modo avere una parziale comprensione delle cose; dopodichè si compie una certa sosta, poi si torna, si approfondisce la riflessione, si riprende il cammino e via dicendo. Vedete che le due intellettualità , cioè quella scientifica positiva e quella sapienziale filosofica, hanno delle esigenze e dei metodi molto diversi, è cosa normale, non ci spaventa questo.
Ora notate, quello che è molto importante da sapere è questa differenza: l'essenza è ciò per cui la cosa è se stessa: uomo, cane, bue ecc. Invece l'essere è ciò per cui la cosa semplicemente è, cioè emerge dal nulla. Giovanni di San Tommaso ha questa bella definizione dell'essere come posizione di ciò per cui la realtà , la cosa è posta al di fuori del nulla e delle sue cause. Dice anche delle sue cause perché nelle cause le realtà sono precontenute, ma potenzialmente; non ci sono ancora, ci sono solo quando si separarono per così dire dalla loro causa.
Dio è il suo essere
Allora notate che solo in Dio, essere infinito, l'essenza coincide con l'essere. In tutte le altre realtà , l'essere è per così dire aggiunto alla essenza, cioè l'essenza partecipa dell'essere. Ecco allora a questo punto, detto questo, ma solo dopo aver detto questo, risulta comprensibile quello che ci dice il nostro amico San Tommaso. Dice così: ogni ente è causato da Dio. Si intende ogni ente finito. Vedete, Dio non è causabile. Pensate, anche se il Signore Dio volesse causare un altro Dio, non ci riuscirebbe, nemmeno Lui.
Non gli faccio un oltraggio, perché il Signore Dio è onnipotente nel senso che può fare tutto ciò che è fattibile, ma un Dio creato è un non senso. Cioè Dio non è suscettibile di essere creato, ma ne vedete la ragione proprio se capite un pochino questa coincidenza di essere e di essenza, ciò che è già essere nella pienezza non può ricevere dell'altro essere. Per così dire è già saturo di essere.
Invece ciò che non è l'essere stesso, ma possiede l'essere, è rivestito dell’essere, è suscettibile di riceverlo dall'altro. Quindi si sottintende che ogni ente finito è causato da Dio.
Essere per essenza ed essere per partecipazione
Ciò che è, dice San Tommaso, ed è per partecipazione, è causato da ciò che è per essenza. Quindi, ciò che è essere solo per partecipazione dell'essere, è causato da ciò che non è essere in parte, ma che è essere per essenza, cioè essere in toto, ovvero tutta la sua essenza non è altra che questo: essere[8].
Perciò, si dà , in qualche modo, un ente che possiede l'essere parzialmente, partecipativamente. In tal senso, abbiamo detto che l'uomo non è l’essere. Se ci pensiamo bene, dire “io sono l'essere”, è una frase per la quale uno mi dice: qui, figliolo, sei da ricoverare: è impossibile. Quindi, nessun uomo è l'essere. Però l'uomo c'è, quindi ha l'essere. Questo non essere l’essere, ma avere l'essere, questo avere l’essere, si dice anche partecipare l'essere. Cioè prendere parte all'essere. Notate bene la parzialità . Cioè si prende parte all'essere, ma non si esaurisce tutto l'essere. Io mi prendo quella particella che riguarda la mia povera essenza.
Prendiamo per esempio l’essere umano. Quella parte di essere che si addice alla mia essenza umana, me la prendo io? No, non me la prendo io, ma è il buon Dio me l’ha data, diciamo così; il Creatore mi ha dato quella parte di essere che si addice alla essenza umana.
Quindi io partecipo dell'essere, ma non sono l'essere per essenza. Ora quello che dice San Tommaso è questo: ciò che è per partecipazione tale, cioè è tale per aver parte in qualche cosa, è causato da ciò che è tale per sua essenza. Quindi solo Dio, notate, solo Dio che è Essere, è in grado di produrre l'essere, perché colui che non ha ciò che causa non può nemmeno causarlo. Per dare, per comunicare una proprietà , un atto, direbbero gli scolastici, un actus, una enèrgheia, come dice Aristotele, per comunicare una perfezione, bisogna prima averla.
Ora Dio comunica alle creature nientemeno che questo, cioè il loro essere, il loro semplice esserci. E questo essere viene raccolto entro i limiti dell'essenza creaturale, ma ciò che Dio dà , ciò di cui causa la partecipazione, è l'essere. Dio causa la partecipazione dell'essere, non di altra cosa, nelle creature. Vedete, quindi, solo Colui che possiede l'Essere nella sua pienezza, è in grado di elargire l'essere in tutte le sue partecipazioni.
E’ cosa interessante, e qui bisogna pure meditarci molto, che l'essere comprende in sè tutte le sue partecipazioni possibili, perchè ogni distinzione tra le cose, a sua volta è reale e quindi esiste. Il fatto che io non sia il tavolino, quel mio non essere il tavolino è un qualcosa che realmente c'è nella natura delle cose. Quindi tutti i rapporti tra le cose, tutte le relazioni, tutte le distinzioni tra cosa e cosa, tutte le sfumature, tutti i modi di essere, sono a loro volta degli esseri.
Quindi è cosa interessantissima come dall'essere stesso si scende verso gli esseri particolari solo tramite l'essere. Quindi solo chi dà l'essere, chi è l’Essere, è in grado di dare l'essere anche nelle sue partecipazioni diminuite. Un altro oggetto di meditazione, di contemplazione. Ora, tutte le cose distinte da Dio, non sono l'essere, ma hanno solo parte all'essere. Questa è la loro finitezza. Essa consiste nel fatto che la loro essenza non è identica all'essere, ma hanno l'essere, non sono l'essere.
Ora, tutte le cose diversificate secondo una diversa partecipazione dell'essere, così da essere più o meno perfette, sono causate da un primo ente che è, che esiste perfettissimamente. Dio dunque causa nelle cose il loro esserci e la misura di quel loro esserci, che si addice appunto alla proporzione della loro essenza. L'essere causato però, e questo è molto importante da notare, non è identico all'essere finito. Cercherò, se Dio continua ad aiutarmi, di spiegarvelo.
Notate questo: la tesi di San Tommaso è duplice. Una. Ogni ente finito è causato dall'ente infinito che è Dio, perché l'ente finito, ripeto perché repetita iuvant, l'ente finito non possiede l'essere in virtù della sua essenza. Quindi possiede l'essere in virtù di qualcosa di esterno alla sua essenza. In virtù di che cosa? In virtù di Colui che possiede l'essere nella sua pienezza, perché solo chi possiede l'essere nella sua essenza di essere, è in grado di elargire l'essere con tutte le sue sfumature. Quindi ogni ente finito, in quanto finito, è causato da Dio. Questa è la prima tesi.
Però notate subito che c’è una tesi apparentemente contraria, che è questa: l’ente finito non coincide però e non si identifica con l'essere causato. In altre parole, gli enti finiti non si riducono interamente al loro dipendere da Dio. In altre parole ancora, vedete, gli enti finiti possiedono, in dipendenza da Dio, una loro relativa indipendenza o autonomia. È una cosa stupenda.
La creatura dipende da Dio,
ma il suo essere non coincide col suo dipendere
Guardate, San Tommaso riesce a spiegare come Dio crea, ma nel creare decentralizza. Mi piace questa parola “decentralizzare”. Capite, perché rende un po’ l’idea, come in uno Stato ben amministrato, ma suppone tanta maturità nei cittadini. Infatti, la struttura di governo migliore è quella decentralizzata, dove ogni ufficio dello Stato ha una sua dignità propria, cioè il presidente della ripubblica non ha bisogno di intervenire attraverso ogni “ente” pubblico o privato, questa volta nel senso profano della parola.
Allora, questo cosmo decentralizzato è proprio opera di Dio, ossia Dio vuole che le creature siano relativamente indipendenti da Lui, avendo una propria essenza. Cosa interessantissima. Quindi l'essere finito è sempre creato, porta quasi il sigillo, la proprietà che rimanda a Dio. Ogni essere finito tramite la sua finitezza mi dice: guarda che non sono io che mi sono posto nell'essere, né io possiedo da sempre l'essere. C'è stato Qualcuno che mi ha dato l'essere.
Quindi, ogni ente finito testimonia dell'ente infinito che gli ha dato l'essere. Però nel contempo, l'essere dell'ente finito non si riduce al suo essere dipendente. Cioè l'essere di ogni entità creata è un essere proprio a quella entità creata. Capite? Non è un essere che è semplicemente relazione di dipendenza. Non è un semplice dipendere, è un essere tale cosa. Non è un puro essere dipendente.
Quindi notate, ovviamente non è che la dipendenza da Dio sia sorvolata, per così dire. E’ interessante la logica analettica, qui non c'è più la logica della unificazione. Qui sta la difficoltà della filosofia, perché, quando si parla dell'essere[9], siccome, come abbiamo visto che l'essere comprende tutte le sue sfumature, non si può più parlare di una cosa o di un'altra, ma bisogna parlare di una cosa e dell'altra[10], che sono accomunate nell'essere. Però non vanno confuse tra di loro. Ecco quindi la grande difficoltà . Questa difficoltà si risolve parlando dell'essere in modo analogico.
E allora si deve dire che nel contempo le creature dipendono da Dio, perché Dio ha creato in loro l'essere, ma ha dato ad esse anche una consistenza ontologica rendendole sostanze, in modo tale che esse posseggono una certa autonomia nei confronti di Dio, e questa autonomia nella persona è il principio del libero arbitrio[11].
P. Tomas Tyn
Da Conferenze: http://www.arpato.org/creazione.htm
Testo rivisto con note a cura di P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 29 dicembre 2024
Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP |
[1] Qui pare di rilevare una punta di ironia nella frase di Padre Tomas: infatti, se fosse vero ciò che la frase afferma, si finirebbe, come risulta dalla frase seguente, nello scetticismo. In realtà Padre Tomas, nel suo libro di metafisica, si diffonde nel dimostrare, al seguito di S.Tommaso, l’esistenza degli angeli. Di fatto tutte le religioni ammettono l’esistenza di puri spiriti. L’idea platonica in fondo è una sostanza spirituale. Anche Aristotele ammette la «forma separata».
[2] Cioè le sostanze materiali e quelle spirituali, cioè gli angeli.
[3] Ciò che è in atto d’essere.
[4] Qui l’avverbio è usato nel senso tradizionale scolastico per esprimere la realtà e la consistenza dell’ente reale rispetto a forme inferiori di esistenza, come quella ideale ed intenzionale, che sono funzionali all’ente reale extramentale.
[5] Necessaria non nel senso che Dio abbia creato necessariamente, ma necessaria per spiegare l’esistenza della creatura, altrimenti la creatura non avrebbe senso.
[6] Propriamente Tommaso dice che Dio è l’ipsum esse.
[7] Non nel senso dell’essere comune o universale, perché questo sarebbe panteismo, ma nel senso tomista dell’Ipsum Esse per se subsistens. Cioè in Dio l’essere non è una proprietà , come nella creatura, ma è soggetto ovvero sussiste da sé.
[8] La nozione di partecipazione porta immediatamente la mente a un qualcosa di materiale-quantitativo: un tutto di cui si coglie una parte. Allora, dovendo pensare a Dio che è puro spirito, questa nozione va presa in senso analogico, collegandola con le idee di somiglianza e di imitazione, che ritroviamo nella Sacra Scrittura, benchè ci siano già suggerite da Platone. Queste idee ci consentono di superare la ristrettezza univocistica del piano matematico-quantitativo, per poterci elevare alla comprensione del rapporto della creatura col Creatore. Abbiamo così due forme di partecipazione: una partecipazione analogica, per la quale mentre la creatura ha l’essere per partecipazione, Dio lo ha per essenza; e una partecipazione al tutto dell’universo, di tipo univoco, per la quale ogni creatura partecipa della perfezione della totalità dell’universo. La nozione di partecipazione è ampiamente sviluppata da Padre Tomas nel suo libro di metafisica.
[9] S’intende in un senso univoco-monistico, il quale non è capace di salvare le sfumature e le differenze dell’essere.
[10] Confuse o identificate tra loro, diverse solo in apparenza.
[11] Le parole in corsivo sono ipotetiche, ma corrispondono esattamente al pensiero di Padre Tomas, come si può agevolmente verificare dall’esame dei suoi testi.
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